Anime & Manga > Trinity Blood
Ricorda la storia  |      
Autore: Sundy    28/01/2008    6 recensioni
Di come l'inquisitore Pietro imparò a sue spese la vita segreta delle aragoste, e l'intoccabilità della pipa del professore ^__-
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Negli anni della sua lunga permanenza sul suolo romano, l’accademico privo di titolo più noto come William Walter Wordsworth si era macchiato di una serie di imperdonabili delitti, rimasti, con somma soddisfazione del loro fautore e dell’istituzione di cui egli faceva parte, impuniti. Tra questi episodi incresciosi vi erano da annoverare la misteriosa sparizione di tutti i sigilli in dotazione alla Congregazione per la Dottrina della Fede, circostanza che aveva costretto i membri dell’uffizio ad avvalersi di quelli gentilmente prestati dai solerti collaboratori di Caterina Sforza per autenticare i loro atti ufficiali per il tempo necessario alla forgiatura di nuovi sigilli; o, in seguito, la misteriosa comparsa di una sostanza colorante che da un giorno all’altro aveva iniziato a macchiare di un cinabro tenace le ginocchia di chiunque si inchinasse sul grande tappeto persiano dell’ufficio di Sua Eccellenza il Granduca De' Medici, allordando in maniera irreversibile la veste di due vescovi, sette prelati, un ambasciatore di re Ludwig che doveva incontrare il Granduca in grande, grandissimo segreto, e un numero di sorelle e novizie di difficile estimazione.

Nonostante fosse impossibile trovare una prova più concreta di una volatile ammissione verbale, lasciata solo velatamente intuire ai più stretti confidenti, il Segretario della Santa Inquisizione, Fratello Petros, era pervaso da una certezza radicata quanto la sua incrollabile fede e la sua personale devozione alla Vergine Maria che la responsabilità dei numerosi inspiegabili incidenti che avevano investito la Congregazione fosse da attribuire alla parallela organizzazione agli ordini del segretario Sforza, l’AX.
L’esasperazione di Fratello Petros raggiunse il colmo quando si vide riconsegnare da una giovane impiegata delle pontificie tintorie molto prossima alle lacrime, un involto di un delicato rosa corallo che aveva presumibilmente varcato le soglie delle lavanderie nella più familiare forma della sua scarlatta veste di battaglia. Furibondo di rabbia, si precipitò nello studio privato di quello che il suo sesto senso animale gli indicava, non a caso, come il diretto responsabile di quella inspiegabile catena di flagelli ai danni della prestigiosa istituzione cui Pietro Orsini aveva consacrato la sua vita e con un pugno ben assestato sul piano della scrivania fece intendere al collega che pretendeva una spiegazione.
William W. Wordsworth non aveva mai tollerato le esibizioni di forza bruta e gli sfoghi di rabbia su oggetti innocui e incapaci di difendersi, ma una lunga ginnastica di diplomazia e serate al circolo del poker gli avevano insegnato a non lasciar trapelare nessun turbamento dalla cristallinità cerulea dei suoi occhi calmi. Solo vagamente meravigliato, domando al collega ulteriori delucidazioni, suscitandogli, come voluto, una rabbia ancor più ribollente con la sua ostentata indifferenza.
- Non mi prendere per il culo, inglese! – gridò Pietro, facendo tremare le vetrine delle sue preziose librerie antiche – lo so benissimo che sei stato tu! Tutte le volte!
- Perdonatemi – replicò William serafico, appoggiando la pipa che stava caricando sulla scrivania – ma non ho proprio idea di quale sia la cagione di tanta rabbia, Fratello Petros...
- Non tollero di essere chiamato ‘fratello’ da un eretico! - le mani enormi del montanaro si abbatterono ancora una volta, violentemente, sul piano della scrivania - come non tollero che un eretico si prenda gioco della mia Congrega!
La scrivania di William, ricercato pezzo di artigianato italiano del diciannovesimo secolo, era solida e preparata a subire urti e malmenamenti, ma quell’ultimo colpo, assestato con una foga sovrumana, fece letteralmente sobbalzare il piano di legno massello, scaraventando a terra il piccolo mappamondo che stava appoggiato sul margine destro, che si aprì in due toccando il pavimento. Quell’incidente sembrò placare l’ira dell’inquisitore, che farfugliando qualcosa di incomprensibile si affrettò a raccogliere i pezzi e ad appoggiarli di nuovo sulla scrivania prima di accomiatarsi precipitosamente, ma così facendo il Segretario non poté cogliere il guizzo di luce omicida che si era acceso negli occhi del professore nel constatare che anche la sua pipa, ricordo dell’amatissima nonna materna, era stata sbalzata a terra, fortunatamente senza conseguenze, dalla furia scatenata di Fratello Petros.

La vendetta del membro più anziano dell’AX si fece attendere solo il tempo necessario ad allontanare da William ogni sospetto che non fosse scaturito da un discutibile e colpevole pregiudizio. Di ritorno da una parata ufficiale tenutasi sotto il sole cocente del giugno capitolino, il Segretario della Congregazione per la dottrina della fede si trovò impossibilitato ad uscire dalla infrangibile corazza che era il suo vanto ed il suo orgoglio, in quanto, sotto l’effetto di chissà quale sofisticato reagente chimico versatovi sopra con tempismo sapiente, le cinghie che la tenevano saldamente ancorata alla sua erculea persona si erano inspiegabilmente trasformate in un ammasso colloso di materia amorfa, fusa al metallo con la tenacia con cui i cristalli di diverso minerale sono uniti a formare il granito.
A nulla valsero i tentativi, sempre più fiochi e timorosi al crescere dell’insofferenza del Segretario, di tirarlo fuori da quella trappola di latta e cuoio fuso: staccare le due parti di quel guscio infrangibile con il solo uso della forza bruta era di fatto impossibile. Ma una tenacia ai limiti della cocciutaggine era sempre stato il carattere distintivo della Congregazione per la Dottrina della Fede: ci vollero quattro ore di volenteroso quanto inutile accanimento per convincere i Carabinieri dell’Inquisizione che estrarre il Segretario dalla sua corazza senza distruggere né l’uno né l’altra era un obbiettivo al di là della loro portata; altre quattro ne occorsero per convincere Pietro, più paonazzo, irritato e non collaborativo che mai, che l’unica persona a cui rivolgersi per avere un aiuto immediato, e presumibilmente efficace, era quell’eretico di un inglese che rispondeva all’impronunciabile nome di William Walter Wordsworth.
Issata la imponente mole di Fratello Petros, per cui era diventato impossibile scendere anche un solo piano di scale senza provare atroci sofferenze, su di un carrello portapacchi, un piccolo manipolo di uomini capitanati dal giovane Andrea, che tratteneva a stento continue crisi di riso, si diresse verso l’officina situata ai piani bassi del quartier generale dell’AX, dove William li ricevette con puntualità anglosassone, ma fermamente intenzionato a prendersela comoda. Con assoluta serietà chiese ai soldati di aiutare il loro comandante a scendere dal carrello, e, con una pacata fermezza che non ammetteva repliche e che quegli uomini abituati all’obbedienza non osarono contestare, che lo lasciassero solo con il Segretario; un confronto a due gli sembrava più indicato per il compimento della sua vendetta.

- Dottore – esordì il gigante, sforzandosi di non digrignare i denti e parlando con un tono di voce da ospedale, forzosamente sommesso, ma William, impietoso, non gli concesse nemmeno l’ombra di una tregua prima di mettere in atto il pungolamento solenne col quale aveva intenzione di torturarlo durante la lunga operazione di salvataggio
- Ad essere onesti, non ho mai conseguito un dottorato, Pandini…
La reazione di Pietro non si fece attendere – Orsini!! – sbraitò dimenandosi, e quell’agitazione non fece altro che acuire la crudeltà della morsa che l’armatura stringeva sulla sua carne, strappando al guerriero della fede un sommesso guaito di dolore.
- Quanto tempo è che siete… incastrato in quel modo? –domandò William, ostentando un clinico disinteresse
- Otto ore – grugnì Pietro, stirando le dita della mano destra, ormai gonfie e rosse come salsiccie
- Oh, sareste dovuto venire da me prima, collega – cinguettò William gioviale, mentre estraeva dal cassetto utensili metallici di forma e funzione equamente improbabili
- Sono otto ore che non posso andare in bagno… - continuò a borbottare Pietro, senza prestare la minima attenzione al suo balletto
- Volete che vi attacchi un catetere, Plantigradi…?
- No!! – ruggì l’altro, provocandosi una intensa quanto inutile recrudescenza del dolore – e poi, è Orsini!!!
- Ah! Scusatemi... – disse William sventolando una mano davanti al viso in quella ostentata parodia di se stesso – sono così smemorato con i cognomi stranieri… del resto, se non volete che mi rivolga a voi col vostro nome da religioso… ma siete davvero sicuro che non volete un catere?
- Non lo voglio! – tagliò corto l’altro, sbattendo la mano sul bracciolo della poltrona da barbiere su cui William lo aveva fatto accomodare. Il dolore insistente a cui quella stretta di acciaio lo sottoponeva era troppo intenso perché Pietro potesse formulare alcun pensiero su quale amoralissima applicazione una poltrona da barbiere potesse trovare in quella specie di bazar di ferraglia e congegni improbabili che era l’officina di padre Wordsworth.
- Si rilassi, Segretario, è la poltrona più comoda di tutta Roma, ed ho un campione statistico sufficiente a confermarlo – disse William, con un sorriso malizioso che suscitò nell’altro un’urgenza istintiva di farsi il segno della croce, più spaventato dalla non folle prospettiva che quell’eretico di un inglese avesse imparato a leggere nel pensiero, che dal numero certamente esorbitante di venditrici d’amore che avevano avuto modo di sperimentare l’inaspettata versatilità delle vecchie sedie da barbiere tra le mura di quella stessa officina.Gli era però impossibile formulare alcun genere di scongiuro atto ad allontanare il maligno che aveva senza dubbio salde radici in quel luogo, in quanto il livello di costrizione a cui erano arrivate le sue membra non gli permetteva più di alzare le braccia. William esaminò con cura la sua enorme mano rinchiusa in quella trappola per topi, e per la prima volta in quel pomeriggio provò un vago alone di senso di colpa.
- Quanto ci vorrà? – grugnì Pietro, sforzandosi di non farsi venire gli occhi lucidi per il dolore - Non molto, ma se non vi agitate mi semplificherete il lavoro, Orsoni …
- Orsini !!!!
- Orsini, sì, mi scusi… dovrò far saltare le cinghie con lo scalpello, dopo averle addolcite con un reagente antagonista… - disse stillando alcune gocce di un liquido ambrato sul cuoio fuso con una spruzzetta. Lo stato d’animo di Pietro oscillava tra la volontà di staccare la testa dal collo a quell’infame laureato che, ora ne aveva la certezza, con le sue vastissime conoscenze chimiche, era l’unico capace di compiere la stregoneria con cui lo aveva reso prigioniero della sua stessa corazza, certezza confermata dal fatto nemmeno vagamente dissimulato che William era già da tempo dotato di un antidoto efficace per risolvere il problema e un'irrazioneale gratitudine nel vedersi finalmente prossimo alla fine di quella sofferenza insopportabile.
Chi conosceva bene il professor Wordsworth sapeva che il solo svolgere lavori manuali faceva sì che le sue labbra sottili si piegassero di riflesso in un mezzo sorriso soddisfatto, ma su Pietro, che di questa sua abitudine non era al corrente, quella particolare espressione ebbe l’immediato effetto di rinfocolare la rabbia che il leggero sollievo di sentire le cinghie allentarsi aveva fatto percettibilmente decrescere.
- Sarete soddisfatto della vostra opera maligna – ringhiò mentre William si chinava a versare le ultime gocce di liquido sulle sue ginocchia congestionate
- Siete in errore, Orsetti – rispose William con una calma tanto sicura che colpì Pietro tanto da distrarlo dal protestare per l’ennesima storpiatura del suo cognome. William impugnò il martelletto, lo scalpello, e con un colpo sicuro, ruppe la cinghia che teneva il gambale destro ben conficcato nei muscoli intirizziti delle sue cosce – dopotutto, non è colpa mia se voi siete nato aragosta.. - Pietro lasciò andare un sospiro di parziale sollievo, tanto dolce che sentirsi definire un’aragosta non gli provocò il benché minimo turbamento. William non poté astenersi dall’insistere - Potete incolpare me del vostro incidente, ma vedete, la prima colpa è dell’eccessiva tenacia della vostra fede.
- che… che cosa?! – ruggì Pietro indignato, agitandosi sulla sedia – questa è la peggior eresia che…
- Sbagliato - rispose William assestandogli un familiare colpetto con lo scalpello sulla fronte statuaria, consapevole che qualunque movimento avrebbe procurato a Pietro un dolore tale da scoraggiare ogni sua reazione violenta – biologia, Fratello, questa è biologia, non eresia…
- La tua blasfemia ti farà ardere all’Inferno, inglese – sibilò il gigante con una solennità un po’ ridicola, mentre William gli liberava, temerariamente, il braccio destro
- Può darsi, ma resta il fatto che io sono un autentico mammifero mentre voi siete un’aragosta, in tutto e per tutto, Fratello.. sapete quali sono le uniche due alternative scheletriche possibili per gli animali? - Pietro taceva, corrucciato. Evidentemente non aveva mai nutrito alcun interesse per la storia naturale, ma William ritenne lo stesso opportuno proseguire la lezione, mentre faceva saltare ad una ad una le cinghie che gli costringevano il torace - Per ancorare i muscoli e permettere il movimento, si possono stabilire due sistemi radicalmente diversi di struttura di sostegno del corpo: ci si può fare uno scheletro interno, e lasciare verso l’esterno un corpo molle, o trattenere muscoli e organi all’interno di un formidabile rivestimento esterno, l’esoscheletro. Certo, la prima soluzione non garantisce la protezione e l’invulnerabilità a calore, disidratazione, contusioni e tentazioni varie, ma permette di avere una crescita continua. Invece– aggiunse, con una pedanteria addolcita da un'imprevista nota affettuosa che all’inquisitore ricordò il suo vecchio padre, seduto nel canto del focolare della sua casa di legno e pietra, persa nell’Appennino – quando uno si costruisce una corazza troppo stretta addosso, Pietro, non ha altra scelta che romperla, se vuole continuare a crescere.

Con un colpo deciso di scalpello la mano precisa di William fece saltare l’ultimo dei legacci che impedivano al gigante di respirare, ma contrariamente alle sue previsioni, Pietro, finalmente libero, non si strappò la corazza di dosso per precipitarsi alla toilette più vicina. Si spogliò con lentezza, la fronte corrucciata sopra a qualche pensiero che non gli permetteva di assaporare a pieno il sollievo della liberazione, e bofonchiando qualche ringraziamento goffo ma sincero, se ne andò con grandi passi pesanti, lasciando padre Wordsworth a crogiolarsi nella vanagloriosa impressione di essere riuscito a insinuare in quella sua mente quadrata e monocorde un pensiero che il Segretario, se l’avesse visto agitarsi nella mente di un altro, avrebbe probabilmente considerato pericoloso.
  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Trinity Blood / Vai alla pagina dell'autore: Sundy