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Autore: Koa__    14/07/2013    6 recensioni
Il giorno in cui Gregory Lestrade incontrò per la prima volta Mycroft Holmes, era un pomeriggio di gennaio particolarmente freddo...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di Mystrade, d'amore e d'altre sciocchezze...'
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I diritti di “Sherlock” non appartengono a me, ma ai legittimi proprietari.
(Fa parte delle serie: “di Mystrade, d’amore e d’altre sciocchezze
)


 

About tea, underground and theater ticket…


 

 

Il giorno in cui Gregory Lestrade incontrò per la prima volta Mycroft Holmes, era un pomeriggio di gennaio particolarmente freddo. La coltre di nubi che copriva consuetamente il cielo di Londra durante l’inverno, aveva lasciato spazio a qualche timido raggio di sole. Greg uscì dall’ufficio che erano da poco passate le cinque, desideroso di dimenticare, almeno per qualche ora, tutti gli stress che il suo incarico comportava. Di solito non lasciava mai il lavoro tanto presto, ma quel mattino aveva iniziato il suo turno alle sei ed era arrivato al punto da non riuscire più a sopportare nemmeno i suoi stessi colleghi. Una volta fuori, rabbrividì al contatto con l’aria gelida che sapeva di neve. Affondò quindi le mani nel cappotto, seppellendosi nella sciarpa di lana che indossava e che lo copriva fin sopra il naso. S’incamminò lungo il marciapiede, sospirando: non aveva voglia di andare a casa di sua sorella. Non che non andassero d’accordo, ma da che si era separato non aveva avuto altra scelta che vivere con lei ed ogni volta che entrava in casa, era come se si sentisse un estraneo. Nonostante Beth fosse sempre gentile, ben disposta e non gli avesse mai chiesto nemmeno un penny per le spese di casa, a lui non andava comunque a genio il fatto di doverci dipendere.

Aveva già provato a dormire in centrale, nascondendosi nello spogliatoio degli uomini, ma il mal di schiena che aveva sentito il mattino successivo, l’aveva fatto desistere dall’intento. Gli mancava la vita che faceva prima, o meglio, gli mancavano le comodità del suo appartamento, della sua auto... non certo gli strepiti di sua moglie. Casa sua non era più un nido accogliente, né un rifugio sereno da molto tempo. E pensare che all’inizio erano stati felici, felici per davvero. Quando tornava a casa la sera, stravolto da un massacrante turno su di una volante, Greg si sentiva amato e coccolato da quella meravigliosa donna che aveva spostato. Non seppe dire il motivo per il quale poi le cose fossero mutate tanto radicalmente. Forse la colpa era stata sua: la trascurava. O piuttosto le esigenze di lei erano cambiate e dopo tanti anni non era più disposta a trascorrere notti in bianco, in pena. Qualunque fosse il motivo, si erano lasciati e a giudicare dalla telefonata dell’avvocato che aveva ricevuto appena quella mattina, il divorzio sarebbe stato imminente. Non voleva però pensarci in quel momento; la sola cosa che lo premurava era riempirsi lo stomaco, magari dopo essersi rifugiato in un qualche pub carino. Ne conosceva uno in centro che non era affatto male, pensò dopo essersi portato una mano alla bocca coprendo così uno sbadiglio, era assonnato. Assonnato ed affamato. Ed era una miscela deleteria per i suoi nervi, per quello era dovuto fuggire da quella tana per topi che si ostinava a definire ufficio. Avrebbe potuto strangolare con le sue stesse mani la Donovan se non se ne fosse andato immediatamente. Forse dipendeva dal fatto che non aveva mangiato nulla per tutto il giorno, o piuttosto perché i pasti che cucinava sua sorella non erano per nulla buoni, tanto che erano giorni che ne saltava.

«Ispettore Lestrade.» Una voce, calda e suadente, lo riscosse dai propri pensieri. Greg si guardò attorno, incuriosito, provando a capire chi l'avesse chiamato.

«Dietro di lei, signore.» Si voltò, notando solo in quel momento la figura di una donna che gli sorrideva con fare gentile. Era una bella ragazza, dovette ammettere. Carnagione scura, capelli neri e mossi che le ricadevano sulle spalle, occhi castani e profondi ed un trucco leggero, ma sofisticato. Era anche ben vestita, a quanto poteva vedere, quel cappotto bianco che indossava doveva esserle costato una fortuna. Non poteva dire d'essere un estimatore della moda, ed in effetti poco ci capiva, ma faceva il poliziotto da abbastanza tempo da poter stabilire il portafoglio di una persona semplicemente guardandola. Forse non era abile come Sherlock, ma su certe cose se la cavava ancora.
«Posso fare qualcosa per lei, signorina?» domandò.
«Anthea è il mio nome e non credo che possa essermi di aiuto, sono io che posso fare qualcosa per lei, ispettore Lestrade.»
«E in che modo?»
«Il mio capo vorrebbe parlarle, immediatamente» precisò lei infine, rimarcando l'ultima parola forse per essere certa che ne avesse colto l'urgenza.
«Il suo capo?» ripeté, dubbioso.
«Questa macchina è qui appositamente per accompagnarla da lui.»

A quelle parole, portò lo sguardo oltre la donna. Strano che non avesse notato la limousine nera che era parcheggiata proprio a pochi metri da dove si trovavano. Chi diavolo poteva essere quella Anthea, ma soprattutto per chi lavorava? Di certo non sarebbe salito, se prima non gli avessero detto il nome di chi lo cercava.
«Mi ascolti bene, l’ultima cosa che voglio è invischiarmi in qualcosa di cui non conosco nemmeno la natura. Se non mi dice a cosa sto andando incontro e chi è che vuole parlare con me, si può scordare che io la segua. Ovunque lei mi voglia portare.»
Greg vide la donna sollevare lo sguardo e negare con un leggero cenno del capo in direzione di un punto che a lui era del tutto sconosciuto. Dal modo in cui parlava e dall’aspetto che aveva, dubitava potesse trattarsi di una pazza che parlava al nulla. Quindi si guardò attorno, notando solo dopo alcuni istanti una telecamera del traffico posta sopra un semaforo. Quella Anthea stava comunicando con qualcuno che aveva accesso alle telecamera del centro di Londra. Chi diavolo poteva mai essere? Pensò, mentre il trillo di un telefono arrivava alle sue orecchie.
«La prego di rispondere» disse in modo spiccio, porgendole un cellulare.
Seppur titubante, Greg afferrò il telefono. A convincerlo a rispondere fu l’espressione, evidentemente seccata, che portava. Diede una rapida occhiata allo schermo, che si illuminava a ritmo degli squilli, ma invano. Non c’era nessun numero o nome a fornirgli indicazioni, solo la scritta privato capeggiava al centro. Sospirò, facendosi coraggio, in fondo era sempre in tempo per tirarsi indietro e riprendere il proprio cammino.
«Buon pomeriggio, ispettore Lestrade, mi chiamo Mycroft Holmes e gradirei parlare con lei. Se vuole seguire la mia assistente, le assicuro che non le ruberò molto tempo.» La comunicazione cadde, ma la mente di Greg ancora stava cercando di comprendere le parole che aveva appena sentito. Holmes? Aveva capito bene? E, mentre restituiva il telefonino, Greg non poté fare a meno di chiedersi cosa avesse combinato Sherlock di tanto grave.
 


oOo

 

Anacronistico, era l’unico termine adatto che gli veniva in mente per descrivere quella situazione. Perché non riusciva proprio a capire cosa ci facesse un tavolino dallo stile ottocentesco, imbandito di ogni ben di Dio, con un servizio di porcellana che doveva valere quanto il suo stipendio, in un deserto parcheggio sotterraneo.
«Ispettore, finalmente ci incontriamo» esordì Mycroft Holmes, accogliendo uno scioccato Greg con un ampio sorriso. Lestrade si concesse di dargli una rapida occhiata prima di farsi avanti. Era un uomo alto, magro, decisamente ben vestito e dall’espressione del viso indecifrabile. La bocca era deformata in un sorriso, ma i suoi occhi non pareva stessero ridendo anch’essi. Aveva indosso abiti che erano lontani anni luce da quelli che indossava lui. La foggia dell’abito, il tessuto pregiato della camicia, la cravatta di seta e i gemelli d’oro, gli fecero capire anche la capacità del suo portafoglio. Per quanto non riuscisse a risolvere i casi più difficili, si riteneva un buon poliziotto, non fece quindi fatica a capire che quell’uomo guadagnava più di quanto lui potesse anche solo sperare.
«Cosa significa tutto questo?» domandò, saltando i convenevoli ed andando diretto al sodo.
«Ho fatto preparare un tè, sbaglio o aveva fame?» gli domandò, sornione.
Greg sollevò gli occhi al cielo: era proprio il fratello di Sherlock. Non si disturbò nemmeno a domandargli come facesse a saperlo, la scienza della deduzione doveva essere una caratteristica di famiglia.
«Non sono mai stato invitato ad un tè elegante in un sotterraneo che mi pare tanto una fogna, signor Holmes, mi dispiace solo di non avere l’abito adatto per l’occasione» ironizzò, aprendosi il cappotto e mostrando la camicia a quadri, slacciata nei primi bottoni e la giacca sportiva rattoppata che indossava.
«Non si preoccupi, per questa volta va bene anche così, in fondo non era stato avvertito. Vuole accomodarsi prima che il tè si freddi?»

Greg sogghignò nel sentire quelle parole, Holmes era serio, era terribilmente e drasticamente serio. Aveva sempre un’espressione sorridente che a Greg pareva quasi terrorizzante, ma il suo tono di voce e la maniera con un agiva e parlava, gli faceva capire che non c’era alcuna ombra di scherno in lui. Ironico era il fatto che sembrasse proprio che, con quel sorriso, lo volesse rassicurare. In effetti lui si sentiva un po’ teso, ma quella situazione era tutto tranne che usuale. Si sedette ad un lato del tavolo, osservando incuriosito le posate d’argento che erano appoggiate accanto ad una tazzina dal colore rosato. Erano ricami dorati quelli che intravedeva sul bordo del piattino?
«La regina a che ora arriverà?» ironizzò nuovamente Greg.
«La trovo particolarmente sarcastico, ispettore Lestrade, questa situazione la diverte?»
«Sì, un misto di divertimento e terrore; lei riesce perfettamente a incutere timore in chi ha davanti, ne è al corrente? In questo è perfettamente identico a suo fratello Sherlock.»
«E nota altre somiglianze?»
«Non per il momento, ma se ne trovo sarà il primo a saperlo.»
«Posso servirla?» chiese invece Mycroft prostrandosi verso di lui con la teiera fumante.
«Ma certamente» annuì il poliziotto, scaravoltando la tazzina.

«Già che c’era, tanto valeva riempirsi la pancia» pensò, afferrando un cupcake e portandoselo alla bocca.

Dopo che l’ebbe addentato però, fu colto da un atroce dubbio: «Come mai lei non mangia?» chiese, spaventato e fissando il dolce con orrore.
«Non è stato drogato, ispettore e nemmeno avvelenato, mangi pure tranquillamente.»
«Dovrei crederle? Ne prenda uno anche lei» disse, accennando al vassoio.
«Non posso farlo.»
«Lo vede che ho ragione; allora che c’è dentro?» urlò, scattando all’impiedi.
«Nulla.» Mycroft s’interruppe, titubante: sembrava che stesse cercando le parole più adatte con le quali parlargli. «Io sono a dieta, non posso mangiare cibi che abbiano un contenuto calorico così elevato.»
«A dieta?»
«È esattamente ciò che ho detto.»
«Ma se è magro quanto un’acciuga, è più in forma di me!» si lasciò scappare Lestrade, mettendosi nuovamente a sedere.
«Non esageri, la prego, beva il suo tè e mangi anche per conto mio, Greg.» Il poliziotto indeciso, si sforzò di accennare ad un sorriso; addentò nuovamente quell’ottimo cupcake alla banana, mentre pensava che era davvero strano il fatto che iniziasse a sentirsi a proprio agio.


Mycroft Holmes era davvero un uomo cordiale, discorreva abilmente di svariati argomenti e mostrava anche di possedere una certa cultura. Greg non si sarebbe mai aspettato di trascorrere tanto piacevolmente quella mezz'ora in sua compagnia. Aveva dei tratti simili a suo fratello Sherlock e non soltanto di carattere fisico, era davvero molto intelligente e, come aveva già potuto notare, le abilità deduttive non erano da meno. C’era però qualcosa che lo inquietava, quel sorriso che si ostinava a portare che gli dipingeva il viso, gli sembrava tanto una maschera. Da che l’aveva incontrato non aveva letto nessun’altra espressione sul suo viso. A meno che non fosse realmente così contento di vederlo, anche se se ne domandava il perché.
«Allora, signor Holmes, me lo vuole dire il motivo per cui siamo qui. Le dico subito che se riguarda Sherlock, la ringrazio per l’offerta, ma passo.»

Una risata cristallina riecheggiò nel parcheggio e lo sguardo divertito del maggiore dei fratelli Holmes, si posò su di lui. Greg notò distintamente una strana espressione prendere possesso dei suoi occhi, non la seppe classificare con assoluta certezza, ma era parso divertimento. Puro e semplice divertimento. Batava così poco per far ridere quell’uomo? Ne dubitava, ma allora a che gioco stava giocando?
«Mio fratello deve averle dato più di un grattacapo…»
«È una maledetta benedizione!» si sforzò di dire, tentando di fare conversazione. «Mi creda, se potessi fare a meno di lui me ne sarei già liberato da molto, moltissimo tempo. Nel mio dipartimento lo odiano tutti.»
«Tranne lei; sono curioso: come mai non ha avuto lo stesso effetto che sui suoi colleghi?»
«Lei è suo fratello, lo saprà meglio di me.»
«Me lo dica ugualmente» insistette Mycroft, «sono curioso di sapere quale opinione ha di Sherly.»
«Mh, è indubbiamente una persona sincera. Il problema è che non sa come rapportarsi con le persone: ciò che pensa, dice, senza filtri. Non gli importa nemmeno di ferire i sentimenti altrui. In questo senso è l’uomo peggiore che io abbia mai incontrato.»
«Però» l’incalzò il governo britannico.
«Però» mormorò Greg, «quel ragazzo è strabiliante ed è troppo importante per il mio lavoro, sarei un idiota a non chiedere il suo aiuto. Mi creda, in vita mia ho conosciuto tanta gente, grazie al lavoro che faccio di persone ne vedo anche troppe, ma suo fratello è differente. Certo, è snervante il fatto che sappia dirti cosa hai mangiato a colazione dandoti solo un’occhiata, fa ammattire molti dei miei ragazzi, ma a me non importa…»
«Si spieghi meglio» disse Mycroft, con sguardo indagatore.
«La gente si innervosisce quando qualcuno gli parla con brutale sincerità. Sherlock il tatto non sa nemmeno dove stia di casa e, la cosa divertente, è che non gli importa affatto d’avercelo. Dice le cose esattamente come le pensa, se capisce che Tizio è andato a letto con Caio, lui glielo sbatte in faccia senza troppi giri di parole. Io non ho nulla da nascondere, la verità non mi spaventa, signor Holmes e poi l’esperienza che ho avuto con la mia ex moglie mi fa tenere alla larga da chi cerca di celare qualcosa.»

Nel sentire quelle parole, Mycroft sorrise sinceramente.

«Mi devo ricredere su di lei, Sherly mi aveva detto che era un ottuso poliziotto. Mi costringe a rimproverarlo, invece, perché è davvero brillante.»
«Presumo sia una specie di complimento, è per questo che mi ha portato qui? Per dirmi che ero brillante? Non mi prenda in giro.»
«Il motivo per cui è qui, Gregory» disse Holmes alzandosi in piedi e recuperando dallo schienale della sedia il suo ombrello. «È perché volevo ringraziarla, per il lavoro che offre a Sherlock e volevo invitarla a proseguire.»
«E siamo qui con tazzine di porcellana, posate d’argento e deliziosi cupcake, solo per questo?»
«No, il tè era per noi e per il suo piacere, Gregory» concluse Mycroft sorridendo, prima di allontanarsi.
Perché, perché Greg Lestrade aveva la strana sensazione d’essere appena stato ad un appuntamento galante? E, mentre vedeva la sua figura slanciata allontanarsi, gli venne da ridere. Ridere come non faceva da tempo, ridere come, forse, non aveva mai fatto in vita sua.

 

oOo

 

Da quel giorno, Lestrade non aveva più incontrato il fratello di Sherlock ed, ovviamente, non aveva fatto altro che pensarci. Aveva rivissuto ogni singolo istante di quell’incontro, riflettendo su quanto fosse stato insolito. La sensazione d’aver avuto un appuntamento, non lo aveva lasciato per un attimo. Sensazione che fu accentuata da una battuta sarcastica che Sherlock non aveva mancato di fargli, la prima volta che si erano rivisti. Il pensiero che fosse realmente così, poi, aveva iniziato ad invadergli la mente, facendolo sentire davvero bene. Ancora più strano era il fatto che non faceva altro che pensare a Mycroft. Aveva voglia di rivederlo, aveva confessato a sé stesso una notte, mentre si rigirava nel letto senza riuscire ad addormentarsi. Ci aveva pensato sopra per diversi giorni, trovando quel suo riflettere un piacevole svago ai grattacapi che aveva con la sua ex moglie.

Non avrebbe mai creduto che la sera in cui se lo trovò davanti, in piedi sulla soglia dell’ufficio, il suo cuore avrebbe preso a battere all’impazzata.
«Signor Holmes» boccheggiò, scattando all’impiedi.
«Non era mia intenzione spaventarla, Gregory.»
«No, è che credevo d’essere solo… Cosa posso fare per lei questa volta, mangiare una pizza?» chiese, sforzandosi di ritrovare il suo umorismo.
«Non era ciò che avevo in mente. Sono solito cenare alle sette e trenta, vorrei non fare tardi proprio oggi, se vuole seguirmi.»
«Guardi che stavo scherzando» disse Greg, incredulo.
«Io non scherzo mai, specie quando si tratta di cenare al Savoy.» [1]
«Al Savoy?» ripeté Lestrade. «Non ho nessuna intenzione di venire con lei in un ristorante; non capisco come mai insista nel volermi offrire da mangiare» disse, tutto d’un fiato. Perché se l’era presa a quel modo? Non aveva fatto altro che pensare ad Holmes e a quanto avesse trovato piacevole la sua compagnia, ed ora rifiutava una cena in uno dei ristoranti più prestigiosi della città? E per quale motivo? Perché aveva paura? O magari perché non riusciva a capire dove volesse andare a parare quello strano individuo?

Cosa voleva da lui?

Sebbene il suo cervello fosse deciso e fermo nel non voler accettare da Mycroft un altro strano appuntamento, i suoi sensi lo spingevano a fare esattamente il contrario. Quel tè nel sotterraneo gli era piaciuto e anche tanto; perché quindi rifiutare un’altra serata? Beh, il motivo era semplice, Lestrade sentiva che c’era qualcosa che gli sfuggiva, che non riusciva a capire e che riguardava Holmes. L’atteggiamento che aveva nei suoi confronti era quantomeno ambiguo. Quel sorriso che, ancora adesso si ostinava a portare, gli sembrava forzato e poco sincero. Ma più di tutto c’era una domanda che non riusciva ad abbandonarlo, perché un uomo del genere avrebbe dovuto chiedere tanto insistentemente la compagnia di un semplice poliziotto di Scotland Yard?

«So per certo che è molto affamato, Gregory, il panino al tacchino che ha mangiato cinque ore fa, non le è certo bastato a saziare le fame, specie perché questa mattina è stato costretto a bere un caffè per strada mentre correva su dai gradini della Tube. I piatti che le cucina sua sorella sono troppo grassi e unti per i suoi gusti, per questo rifiuta sempre le sue gentili offerte e preferisce rimanere in ufficio e cenare con ravioli cinesi di dubbio gusto. Voglio solo portarla a mangiare del cibo degno d’essere chiamato tale. Il nostro tavolo ci aspetta e, se vuole farmi il favore di guardare in questa valigetta, troverà un abito adatto.»
Lestrade lo fissò sempre più incredulo, quell’uomo era una continua sorpresa. Che doveva fare? Aveva pensato tutta la settimana a una situazione simile, ad un possibile secondo appuntamento, come aveva insinuato Sherlock, ed ora che gli si prospettava l’occasione si faceva venire dei dubbi? Greg era sempre stato un tipo pragmatico e abituato a pensare in modo pratico. Era stato bene in sua compagnia? Perché avrebbe dovuto rifiutare una cena con un amico, ciò che aveva dedotto Mycroft era esatto, erano settimane che non aveva un pasto decente.
«Sicuro che è della mia taglia?» chiese.
«Non faccia domande sciocche, le do il tempo che le serve, io l’aspetto fuori.»


Appena Lestrade uscì dall’ufficio, dopo essersi cambiato, si guardò attorno in cerca di Holmes. Lo trovò intento ad osservare con apparente curiosità, la scrivania dell’agente Williams.
«Trovato qualcosa di interessante tra gli effetti personali dei miei agenti?»
«Sarebbe il caso di far notare al signor Williams che dovrebbe seriamente pensare a farsi operare di emorroidi!» esclamò, battendo l’ombrello a terra, quasi lo usasse per rimarcare il concetto.
«Ti prego, non farmi passare la fame» disse Greg, disgustato, usando un tono più colloquiale e beccandosi un’occhiata sorpresa da Mycroft.
«Dobbiamo mangiare insieme, giusto?» domandò in risposta, intuendo il corso dei suoi pensieri. «È inutile tenere questo tono formale per il resto della serata e poi non mi piace farmi chiamare signore anche quando non sto lavorando, mi fa sembrare ancora più vecchio di quello che sono.»
«Lungi da me far apparire vecchio un bell’uomo come te, Gregory» mormorò. «Vogliamo andare?» Lestrade sorrise e, mentre Mycroft gli faceva strada, lui se ne restava fermo: lì, imbambolato vicino alla scrivania di Williams. Sbagliava oppure gli aveva appena detto che era bello?
«Non ho intenzione di fare tardi» ribadì l’altro, invitandolo a sbrigarsi.


Quando Mycroft gli aveva detto che avrebbero cenato al Savoy, Greg non pensava certo che l’avrebbero fatto nei sotterranei. Non appena la limousine nera si era fermata nell’ampio e buio parcheggio, situato sotto il piano terra dell’hotel, aveva notato subito il tavolo perfettamente apparecchiato che stava a pochi metri da loro. Non gli ci volle molto per comprendere come sarebbe andata a finire quella serata. Avrebbe dovuto immaginare che non sarebbe stata una cena come tutte le altre; d’altronde avevano preso il tè nelle fogne, per quale motivo avrebbero dovuto mangiare nell’elegante sala di un ristorante?
«Ti sei riservato il tavolo migliore a quanto vedo» commentò, sarcastico.
«Spero tu capisca, la mia posizione all’interno del governo inglese, seppur piccola, non mi consente di fare tutto ciò che vorrei. Ho dato ordine alle cucine del ristorante di far preparare la migliore cena del menù e un maitre ci servirà, proprio come se fossimo al piano di sopra.» Greg vide Mycroft prendergli la sedia e scostarla dal tavolo, proprio come un perfetto gentiluomo è solito con la sua accompagnatrice. Già, peccato che Greg non fosse di certo una donna e che loro erano soltanto amici.

O almeno così credeva, non poteva pensare che un individuo del genere portasse in giro per i sotterranei di Londra tutti quelli che incontrava, sperando che diventassero suoi amici. Non era certo per amicizia che si trovavano lì in quel momento, Mycroft voleva qualcosa e lui non aveva idea di che diavolo fosse. La sola cosa che si augurava, era che non avesse a che fare con Sherlock.
«Posso sedermi da solo.»
«Ma naturalmente, permettimi almeno di chiamare il maitre» disse schioccando le dita, per poi accomodarsi al proprio posto.


Il resto della serata trascorse in maniera tranquilla, Lestrade ebbe l’impressione che Holmes fosse leggermente teso, ma non ci badò più di tanto. Si era convinto del fatto che, magari, fosse risentito per la dieta che faceva e alla quale sembrava non aver badato minimamente. Aveva infatti notato che aveva mangiato tutto con estremo gusto. Non aveva disdegnato nemmeno un’abbondante sorsata di quel vino francese di cui tanto aveva sentito parlare, ma che prima di allora non aveva mai assaggiato. Fu quando arrivarono al dessert, che la situazione parve precipitare drasticamente ed avvenne proprio quando Mycroft domandò a Greg cosa gradiva fare dopo cena.
«Cosa intendi?» chiese Lestrade, addentando una forchettata di cheescake.
«In quale attività gradisci intrattenerti dopo cena?»
«Non so, io pensavo di andare a casa a dormire, perché? Tu avevi forse in mente qualcosa?»
«Beh, il corteggiamento prevede che io ti riaccompagni a casa e…»
«No, un momento, aspetta, corteggiamento?» l’interruppe Lestrade. «Che tradotto nella nostra lingua…
[2]» Greg si soffermò, fintamente pensieroso. «Ci stai provando?»
«Non era evidente?» gli domandò in risposta Mycroft, alzando un sopracciglio.
«Mio Dio!» disse Greg, alzando involontariamente il tono di voce. Il poliziotto si levò poi in piedi, gettò malamente il tovagliolo che teneva sulle gambe sulla superficie del tavolo ed indietreggiò impercettibilmente. «Quindi era questo che stavi facendo? Prima il tè e poi il filetto di manzo in crosta di chissà cosa, solo per provarci? Quando intendevi che era per noi, era in senso romantico? E pensare che quando mi parlava di corteggiamento, credevo che Sherlock mi stesse prendendo in giro.»
«Gregory, temo proprio tu stia vaneggiando» disse Mycroft alzandosi elegantemente dal tavolo.
«Vaneggiando? Voglio dire, tu farfugli di corteggiamento e cose simili e io come dovrei reagire? Ti faccio presente che non siamo tutti dei robot come voi altri Holmes.»

Lestrade vide chiaramente un lampo di delusione passare nelle iridi dell’uomo che aveva di fronte. Non voleva dire una cosa del genere, non lo pensava nemmeno. Appena ebbe finito di dirlo infatti, già se ne era pentito.
«Mi dispiace, non lo credo veramente, è solo che…»
«Che?»
«Sì, insomma non me l’aspettavo e ora… ecco, ora non so cosa dire.»
«Beh, mi sembra piuttosto semplice o è un sì o è un no.»
«È tutto così improvviso, sono appena uscito da un matrimonio tanto disastroso che, come a quanto pare già sai, abito da mia sorella e addirittura sono senza macchina. Sarei confuso anche se tu fossi una donna. Perché tu, tu sei un uomo e io fino a questo momento non avrei mai immaginato di fare un discorso del genere.»
«Il fatto che io sia di sesso maschile è tanto importante?»
«Sì, beh, no! Non so cosa pensare, certo, non nego d’esser stato bene; insomma, non posso darti una risposta subito.»
«Non c’è problema, le signore hanno sempre bisogno di un po’ di tempo per riflettere» disse Holmes, sarcastico, avvicinandosi a Greg.
«Se pensi che tra di noi la signora sia io, Mycroft, ti sbagli davvero. Chiamami ancora così e ti do un pugno sul naso, e non mi importerà di darlo a qualcuno che ha un piccolo incarico nel governo inglese.»
«Sei piuttosto brutale, Gregory» lo rimproverò, bonariamente.
«Piuttosto, vediamo di tenerci per noi questo discorso; non dire nulla specie a tuo fratello.»
«Per questo temo sia troppo tardi, presumo l’abbia capito quando gli ho parlato questa mattina. Mi aveva detto che non avresti accettato subito la mia corte e che avresti accennato al tuo divorzio, Sherly sa essere molto diretto quando deve dire qualcosa, tralascio quindi il seguito.»
«Perché che altro ha detto?» chiese, incuriosito.
«Se risponderai di sì alla mia offerta, ne riparleremo.»
«Ah, è così» ribatté Greg, divertito. «Sarebbe un ricatto, il tuo?»
Lo yarder, vide Mycroft sorridere sinceramente. Forse, di tutti i sorrisi che gli aveva propinato in quelle due volte che si erano visti, quello era il più sincero di tutti.
«Ti prego di accomodarti di nuovo e di finire il tuo dolce» disse, con fare gentile.
 
E lui non poté davvero fare a meno di obbedirgli, non seppe dire se era per il tono perentorio, anche se piuttosto attenuato, che aveva utilizzato, a convincerlo. Quel tono autoritario di un uomo abituato al comando. Oppure se era da imputare al discorso che avevano appena fatto o a quella leggera stretta allo stomaco che sentiva, ma non riuscì fare altro che sedersi. Afferrò la forchetta d’argento, affondandola nella fetta di torta al formaggio che aveva a malapena assaggiato, deciso a riprendere da dove avevano lasciato.
«È buona come sembra?» domandò Holmes. Greg alzò lo sguardo, divertito. Mycroft aveva allungato il collo e fissava il dolce che aveva davanti con desiderio. Si vedeva che aveva un’autentica voglia di addentarla, anzi la brama di quel pezzetto di torta appariva così grande in lui, che Lestrade si ritrovò a domandarsi se stesse corteggiando uno stupido dolce piuttosto che lui.
«Vuoi assaggiarne?» domandò, titubante.
«Ti ringrazio, ma devo rifiutare.»
«Come mai ti sei messo a dieta? Mi sembri piuttosto in forma, quanto pesavi prima?»
«Io, e…» Mycroft si agitò sulla sedia, tanto che allo yarder sembrò davvero d’averlo messo in imbarazzo.
«Scusa, non volevo farmi gli affari tuoi» s’affrettò a rassicurarlo, decidendo quindi di cambiare argomento. «In ogni caso non ho più molta fame. Mi piacerebbe fare due passi prima di andare a casa, giusto per aiutare il filetto a fare il proprio corso. Possiamo fare due passi sulla superficie oppure dobbiamo restare nei sotterranei?»
Holmes si alzò e circumnavigò il tavolo, porgendogli il braccio. Quando aveva proposto una passeggiata, Greg non pensava di farlo mano nella mano. Ma ora lui gli stava proponendo proprio una cosa del genere, e quello che leggeva sul suo volto non era più divertimento, ma solo voglia d’avere un contatto. Cos’era mai, in fondo, una semplice passeggiata a braccetto? Non poteva essere tanto male. Allungò quindi le dita, titubante e stava anche per afferrarlo, quando Mycroft si ritrasse.
«Non ti obbligherò se non lo desideri, ma nel caso tu decida di farlo, ti posso assicurare che mi renderesti davvero felice. Desidero anche che tu sappia che non saresti forzato a nulla, non avrebbe significato, sarebbe solo una passeggiata e niente di più.»

Quell’uomo era sorprendente, doveva essere abituato a comandare, lo intuiva dalla maniera con la quale interagiva con le persone. Dal maitre dell’hotel, all’autista della limousine. Eppure, in quel momento, tutto gli pareva lontano. Lestrade aveva l’impressione che, in piedi di fronte a lui, non ci fosse l’Holmes fratello di Sherlock e che aveva un piccolo incarico nel governo inglese. Era solo una persona come lo erano tante altre, qualcuno che si stava interessando a lui per una strana ed assurda ragione. Non aveva alcuna idea su cosa sarebbe potuto accadere in futuro, Greg sapeva solo che era felice di trovarsi lì. Si alzò quindi in piedi, senza badare al tovagliolo che cadeva a terra o al dolce abbandonato, la sola cosa che gli interessava, era Mycroft.
«Non è una passeggiata ad Hide Park che posso prometterti, non in questo momento.»
«Mi pareva che fosse troppo sperare di vedere la luce» scherzò Greg. Forse non era il momento più opportuno per mettersi a fare battute di spirito, ma quando era in sua compagnia, era come se non riuscisse a farne a meno. Mycroft Holmes aveva l’abilità di scoprire lati del suo carattere che nemmeno lui sapeva di avere.

 
 

oOo

 

Le settimane che seguirono furono, per l’ispettore investigativo Lestrade, davvero insolite. Era finalmente riuscito a trovare un appartamento; un semplice bilocale, nulla di esagerato, ma perlomeno aveva la sua intimità e non era costretto a stare da sua sorella. Al lavoro non era accaduto nulla di straordinario, per quanto avessero avuto un paio di casi omicidio, non avevano trovato difficoltà a risolverli. Dopo quella serata non aveva più avuto incontri con Mycroft, si erano sentiti per telefono la sera dopo la loro cenetta romantica, poi più niente. Nonostante si fossero visti soltanto un paio di volte, Greg iniziava a sentire la sua mancanza. Una parte di lui benediceva quel po’ di lontananza. Gli dava l’opportunità di ordinare i propri pensieri, di capire per quale motivo si fosse trovato tanto bene con una persona che non fosse sua moglie. Già, perché solo con lei si era sentito tanto coinvolto, così preso da scordarsi del resto del modo. Vero: non aveva capito subito le intenzioni di Holmes, ma ciò che aveva occupato i suoi pensieri per i giorni successivi, erano stati sentimenti davvero insoliti. Non poteva dire d’esserne innamorato, lo conosceva troppo poco, ma affascinato, quello decisamente sì. Mycroft aveva una strana aura attorno a sé, non si trattava soltanto di quel suo sorriso enigmatico o delle espressioni del viso sempre controllate. C’era un qualcosa in quell’uomo, che gli faceva venire voglia di indagare più a fondo. Si sentiva come Sherlock preso da un caso intricato. Percepiva forte, dentro di sé, la voglia insaziabile di capire chi fosse Mycroft Holmes e per quale motivo si fosse interessato ad uno come lui. Non che Greg si ritenesse brutto o insignificante, ma un uomo come quello, abituato a stare in un certo ambiente e circondato da persone importanti, che si interessa ad un semplice poliziotto? Era questo che, più di tutto, gli premeva sapere.

Perché?

Lo yarder sobbalzò quando il telefono vibrò sulla superficie liscia della scrivania, uno squillo breve arrivò alle sue orecchie, attirando la sua attenzione. Aprì l’archivio dei messaggi, scoprendo con rammarico che si trattava di sua moglie; per un momento aveva sperato che fosse lui. Lesse a malapena le poche parole che gli aveva scritto, non voleva che si dimenticasse dell’incontro per la firma che sarebbe avvenuto quel pomeriggio stesso. Come poteva scordarselo? Finalmente si sarebbe liberato di quell’arpia… Gettò la ciambella mangiata per metà, sul tavolo: non aveva più fame. La sua mente, fin troppo occupata in quel momento, gli chiudeva lo stomaco. Non faceva altro che pensare a Mycroft e alla voglia di vederlo che aveva. E, oltre a questo, ci si metteva anche sua moglie a farlo sentire nervoso. Afferrò il telefono, digitando sulla tastiera poche parole di assenso, dopodiché si affrettò ad uscire da lì.
«Donovan» urlò. La ragazza di affrettò a raggiungerlo, prestandogli attenzione. «Mi tocca andare dall’avvocato, spero di tornare per le quattro. Se mi chiamerete non potrò rispondere, in caso di problemi affidatevi a Dimmock. Chiaro?»
«Affermativo» annuì la poliziotta.
«Cosa faccio se si dovesse presentare lo strambo?»
«Innanzitutto dovresti non chiamarlo in quel modo, Sally» l’ammonì. «Comunque dubito che Sherlock si faccia sentire in queste due ore. Non abbiamo nulla che possa interessarlo, ma nel caso: cercate di non saltarvi al collo. Io devo scappare, altrimenti faccio tardi.»
«Arrivederci, capo!» Lestrade sorrise mentre indossava il cappotto e sfrecciava fuori dall’ufficio. Doveva affrontare una cosa alla volta, prima divorziava da sua moglie e poi avrebbe cercato di capire cosa provava per Mycroft. Sempre se riusciva a sopravvivere.
 

Splendeva un pallido sole in quel tiepido pomeriggio di gennaio. Gregory Lestrade era uscito dallo studio dell’avvocato divorzista dell’ormai sua ex moglie, sentendosi davvero strano. Provava un sentimento insolito, un miscuglio di liberazione ed ira. Avevano ovviamente litigato, ormai sembrava non riuscissero a fare altro. E pensare che appena sposati erano stati così uniti, mentre ora non riuscivano nemmeno più a stare insieme nella stessa stanza. Una volta giunto in strada, aveva inspirato l’aria fredda, chiudendo un poco gli occhi e lasciandosi baciare dai pallidi raggi del sole. Chissà Mycroft cosa stava facendo, quando l’avrebbe rivisto o, piuttosto, chissà se l’avrebbe incontrato di nuovo.
«Fantastico» mormorò, amaramente ironico. Aveva appena divorziato e non riusciva a non pensare che a Mycroft Holmes. Ormai era un pensiero fisso, voleva rivederlo e parlare ancora con lui per dirgli che sì, forse non gli era poi così indifferente come aveva creduto. E che il fatto che fosse un uomo, non era poi tanto importante.
«Buongiorno, ispettore Lestrade.»
«Anthea!» esclamò, incredulo. «Come faceva a… No, lasci perdere: conosco la risposta. Lui dov’è?»
«Non posso dirglielo.»
«Verrà qui?»
«No.»
«Andrò io da lui?»
«Nemmeno» rispose lei, scrollando il capo prima di estrarre di tasca una busta bianca e, porgendogliela, disse:
«Per lei. Si raccomanda che sia puntuale e di indossare l’abito dell’altra volta. Le chiedo di avallare le sue richieste, non la faranno entrare se non sarà vestito…» Anthea sembrò soppesare le parole da utilizzare, quasi stesse cercando un aggettivo per non offenderlo; «in modo adeguato.»
«Perché? Dove diavolo dobbiamo andare?» chiese prima di prendere la busta.
«Arrivederci, ispettore.»


Greg rimase solo su quel marciapiede, baciato dai raggi del sole invernale ed accarezzato dall’aria gelida, se ne stava in piedi fissano la busta bianca che Anthea gli aveva dato. Ne soppesò il contenuto, ma pareva essere quasi vuota. Forse avrebbe dovuto aspettare prima di aprirla, ma non lo sentiva da settimane e lui voleva sapere. Poteva trattarsi di qualunque cosa, poteva addirittura essere una lettera di addio in cui gli diceva che era stato bello, ma aveva cambiato idea. O magari delle poesie d’amore o una richiesta di aiuto o…
«Un biglietto del teatro?» si domandò, rigirandosi il pezzetto di carta tra le mani, quasi stesse cercando di capire cosa passasse per la mente di Holmes. Perché non era un teatro qualunque, ma il Royal Opera House, [3] uno dei più celebri al mondo. Di certo, il concetto d’appuntamento di Mycroft non era quello di una persona qualunque. E se prima l’aveva solo pensato, adesso ne era davvero convinto. Di una cosa però era ancora più certo: non vedeva l’ora di rivederlo.


 

oOo

 
 

Una volta giunto sul posto, arrivare da Mycroft non fu facile come credette. Dopo esser sceso dal taxi, con il quale aveva raggiunto il teatro, Greg fu preso da parte da un massiccio uomo sulla quarantina che gli chiese di seguirlo. Camminarono a lungo per i corridoi, salirono e scesero scale, tanto Lestrade che si domandò dove diavolo lo stesse portando. Ad un certo punto ebbe addirittura la sensazione che girassero in tondo in attesa di chissà che.
«Ci vuole ancora molto?» chiese, stanco di aspettare.
«Siamo arrivati» si sentì rispondere pochi istanti più tardi.
Si fermarono dietro ad una tenda di broccato rosso che nascondeva una porta in legno. L’uomo scostò il velluto con una mano, invitandolo ad entrare. Non era mai stato in un luogo del genere, ma era quasi sicuro che il suo posto non fosse in platea. Per di più, la scritta Holmes proprio accanto alla porta, gli fece capire che Mycroft aveva più che un semplice abbonamento. Spostò da un lato la stoffa pesante, aprendo l’uscio. Voleva entrare e lo fece! Lo fece d’istinto e con talmente tanto impeto, da far quasi andare a sbattere la porta contro al muro. Non gli importava di nulla di quel momento, né del fatto che fossero uomini, né del motivo per il quale Mycroft fosse tanto interessato a lui. Tutto ciò che voleva era entrare, vederlo e baciarlo. Sì, baciarlo. Non temeva di dirglielo, non si vergognava di desiderarlo, voleva solo farlo: prenderlo tra le sue braccia e baciare la sua bocca.

Quando entrò nel piccolo balcone, Greg, si prefissò di esaudire tutto ciò che aveva pensato di fare. Lo vide alzarsi dalla poltrona sulla quale era seduto, e raggiungerlo con un sorriso stampato in viso e Lestrade non ci vide più: lo attirò a sé con un gesto secco e lo baciò. Senza convenevoli, senza parole di circostanza, facendo soltanto ciò che desiderava. Perché se Mycroft l’aveva trascinato a bere del tè in un sotterraneo, allora lui poteva permettersi cose come quella.
«Sono felice che tu abbia accettato» gli sussurrò qualche minuto più tardi, dopo che l’ebbe lasciato andare.
«Sarà sempre così, Mycroft? Che non ti fai sentire per settimane e poi mi mandi Anthea con una busta?»
«Sono stato impegnato.»
«E non puoi dirmi a fare cosa, immagino.»
«Forse questa è una scenata?» indagò Holmes.
«No, ma voglio sapere quello che mi aspetta. Perché se sto con te, se accetto quella che tu chiami corte, allora devo sapere come sarà.»
«Mi pare una ric…»
«Aspetta» l’interruppe lo yarder, «prima baciami.»

Fu lì che accadde, che mise da parte per un momento tutti i suoi dubbi e le sue paure e si fece avanti. Se quelle erano le premesse del loro rapporto, allora stare insieme sarebbe stato un inferno. Incredibilmente però, non gliene importava proprio nulla. Stava bene con lui e adesso aveva anche scoperto che baciarlo, era ancora più bello. Forse non avrebbe mai saputo perché, tra milioni di persone, Mycroft avesse scelto un semplice ispettore di Scotland Yard. E, sinceramente, in quel momento non gli interessava neanche.

Perché Gregory Lestrade avrebbe baciato altre volte Mycroft Holmes.
 

Fine



 
[1] Il “Savoy” è un famoso hotel di Londra.
[2] La frase “tradotto nella nostra lingua” è ironica ed ha che vedere con il fatto che il linguaggio di Holmes non è come il suo, più gergale.
[3] Il “Royal Opera House” è uno dei più celebri teatri d’opera al mondo. Si trova ovviamente a Londra ed è meglio conosciuto “Covent Garden” ossia come il nome della piazza in cui è situato.



Alla prossima…
_Koa_
   
 
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