Venezia,
decennio
del 1950.
Gaara ed Ino.
Buona
lettura! :)
Calli,
canali e vetri di Murano
È
piovigginato tutto il giorno, ma adesso il cielo è limpido e
terso mentre sfuma
verso una tinta più cupa.
Sono quasi
le otto di una serata estiva frizzante, di quelle che entrano dalla
finestra
attraverso lievi correnti d’aria fresca, e quando sfiorano la
pelle trasmettono
un richiamo irresistibile.
Ino stava quasi per mettersi a letto, in
realtà: nonostante l’ora non particolarmente
tarda, distrutta dopo una giornata
quasi interminabile, aveva già indossato la camicia da notte
estiva, smanicata
e leggera, spazzolato i lunghi capelli biondi e agguantato un bel
romanzo dallo
scaffale dello studiolo.
Il letto, sormontato dalla zanzariera di
garza appesa ad una trave della piccola stanza mansardata, la attendeva
con le
sue invitanti lenzuola estive di lino.
Lei stava per tuffarvisi con gratitudine, ma
prima, come al solito, si era avvicinata all’abbaino della
camera per chiudere
gli scuri, e lì quel piccolo refolo d’aria
l’aveva colta impreparata, rinfrescandola
e lasciandole un piacevole brivido, la stanchezza svanita in un momento.
Con il sonno ormai ben lontano, c’era ancora
qualcosa che poteva fare prima di andare a nanna.
Se si fosse sbrigata.
Ci
ha messo
praticamente un attimo a decidere: lanciato il libro sulla scrivania in
legno,
si è sfilata la camicia da notte e ha spalancato il suo
vecchio armadio
tarlato.
Il
venticello che soffia per la sua piccola calle l’aiuta a
scegliere in fretta: camicetta,
golfino, foulard, lunga gonna a ruota che stringe alta in vita con una
cintura.
Non ha
voglia di attardarsi per sistemare i capelli, così li lascia
sciolti sulle
spalle.
Afferra una
vecchia borsa di cuoio, chiude alla bell’e meglio le finestre
e la porta –
tanto i suoi genitori torneranno tra poco, ormai avranno quasi finito
di
sistemare il negozio – e scende le scale del vecchio
condominio in velocità,
gradino per gradino.
Arriva nel
vecchio atrio del grande condominio d’inizio secolo, apre con
fatica il pesante
portone di legno scrostato con la maniglia di ottone e il suo tonfo
mentre le
si richiude alle spalle la elettrizza.
Fuori.
A volte,
quando è stufa dell’umidità, degli
insetti, delle muffe, dell’acqua che sale
inesorabile e degli stracci bagnati sotto le fessure delle porte per
fermarla,
Ino maledice Venezia, pensa che non la sopporta e che se mai
avrà l’occasione
per andarsene non se la farà sfuggire.
Ma in serate
come questa, quando la calura della stagione estiva stempera il freddo
della
laguna e la pioggerella già al suo termine lava i marciapiedi e
purifica l’aria dalla
solita cappa un po’ stagnante, allora si perderebbe per ore a
guardare la sua
città, e solo il pensare di lasciarla le sembra una follia.
Fruga nella borsa
consunta ed estrae il vecchio orologio che suo padre non usa
più: sono quasi le
otto e dieci.
Come colta
da un’illuminazione, comincia a correre, attenta a non
inciampare sul vecchio
lastricato sconnesso della calle.
Ha visto
migliaia di persone perdersi tra quelle vie, apparentemente uguali per
un
occhio poco allenato. Per chi non ci è cresciuto o non ci ha
vissuto a lungo,
Venezia è un labirinto.
Fortunatamente
non è il suo caso.
Basta un’occhiata
a quell’antico pozzo all’angolo della piazzetta,
all’insegna di qualche vecchia
osteria aperta da sempre, o una sbirciata a quel palazzo con i vetri
colorati, al
canale con la gondola legata sempre allo stesso fradicio ceppo.
I minimi
particolari le sono più che sufficienti per orientarsi
perfettamente.
Intorno alle
otto, al porto e nei canali, tutti terminano di lavorare, anche
d’estate quando
la luce dura di più.
È già tardi.
Ha solo qualche minuto.
Il canaletto
minore che ha appena costeggiato sbocca in uno più grande,
frequentato da
gondole e battelli mercantili.
Non lontano
da quell’incrocio di acque piccolo ma strategico vi sono
alcune trattorie e
qualche pescheria, quindi non è raro, verso sera, quando i
pescherecci
rientrano in porto, trovarvi alcuni scaricatori, con i loro garzoni, a
recapitare pesce fresco per l’indomani.
E quando
nell’aria si spande quell’odore penetrante di mare
che conosce così bene, Ino
sa di aver azzeccato la serata giusta.
Rallenta il
passo, giusto per calmarsi un po’ e non sembrare troppo
scossa e boccheggiante.
Sistema due
ciocche di capelli dietro le orecchie, aggiusta un po’
camicetta e foulard,
cerca di convincere i suoi piedi a non andare a fuoco dopo la corsa
nelle
scarpine nuove, ancora rigide.
Camminando,
costeggia il canale, diretta al ponte che ne permette
l’attraversamento, poco
più avanti.
Attenta a
non macchiare la gonna lunga sale i gradini e con apparente noncuranza
si
appoggia al parapetto, per guardare giù, verso
l’acqua.
Scorge una vecchia
barca, di quelle ancora a remi, accostata al bordo estremo del
marciapiedi, su
cui si regge, in equilibrio con una maestria tutta veneziana, un uomo
intento a
scaricare barili di pesce.
Riconosce il
proprietario di una pescheria della zona nel vecchio che li raccoglie e
li
sistema su un carretto arrugginito.
Quando l’operazione
è conclusa e sulla barchetta non restano più
barili, lo scaricatore si siede,
ed Ino può scorgere qualcun altro seduto
all’estremità dell’imbarcazione, prima
nascosto dalla figura del collega.
Ed è lui il
motivo della sua fretta, del rossore alle guance che non se ne va
nemmeno dopo che
ha smesso di correre.
Corporatura
minuta, anche troppo per un lavoratore del porto; pelle pallida,
arrossata dal
sole, con un segno chiaro sulla fronte sicuramente lasciato da un
cappello di
paglia; viso magro, affilato, capelli di un intenso rosso ramato.
Occhi
azzurri, quasi più chiari del cielo, limpidi e trasparenti
come il più pregiato
vetro soffiato di Murano.
Gaara.
Avevano terminato il loro giro per la
città,
e la giornata, che era stata piena di chiacchiere, risate, confidenze e
amichevoli frecciate, volgeva al termine.
Ino si sentiva felice e appagata. Era da un
po’ che non vedeva la sua migliore amica, Sakura, e che non
passava del tempo
con lei.
Dopo un ultimo giro in piazza san Marco avevano
preso la via del ritorno verso le rispettive case, peraltro site nel
medesimo
isolato.
Erano quasi le otto di quella serata di
inizio estate, e le ultime merci giunte al porto stavano venendo
smistate verso
le loro destinazioni in città.
Stavano giusto attraversando un ponticello
poco lontano dalla loro meta quando videro una piccola barca a remi
carica di
barili di pesce.
Un uomo riceveva dall’acquirente il denaro
per la merce e lo contava attentamente mentre un ragazzo smunto che
doveva
essere il suo aiutante, lì a fianco, scaricava i barili.
“Guarda, le ultime fatiche della giornata.”
Scostandosi una ciocca di capelli dal viso,
Sakura indicò con un cenno del capo gli scaricatori e il
negoziante.
Si appoggiarono oziosamente al parapetto del
ponticello, noncuranti, felici di un pretesto per rimandare
ulteriormente il
ritorno a casa.
“Già. Vista l’ora, poi andranno a casa.
Soprattutto lui” – fece Ino, indicando il giovane
– “Ha l’aria di uno che
gradirà una buona dose di riposo. Non sembra
avvezzo a portare roba pesante…” concluse,
scherzando senza malizia.
“Sssst! Non indicarlo, sei matta? Non hai
visto chi è?”
Il tono allarmato di Sakura incuriosì Ino,
che aveva sempre avuto un debole per i divieti, di qualunque natura
fossero.
“Perché? No, non ho visto chi è. Anzi,
non
penso di averlo proprio mai visto prima. È così
grave?”
Prima di rispondere l’altra si guardò un
po’
intorno, come a controllare che nessuno potesse sentirle.
“Beh, lo chiamano Gaara. Nessuno sa il suo
cognome, perché pare che sia nato da una relazione
illegittima e che suo padre
non voglia che la cosa si sappia. Dicono che non sia del tutto a posto,
e che a
volte diventi violento. Insomma, non indicarlo. Nessun problema se ci
fermiamo
sul ponte a chiacchierare, ma meglio non farsi notare da lui.”
Ino scoppiò a ridere, con il suo timbro di
voce argentino, per nulla impressionata.
“Mi sembra di sentire mia madre, Fronte
Spaziosa. ‘Non farti notare dalla gente poco raccomandabile,
non girare per le
calli che non conosci’ eccetera eccetera. Sarà
solo un ragazzo un po’ difficile
che ha litigato con la comare sbagliata, e da qui tutta la pittoresca
storia.”
“Come vuoi, Scrofa. Continua a trillare come
un campanello, allora, e poi non dire che non ti avevo
avvertito.”
Ino alzò gli occhi al cielo, per poi ridacchiare
di nuovo.
“Dai, scema, ora andiamo. Se siamo
abbastanza brave, forse riusciremo a convincere entrambe le nostre
madri che
noi dobbiamo assolutamente cenare insieme.”
Rallegrata dalla prospettiva anche Sakura
sorrise, prendendo l’amica a braccetto.
Mentre scendevano dal ponte, Ino lanciò un’ultima
occhiata alle due figure sulla barca, cercando in particolare di
scorgere il
viso di quel Gaara.
Occhi di un azzurro mai visto prima: Ino credeva
che sfumature simili fossero proprie solo dei cristalli dei mastri
vetrai.
Quello sguardo la trafisse, imprimendosi a
fondo ben oltre le sue retine.
Arrossisce
quando si sente squadrata da quel giovane indifferente, e si chiede a
cosa stia
pensando.
Ormai si
sarà accorto che lei passa casualmente
di
lì piuttosto spesso a quell’ora della sera,
e se non è completamente fuori dal mondo avrà
intuito di essere in qualche modo
parte del suo
comportamento.
Ma non se ne
preoccupa, o almeno non lo dà a vedere.
Se la
sorprende a guardarlo, anche lui la guarda: nulla più.
Dopo un
secondo lungo almeno un’ora, lo scaricatore più
anziano fa un cenno al giovane.
Gaara
distoglie lo sguardo e inizia a remare.
Ino segue la
barca con gli occhi, finché non scompare alla prima svolta
del canale.
**********
Sono
un po’…
stranita, è davvero da molto che non scrivevo.
Forse è per
quello che la shot è più
breve dei miei
standard. xD
Ringrazio, come sempre, chi ha letto, sperando sia stata una piacevole
lettura,
e naturalmente chi vorrà recensire.
Alla
prossima! (Di questo passo sarà per il 2015, ma shhhht) :3
Panda