Wake
up
Ci sono
delle giornate in cui
svegliarsi non è facile: sono quei giorni in cui fa troppo
freddo per lasciare
il tepore protettivo delle coperte; sono quelle mattine
d’inverno in cui aprire
gli occhi per affrontare un’altra pesante giornata a scuola
proprio non riesce;
sono le volte in cui la pioggia cade fitta e silenziosa, come a voler
essere
quasi una ninnananna per tutti coloro che devono alzarsi e affrontare
la vita
ancora per un giorno.
Oppure sono
le giornate troppo
calde, in cui le energie per alzarsi proprio non ci sono; sono le
mattine in
cui il sole è già alto nel cielo, pronto a
distruggere ogni capacità di
pensiero latente con i suoi potenti raggi caldi, e la mente si rifiuta
di
abbandonare il leggero vento fresco che il ventilatore è in
grado di generare.
Generalmente,
tuttavia, questi
elementi non influiscono in alcun modo sulla vita di Yamamoto Takeshi.
Takeshi
è quel tipo di ragazzo
che ama la pioggia e le fredde mattine dell’inverno, in cui
la città sembra
ricoprirsi interamente di un alone di calma e pace, come se le piccole
goccioline d’acqua avessero lavato via tutta la caotica
frenesia del mondo,
lasciandolo infine tranquillo. Lui è quel tipo di ragazzo
che, quando piove,
cammina tranquillo senza ombrello, e sorride.
Ma Takeshi
è anche quel tipo di
ragazzo che ama il sole e la gioia che porta con se; ama quando tutto
si scalda
e sembra finalmente tornato in vita, perché allora si sente
libero di correre e
giocare nei prati, come un bambino, per potersi godere al meglio quella
carezza
calda, accolta da un sorriso in grado di illuminare la giornata di
chiunque
incontri.
Eppure, ci
sono mattine in cui
anche un ragazzo vivo come lui fatica a svegliarsi.
Non
è un fenomeno legato a
qualcosa di così insignificante come l’umore del
pianeta o la temperatura che
vige al di fuori della finestra. È qualcosa di primordiale,
istintivo; è
qualcosa che ha a che fare con i sogni che non si vogliono spezzare,
dati da
quel corpo caldo steso di fianco a lui.
Yamamoto,
egoisticamente,
vorrebbe restare per sempre con gli occhi chiusi, nelle mattine in cui
Gokudera
dorme al suo fianco.
È
la consapevolezza che, appena
le iridi verdi dell’altro si apriranno sulla nuovo giornata,
Hayato si
allontanerà impercettibilmente da lui, ogni secondo sempre
di più, fino a
tornare quello di sempre, con la sua sigaretta stretta tra le labbra e
uno
sguardo di puro fastidio rivolto alla sua figura. Lui non vuole questo.
Lui vorrebbe
potersi addormentare
per sempre con il corpo dell’altro stretto al suo, e non
doversi mai più
svegliare, in modo da sfuggire quella realtà in cui loro
sono solo una coppia
di amici mal assestata, tenuta assieme da un collante particolare
chiamato Tsuna
e una buona dose di litigi, ma nulla di più.
Nonostante
quel “più” sia lì,
forte, tangibile, visibile ai suoi occhi, ma ancora così
distante da quelli di
Hayato, sebbene Takeshi sa che è solo per cecità
volontaria che le dita dell’altro
ancora non stringono assieme alle sue quel sentimento così
forte che li
avvolge.
In quei
giorni, Yamamoto Takeshi
non vuole svegliarsi per nessun motivo, eppure, ogni volta, lo fa.
Si sveglia e
resta fermo, le
braccia avvolte attorno alla vita di Gokudera, in attesa che anche lui
abbandoni i sogni; e poi, quando i loro occhi si incontrano,
semplicemente
sorride e lo bacia.
È,
tutte le volte, un bacio
sempre un po’ più sofferto, sempre un
po’ più lungo, sempre un po’
più dolce;
fino a quando il bacio non si trasforma in qualcosa di più,
e la dolcezza
lascia il posto alla passione, fuggendo via spaventata dalla forza
tremenda con
cui travolge i due ragazzi.
E
improvvisamente si ritrovano a
fare l’amore, di nuovo, come se qualcuno avesse ascoltato il
desiderio di
Takeshi –“Vorrei che non avesse mai una
fine”- e avesse riavvolto il tempo,
riportandoli alla notte precedente, facendogli rivivere quelle emozioni
che
sono diventate troppo familiari, necessarie.
E Yamamoto
vorrebbe quasi urlare,
perché svegliarsi e fare l’amore, per lui,
è l’antitesi tra ciò che mai
vorrebbe fare in quel momento, e ciò che vorrebbe fare in
ogni secondo della
sua vita.
Ma sa che
non durerà per sempre.
Perché,
quando anche l’ultima
stilla di quella voglia incontrollabile li avrà abbandonati,
non importerà che
fuori dalla finestra il sole splenda alto nel cielo, o la pioggia
scenda fitta
a bagnare il terreno: Gokudera se ne andrà comunque, e loro
torneranno ad essere
quelli che il mondo vuole che siano.
Fino alla
prossima notte.
°Note°
…Ciao, mi chiamo Seki e questa è
una 8059!
Eh, lo so che tutti (??) si
aspettavano un’altra D18, e invece sorpresa!
È che ho letto una frase, oggi a
lavoro, che mi ha ispirato tantissimo su loro due, e quindi eccoci qui!
Non scrivevo 8059 da un secolo!
Speriamo non faccia davvero così
schifo come pare a me!
Volevo anche fare una cosa fluffosa,
invece c’è una punta di tristezza infinita che un
po’ mi mette angoscia…ma
ormai dovrei saperlo che io e il fluff e le carinerie e il romanticismo
generico non andiamo d‘accordo.
Vabbè.
Alla prossima!
Baci, Seki