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Autore: RomanticaLuna    14/07/2013    0 recensioni
" Una lacrima cadde sull’inchiostro ancora fresco, sbavando le ultime parole della pagina. Una ragazzina di 11 anni restava accoccolata sulla sedia, il viso nascosto tra le mani. I capelli neri erano arruffati e si libravano nell’aria oziosa della sua stanza mentre le pale del ventilatore si muovevano veloci. Faceva caldo, un caldo che rendeva appiccicosi e che faceva soffocare. "
Una one shot composta sulle note di "il cielo è tuo" dei Sonohra, che descrive il reale inferno che molte ragazzine vivono.
Genere: Drammatico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pansy Parkinson
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Incubi e Segreti
 

Caro diario, è successo ancora. Non riesco a fare a meno di pensare che se fossi nata in un’altra famiglia forse non avrei mai sofferto così tanto. Ma se provo a dirlo a mia madre ricevo un rimprovero: devi amare la tua famiglia, perché lei ama te! è un cerchio che si chiude! Ma lei non può capire…non può nemmeno immaginare il male che mi sta facendo la mia stessa famiglia. Perché?
 
Una lacrima cadde sull’inchiostro ancora fresco, sbavando le ultime parole della pagina. Una ragazzina di 13 anni restava accoccolata sulla sedia, il viso nascosto tra le mani. I capelli neri erano arruffati e si libravano nell’aria oziosa della sua stanza mentre le pale del ventilatore si muovevano veloci. Faceva caldo, un caldo che rendeva appiccicosi e che faceva soffocare. La ragazzina alzò gli occhi rossi, guardò la scrivania, studiò le foto. Lì si che era felice, in quei momenti in cui non era ancora cominciata la tortura. Quei momenti in cui erano una famiglia, quelli erano bei momenti. Ma tutto era cambiato, non era più una bambina, non aveva più quella tenerezza e purezza che i bambini di tutto il mondo hanno. Qualcuno aveva pensato a sporcare il suo candore.
 
Voltati la bestia è ancora lì,
forte ormai dei silenzi tuoi.
Salvati da chi ti ha rubato i sogni,
sentiti consapevole di vivere
 
Si, quella bestia non l’avrebbe abbandonata tanto facilmente, non ora che era riuscita a prenderla, a renderla sua completamente!
Un colpo secco e le cornici caddero sul pavimento, i loro piccoli vetri si infransero, lanciando schegge contro le pareti.
<< Pansy, è pronto a tavola! >> urlò la voce di una donna dalla stanza vicina. La tredicenne socchiuse gli occhi, guardandosi intorno con circospezione. Quella camera la faceva stare male, doveva uscire, doveva andarsene. Si vestì, nascondendo i graffi ed i lividi che riempivano il suo corpo. Si pettinò, si diede un certo contegno prima di uscire. “Devo dirglielo” pensava schioccando le dita “Deve finire questa storia”.
Entrò in cucina. << Mamma >> iniziò la ragazza. Ma la vista dell’uomo che le stava di fianco la stoppò. Quell’uomo che aveva da anni preso il posto del padre, che aveva amato con tanta tenerezza, che credeva speciale, eroico…non era altro che il corpo del diavolo. Un diavolo che non le permetteva di parlare, di essere libera.
 
Non puoi più nasconderti
copri al mondo i lividi
di un passato che non hai
vissuto mai.
 
<< Cosa c’è tesoro? >> le chiese la donna vedendo la sua preoccupazione.
<< N..nulla…non era nulla >> rispose Pansy. Lei era la figlia del grande Parkinson, un uomo rispettato e temuto quanto i Malfoy. Eppure, di fronte a quell’uomo di bell’aspetto non riusciva a trovare il coraggio di smascherarlo. Di levargli dalla faccia quel ghigno tanto odiato.
<< Siediti pure, ho preparato il tuo piatto preferito! >> continuò la donna. Pansy obbedì, prendendo posto a quella misera tavola apparecchiata per tre. Le dava fastidio stare vicino a quell’uomo, non riusciva a sopportarlo. Le dava la nausea.
<< Vorrei parlarti dopo pranzo, tesoro! >> le disse l’uomo, il sorriso impertinente che aveva sempre quando le chiedeva qualcosa, quando chiedeva il suo corpo. Lo guardò: uno sguardo di odio, mischiato a paura. Lei non era coraggiosa, non lo era mai stata. E la magia non l’aveva mai aiutata.
<< Vieni >> le disse l’uomo, approfittando di una chiamata urgente della compagna. La portò in camera, quella stanza rosa confetto che Pansy vedeva da quando era bambina, che aveva amato ed odiato. La buttò sul letto senza troppi complimenti e la spogliò in un colpo solo.
<< Volevi spifferare tutto a tua madre, non è vero? >> le chiese con rabbia, tenendola per i capelli e sfilandosi i pantaloni.
<< No, lo giuro! Ti prego, smettila! >> disse lei piangendo. Quella tortura durava da troppo tempo, la lasciava inerme, le toglieva le energie e la voglia di vivere.
<< Tu sei mia, ricordatelo bene! Smetterò solo quando ne avrò voglia >> urlò l’uomo << e non sarà tanto presto >> aggiunse mordendole l’orecchio. La penetrò con un colpo secco, lasciandola senza fiato. Pansy chiuse gli occhi, immaginando di essere con Draco Malfoy, il ragazzo per cui da anni aveva una cotta.
 
L’odio ti perseguita,
chiudi gli occhi alla realtà.
Grida la tua verità,
il cielo è tuo!
 
***
 
Con la musica a tutto volume Pansy guardò il panorama fuori dalla finestra aperta. L’aria calda di quell’estate rendeva il paesaggio magico. Era a casa da sola, finalmente, ma lui sarebbe tornato e presto! Nascose il graffio sotto l’occhio con un pizzico di fard, gettò in uno zaino qualche maglietta pulita ed uscì con la speranza di trovare un po’ di quiete. Doveva trovare un posto in cui passare la notte, un posto in cui lui non l’avrebbe mai trovata. Girovagò per diverso tempo, tenendosi lontana dalle strade principali, tenendo il viso nascosto sotto il cappuccio, le mani intrecciate nelle tasche e gli occhi vuoti. Nel cuore la paura di essere scoperta, nel cervello il rimpianto di dover lasciare sua madre nelle mani di quella bestia. Ma lei non poteva rimanere, doveva andarsene! Avrebbe voluto denunciarlo, ma nessuno si mette contro un Mangiamorte potente come lui!
 
Scappa via,
uccidi la paura
che tu hai dentro l’anima.
Cerchi un Dio
perché l’uomo nero è chi ami
più di te,
più della tua stessa libertà!
 
Una melodia la costrinse a fermarsi. Quella melodia che aveva ascoltato per tanto tempo, quando era bambina, e che non poteva dimenticare. Quella melodia che accompagnava le parole della ninna-nanna di suo padre, del suo vero padre. Di quel padre che era morto per lei, per proteggerla. E che ora era lontano e la lasciava indifesa. Pansy si guardò in giro, nessun banchetto presente, nessuna persona strana che gironzolava nel parco, nessun bambino che giocava, nessuna coppietta che passeggiava mano nella mano: era sola. Eppure aveva un brutto presentimento, sentiva la presenza di qualcuno, una presenza oscura. La bestia di cui tanto aveva paura era tornata, non poteva liberarsi di lei.
<< Dove pensavi di andare? Tua madre è in pensiero! >> urlò il suo patrigno, accompagnato dalla polizia del parco. Finché stava con loro, lui non le avrebbe fatto del male, non avrebbe potuto profanarla ancora.
<< Da una mia amica, ve l’ho detto stamattina >> mentì prontamente, osservando la mano dell’uomo stringere la bacchetta. “Ribellati! Sei una Parkinson, ribellati!” si ripeteva la giovane mentre i suoi occhi zigzagavano per il parco alla ricerca di un riparo.
<< Per fortuna che stai bene, i tuoi genitori temevano il peggio! >> si intromise il poliziotto. Aveva un’espressione bonaria, ma sembrava stolto ed aveva la caratteristica di non dare peso ai particolari. Non riusciva a vedere la bacchetta puntata contro Pansy, non vedeva la paura nei suoi occhi, né il ghigno malizioso e maligno sul volto del suo patrigno. O, se riusciva a vederlo, non gli dava importanza.
<< Forza signorina, ti riportiamo a casa! Perché mai hai deciso di scappare poi, è un mistero >> continuò, avvicinandosi a Pansy. Le appoggiò sulle spalle il suo mantello, cercando di calmare i suoi tremiti. “Perché non capisce?” si chiedeva la giovane, senza arrischiarsi ad alzare gli occhi dal terreno. Non riusciva a pensare a qualcosa di positivo, al volto di sua madre, al calore della sua casa. Non riusciva a ridere alle battute dei poliziotti che cercavano di farla sentire a suo agio, una volta in caserma per il verbale. Non riusciva a concentrarsi sul volto sollevato della sua migliore amica, né sulla voce del suo amato Draco. Non c’era riuscita. Non era riuscita a scappare, a far finire tutto, questo era il suo unico pensiero. Voleva piangere, ma non poteva darla vinta a quell’uomo tanto amato ed odiato al tempo stesso. Non riusciva a denunciare colui che le pagava gli studi, che la viziava e che l’aveva amata, a modo suo. Non riusciva a far nulla, era impotente, si sentiva inutile.
 
Non sai cos’è ridere,
non sai cos’è vivere.
Se vuoi, tu puoi
sconfiggere
il vuoto che è dentro te.
Dall’ombra dei ricordi tu saprai
rinascere.
 
“Sii forte! Non arrenderti! Fatti valere, mia piccola Pansy!” le parole del padre le tornavano alla mente.
“Tu sei speciale, piccola mia! Hai qualcosa che le altre bambine non hanno”
“E cos’è, papà?” gli aveva chiesto la piccola Pansy, guardando il cielo azzurro che si rispecchiava nella bacinella d’acqua ai suoi piedi.
“Me, e sarò per sempre con te! E quando avrai bisogno, io sarò li!” aveva risposto lui, baciandola dolcemente sulla fronte.
Basta, quell’inferno doveva finire. Lei era una Parkinson, una ragazza rispettabile di 13 anni, quasi 14. Non poteva permettere a nessuno di disonorare la sua immagine. Non poteva permettere a quell’individuo di continuare a sporcare la sua anima.
Pansy si alzò, consegnando il mantello al poliziotto che l’aveva accompagnata fino alla centrale.
<< Devo fare una denuncia >> disse raccogliendo tutto il coraggio che aveva in corpo.
<< Smettila Pansy, non renderti ridicola! >> la redarguì il patrigno.
I poliziotti la fissavano completamente presi da quel dibattito famigliare.
<< Verso quell’uomo >> riuscì a dire la ragazza, puntando il dito verso il patrigno sogghignante.
<< Pansy, cosa dici? >> urlò la madre, la mano davanti alla bocca ed un urlo mezzo strozzato. Le pupille dilatate per la paura, segno che lei sapeva.
<< Posso provare che quest’uomo, il mio patrigno, ha abusato di me per diversi anni >> continuò, sicura di sé.
<< Sono accuse pesanti, signorina. Verso un uomo rispettato! >> esclamò un poliziotto.
<< Mio padre era un uomo rispettato! Questo…è solo una bestia >> disse singhiozzando.
<< Provvederemo agli accertamenti >> rassicurò l’uomo in uniforme.
 
***
 
Passarono i giorni, i mesi, ma nessun indagine venne fatta, nessun accertamento svolto, nessun arresto. Pansy dovette ricredersi, il suo moto di coraggio l’avrebbe resa ancora più schiava di quell’uomo senza cuore. Aveva sbagliato. Aveva fallito, di nuovo. Avrebbe dovuto rivivere quell’inferno e sopportarlo fino al suo arrivo ad Hogwarts o per tutta la sua vita. Avrebbe solamente potuto pregare e sperare in un miglioramento.
 
Non puoi più nasconderti,
non puoi più distruggerti.
Se tu vuoi,
il cielo è tuo.
 
***

(Sonohra – Il cielo è tuo)
  
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