Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: JaneD_Alexandra    14/07/2013    1 recensioni
Sequel di "An irish tale".
Giugno 2012, Dublino.
Anya è una promessa del tennis e molti dei suoi ammiratori, compreso il suo allenatore, sono pronti a scommettere sul match che la vedrà sfidarsi con la più giovane e famosa tennista inglese. Gli allenamenti si fanno duri, Mr. Harris, il mister, inizia a fare di tutto per vedere vincere la sua allieva, non sapendo in realtà che da un po' di giorni lei dorme male a causa di un sogno ricorrente: si rivede nelle campagne irlandesi di metà Ottocento, in una buia e uggiosa serata, mentre cammina verso una casetta al limitare di un villaggio. L'ambiente e le sensazioni sono così realistiche che decide di cominciare ad indagare.
Ancora una volta si ritroverà catapultata nel mondo della borghesia irlandese dell'Ottocento, due anni dopo gli eventi del 1856.
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 An irish tale – Parte seconda
 
CAPITOLO I
 

 
Il prato era disseminato di tende da campeggio.
Era una serata fresca, con un cielo sereno chiazzato da poche rare nubi azzurrine. Soffiava un vento lieve, da Nord che muoveva appena appena le fronde degli alti sempreverdi che circondavano il campo. Rade volute di fumo si levavano da una decina di falò accesi fra una tenda e l’altra, dove i ragazzi si radunavano per abbrustolire i marshmallow e i wurstel infilzati nei lunghi spiedini d’acciaio. Un parlottio sommesso animava appena appena il silenzio del luogo, molto caro ai boys scout che pattugliavano il campo e si assicuravano che le norme di convivenza con la natura non fossero infrante. Si spostavano da un punto all’altro, fasciati nelle loro giovanili divise verdi, più o meno bardati di fiocchi e medagliette. L’essere investiti di una grossa responsabilità rendeva il loro passo e la loro postura fieri e non perdevano occasione di offrire il loro aiuto agli ospiti più inesperti e intraprendenti. Era la fine di Giugno del 2012 e si stava disputando un torneo di tennis di beneficienza. Le tende ospitavano i partecipanti.
Sorprendentemente, erano stati molti i giovani atleti ad aderire al progetto. L’affluenza aveva comportato un maggior numero di giorni per la pianificazione dei match e il torneo, organizzato per disputarsi a metà Maggio, a suon di rinvii e posticipazioni, era iniziato nella terza settimana di Giugno. I proventi erano stati raccolti dai boys scout e alla fine delle gare sarebbero stati devoluti alla associazione di biologi, per una campagna di impollinazione artificiale per il reimpianto di una specie vegetale che rischiava di estinguersi a causa di un parassita e per un progetto che prevedeva lo spostamento di alcuni animali ad una riserva più grande.
Quando il sole tramontò e l’oscurità avvolse come un manto il prato, gli scouts accesero una per volta le lanterne in dotazione alle tende, ma servì a poco, in quanto, contro ogni previsione, la maggior parte degli atleti, che erano esausti per i match disputati durante la giornata, decisero di andarsi a coricare. Qualcuno si lamentò per il mal di schiena che il sacco a pelo gli aveva procurato, qualcun altro decantava l’importanza di un cuscino ortopedico, ma in genere erano tutti così stanchi che il campo presto si vuotò e le lanterne furono spente. Dopo l’ultimo giro di ronda, anche gli scouts poterono ritirarsi e concedersi al tanto agognato sonno ristoratore.
 
Le tende non avevano una disposizione particolare, ma gli allenatori avevano deciso di comune accordo di sparpagliarsi per meglio monitorare i propri allievi.
Anya era accanto alla tenda di Miss Tameeng, uno degli allenatori più rigidi e bisbetici che avesse mai incontrato. Non ammetteva che nessun ragazzo, che fosse dell’area posta sotto la sua giurisdizione o no, uscisse dalla tenda dopo l’orario consentito e imponeva che nessun ragazzo si avvicinasse alla tenda di una ragazza e viceversa. La naturale protesta dei sottoposti era servita a poco e perfino Anya, nonostante i suoi ventuno anni e la buona reputazione di cui godeva presso il circolo di tennis, era stata letteralmente costretta a chiudersi in tenda e aspettare, sveglia o no, che una nuova giornata piena di match cominciasse.
Inizialmente, quando si era sdraiata sul sacco a pelo, dopo essere stata strappata al falò al quale stava abbrustolendo dei marshmallow e aver visto il frutto delle fatiche di un giovane scout essere spento dalla secchiata d’acqua di Miss Tameeng, aveva pensato di potersi addormentare nel giro di pochi minuti, ma alle undici e mezza passate fissava ancora la cerata della tenda.
Nel frattempo nel campo era sceso il silenzio, a parte sporadici bisbigli incomprensibili, e i suoi compagni erano andati tutti a coricarsi. Attraverso i teli della tenda, intuì che le lanterne vicine erano state spente dagli scouts.
Divideva la tenda con una ragazzina di sedici anni che per gran parte della serata l’aveva intrattenuta con i suoi dilemmi sentimentali, di una sicura quanto prossima rottura con il suo ragazzo e della paura di sfigurare al primo torneo di tennis della sua carriera. Per fortuna Anya quella sera aveva la vena retorica e calmarla fu solo questione di tempo e pazienza; poi il discorso aveva imboccato sentieri più facilmente praticabili.
Quando uscì era già passata la mezzanotte. Preda di un fastidioso dolore alla schiena, sgattaiolò dal sacco a pelo, aprì la cerniera della tenda e si allontanò in punta di piedi, superando un fuocherello morente e scavalcando le radici di un paio di pini. Camminò fino ad una tenda fiocamente illuminata e alzò una mano con fare rassicurante in direzione del capo scout che si era mosso per riconoscerla. Anya lasciò che la sua torcia la illuminasse e sorrise colpevolmente.
- Hai lo stemma di riconoscimento?
Anya ebbe un istante di esitazione. Mosse una spalla e mostrò il quadrifoglio verde ricamato sulla manica, il simbolo che il circolo di tennis aveva adottato per il torneo. Il capo scout assentì e abbassò la torcia.
- D’accordo, puoi andare.
Anya camminò per un’altra decina di metri, fino a raggiungere la tenda del suo allenatore. Anche la sua lanterna era accesa.
- Mister?
- Chi è?
La giovane si acquattò di fronte l’entrata. – Sono Anya.
- Ah, Anya! Stavo pensando a te, sai? – fece lui mettendo da parte il libro che stava leggendo. - Come mai sei ancora sveglia? È mezzanotte e mezza … - disse con un’occhiata all’orologio. La ragazza si lasciò cadere seduta sul prato, facendo spallucce.
- Diceva che mi stava pensando …
L’uomo la guardò con sospetto e abbozzò un sorriso. – Sì – annuì – domani ci sarà Sonja McKintoschk. La conosci?
- Di fama.
- Gira voce che sia la migliore tennista esordiente di tutta l’Inghilterra.
Anya abbassò appena appena lo sguardo, inarcando un sopracciglio. Linda era una sua fan.
- I giornalisti la vogliono a Wimbledon l’anno prossimo.
La ragazza mimò un’espressione compiaciuta, mentre si mordicchiava un labbro. Restò in silenzio per una manciata di secondi, poi abbassò lo sguardo ai laccetti che sbucavano dall’orlo della felpa.
- La sfiderò io, non è così?
L’allenatore annuì. – Sarà qui alle undici e tu sarai la sua prima avversaria …
- Ma io avrò giocato già un match.
- Lo so.
Anya distolse lo sguardo.
- È questo il motivo per cui non riusciva a dormire?
- Sì – assentì lui. – Ma ce la farai …
- Infatti sta dormendo placidamente e sta sognando un mondo fantastico popolato da creature benevole! Perché non me l’ha detto prima? N … non sono pronta! Io non mi sento affatto pronta!
- Non è vero …
- Quella ha fama di mangiarseli gli avversari!
- Non alzare la voce, per favore. Sveglierai tutti.
Anya serrò la mascella, guardandolo in cagnesco.
- L’ho saputo solo questo pomeriggio, mentre giocavi contro Carolina Madison. Sonja era impegnata a Londra fino all’altro ieri … ha dato la sua adesione solo questa mattina.
- Questa mattina?!
Il mister annuì.
- Quando è arrivata?
- Nel primo pomeriggio … e se è questo che ti stai chiedendo … sì, ti ha vista mentre giocavi.
Anya si stropicciò le palpebre con i palmi delle mani. Sospirò – Non mi sto chiedendo questo … non mi sto chiedendo niente. Alle undici sfiderò Sonja McKintoschk. Sta bene. Però avrei tanto gradito che me lo dicesse prima.
- Saresti corsa ad allenarti quando avresti avuto bisogno di riposare.
La giovane si alzò in piedi – Non sono così sprovveduta.
- Te ne stai già andando?
- Sì.
- Non mi hai ancora detto il motivo per cui non riuscivi a dormire.
Anya si girò. Solo l’amicizia che li legava da una vita la trattenne dal rispondergli di farsi gli affari propri, ma non servì aprire bocca per rispondere.
- C’entra il tuo ragazzo?
Anya distolse lo sguardo e scosse il capo con le labbra serrate.
- Come no … Avete litigato?
- No.
- Dimmi la verità.
- No!
- Va bene, va bene! Non ti scaldare!
L’allenatore sorrise, sovrappensiero. Anya lo guardò con una punta di sospetto, prima di decidere di andar via.
- Buonanotte, Mister.
- Non prenderti troppe gatte a pelare. Cerca di mantenere la concentrazione per il match di domani e di dormire.
- Buonanotte, mister.
- Buonanotte.
 
L’indomani mattina si sentiva come un pugile preso a cazzotti.
Quando raggiunse la mensa per colazione, scelse un tavolo libero e sedette a ridosso della parete, poggiandovisi così mollemente con la spalla e la testa da dare l’impressione di stare dormendo.
Da quella postazione aveva una perfetta visione del campo esterno, dove si muovevano freneticamente decine di giovani tennisti con i volti gonfi di sonno e i capelli scombinati. Il brusio della mensa copriva ogni rumore, ma si udivano nettamente i campanellini della porta che si apriva e chiudeva alle sue spalle ed il tintinnio di posate e bicchieri. Le conversazioni che si svolgevano fuori dalla finestra si potevano solo immaginare. Non sentendosi ancora dell’umore giusto per iniziare a mangiare quello che aveva messo nel vassoio, mentre centellinava il succo di frutta, si mise a fissare le bocche delle persone che parlavano, sperando di capire qualcosa. La maggior parte discutevano dei punti accumulati, dei set e degli avversari da sfidare; ma gli altri, quelli che seguiva con più attenzione, leggevano i pronostici dei quotidiani sportivi locali: a quanto pareva i giornalisti non avevano sbagliato neppure una previsione e qualcuno particolarmente insolente aveva stilato la lista dei possibili sconfitti. Anya si avvicinò al vetro della finestra, deglutendo a fatica un sorso di succo quando il ragazzo che ne aveva parlato iniziò a leggere l’elenco all’amico. Ebbe come l’impressione che il brusio nella mensa fosse aumentato di colpo e lanciò un’occhiata furente ai commensali, chiedendosi se le conveniva zittirli con un’esclamazione. Accadde in un istante, ma quando tornò a guardare oltre la finestra i ragazzi con il giornale erano spariti.
- Dannazione!
Allontanò d’impulso il vassoio e si pressò i palmi delle mani sugli occhi fino a vedere vortici colorati. Poi il cellulare vibrò. Anya saltò su, attirando l’attenzione di alcuni ragazzi vicini. Si tastò ansiosamente i fianchi e ficcò due dita in tasca. Accettò la chiamata ancor prima di leggere il display.
- Paride!
La linea era disturbata. Sistemò il cellulare sull’orecchio, ma il tentativo di sentire meglio cadde nel vuoto.
- Pronto? Pronto? Paride, sei tu?
Uscì dalla mensa. Quando finalmente non ci furono più interferenze riprese a parlare. – Paride?
- Anya? sono Linda!
- Li-Linda?! … che c’è?
Dall’altro capo del telefono ci fu un momento di silenzio. – Pronto?
- “Ciao, Linda. Come va? È da quasi una settimana che non ci vediamo e mi manchi tantissimo! Mi raggiungerete per la finale?” … Tzé, figurati …
Anya sbuffò. – Linda, vai al sodo, per favore.
- Volevamo farti gli auguri di buona fortuna per il prossimo match.
- D’accordo … fate presto, però, perché aspetto una chiamata e non ho ancora fatto colazione.
Anya si guardò intorno e si lasciò cadere su una panca. Sentì sua sorella parlottare e i rumori di qualcosa contro il microfono del telefono. Distorse le sopracciglia.
- Pronto, Anya?
- Sono ancora qui.
- La mamma ti manda i suoi migliori auguri e un bacio “grande grande”. Non vuole farti perdere tempo. Bene, ci vediamo presto. Saremo lì domani.
- D’accordo … a domani … - borbottò - … Ciao.
Linda la salutò e chiuse la chiamata. Perplessa, Anya guardò il display. Se la giornata iniziava sotto quegli auspici, allora c’era di che preoccuparsi. Era troppo stanca, però, per considerare seriamente la cosa. Ficcò il cellulare in tasca e rientrò nella mensa. Al suo tavolo si erano seduti due ragazzi che parlavano fitto fitto e ridevano di gusto. Anya ricordò di averli visti la sera prima seduti di fronte ad un falò: anche allora parlavano fittamente. Allungò una mano verso il suo vassoio, ancora intatto, per portarselo via e scegliersi un altro tavolo libero, quando, accanto al braccio di uno dei ragazzi, vide il giornale. Ritirò la mano e sedette. Il più vicino la salutò.
- Ciao – lo ricambiò lei.
I ragazzi le lanciarono un’occhiata. Il più interessato parve quello che teneva il giornale.
- È di oggi? – fece Anya, indicandoglielo con un cenno.
- Sì …
Glielo passò e Anya lo aprì immediatamente, sfogliandolo fino alla pagina dei pronostici.
- Sei Anya Bacott?
La giovane gli scoccò un’occhiata sbilenca, senza rispondere. Probabilmente la conoscevano già.
- Forse … - iniziò il terzo ragazzo – non dovresti leggere quell’articolo …
- Perché mai?
I tre amici si scambiarono uno sguardo. Due di loro ripresero a mangiare come se nulla fosse, ma quello che aveva parlato per ultimo, continuò ad osservare Anya fino a che non vide i suoi occhi bloccarsi su qualcosa e le dita stropicciare la carta.
- È capitato anche a Jim Featherstone, un mio amico – si affrettò a dire - avevano detto che avrebbe perso e invece ha vinto due match di fila!
Anya gettò il giornale sul tavolo e si alzò di scatto. Se il posto a sedere fosse stato una sedia, dietro la spinta dei suoi polpacci sarebbe caduta rumorosamente; ma si trattava di una panca e la sua rabbia montò nel silenzio.
- Babbei – sibilò a denti stretti.
 
Il match iniziò con dieci minuti di ritardo. La seconda giocatrice, mentre Anya era già seduta nel bordo campo a controllare il telefonino e battere la mano sulla rete della racchetta, si diceva che avesse perso la sua maglia e che ci fossero stati un po’ di problemi a reperirgliene subito un’altra. Dalla descrizione Anya intuì che fosse un avversario tutt’altro che difficile da battere e la sua impazienza trovò giustificazione solo nella curiosità di incontrare Sonja McKintoschk.
Dieci minuti dopo, quindi, la sua avversaria era già entrata in campo, seguita dall’allenatore che si tratteneva a stento dal gridare. Anya le lanciò un’occhiata e si meravigliò nel constatare che anche l’altra la stava guardando. La sua espressione tradiva una irritazione non comune, ma non vi badò. Raggiunsero contemporaneamente le rispettive posizioni e quando Anya ebbe in mano la palla la partita iniziò.
 
Se all’alba la giornata parve promettere sole e uccellini cinguettanti, rischiarandosi con una fredda nebbiolina azzurra che aveva invaso di umidità il campeggio dei tennisti, nel corso della mattinata, chi aveva creduto a quel fuorviante prologo, dovette ricredersi: il tempo prometteva pioggia. Come i suoi compagni, Anya aveva conosciuto un momento di completa serenità fisica e mentale, che tuttavia era durato poco. Non appena le nubi si lasciarono il sole alle spalle e l’ombra scese sulla campagna inglese, l’irritazione si diffuse come un germe altamente infettivo fra gli atleti, gli allenatori e i sempre ottimisti scouts. Non si poteva stare insieme senza che nascessero battibecchi. Un gruppo composto da più di due persone era destinato a sfaldarsi in mento di due minuti.
Fino a prima di iniziare il riscaldamento, Anya non ricercò nessuna compagnia. L’allenatore la trovò seduta su una panchina con la racchetta in mano.
Il match fu il più difficile che avesse giocato da quando era cominciato il torneo. L’avversaria che tanto aveva sbeffeggiato mentalmente sembrava attingere da una scorta inesauribile di energie. Mentre rispondeva ai suoi colpi con sempre più fatica, Anya pensava che non avrebbe mai disputato il match con Sonja McKintoschk, perché sarebbe crollata di stanchezza prima. Alla fine del secondo set, quando cadde seduta sulla sedia, si sparò un sorso di bevanda energizzante dritto in bocca e tamponò il sudore dal collo. Spirava una timida corrente fresca. Anya era accaldata, ma quando alzò gli occhi al cielo capì che di lì a poco avrebbe piovuto. Forse la partita con Sonja sarebbe stata rimandata. Quando riprese a giocare, si sentiva meglio. Si concentrò sulle mosse della sua avversaria e con un po’ d’astuzia riuscì finalmente a rimontare e vincere.
 
Erano le dieci e trentacinque quando l’allenatore la portò con sé fuori dal campo da tennis. Anya grondava sudore da tutti i pori. Si spostarono di fronte allo spogliatoio femminile, in un cortile animato dal via vai di tenniste irlandesi e inglesi. Quando stava per cominciare a parlare, l’allenatore ricevette una chiamata al cellulare e si allontanò brevemente per rispondere. Anya poggiò il borsone su una panca e sedette, bevendo alcuni sorsi d’acqua. Ragazze di tutte le età entravano e uscivano dagli spogliatoi, fresche prima di una partita o sudate per un match appena giocato. A dividere le nazionalità erano le divise: verdi per le irlandesi, bianche e blu per le inglesi. Parlavano di tutto e di più, ma Anya non stava ad ascoltarle. Quando capì che i muscoli delle gambe si stavano raffreddando, si alzò e cominciò a fare avanti e indietro davanti la panca, lanciando di tanto in tanto un’occhiata all’allenatore che discuteva al cellulare. Si ricordò di un particolare e controllò anche il suo. Non aveva ancora ricevuto nessuna chiamata.
- Allora, Anya! A noi due – disse l’allenatore, una volta chiusa la chiamata. Si avvicinò e la giovane fece altrettanto, prendendo il borsone – dunque: fra poco giocherai con Sonja. L’ho vista allenarsi poco fa e puoi stare tranquilla che non ti supera in niente. Siete perfettamente pari. Non hai nessuna ragione di temerla e anche se fosse gioca come hai sempre giocato, magari con un’attenzione maggiore ai suoi movimenti. Detto questo, sai cosa devi fare: corri a cambiarti, prendi la tua racchetta e falle vedere chi sei. Mancano quaranta minuti all’inizio del match.
Le diede una pacca sulle spalle e si allontanò, lasciando la ragazza sola con mille dubbi. Anya spostò lo sguardo dall’entrata dagli spogliatoi al cielo e le labbra le si schiusero per la sorpresa quando vide un grosso banco di nubi gettare l’ombra sul paesaggio. Temette per il match, poi per il campeggio. Erano nubi grigie, cariche di chissà quante centinaia di litri di pioggia pronta a cadere. Se avesse cominciato a piovere tutti gli atleti avrebbero dovuto spostarsi negli alberghi più vicini. Il campo si sarebbe allagato, i match probabilmente sarebbero stati disputati in altri campi da tennis. Le difficoltà che un acquazzone comportava erano molte. Si girò verso l’entrata dello spogliatoio e si ripromise di pensarci dopo. Aveva altri pensieri per la testa. Si cambiò velocemente ed uscì con la racchetta in spalla.
Mentre camminava in direzione del campo da tennis per fare un po’ di riscaldamento ricordò di aver dimenticato il cellulare nel pantalone della tuta e fece dietro front per tornare a prenderlo; ma a poche decine di metri dallo spogliatoio la fermò Miss Tameeng.
- Anya Bacott! – la chiamò con la sua voce stridula. La ragazza saltò su, più per il fastidio di essere vista che per lo spavento. Abbassò la racchetta.
- Signorin …
- Allora, ho sentito dire che sfiderai la McKintoschk! Come mai non sei ad allenarti? Sarà un match molto faticoso e faresti bene a tenere i muscoli al caldo! E poi … oh! Ma sei uscita con la gonnellina! – esclamò indicandola. L’attenzione dei passanti fu calamitata e in breve si trovò decine di occhi addosso. Anya si sforzò di non darci tanto peso. – Il tuo allenatore mi ha appena detto che hai vinto un match … conoscevo la tua sfidante: si trovava in uno dei suoi giorni peggiori, perciò non è stata battagliera come avrebbe dovuto. Ora sfiderai Sonja e dio sa quanto ho pregato perché tu vinca. Contro quella non ci sono vie d’uscita. Mi meraviglio che il suo coach non l’abbia ancora portata a Wimbledon …
Guardò Anya dall’alto al basso e d’un tratto, come se avesse ricordato un impegno urgente, inarcò le sopracciglia e lanciò un’occhiata all’orologio subacqueo di ultima generazione che teneva legato al polso. Anya non ebbe neppure il tempo di chiedersi che cosa potesse farsene una come lei di uno strumento simile, che Miss Tameeng si eclissò senza dire niente. Le sue parole, però, risvegliarono l’ansia e si avviò a passo svelto al campo per riscaldarsi. Giunse ad un campo da tennis privo di rete, nel quale ragazzi e ragazze riscaldavano i muscoli per i match imminenti. Sulla soglia del campo, di fronte quella moltitudine di tennisti, Anya provo l’impulso di tornare allo spogliatoio e aspettare l’inizio del match lì. Si chiese perché dovesse giocare quando non ne aveva nessuna voglia, perché dovesse accontentare gli allenatori disputando un match che puzzava di scommesse; lei, la campionessa della contea di Dublino, contro la migliore tennista esordiente di tutta l’Inghilterra. Abbassò lo sguardo in preda ad una rabbia improvvisa e guardò se tra i ragazzi che si allenavano c’era anche Sonja. Ma si diede presto della stupida e distolse lo sguardo, poiché non aveva mai visto Sonja, né credeva che sarebbe andata ad allenarsi in un campo tanto plebeo. Sospirò e controllò l’ora. Erano le undici meno due minuti, ormai. Doveva allenarsi. Doveva disputare anche quel match. Mosse qualche passo verso il campo e sollevò la racchetta; un paio di ragazzi inglesi si girarono verso di lei e si dissero qualcosa. Quando stava per colpire la palla un fascio di luce illuminò la campagna per una frazione di secondo e subito dopo il fragore di un tuono fece sollevare gli occhi di tutti al cielo. Fu un attimo e incominciò a piovere.
Un borbottio di esclamazioni si trasformò presto in allegria per alcuni e in irritazione per altri; ma la decisione di mettersi al riparo fu unanime. I ragazzi abbandonarono in fretta il campo. Fuori di esso il sommovimento scatenato dal brutto tempo era destinato ad aumentare col passare dei minuti. Presto anche i tennisti impegnati nei match sarebbero stati costretti ad abbandonare il gioco e raggiungere gli spogliatoi. Anya raggiunse l’uscita del campo e cominciò ad avviarsi verso lo spogliatoio femminile. Prima di arrivare la pioggia era aumentata e lei aveva tramutato la camminata in corsa. Vi giunse tardi rispetto a quanto avrebbe voluto e il desiderio di farsi una doccia svanì di fronte ai turni che le ragazze stavano prefissando fra di loro. Indossò la tuta, prese il borsone ed uscì. Se possibile, la pioggia era aumentata ancora e in lontananza la folla di spettatori, liberava impazientemente le gradinate dei campi da tennis. Sicuramente l’allenatore era in giro a cercarla, ma non voleva star lì ad aspettarlo. Si mise il cappello con il quadrifoglio irlandese ed uscì.
Era giunta nei pressi della cucina della mensa, poco distante dal campeggio, quando si sentì afferrare per il polso destro. Si girò e istintivamente mollò la presa della borsa per difendersi; ma quando vide il suo assalitore in viso, strabuzzò gli occhi e fece un gran sorriso.
- Paride!
Lui la tirò con sé nelle cucine vuote e la baciò, chiudendosi la porta dietro. Anya lo ricambiò, cingendogli il collo con le braccia. Quando si staccarono, lo guardò negli occhi. Ogni traccia di rabbia e ripicca per non aver ricevuto nessuna telefonata svanì. Lui si mosse per baciarla ancora, ma Anya avvicinò le labbra all’orecchio e lui baciò il collo.
- Dove ti eri cacciato? – sussurrò con un brivido.
Sentì il suo petto riempirsi con un sospiro e allentò l’abbraccio per guardarlo meglio in viso. Era pallido, più magro, con le borse sotto gli occhi e i capelli biondi scarmigliati. Sorrise e in un lampo capì quanto fosse stanco. Tornava da un viaggio in Nuova Zelanda, dove era stato tre settimane per motivi di lavoro. Era un biologo e per diversi mesi, prima di partire, si era tenuto in contatto con i biologi del parco nazionale Tongariro, il più grande del paese.
- Sono arrivato questa mattina … - disse, quasi in un sussurro. – Il volo è durato più di venti ore … scusa se non ti ho più chiamata. Il cellulare si era scaricato e …
Anya sorrise. – Va bene … non è un problema … è che sono stata così in pensiero …
Paride sospirò, stringendola a sé. – Oh … perdonami.
Anya affondò il viso fra il collo e la spalla di lui,  inspirando a pieni polmoni il suo profumo. Paride si scusò per le sue condizioni, dicendo che non aveva avuto il tempo di farsi una doccia, ma ad Anya importò solo di riaverlo con sé.
 
Anya ebbe la fortuna di incontrare Mr. Harris, l’allenatore, all’uscita degli spogliatoi maschili, non molto lontani dell’entrata del campeggio. L’aveva cercato insieme a Paride da quando erano usciti dalle cucine, ma né l’uno né l’altra lo videro in giro. Anya, in ogni caso, non si preoccupava molto che lui l’aiutasse: le camminava dietro, con un voluminoso borsone in spalla e una reflex appesa al collo. Stanco per com’era non volle fargli domande. Girava lo sguardo a destra e sinistra, gli occhi strizzati a causa della pioggia, gli abiti mezzi bagnati. Quando trovarono Mr. Harris, questi stava discutendo così animatamente con un allievo da farle pensare il peggio. L’allenatore tendeva e contraeva spasmodicamente i pugni, puntava il dito contro il viso accalorato del giovane e sbraitava rimproveri senza dare modo al ragazzo di parlare. Anya si tenne in disparte e fece segno a Paride di non farsi vedere fino a che Mr. Harris non si fosse calmato. Sapeva quanto il suo allenatore detestasse la sua presenza durante le competizioni sportive: la sua più ferma convinzione era sempre stata quella che i rapporti amorosi nuocevano alla concentrazione nel gioco. Anya attese che il ragazzo venisse rispedito nello spogliatoio e si avvicinò.
- Mr. Harris …
- Che c’è?! – gridò lui. Vedendola, sussultò. – Oh, Anya! – continuò, più pacatamente. – Che c’è? È successo qualcosa?
La giovane scosse il capo con un timido sorriso.
- E così sei scampata al match con la McKintoschk? E brava … hai avuto fortuna.
L’espressione di Anya si indurì.
- Non eri pronta, comunque. Questa pioggia è stato un bene … ma è possibile che questo pomeriggio finisca di piovere. Nel qual caso – disse guardando l’orologio - ti voglio al campo numero due alle tre in punto.
Anya approfittò di quel breve momento di distrazione per alzare gli occhi al cielo. Le nuvole erano di un grigio intenso, ma non avrebbe piovuto ancora a lungo. L’allenatore aveva ragione e con ogni probabilità, nonostante la mole d’acqua caduta, gli addetti avevano già steso i teli per tenere il campo all’asciutto. Chinò lo sguardo. Non avrebbe avuto nessuna possibilità di evitare l’allenamento. Avrebbe voluto girarsi verso Paride, che la aspettava sotto un chioschetto di bibite, ma l’allenatore tornò a guardarla.
- Anya? Allora vieni?
La giovane annuì sbrigativamente. – Sì … sì, ci sarò.
- Bene … - borbottò Mr. Harris, dandole una pacca sulla spalla. – Tu sì che sei una vera tennista. Non quello scansafatiche là …
Indicò con un cenno del capo l’interno dello spogliatoio. Anya strinse la mano intorno alla bretella del borsone. Mr. Harris la salutò e si allontanò.
 
Paride non aveva prenotato nessuna stanza d’albergo. Appena arrivato, come le raccontò mentre camminavano, aveva preso un altro aereo che da Londra l’aveva portato a Dublino e poi un pullman che dall’aeroporto l’aveva condotto alle campagne dove era stato allestito il torneo. Erano già le dodici passate e il bed & breakfast nel quale trovarono posto stava servendo il pranzo. Malgrado non avessero molta fame mangiarono insieme, poi salirono in camera.
- A volte maledico questo sport … - disse Anya cadendo seduta sul bordo del letto. Paride sistemò i bagagli in un angolino e le sedette stancamente accanto, stropicciandosi un lato del viso. – Cosa è successo?
Anya lo guardò, sospirando, e gli raccontò di Sonja. – È per lei che alle tre dovrò andare ad allenarmi. Per lei e per il piacere di Mr. Harris e di chi scommetterà su me e Sonja. In Irlanda sono famosa, purtroppo.
Abbassò gli occhi, passandosi una mano sulla fronte. Quando si girò di nuovo, Paride sfoggiava un sorriso sbilenco.
- Sai su chi scommetterò io?
Anya scosse il capo. Poco a poco le labbra si curvarono in un sorriso più malizioso del suo. Paride si sporse verso di lei.
- È una tennista irlandese … - mormorò avvicinando lentamente le labbra al suo collo. Anya si sentì avvolgere da un brivido. La mano sinistra di Paride si posò sulla vita. – Si dice che sia imbattibile …
Sentì la sua bocca risalire lungo il collo, fino all’attaccatura dell’orecchio. La mano si insinuò sotto l’orlo della polo, carezzando languidamente i fianchi. Anya chinò il capo di lato, avvicinando le labbra alle sue, ma Paride non si lasciò baciare; cominciò a depositare dei piccoli baci lungo la linea della mandibola e ancora lungo il collo, che sapeva essere uno dei suoi punti più sensibili, e continuò a muovere la mano sotto la maglia, studiando con i polpastrelli i brividi che il suo tocco provocava e godendo a pieno palmo del calore della pelle. Anya chiuse gli occhi.
- … una vera professionista … - sussurrò sulle sue labbra. La ragazza provò ancora a baciarlo. Lui si allontanò leggermente, sorridendo – … non trovi?
A quel punto Anya riaprì gli occhi e gli prese il viso fra le mani. – Sì … – rispose, prima di baciarlo. – Una professionista …
Paride spostò la mano sulla cerniera della felpa e non appena la aprì, Anya interruppe il bacio e abbassò le braccia, aiutandolo a toglierla. Dopodiché mise mano all’orlo del suo cardigan grigio e lo sollevò, portando con sé anche la t-shirt blu che aveva indossato sotto. L’odore della sua pelle ed il suo calore la inebriarono, stordendola fino a farle girare la testa.
- Non ti permetterò più di assentarti per tutto questo tempo … - mormorò, riprendendo a baciarlo. Paride le sfilò la polo. – No … - disse, la voce arrochita. Scese nuovamente a baciarla lungo il collo e con dolcezza la spinse sul letto, scendendo a baciarle il petto. Anya inarcò la schiena, gemendo quando le labbra di lui giunsero fino all’ombelico. Paride alzò gli occhi sul suo viso, accompagnando ogni bacio con lo sfarfallio delle mani sul suo torace latteo. La guardò quando insinuò le dita nell’elastico del pantalone e lentamente lo fece scivolare lungo le gambe. La guardò quando fece risalire il tocco dalle caviglie alla piega del ginocchio e si avvicinò per baciare la morbida pelle della coscia. Anya sospirava ad ogni minimo tocco e più la guardava, più si sentiva tirare il fiato, seccare la bocca. Si sentiva opprimere dal desiderio. Quel corpo gli era mancato come null’altro al mondo, ma voleva andare piano, farle sentire quanto l’avesse desiderata e quanto più la desiderasse e la amasse man mano che gli attimi si susseguivano lenti l’uno dietro l’altro. Anya tese le braccia, richiamandolo a sé, e lui accorse, pronto a cogliere ogni suo cenno.
- Ti amo – mormorò baciandola.
Anya sorrise, facendosi soverchiare e riscaldare dal suo torace nudo. – Ti amo anch’io – sussurrò. Lo baciò con ardore, travolta dalla passione. Insinuò le mani fra di loro, sbottonò i suoi pantaloni, lo liberò da ogni barriera. Studiò la sua espressione eccitata, sorpresa; gli carezzò il viso e il torace, le spalle e la schiena, scendendo sempre più mentre gli ingabbiava i fianchi con le gambe.
Non ci furono più parole. Non ci fu più bisogno di cenni. Gli occhi lucidi parlavano per loro, comunicavano ogni intenzione. I loro impulsi fecero il resto.
Quel pomeriggio non ci fu nessun allenamento.
 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
Ciao a tutti!
Ritorno a pubblicare su EFP con il sequel della mia prima storia, “An irish tale”, che trovate a questo link: http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=861904
Tengo a precisare che nessuno dei personaggi e degli avvenimenti di questa seconda tournee di pubblicazioni sarà chiaro e comprensibile se prima non si legge la “Parte prima”.
Ho riflettuto a lungo prima di iniziare a scrivere questo sequel, che non era affatto previsto quando ho finito di lavorare ad “An irish tale”, ma alla fine mi sono arresa di fronte alla voglia di tornare e agire dei miei personaggi … ritroverete delle vecchie conoscenze e faranno la loro comparsa nuovi personaggi di cui adesso non anticipo nulla.
Spero di poter pubblicare con più costanza rispetto alla volta precedente e di regalarvi dei piacevoli momenti di lettura ad ogni pubblicazione.
Tornerò presto con il secondo capitolo, già scritto e in fase di correzione.
Ringrazio anticipatamente chi leggerà, chi commenterà e chi metterà tra le ricordate/preferite/seguite questa storia.
A presto!
Ik

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: JaneD_Alexandra