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Autore: FairyFrida    16/07/2013    2 recensioni
Inkspell | What if?
Passò di fianco a uno storpio che chiedeva l’elemosina, superò un crocicchio di bambini che giocava a campana e si inoltrò nel Vicolo dei Linaioli, senza vedere davvero i contorni di ciò che lo circondava. Avrebbe fatto riparare il suo farsetto e poi sarebbe tornato sulle piazze, a fare l’unica cosa che dopo tutti questi anni gli era rimasta; al diavolo i sogni, i sentimenti, la cieca ripugnanza nei confronti delle fiamme che gli avevano portato via la sua donna.
Happy Birthday, Daniela!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dita di Polvere, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Is it only wonder or
do birds still sing for you?









And all I want is the taste
That your lips allow



Era una delle cucitrici del Vicolo dei Linaioli, e se ne stava in bilico in quell’età in cui le ragazze non sono più bambine ma non hanno ancora raggiunto l’età da marito. Teneva i capelli castani legati in una serrata treccia a spiga, perché così era di abitudine tra chi era impiegato nei lavori di tessitura e filatura. Ma nelle sere d’estate li scioglieva, lunghi sulle sue spalle e sui suoi vestiti stretti in vita.
Danzava nella corte esterna del castello di Ombra come una tempesta furiosa o come una libellula delicata, sulla scia del ritmo ora incalzante ora struggente dettato dagli strumenti dei suonatori. Il suo nome era Caterina; così la chiamavano le compagne tra un ballo e l’altro, annunciando il nome di quell’amica che era appena arrivata o di quell’apprendista che avevano deciso sarebbe stato l’oggetto delle loro attenzioni per quella serata. Ma lei non aveva occhi che per lui, per il giovane mangiafuoco che nell’angolo della piazza faceva i suoi spettacoli con fiori di fuoco e scintille.
Il Popolo dai Mille Colori poteva vantare molti buoni artisti, ma Caterina era convinta che lui fosse il migliore di tutti. Lui con il fuoco aveva un legame speciale: non si limitava a farselo strusciare sulla pelle come un gatto subdolo, ma lo carezzava come avrebbe fatto con una fanciulla innamorata, incoraggiandola con parole dolci e facendola trionfare gloriosamente davanti a tutti.
Ogni volta, dopo aver danzato ed essersi abbuffata di mirtilli sottratti di nascosto dal banchetto della frutta, Caterina seminava le sue frivole amiche e, facendosi spazio tra la folla raccoltasi attorno al mangiafuoco, andava a sedersi in prima fila, le gambe incrociate e lo sguardo fisso su quel mantello sporco di fuliggine che si dimenava come un paio d’ali.
Spesso se ne andava prima che lui terminasse il suo numero, silenziosa quanto la martora che lui si portava sempre appresso, ma ogni tanto era successo che l’avesse aiutato a ritirare il suo materiale - le fiaccole annerite, le palle colorate, le bottiglie di vetro. E in quei momenti, oh, il sorriso gentile e un po’ sfrontato che lui le rivolgeva la ripagava di tutti i rimproveri che riceveva a casa per essere tornata più tardi del previsto.
Poi, alla festa d’autunno, lui aveva fatto fiorire un bocciolo fiammeggiante ai suoi piedi e lei non era corsa via dopo avergli dato una mano con le sue cose. Erano andati via insieme, lui con il suo inseparabile zaino sulle spalle e lei con le dita macchiate di fuliggine.
« Devo andare a sciacquare le bottiglie, mi accompagni? » le aveva chiesto mentre passavano di fronte a un incantatore di serpenti.
« Sì » aveva accettato lei entusiasta. « Mi chiamo Caterina. »
« Dita di Polvere. Ti piacciono i miei spettacoli? »
« Li adoro, sei molto bravo. Ti chiami davvero “Dita di Polvere” o è un nome d’arte? »
« È il mio nome» confermò lui. « Ci sono nato, con le fiamme sui polpastrelli. »
« Non fatico a crederlo » rise Caterina.
Era iniziata così; con il ruscello, gli schizzi, i sassi scivolosi, il capitombolo in acqua e lui che l’aveva accompagnata fin sotto casa, i randagi che gli insidiavano le caviglie.
« È stato molto divertente » aveva detto lei, i capelli umidi annodati sulla nuca. Lui le aveva preso le mani e le aveva posato un bacio veloce sulle labbra, prima di scomparire furtivo nell’oscurità del vicolo.
A partire da quella sera erano diventati inseparabili, rapiti entrambi dalla dolce spensieratezza degli amori adolescenziali; le fughe nel bosco, i pomeriggi passati a imitare il verso delle allodole, i numeri che Dita di Polvere improvvisava per lei: tutto sembrava far parte di un sogno da cui Caterina sperava di non doversi svegliare mai.
Ma arrivò l’inverno, e suo padre le trovò un posto sulla Rosa del deserto, una nave mercantile diretta alle lontane terre orientali, dove avrebbe rammendato e cucito per il comandante e per i suoi uomini; e lei fu costretta ad abbandonare tutto: le amiche, le feste, la musica e Dita di Polvere. Aveva protestato, aveva difeso i suoi sentimenti e i suoi desideri con rabbia, ma l’inflessibilità di suo padre aveva avuto la meglio: sarebbe partita, avrebbe fatto il suo dovere a bordo e poi avrebbe trovato un buon partito tra i ricchi commercianti di oltremare, in modo da sostenere economicamente la famiglia come ci si aspettava dal primogenito.
Il giorno in cui la nave salpò, Dita di Polvere nemmeno venne a salutarla; Caterina conosceva la sua indole codarda e la sua avversione per i sentimentalismi, eppure non riuscì a perdonarlo per non averle lasciato un ultimo bacio da poter rivivere sulle labbra per sentirsi meno lontana. Durante la traversata e le frequenti soste nei porti principali della tratta, vide numerose meraviglie: banchi di coralli e spiagge bianche, uova di drago e piccole sculture di vetro soffiato; ma ogni sera si ritrovava a passeggiare sul bagnasciuga, i sandali in mano, e immaginava di danzare tra le onde e di vedere sbocciare corolle di fuoco dall’acqua torbida.



*


Give me love, like her
‘Cos lately I’ve been waking up alone


Dita di Polvere inspirò a pieni polmoni. Aria di casa, avrebbe potuto pensare. Certo, c’erano bancarelle di pasticcini al miele, banchi di spezie provenienti da oltremare, folletti dei cristalli che sporgevano le loro braccine sottili oltre le sbarre di ferro delle gabbiette in cui erano rinchiusi; eppure come avrebbe potuto godere di tutto questo quando ciò per cui era tornato, ciò per cui quei dieci anni erano stati maledettamente lunghi, non c’era più?
Passò di fianco a uno storpio che chiedeva l’elemosina, superò un crocicchio di bambini che giocava a campana e si inoltrò nel Vicolo dei Linaioli, senza vedere davvero i contorni di ciò che lo circondava. Avrebbe fatto riparare il suo farsetto e poi sarebbe tornato sulle piazze, a fare l’unica cosa che dopo tutti questi anni gli era rimasta; al diavolo i sogni, i sentimenti, la cieca ripugnanza nei confronti delle fiamme che gli avevano portato via la sua donna.
Oltrepassò l’entrata della prima bottega che trovò, lasciandosi di lato la porta di legno rovinata dalle intemperie e logorata dal passare del tempo - come lui, un guscio vuoto che non apparteneva più a nulla se non a se stesso.
« Salve » disse, rivolgendosi all’anziano appollaiato dietro il bancone. « Le tarme hanno intaccato il mio mantello; riesce a rattopparmelo entro il tramonto? »
Il sarto valutò i buchi nella stoffa, poi chiamò una delle cucitrici impegnate nel locale attiguo.
« Sarà necessario un lavoro di precisione » le comunicò una volta che lei lo ebbe raggiunto. Dita di Polvere le rivolse un’occhiata distratta: l’unica donna di cui gli importava più ormai era sua figlia Brianna, che a sentire Balla con le Nuvole si era trasferita in pianta stabile negli appartamenti della Brutta. Irraggiungibile, quindi - quasi quanto le altre due.
« Ho già riparato danni simili. L’indirizzo a cui consegnarlo? » chiese la donna rivolgendosi direttamente a lui. Teneva il mantello tra le mani come se fosse un’oggetto prezioso, e non una vecchia e lisa pezza di tessuto qual era in realtà.
« Aspetto qui fuori; non sono un uomo molto impegnato » rispose Dita di Polvere rivolgendole una smorfia triste. Lei annuì, poi scomparve nuovamente nel retrobottega.
Salutato il sarto con un cenno della mano, il mangiafuoco andò a sedersi sui gradini di pietra sbeccata lì di fronte; poi estrasse alcune palle dallo zaino e cominciò a farle roteare descrivendo un ovale sopra la sua testa. I suoi movimenti svelti erano ormai automatici al punto da potersi permettere di lasciarsi distrarre dalle immagini che gli affollavano la mente, e subito una piccola fattoria in rovina apparve davanti ai suoi occhi come una visione.
Non ce l’aveva fatta a non recarsi nel luogo in cui lei aveva cessato di vivere, dove il fuoco aveva divorato Roxane, vesti, carni, cuore, tutto. Aveva visto i muri anneriti, le piante infestanti che ricoprivano il pozzo, il recinto del pollaio marcito dalla pioggia: ogni cosa trasudava odio e dolore. Un nome era uscito dalla bocca inizialmente reticente di Balla con le Nuvole: Volpe di Bragia, con la sua banda di incendiari orfani di Capricorno. Da quel momento, ogni notte nei suoi sogni Dita di Polvere vedeva quell’odiato viso cavallino contorcersi nelle fiamme, e il mantello di code di volpe prendeva vita e azzannava il suo padrone ancora e ancora.


*


Lo aveva riconosciuto subito, nonostante le cicatrici sul volto e lo sguardo carico di dolore. Certo, erano passati tanti anni dall’ultima volta che lei bambina gli aveva sfiorato il viso, ma Dita di Polvere sembrava invecchiato di una vita intera.
Caterina carezzò la stoffa e la tese per controllare che il rammendo fosse sufficientemente resistente. Era tornata ad Ombra tre anni prima, sfuggita al marito che non aveva mai desiderato come una lepre che sguscia dalla gabbia in cui è stata rinchiusa. In abiti maschili, si era intrufolata come mozzo su una tartana diretta alla Rocca delle Tenebre ed era rimasta a lavorare per un periodo al Cronicario; era lì che aveva risentito il nome di Dita di Polvere, un nome che portava con sé tanti ricordi e altrettanti rimpianti. Il Barbagianni ne parlava spesso, anche se erano ormai tre anni che di lui non si sapeva più nulla, scomparso come la neve sulle cime dei pini in una mattina di sole. Poi Caterina era ripartita: era tornata all’ombra dei merli del castello che tanto aveva amato da ragazza, convinta che se Dita di Polvere avesse fatto ritorno era in quel luogo che l’avrebbe ritrovato.
Lo guardò ancora una volta dalla soglia della bottega: osservava assorto la piazzetta in cui sfociava il vicolo, con quell’aria malinconica che da sempre gli era caratteristica.
« Ecco, è come nuovo » annunciò, avvicinandosi e porgendogli il farsetto accuratamente piegato. Bambine con nastri nei capelli correvano sull’acciottolato, l’aria era tiepida e il profumo intenso dei tigli in fiore si diffondeva tutt’intorno.
« Ti ringrazio » le disse lui, spolverandosi i pantaloni di panno e frugando nelle tasche in cerca di qualche moneta da darle come compenso.
« Lascia » lo fermò lei, toccandogli il polso in un gesto istintivo. Poi aggiunse: « Siamo a posto così... Dita di Polvere. »
Lui le rivolse uno sguardo interrogativo; evidentemente il suo caschetto corto e qualche ruga di espressione attorno agli occhi bastavano perché non riuscisse a riconoscerla. Una consapevolezza amara si diffuse nella mente di Caterina; troppo tempo, troppe persone, troppe vicissitudini li avevano tenuti lontani.
« Noi ci conosciamo » gli ricordò, raccogliendo le falde della gonna e sedendosi accanto a lui. « Ricordi il ruscello delle allodole? »
Un bagliore di comprensione attraversò le iridi del mangiafuoco, e l’ombra di un sorriso apparve sulle sue labbra screpolate. « Ciao, Caterina. »
Lei annuì; dopo così tanti anni il suo nome continuava a sembrare più bello, se pronunciato dalla voce di Dita di Polvere.
« Ho saputo delle tue perdite. Ti sono vicina, lo sai » sussurrò con tono dispiaciuto. Ricordava perfettamente la sera in cui il Barbagianni aveva ricevuto la pergamena che annunciava la tragedia, e Bella accasciata su una sedia, il volto rigato di lacrime. Roxane faceva spesso visita al Cronicario; arrivava ogni volta all’alba con una mula carica di erbe medicinali e impacchi curativi per i malati.

« Avrei dovuto esserci » mormorò lui, il viso sfregiato tra le mani ruvide. « A me il fuoco avrebbe dato ascolto. »

« Non incolparti; gli incendiari sono crudeli, avrebbero potuto uccidervi tutti comunque. A loro basta una coltellata tra le scapole, non gl’importa dell’onore. »

« Non potevo tornare, capisci? » proseguì Dita di Polvere. « Ci ho provato, ogni giorno per dieci anni; ma di cento tentativi e altrettante speranze, uno per uno si sono rivelati vani. Ho tradito, ho commesso degli errori; tutto ciò che ho fatto è stato sempre e solo per poterle rivedere. Ma ho fallito. »

Alcune cose suonavano strane e incomprensibili all’orecchio di Caterina - che luogo orribile è, quello da cui non riesci a fuggire per dieci anni? -, ma preferì non fare ulteriori domande per non far rivivere a Dita di Polvere ulteriori sofferenze.
In un frullar d’ali, un uccellino grande quanto una mano umana si posò ai piedi del mangiafuoco; piegò il capino e scrutò i suoi lunghi capelli con i suoi attenti occhi neri. Poi, con un gorgheggio gioioso, spiccò il volo e scomparve oltre i tetti e le grondaie.
« È stata soltanto la mia immaginazione o gli usignoli cantano ancora per te? » sorrise Caterina.

« Festeggiano il mio ritorno » scherzò Dita di Polvere, lo sguardo perso nel cielo azzurro.

« Lo indosserai stasera? » gli chiese, porgendogli il farsetto dalle ampie maniche.

« È quello che devo fare » rispose lui, atono.

« Presto ritroverai la tua passione, ne sono sicura » lo incoraggiò Caterina stringendogli una mano tra le sue.

« Verrai a vedermi? »

« Sai che verrò. Verrò sempre. »



*


C’è un mangiafuoco che si esibisce in un angolo buio della corte esterna del castello di Ombra, e i suoi germogli di fuoco sbocciano come mille stelle appena nate. E c’è una donna che lo osserva, un po’ in disparte rispetto alla calca di curiosi. Molti la conoscono come la cucitrice di Mastro Giorgio; altri - le malelingue, specialmente - come colei che è fuggita dal marito e ha gettato disonore sulla sua famiglia; altri ancora come la giovane donna che balla alle feste, la gonna lunga a sfiorarle le caviglie. Non si tratta di Roxane, né lei desidera prendere il suo posto ora che la ferita causata dalla sua morte brucia ancora nel cuore di Dita di Polvere. Caterina ha scelto di stare vicino all’uomo che ha amato, e rispetta il suo dolore cercando di dargli affetto e conforto. Un giorno, forse, si ameranno di nuovo, e torneranno al ruscello delle allodole come due giovani innamorati.




















Frida’s corner ~

L’idea per questa storia è nata per Daniela, perché oggi è il suo compleanno e scriverle una Caterina/Dita di Polvere mi sembrava potesse essere un regalo gradito. Questo al principio, perché poi plottando la storia le cose si sono rivelate più complicate di come in realtà avevo immaginato, ed è stato necessario fare un minimo (si fa per dire) cambiamento rispetto al Canon: e se anche Roxane fosse morta nel rogo del fienile in cui ha perso la vita il suo secondo marito?
Come avrete senz’altro capito, ai tempi della prima parte i due protagonisti hanno circa tredici anni (in Veleno d’Inchiostro Fenoglio dice a Meggie che la seconda figlia di Minerva ha preso marito all’età di quattordici anni); mentre nella seconda parte (spero di aver fatto i conti giusti) ne hanno circa una trentina.
Il titolo è una frase della meravigliosa canzone di Ed Sheeran “Autumn Leaves”, mentre le citazioni che aprono le due parti sono tratte da un’altra canzone di Ed, “Give me Love”.
Spero che la storia vi sia piaciuta, che Dita di Polvere vi sia sembrato IC e che Caterina vi sia risultata un personaggio simpatico - come ho voluto sottolineare, Caterina non pretende di sostituire immediatamente il ruolo di Roxane, ma intende essere prima di tutto un appoggio per la povera anima spezzata di Dita di Polvere. Un po’ come ha fatto Resa nel nostro mondo, per intenderci.

Grazie per aver letto, grazie di cuore.
Frida




   
 
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