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Autore: Panda_chan    15/07/2013    1 recensioni
A volte, quando è stufa dell’umidità, degli insetti, delle muffe, dell’acqua che sale inesorabile e degli stracci bagnati sotto le fessure delle porte per fermarla, Ino maledice Venezia, pensa che non la sopporta e che se mai avrà l’occasione per andarsene non se la farà sfuggire.
Ma in serate come questa, quando la calura della stagione estiva stempera il freddo della laguna e la pioggerella già al suo termine lava i marciapiedi e purifica l’aria dalla solita cappa un po’ stagnante, allora si perderebbe per ore a guardare la sua città, e solo il pensare di lasciarla le sembra una follia.
Fruga nella borsa consunta ed estrae il vecchio orologio che suo padre non usa più: sono quasi le otto e dieci.
Come colta da un’illuminazione, comincia a correre, attenta a non inciampare sul vecchio lastricato sconnesso della calle.

[GaaraIno]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inoichi Yamanaka, Sabaku no Gaara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Venezia, decennio del 1950.
Gaara ed Ino.
Buona lettura! :)

 

Calli, canali e vetri di Murano

 

È piovigginato tutto il giorno, ma adesso il cielo è limpido e terso mentre sfuma verso una tinta più cupa.
Sono quasi le otto di una serata estiva frizzante, di quelle che entrano dalla finestra attraverso lievi correnti d’aria fresca, e quando sfiorano la pelle trasmettono un richiamo irresistibile.

 

Ino stava quasi per mettersi a letto, in realtà: nonostante l’ora non particolarmente tarda, distrutta dopo una giornata quasi interminabile, aveva già indossato la camicia da notte estiva, smanicata e leggera, spazzolato i lunghi capelli biondi e agguantato un bel romanzo dallo scaffale dello studiolo.
Il letto, sormontato dalla zanzariera di garza appesa ad una trave della piccola stanza mansardata, la attendeva con le sue invitanti lenzuola estive di lino.
Lei stava per tuffarvisi con gratitudine, ma prima, come al solito, si era avvicinata all’abbaino della camera per chiudere gli scuri, e lì quel piccolo refolo d’aria l’aveva colta impreparata, rinfrescandola e lasciandole un piacevole brivido, la stanchezza svanita in un momento.
Con il sonno ormai ben lontano, c’era ancora qualcosa che poteva fare prima di andare a nanna.
Se si fosse sbrigata.

 

Ci ha messo praticamente un attimo a decidere: lanciato il libro sulla scrivania in legno, si è sfilata la camicia da notte e ha spalancato il suo vecchio armadio tarlato.
Il venticello che soffia per la sua piccola calle l’aiuta a scegliere in fretta: camicetta, golfino, foulard, lunga gonna a ruota che stringe alta in vita con una cintura.
Non ha voglia di attardarsi per sistemare i capelli, così li lascia sciolti sulle spalle.
Afferra una vecchia borsa di cuoio, chiude alla bell’e meglio le finestre e la porta – tanto i suoi genitori torneranno tra poco, ormai avranno quasi finito di sistemare il negozio – e scende le scale del vecchio condominio in velocità, gradino per gradino.
Arriva nel vecchio atrio del grande condominio d’inizio secolo, apre con fatica il pesante portone di legno scrostato con la maniglia di ottone e il suo tonfo mentre le si richiude alle spalle la elettrizza.
Fuori.
A volte, quando è stufa dell’umidità, degli insetti, delle muffe, dell’acqua che sale inesorabile e degli stracci bagnati sotto le fessure delle porte per fermarla, Ino maledice Venezia, pensa che non la sopporta e che se mai avrà l’occasione per andarsene non se la farà sfuggire.
Ma in serate come questa, quando la calura della stagione estiva stempera il freddo della laguna e la pioggerella già al suo termine lava i marciapiedi e purifica l’aria dalla solita cappa un po’ stagnante, allora si perderebbe per ore a guardare la sua città, e solo il pensare di lasciarla le sembra una follia.
Fruga nella borsa consunta ed estrae il vecchio orologio che suo padre non usa più: sono quasi le otto e dieci.
Come colta da un’illuminazione, comincia a correre, attenta a non inciampare sul vecchio lastricato sconnesso della calle.
Ha visto migliaia di persone perdersi tra quelle vie, apparentemente uguali per un occhio poco allenato. Per chi non ci è cresciuto o non ci ha vissuto a lungo, Venezia è un labirinto.
Fortunatamente non è il suo caso.
Basta un’occhiata a quell’antico pozzo all’angolo della piazzetta, all’insegna di qualche vecchia osteria aperta da sempre, o una sbirciata a quel palazzo con i vetri colorati, al canale con la gondola legata sempre allo stesso fradicio ceppo.
I minimi particolari le sono più che sufficienti per orientarsi perfettamente.
Intorno alle otto, al porto e nei canali, tutti terminano di lavorare, anche d’estate quando la luce dura di più.
È già tardi. Ha solo qualche minuto.
Il canaletto minore che ha appena costeggiato sbocca in uno più grande, frequentato da gondole e battelli mercantili.
Non lontano da quell’incrocio di acque piccolo ma strategico vi sono alcune trattorie e qualche pescheria, quindi non è raro, verso sera, quando i pescherecci rientrano in porto, trovarvi alcuni scaricatori, con i loro garzoni, a recapitare pesce fresco per l’indomani.
E quando nell’aria si spande quell’odore penetrante di mare che conosce così bene, Ino sa di aver azzeccato la serata giusta.
Rallenta il passo, giusto per calmarsi un po’ e non sembrare troppo scossa e boccheggiante.
Sistema due ciocche di capelli dietro le orecchie, aggiusta un po’ camicetta e foulard, cerca di convincere i suoi piedi a non andare a fuoco dopo la corsa nelle scarpine nuove, ancora rigide.
Camminando, costeggia il canale, diretta al ponte che ne permette l’attraversamento, poco più avanti.
Attenta a non macchiare la gonna lunga sale i gradini e con apparente noncuranza si appoggia al parapetto, per guardare giù, verso l’acqua.
Scorge una vecchia barca, di quelle ancora a remi, accostata al bordo estremo del marciapiedi, su cui si regge, in equilibrio con una maestria tutta veneziana, un uomo intento a scaricare barili di pesce.
Riconosce il proprietario di una pescheria della zona nel vecchio che li raccoglie e li sistema su un carretto arrugginito.
Quando l’operazione è conclusa e sulla barchetta non restano più barili, lo scaricatore si siede, ed Ino può scorgere qualcun altro seduto all’estremità dell’imbarcazione, prima nascosto dalla figura del collega.
Ed è lui il motivo della sua fretta, del rossore alle guance che non se ne va nemmeno dopo che ha smesso di correre.
Corporatura minuta, anche troppo per un lavoratore del porto; pelle pallida, arrossata dal sole, con un segno chiaro sulla fronte sicuramente lasciato da un cappello di paglia; viso magro, affilato, capelli di un intenso rosso ramato.
Occhi azzurri, quasi più chiari del cielo, limpidi e trasparenti come il più pregiato vetro soffiato di Murano.
Gaara.

 

Avevano terminato il loro giro per la città, e la giornata, che era stata piena di chiacchiere, risate, confidenze e amichevoli frecciate, volgeva al termine.
Ino si sentiva felice e appagata. Era da un po’ che non vedeva la sua migliore amica, Sakura, e che non passava del tempo con lei.
Dopo un ultimo giro in piazza san Marco avevano preso la via del ritorno verso le rispettive case, peraltro site nel medesimo isolato.
Erano quasi le otto di quella serata di inizio estate, e le ultime merci giunte al porto stavano venendo smistate verso le loro destinazioni in città.
Stavano giusto attraversando un ponticello poco lontano dalla loro meta quando videro una piccola barca a remi carica di barili di pesce.
Un uomo riceveva dall’acquirente il denaro per la merce e lo contava attentamente mentre un ragazzo smunto che doveva essere il suo aiutante, lì a fianco, scaricava i barili.
“Guarda, le ultime fatiche della giornata.”
Scostandosi una ciocca di capelli dal viso, Sakura indicò con un cenno del capo gli scaricatori e il negoziante.
Si appoggiarono oziosamente al parapetto del ponticello, noncuranti, felici di un pretesto per rimandare ulteriormente il ritorno a casa.
“Già. Vista l’ora, poi andranno a casa. Soprattutto lui” – fece Ino, indicando il giovane – “Ha l’aria di uno che  gradirà una buona dose di riposo. Non sembra avvezzo a portare roba pesante…” concluse, scherzando senza malizia.
“Sssst! Non indicarlo, sei matta? Non hai visto chi è?”
Il tono allarmato di Sakura incuriosì Ino, che aveva sempre avuto un debole per i divieti, di qualunque natura fossero.
“Perché? No, non ho visto chi è. Anzi, non penso di averlo proprio mai visto prima. È così grave?”
Prima di rispondere l’altra si guardò un po’ intorno, come a controllare che nessuno potesse sentirle.
“Beh, lo chiamano Gaara. Nessuno sa il suo cognome, perché pare che sia nato da una relazione illegittima e che suo padre non voglia che la cosa si sappia. Dicono che non sia del tutto a posto, e che a volte diventi violento. Insomma, non indicarlo. Nessun problema se ci fermiamo sul ponte a chiacchierare, ma meglio non farsi notare da lui.”
Ino scoppiò a ridere, con il suo timbro di voce argentino, per nulla impressionata.
“Mi sembra di sentire mia madre, Fronte Spaziosa. ‘Non farti notare dalla gente poco raccomandabile, non girare per le calli che non conosci’ eccetera eccetera. Sarà solo un ragazzo un po’ difficile che ha litigato con la comare sbagliata, e da qui tutta la pittoresca storia.”
“Come vuoi, Scrofa. Continua a trillare come un campanello, allora, e poi non dire che non ti avevo avvertito.”
Ino alzò gli occhi al cielo, per poi ridacchiare di nuovo.
“Dai, scema, ora andiamo. Se siamo abbastanza brave, forse riusciremo a convincere entrambe le nostre madri che noi dobbiamo assolutamente cenare insieme.”
Rallegrata dalla prospettiva anche Sakura sorrise, prendendo l’amica a braccetto.
Mentre scendevano dal ponte, Ino lanciò un’ultima occhiata alle due figure sulla barca, cercando in particolare di scorgere il viso di quel Gaara.
Che si sollevò, verso di lei, giusto in quell'istante.
Occhi di un azzurro mai visto prima: Ino credeva che sfumature simili fossero proprie solo dei cristalli dei mastri vetrai.
Quello sguardo la trafisse, imprimendosi a fondo ben oltre le sue retine.

 

Arrossisce quando si sente squadrata da quel giovane indifferente, e si chiede a cosa stia pensando.
Ormai si sarà accorto che lei passa casualmente  di lì piuttosto spesso a quell’ora della sera, e se non è completamente fuori dal mondo avrà intuito di essere in qualche modo parte  del suo comportamento.
Ma non se ne preoccupa, o almeno non lo dà a vedere.
Se la sorprende a guardarlo, anche lui la guarda: nulla più.
Dopo un secondo lungo almeno un’ora, lo scaricatore più anziano fa un cenno al giovane.
Gaara distoglie lo sguardo e inizia a remare.
Ino segue la barca con gli occhi, finché non scompare alla prima svolta del canale.

 

**********

Sono un po’… stranita, è davvero da molto che non scrivevo.
Forse è per quello che la shot è  più breve dei miei standard. xD
Ringrazio, come sempre, chi ha letto, sperando sia stata una piacevole lettura, e naturalmente chi vorrà recensire.
Alla prossima! (Di questo passo sarà per il 2015, ma shhhht) :3

 

Panda

  
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