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Autore: detoxIretox    16/07/2013    3 recensioni
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Il re aveva infatti sette bellissime figlie, nate da sette mogli diverse che aveva avuto nel corso della sua vita. Alla loro nascita, ognuna delle bambine venne rivestita di una delle sette virtù, contrapposte ai sette peccati capitali: sobrietà, carità, temperanza, generosità, fortezza, mansuetudine ed umiltà.
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Se vi mancano le favole che iniziano con "c'era una volta" e finiscono con "e vissero per sempre felici e contenti", questa è una di quelle. Ma quel che c'è in mezzo potrebbe non essere ciò che vi aspettate.
[Meiko, Luka, IA (Aria), Gumi, Miku, Mayu, Rin]
Raiting giallo per i temi.
Genere: Demenziale, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Crack Pairing | Personaggi: Meiko Sakine, Un po' tutti | Coppie: Len/Rin
Note: AU | Avvertimenti: Incest
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- Questo è ciò che accade quando inizi a leggere Il Trono di Spade e la tua mente inizia a vagare nella valle del Random Sfrenato. Una favola insensata con i Vocaloid come protagonisti e una grande componente demenziale e paradossale pubblicata alle undici di sera, come degno ritorno di mesi e mesi di silenzio. Bello. No. Sul serio.
- E' una robina senza pretese, lo confesso. Tuttavia la morale (essì, come in tutte le favole c'è una morale) non mi dispiace affatto.
Ma è solo per ridacchiare, suvvia. Non mi aspetto che sia realistico. Solo molto demenziale, in attesa del Big One che giungerà presto.
- I personaggi citati non appartengono a me (con mio grande rammarico).
- I fatti narrati sono sacco della mia perversa farina, invece.
- Tutto il resto è noiaaaaa//knifed





***




Le SETTE dell'ARCOBALENO

 


C’era una volta, in un regno molto lontano, un re che governava sui cosiddetti Sette Regni. Non era un re molto benvoluto. Era un uomo burbero, noioso e mesto; ogni volta che qualcuno gli rivolgeva la parola, aveva i nervi a fior di pelle e perdeva la staffe con un nonnulla. Il motivo di questa mal disposizione era uno solo. O meglio, erano sette.
Il re aveva infatti sette bellissime figlie, nate da sette mogli diverse che aveva avuto nel corso della sua vita. Alla loro nascita, ognuna delle bambine venne rivestita di una delle sette virtù, contrapposte ai sette peccati capitali: sobrietà, carità, temperanza, generosità, fortezza, mansuetudine ed umiltà.
Tuttavia, malgrado le buone intenzioni iniziali di avere una prole perfetta, tutte le ragazze crebbero fatte di tutt’altra pasta. Anzi, si sarebbe detto che la sorte avesse abilmente preso per i fondelli il povero re, dotando le sue figlie di un’indole completamente opposta a quella che doveva essere.
A corte, di fatti, tutti avevano il loro bel daffare per gestirle. A provarci vennero in tanti: istitutrici, maestri, balie, servitori - ma nessuno riusciva mai a domarle e farle diventare le perfette principesse che il re sognava. Ormai erano tutte quante grandi e in età da marito, eppure nessuna di loro sembrava nutrire interesse per un matrimonio o l’eredità del regno.
Il problema era che il re aveva urgenza nel maritarle, e bisognava che le maritasse tutte e sette; così, alla sua morte, i loro consorti avrebbero dominato ognuno su un regno. Ma quel giorno sembrava ancora lontano. Ogni volta che si parlava di pretendenti, feste o tornei, le belle principesse sapevano sempre come sabotarli. Non volevano essere promesse a uomini che non avrebbero amato. Gente che amavano c’era già. Ma i loro matrimoni non sarebbero mai stati approvati.
Un giorno i consiglieri del re si riunirono per la pianificazione dell’ennesimo ballo, nel quale avrebbero incontrato i loro promessi sposi. Ma come convincerle a partecipare? Di solito si legavano persino alle testiere dei loro letti, pur di non prenderne parte. Testarde quanto belle, quelle creature. L’unica possibilità, convennero i consiglieri, era quella di coglierle di sorpresa: organizzare il ballo in gran segreto, con uno stratagemma riunirle nel salone e poi chiudercele dentro. E così fu fatto. Per i mesi successivi tutti si adoperarono per far sì che il piano funzionasse.
Il giorno del ballo arrivò presto e tutti gli invitati furono fatti accomodare nel palazzo del re con estrema discrezione. In quel momento tutte e sette le principesse erano lontane; alcune passeggiavano per i boschi, altre cavalcavano, le più giovani giocavano in giardino. Verso il tramonto, la balia venne a richiamarle, e loro si riunirono nella loro stanza da letto.
«Oh, che giornata» sospirò quella dai capelli lunghi, di un opaco grigio perlaceo, parte dei quali erano raccolti in due treccine che le ricadevano sul petto. Si lasciò cadere sul letto a peso morto, supina.
Una delle sorelle più giovani, dalla chioma biondo platino, una frangetta folta e riflessi arcobaleno sulle punte, notò la stanchezza della prima che aveva parlato e ghignò dispettosamente. Afferrò un pupazzo a forma di coniglio che giaceva sul suo guanciale e se lo strinse al petto. «Come mai sembri tanto spossata, Aria? Quanti te ne sei fottuti oggi?»
La secondogenita, lunghi capelli splendenti color pesca, lanciò un’occhiata glaciale alla sorella. «Non usare un linguaggio così osceno, Mayu! Hai solo quindici anni!»
«Che c’è di male se dico fottere?» protestò Mayu, inclinando la testa adorabilmente. «E’ una pratica umana diffusa e comune, e Aria la conosce bene. Fottere, fottere, fottere!»
«Ci sono modi e modi per dirlo» la rimbrottò flemmatica una delle mezzane, lunghi capelli turchini raccolti in due code svolazzanti.
«Oh, scusa, Miku. Dimenticavo che Luka è la sorella perfetta che ha sempre ragione.» Mayu si voltò di nuovo verso Aria, ancora distesa sul letto, le braccia aperte a croce. «Sorella, dimmi, per quanti hai aperto le gambe oggi?»
«Mayu!» ringhiò pericolosamente Luka, la voce più fredda della neve.
Malgrado fosse la diretta interessata, Aria non si lamentò né diede man forte alla sorella maggiore. In un movimento dalla lentezza snervante cambiò posizione. Ora era sempre stesa sul materasso, ma a pancia in giù. Sembrò prendere la domanda di Mayu molto sul serio, così iniziò a contare sulle dita. Svariati versi di disgusto la raggiunsero, specialmente da quella che sembrava la più piccola.
«Aria, sul serio, ma non fai altro da mattina a sera?» chiese con voce acuta e piena di disapprovazione, il grande fiocco bianco che, sui corti capelli dorati, andava su e giù come se vivesse di vita propria.
«Ma certo che faccio altro!» protestò Aria. «Non è che fotto tutto il giorno!»
«Aria, almeno tu! Dare il buon esempio mai, eh?» protestò Luka.
«E tu farti i fatti tuoi mai, eh?» replicò Aria, acida.
Luka si avvicinò al suo letto con aria minacciosa. «Guarda che il fatto che hai solo tre anni meno di me non significa che hai il diritto di parlarmi così» sibilò Luka. Saranno stati gli occhi blu, affilati come due lame, o la facciata di impenetrabile severità; Aria si ritrasse appena, dandogliela vinta, e si rivolse di nuovo a Mayu.
«Comunque, io do loro solo ciò che vogliono. Certo, forse lo faccio un po’ troppo spesso, ma devo dire che è un ottimo antistress. È grazie al sesso se non sono insopportabile come Luka.»
Luka rimase impassibile, e si sedette sul materasso. Di fianco a lei un’altra sorella, capelli castani alla maschietta e occhi vermigli, assisteva alla scenata, muta e divertita. Luka le inviò uno sguardo ostile di sbieco. «Lo sai, Meiko, una maggiore che si rispetti dovrebbe sgridare le sue sorelle quando sbagliano o danno fastidio.»
«Vuoi davvero che lo faccia?» biascicò Meiko, e affondò ancora di più nel suo cuscino. «Luka, taci un attimo e smettila di fare la prepotente con le piccole» commentò, un’espressione di beata soddisfazione sul volto. «Si parlava di sesso, dunque?»
«No! State zitte, ora!» si lamentò in modo piuttosto infantile la giovane bionda.
«Se non vuoi sentire tappati le orecchie, Rin, e non dare noia a noi grandi!» s’intromise una dai corti capelli color del prato, che stava a lato del suo letto. I suoi occhi smeraldini mandavano lampi, sembrava ce l’avesse col mondo. Tuttavia Rin rimase impettita e imperturbata, e si limitò ad alzare il mento in un gesto altero.
«Nemmeno sai cosa sia il sesso, Gumi!» sputò tra i denti.
«Forse dovremmo tutte andare a letto?» propose Miku, con il tono tipico di chi non ha alcun interesse nel dire quel che dice.
In un gesto scomposto, Meiko alzò le braccia al soffitto come se stesse annunciando qualcosa di estremamente importante. «L’avete sentita? Tutte a nanna, signorine!»
«Evviva, Meiko è di nuovo ubriaca» commentò Aria, un sorriso sornione che le increspava le labbra.
«Mentre ti facevi il ragazzo delle cucine ho rubato l’alcol» sorrise Meiko, facendole l’occhiolino.
Luka fece una smorfia di superiorità. Rin sospirò, come se fosse circondata da un mucchietto di cacche. Mayu batté le mani, eccitata come una bambina. Aria gettò la testa all’indietro, ridendo frivolamente. Gli occhi di Gumi trasudavano odio da tutti i pori. Miku, invece, non sembrava aver avuto nessuna reazione e semplicemente rimase a sonnecchiare, indolente. Meiko sghignazzò.
«Credo che sia ora di cena, mie dolci sorelle» fece presente, sarcastica.
«Finalmente hai detto qualcosa di intelligente. Preparatevi, ragazze, suvvia!»
Dopo che Luka ebbe pressato ancora un po’, le sorelle furono finalmente pronte per la cena. Prima che potessero uscire, però, qualcuno bussò alla loro porta. Meiko, che essendo la maggiore doveva sempre prendere le decisioni, diede il permesso di entrare. Dalla porta fece capolino la capigliatura rosa pallido di uno dei loro servitori: lo stalliere, per la precisione. Nel vederlo Aria saltò sul posto, arrossendo tutta, e si precipitò alla porta, togliendo di mezzo svariate sue sorelle con veemenza nell’atto.
Nel vederla arrivare, gli occhi ambrati del giovane brillarono. «Buonasera, mia signora.»
«Yuuma! Qual buon vento?» chiese Aria, attorcigliandosi una ciocca argentea tra le dita con fare civettuolo. Come potersi ancora chiedere come facesse ad adescare gli uomini, Aria la Temperata, con quello sbattere di ciglia seducentemente innocente?
«Volevo solo vedervi. E chiedervi come va.» Questa volta fu il turno di Yuuma di arrossire.
«Oh, non molto diversamente da come andava... prima.» Aria gli fece l’occhiolino.
«E’ stato molto bello, mia signora» sussurrò Yuuma, cercando di ignorare il silenzio pieno di aspettativa che si era andato a creare nelle stanze reali.
«Intendi dire quando abbiamo...?» Aria ridacchiò. «Oh, lo so. Anche per me.»
«Credete che potremmo rifarlo?»
Aria annuì con convinzione. «Ogni qualvolta vorrai.»
Yuuma lo guardò con occhi speranzosi. «Ehm... pensavo... che ne dite di adesso? Sempre che voi vogliate... sapete... io sono al vostro servizio.»
Aria si voltò verso le sue sorelle. I suoi occhi azzurri con sfumature violacee non facevano che implorare di darle il tempo di una toccata e fuga, con tanto di espressione da cucciolo bastonato. Incredibile, quella ragazza sembrava davvero incapace di trattenersi quando la lussuria chiamava.
Meiko si strinse nelle spalle. «Chi siamo noi per ostacolare il vero amore?» Meiko si avvicinò agli amanti, e diede una pacca sulla spalla a Yuuma. «Credo che mia sorella sia già lubrificata a modo. Non fare complimenti.»
Una sfilata di sei ragazze, i capelli come i colori dell’arcobaleno, uscirono lentamente dalla porta. L’ultima, che fu Rin, lasciò entrare Yuuma dietro di lei, e si chiuse la porta alle spalle. Quasi nell’istante successivo Gumi si fiondò al legno, poggiandovi l’orecchio sopra. Alzando gli occhi al cielo, Luka si fiondò a staccarla, e la tirò per le orecchie, sgridandola. «Ti sembra il caso?»
«Uffa, perché lei non è più vergine da un pezzo e io ancora sì?» si lamentò Gumi, lacrime di indignazione pronte a scenderle dagli occhi.
«Perché ad Aria piace darla a tutti, è un po’ il suo passatempo» rispose Miku semplicemente.
«Però con Yuuma è diverso, avete notato? Secondo me si piacciono» cantilenò Mayu con una vocina sottile e melodiosa, carezzando il capo del suo coniglietto di peluche con dolcezza.
Luka fece scoccare la lingua. «Farsela con un servo. Uno stalliere, per di più! Non c’è peggior disonore per una principessa.»
Meiko stava per replicare con qualcosa di parecchio sconcio a difesa dell’ignara Aria, che al di là della porta ci stava dando dentro. Ma un secondo arrivo glielo impedì. Questa volta toccava a un ragazzino di quattordici anni appena, dai capelli biondi raccolti in un codino. Sembrò sorpreso di imbattersi nella prole reale al completo (be’, quasi al completo), così si avvicinò con discrezione. «Che ci fate tutte quante in corridoio, maestà? Guardate qualcosa di bello?» chiese. Poi notò Rin e sorrise nella sua direzione. «Oh, a quanto pare sì. Proprio qualcosa di bello.»
«Non mi sembra siano fatti tuoi» rispose lei, tagliente come al solito.
«Non vorrei contraddirti, ma io credo che lo siano se si tratta di te» insisté il ragazzo.
«Mi hai appena contraddetto» gli fece notare Rin.
«Ti ho fatto arrabbiare, Rin la Umile?» rincarò lui, chiamandola col suo soprannome ufficiale.
Rin strinse i pugni. «Guarda che potrei farti giustiziare per questo affronto, Len, insolente che non sei altro! Una parola di più e potrai dire addio alla tua testa!»
«Ma ti mancherei» commentò languidamente Len.
«No, affatto!»
«Sì, invece!»
«No, affatto!»
«Sì, invece!»
«No, affatto!»
«Sì, invece!»
«No, affatto!!» Rin gridò con più foga, pestando i piedi.
Len le ammiccò. «Oh, mia regina, chiudessi quella bocca e la impiegassi per fare solo io so cosa... saremmo entrambi più felici.»
«Sei veramente nauseante» lo insultò Rin.
«Come no! Chiamami quando smetterai di mentire a te stessa!» Detto ciò, Len le fece un cenno di saluto e, soddisfatto, si allontanò.
Rin rimase immobile in mezzo alle sue sorelle, il volto in fiamme, le nocche bianche e il labbro tremante. Poi si voltò verso le altre cinque, in trepidante attesa. Si ravviò un ciuffo e mormorò, come se nulla fosse: «Maledetto Len. È così sfacciato e volgare che mi attizza in modo vergognoso. Se non fosse mio fratello me lo farei fino a farlo gridare.»
Len e Rin erano i gemelli nati dalla settima moglie del re. In teoria poteva essere erede delle sue terre anche lui, ma essendo il più piccolo (più piccolo anche di Rin di una manciata di minuti) era l’ottavo, di conseguenza non aveva diritto a un bel niente, perché nel regno vigeva la regola del “primo nato, primo accontentato”. Tuttavia poteva vivere a corte e godere di tutti i suoi agi, che includevano anche e soprattutto provarci in continuazione con la sorella gemella.
«Questo è ancora più disgustoso e immorale che con uno stalliere» rabbrividì Luka. «Sarebbe come... come se Rin giacesse con una di noi sorelle!»
«Se le facessi un’offerta del genere, credo che Aria non ci penserebbe due volte.» Meiko tacque un po’, poi fece, rivolta a Rin: «Be’, che aspetti a corrergli dietro?»
«Sarebbe così poco orgoglioso da parte mia!» sbraitò lei. «Che sia lui a rincorrermi, come fa da quattordici anni a questa parte! Morirei piuttosto che ammettere che quel pervertito incestuoso mi attrae.»
Detto ciò afferrò due lembi del vestito con le mani e corse in direzione opposta da dove era andato Len, il viso coperto dai sottili capelli biondi e l’imponente fiocco bianco. Fu una questione di secondi, ed ecco Len apparire da un angolino, in volto un’espressione di eloquente impazienza. Camminò velocemente nella direzione in cui Rin era fuggita, ignorando le sue sorelle che lo guardavano. Poi scomparve, e le ragazze decisero che fosse saggio lasciare Rin al suo destino.
Luka sembrava la più esagitata di tutte. «Allora, vogliamo muoverci o no? Papà sarà in pensiero, abbiamo già tardato abbastanza per la cena!»
«Cos’hai, Luka?» sbuffò, scontenta come al solito, Gumi. «Ti da fastidio persino l’idea di sprecare tempo oltre che denaro?»
Luka borbottò qualcosa in risposta, che secondo l’etichetta che osservava tanto non era molto appropriato da rivolgere a una sorella minore. Era vero che non amava dover spendere in lusso inutile, ma continuare a ricordarle il suo braccino corto la irritava non poco, anche se l’unica cosa che poteva fare era ignorare...
... Cosa che divenne difficile quando una quinta voce si aggiunse al coretto. Una voce bassa, virile, che Luka non fece fatica a riconoscere. Si trattava di uno dei più ricorrenti bottegai che vendeva al loro padre, e che aveva la sgradevole abitudine di infestare il loro palazzo oltre a quella ancora più odiosa di essere un tantino troppo attaccato ai soldi.
«... Gakupo Kamui. Ma che splendida, meravigliosa, straordinaria gioia vedervi qui!» Si diceva che il sarcasmo della principessa Luka la Caritatevole potesse tagliare più di una stalattite ghiacciata. Coloro che lo dicevano non avevano tutti i torti. Ma il mercante non era uno che si faceva intimidire, proprio come lei. E come si suol dire, gli opposti si attraggono, mentre i simili spesso si scontrano.
«E’ un piacere - anzi, no, un onore - anzi, NO, un privilegio vedervi, mia signora» disse Gakupo ripagandola della sua stessa moneta, ed esibendosi in un perfetto inchino galante. «Che ci fate qui, se posso chiedervelo?»
«Ci abito» fece Luka abbozzando un sorriso di scherno. «So che miri a prosciugare il palazzo di mio padre e rubare il suo tesoro, ma rassegnati, mio caro, i soldi della mia famiglia rimarranno miei!»
Le sue sorelle la ammonirono con lo sguardo, così Luka, a malincuore, dovette rettificare: «Intendevo, rimarranno nostri.» Diede un colpo di tosse. «Quindi smettila di spillare denaro al re! Che ci fai, poi? Lo spendi tutto nei bordelli?»
«Ma splendente raggio di sole di mezza estate, che dite! Io frequentare bordelli? Sarebbe come dire che voi avete un problema di avidità!»
«Volevo ben dire» tirò su col naso Luka. Poi parve rielaborare la frase e, dopo aver deciso che doveva per forza trattarsi di un’offesa, si mise le mani suoi fianchi e avanzò di un passo. «Vi consiglio di andarvene di vostra spontanea volontà, prima che vi faccia cacciare in malo modo!» minacciò.
E se Luka era sicura di sé, Gakupo lo era almeno il doppio. «Mia dolce principessa, voi sembrate dare troppa importanza ai soldi. Eppure dovreste sapere che non comprano la felicità e i sorrisi, se no sareste meno ombrosa. E un sorriso sul vostro volto, se posso essere sfacciato, vi farebbe apparire bellissima!»
Luka inclinò la testa, terribilmente combattuta se mostrarsi compiaciuta per i complimenti o fare ancora la ritrosetta. Scelse una via di mezzo e incrociò le braccia, dandogli la schiena per tre quarti. Inarcando le sopracciglia disse, poco convinta: «Le vostre lusinghe non mi faranno cambiare idea sul vostro conto.»
«Voi non vi fidate proprio di nessuno, vero?»
«Di nessuno che voglia portare via le mie ricchezze!»
«So io...» Gakupo allungò le mani e le sfiorò le spalle da dietro, avvicinandole le labbra all’orecchio, «... quali ricchezze mi piacerebbe portare via da voi... ma queste... queste non si comprano. Non da una donna per bene quale siete voi, almeno.»
Meiko, Mayu, Miku e Gumi si erano tutte raccolte lontane dalla coppietta, e ridacchiavano sommessamente. Per la prima volta nei suoi ventidue anni di vita, Luka mostrò di provare un’emozione molto vicina all’imbarazzo e le sue gote candide si colorarono lievemente di rosso. «Non credo potrei guadagnare qualcosa da questo scambio» disse in un soffio.
«Io credo di sì» mormorò sensualmente Gakupo, e si azzardò a scoccarle un bacio sul lobo.
«Io... io...» Gli occhi di Luka si sbarrarono, e lei scosse la testa. «Oh, al diavolo!» Si voltò verso le sue sorelle e lanciò loro uno sguardo d’intesa. «Sapete cosa fare!»
«A menadito» assicurò Meiko.
Luka si tirò la frangia sugli occhi per non farsi vedere in faccia, prese per mano Gakupo, e lo trascinò nei meandri del castello. L’ultima cosa che le sorelle rimaste videro fu il sorrisetto soddisfatto di Gakupo, poi più nulla.
Gumi fece un verso di stizza, prese e camminò a passo di marcia verso le scale, facendole tutte con furia. Ad ogni gradino imprecava, per il fatto che non fosse affatto giusto che tutti gli uomini trovassero le sue sorelle più attraenti di lei. Len si era persino innamorato della sua stessa gemella! Doveva proprio voler dire che lei faceva schifo, quindi? Che non era nemmeno da prendere in considerazione come donna?
La vista annebbiata dalle lacrime di invidia, Gumi non si accorse dell’ultimo gradino e così il suo piede incespicò nel vuoto, facendole perdere l’equilibrio. Cadde in avanti, ma delle mani tempestive le impedirono di cadere, e l’urlo che aveva preparato le si bloccò in gola, sul punto di uscire.
Alzò lo sguardo verde, per incontrarne uno di un verde simile, più scuro del suo. Vedendolo, le parve di riconoscere quel ragazzo: quando lui la mise in piedi, e Gumi lo vide meglio, capì di chi si trattasse.
Si diede una scrollata veloce del vestito, appiattendo le pieghe. «Ti ringrazio, Gumiya...»
Ma non finì di pronunciare l’ultima sillaba che lui alzò la mano, e timidamente ma con una certa determinazione, le asciugò le guance con il polpastrello del pollice. Gumi saltò all’indietro, sorpresa da quel contatto.
«Ma che fai?»
«Nulla... è c-che... mi disturba vederti piangere, Meg» disse Gumiya, e abbozzò un sorriso.
Sentendosi chiamare con quell’appellativo, Gumi fu sul punto di piangere anche ti più. Quelle tre lettere con le quali Gumiya l’aveva sempre chiamata le ricordavano le estati dell’infanzia, le arrampicate sugli alberi di mele, i tempi spensierati in cui loro due erano migliori amici e lei, Megumi, Gumi per tutto il resto del mondo ma Meg solo ed esclusivamente per lui, non era preferita a nessuno.
«Lo sai, Meg, è da un pezzo che volevo rivederti» ammise Gumiya dopo un po’. «Ma sembra che tu faccia di tutto per evitarmi. Mi manca la tua presenza nelle campagne, d’estate, quando io e gli altri giochiamo. So bene che ora abbiamo sedici anni e siamo praticamente adulti... e anche che tu, insomma, hai un sacco di impegni, essendo principessa... però il tuo abbandono è stato difficile da sopportare.»
«Il mio?» Gumi batté le palpebre una, due volte. «Il tuo è stato difficile! Il fatto che tu mi abbia palesemente sostituita con quella Iroha... ricordi? Giocavi sempre con lei! Quante volte mi sono chiesta, cos’ha lei più di me? Mi sono sentita così... di poco valore!»
«Non... Non ti ho mai, mai sostituita, Meg! Ma che vai a pensare?» Gumiya scosse la testa e si mise a posto gli occhiali sul naso, poi tornò a guardarla negli occhi. «E’ che pensavo... tu stavi crescendo, e non c’era più posto per uno come me nella tua vita.»
«Che intendi?»
«Andiamo...» Gumiya ridacchiò tristemente. «Tu sei una principessa, Megumi la Generosa! Io sono un garzone che guadagna a malapena il pane per arrivare a fine giornata... ti avrei imbarazzata a starti sempre intorno, alla lunga. Lo so. Insomma, è la vita.»
«Gumiya!» Gumi era senza fiato. «Quando mai... come potrei... Gumiya, sei sempre stato il mio migliore amico! La persona di cui mi fido di più, che mi conosce meglio, che mi accetta con tutti i miei pregi e difetti... e sì che sono tanti!» Sorrise, stringendogli le mani. «Non pensare mai che possa vergognarmi di te! Anch’io ti amo per quel che sei e non ti scambierei per cento di quei nobili!»
Gumiya sorrise, incredulo, e la abbracciò d’istinto. Si ritirò quasi subito. «Oh, s-scusa.»
«Non importa. Rifallo, dai.» E come se fosse un ordine, Gumiya obbedì.
Da dietro le sue spalle, Gumi notò le sue tre sorelle che osservavano la scena intenerite, e tornò per un attimo la Gumi di sempre, acida e col veleno in bocca. Le guardò male e fece loro cenno di scendere e volatilizzarsi. Le tre non se lo fecero ripetere e svanirono oltre l’androne dell’atrio, lasciandoli soli a chiarirsi.
«Stanno succedendo delle cose davvero meravigliose, non trovate?» esclamò Meiko, nella fase della sbornia in cui tutto sembra meraviglioso.
Miku annuì svogliatamente per dare il suo decisivo sostegno morale, mentre Mayu non commentò, ma guardò il pavimento. «E così, Aria è in camera con Yuuma... Len probabilmente sta ancora inseguendo Rin da qualche parte... Luka e Gakupo potrebbero essere in qualunque sgabuzzino a fare le scope sanno cosa... e Gumi e Gumiya hanno fatto pace in modo smodatamente commovente. Non è buffo?»
«Cosa?» chiesero Meiko e Miku all’unisono.
Mayu arricciò le labbra. «Che siano tutte coppie formate da un uomo e una donna. Anche nelle favole. Allora è così... è così che dev’essere, per forza?» Mayu si strinse il pupazzo al petto con tale forza che la testa schizzò via. Si rese conto di ciò che aveva fatto solo quando il capo del coniglietto le rotolò ai piedi - e una mano candida lo raccolse con rispetto, porgendoglielo.
Alla mano stava attaccato il braccio e il resto del corpo di una delle loro ancelle reali, dai lisci capelli di un acciaio sporco, le guance incavate e occhi rossi come rubini insanguinati. Era senza dubbio la più giovane e la più vicina alla penultima della progenie del re, Mayu la Mansueta. Si prendeva cura di lei con amore, sopportando e godendo, spesso, della sua irascibilità e della sua violenza.
Nel vederla, il volto di Mayu si rabbuiò. «Oh. No, non puoi essere tu, Tei. Ci avevo già pensato, ma ora ne ho la certezza.» Detto ciò che strappò malamente la testa del coniglio dalle mani, graffiandole anche le dita.
Tei si ritrasse appena. «Non posso essere io a fare cosa?»
«Le mie sorelle hanno fatto incontri bellissimi!» spiegò Mayu, in un ringhio appena trattenuto. Sentiva la rabbia montare dentro di sé, e la sua ira minacciare di scoppiare da un momento all’altro. «Però erano tutti con dei maschi. Ecco, i loro principi azzurri! E tu... non puoi essere tu il mio incontro speciale perché non sei un ragazzo, quindi...» Mayu lasciò la frase in sospeso con tono triste.
«Quindi?» la esortò timidamente Tei.
Mayu le lanciò addosso il resto del coniglietto e lei abbassò docilmente il capo. «Quindi non capisci, stupida?» sbottò. «Ogni coppia dev’essere composta da un uomo e una donna! Non c’è amore tra due ragazze!»
«A me voi piacete, mia signora» commentò Tei, inginocchiandosi per raccogliere il pupazzo maltrattato. «Vi amo e vi venero perché vi ho giurato fedeltà eterna. Vi conosco da quando eravamo in fasce e ammiro molto la vostra indole. Rivedo molto di me stessa in voi, sapete? Non ho mai pensato che fosse male. Voi pensate che sia male?»
«N-Non lo so! Nessuno dice mai nulla... nelle fiabe non ci sono principi che si innamorano... o principesse che vivono per sempre felici e contente...» sospirò Mayu, sconsolata.
«C’è sempre una prima volta» buttò lì l’ancella, come se nulla fosse. «Pensate come sarebbe essere la prima della storia, mia signora! Bello, no?»
Mayu rimase in silenzio a riflettere. «Sarebbe carino. Fatto sta che io il mio incontro non l’ho avuto...» considerò, pensierosa.
Tei gonfiò le guance. «Perdonate la mia insolenza, maestà, ma io cosa sarei per voi? Sono anni che vi sto accanto anche malgrado i vostri scatti d’ira e che vi amo incondizionatamente, e se voi non ve ne siete mai accorta perché siete troppo impegnata a-»
«Aspetta! Sta zitta un attimo!» Mayu la colpì nuovamente con il pupazzo, che nuovamente cadde a terra, e Tei nuovamente sospirò per raccoglierlo e ridarglielo. Sembrava che la sua vita si fosse ridotta solo a quello. Nel frattempo, lo sguardo dorato di Mayu era piantato nel nulla, come se stesse guardando qualcosa di incredibile per la prima volta. «Mi è venuta in mente una cosa, Tei!»
«Cosa, mia signora?»
Mayu accolse tra le braccia il coniglio. «Potremmo essere...»
«Sì?» incalzò Tei, impaziente.
Ma Mayu alzò il suo pupazzo con fare vittorioso, uccidendo le sue speranze. «Potremmo essere io e la mia coniglietta!» fece, con fare vittorioso. Al che Tei non poté fare a meno di battersi una manata in fronte.
«Alla malora, la coniglietta» sibilò, improvvisamente tetra. Il suo carattere sembrava essere cambiato radicalmente; ora il suo sguardo aveva un che di inquietante. «La farei a pezzettini con le forbici della sarta se fosse sufficiente a farvi accorgervi di me, maestà! Così come chiunque si mettesse in mezzo a noi!»
«Oh... questa è la cosa più romantica che mi sia mai stata detta» fece Mayu, l’espressione ora di nuovo addolcita. «Sai che certe volte anch’io ho l’impulso di fare a fettine cose che mi impediscono di avere il mio amore tutto per me?»
«Fare a pezzettini è troppo facile. Meglio torturare prima, così si godono le urla.»
Mayu sembrava pericolosamente interessata. «Credo che tu sia fatta apposta per me, Tei. Non me n’ero mai accorta prima. Vorrei passare un po’ di tempo con te, così mi spieghi la storia della tortura, che dici?»
«Certo! Useremo una delle bambole della principessa Miku, va bene?» propose, ma la risposta di Mayu si disperse man mano che si allontanavano lungo il corridoio.
Rimaste sole, Meiko e Miku si guardarono, l’una con gli occhi ancora lucidi dall’alcol, l’altra con uno sbadiglio pronto ad affiorarle sulle labbra. Le cose si erano fatte un po’ strane, ma loro due erano effettivamente le uniche a cui non poteva interessare assolutamente ciò che le circondava. Avevano una sorella che amava fare sesso? Un’altra che si faceva inseguire dal gemello? Una che amava le donne?Ma se era il loro volere, avevano il sacrosanto diritto di esercitarlo. E loro avevano quello di lasciarle fare.
Si diedero un’ultima aggiustata e fecero per entrare nel salone nel quale sarebbe stata consumata la cena, quando da dietro le loro spalle sentirono giungere dei passi. In perfetta sincronia, la maggiore delle sette e la terzultima si voltarono per accogliere il nuovo venuto.
Questo, a differenza di tutti gli altri, non lo avevano mai visto prima. Era dinoccolato, bello e imponente; i suoi capelli scompigliati, di un blu oltremare, gli ricadevano sulla fronte adombrandogli appena gli occhi, di un bel blu profondo anch’essi. Sembrava vestito a festa, il farsetto di camoscio ben lisciato e i guanti bianchi ed eleganti. Nel vedere le due principesse, vestite più umilmente di lui, le scambiò per semplici ancelle, tuttavia mantenne lo stesso tono rispettoso che avrebbe avuto con qualunque reale quando chiese loro: «Perdonatemi, signorine, potreste indicarmi la strada per il salone da ballo?»
Miku indicò con un gesto svogliato la porta davanti a loro, al che il nobile fece un cenno cortese col capo per congedarsi. Senza pensarci, Meiko lo prese per un braccio, ma lui non si ritirò. Gli sembrava familiare.
«Perdonate voi... sire?» azzardò. Lui annuì in conferma, così Meiko continuò: «Potrei sapere chi siete e cosa ci fate nella dimora del re?»
«Non lo sapete?» chiese lui, stupito. «E dire che anche ancelle come voi avrebbero dovuto partecipare all’organizzazione della festa segreta! O forse sbaglio io? Era questa sera, dico bene?»
Miku fece per replicare, ma Meiko interruppe la risposta sul nascere, inchinandosi e dicendo: «Ma certo che è questa sera. E sì, sapevamo della festa. Abbiamo aiutato anche noi. Ma pensavamo che voi foste una spia delle principesse, sire. Sapete, quelle serpi sarebbero pronte a tutto pur di non sposarsi.»
Il volto del giovane venne attraversato del sollievo. «Ah, meno male! Temevo di aver sbagliato giorno.»
«Entrate pure a divertirvi, presto! Le principesse saranno qui a momenti» fece Meiko, e lui obbedì, salutandole nuovamente con un inchino. Fece per entrare nel salone, ma poi si voltò, come se si fosse dimenticato di qualcosa - cosa che era effettivamente vera. «Oh, perdonate la mia sbadataggine, fanciulle! Non ho detto come mi chiamo. Io sono ser Kaito Shion, ereditario delle terre di Ponente.»
«Ereditario? Vorreste dire che voi siete uno dei promessi delle principesse?» chiese Miku, improvvisamente preoccupata.
Kaito annuì. «Il re mi ha concesso la mano della maggiore, e a mio fratello quello di Miku la Laboriosa. Sono impaziente di conoscerle, si dice la loro bellezza sia accecante. Quasi quanto la vostra.»
«Oh, così ci lusingate» cinguettò Meiko. «Buon divertimento ancora, maestà!»
Detto ciò, il nobile sparì oltre la porta.
Alla notizia dei promessi sposi, Miku era rimasta paralizzata; servì uno scossone da parte di Meiko per farla rinsavire, e lei la guardò con occhi tristi. «Sorella, hai sentito? Papà ha già arrangiato i fidanzamenti con uomini di cui non sappiamo nemmeno il nome! È una disgrazia! Se entreremo da quella porta ne usciremo maritate!»
«Che gli dei non vogliano» sospirò Meiko. «Come sarebbe orribile per te e per le altre, che già da tempo hanno trovato l’amore altrove. Papà non approverebbe mai Gumi... Aria... per non parlare di Mayu e Rin! Se solo venisse a saperlo...» e rabbrividì.
«Sorella, io non voglio sposarmi! Voglio vivere sola e libera dai vincoli matrimoniali! Sarebbe troppa fatica fare la madre, la moglie e la nobile a corte... voglio passare la mia vita a poltrire e non avere doveri di sorta verso nessuno» gridò Miku, a un passo dalle lacrime.
Meiko ci pensò su per qualche momento, poi sembrò avere un’idea. «So cosa fare, Miku. Svelta, asciugati le guance e fatti bella; và a cercare le tue sorelle, racconta loro della festa segreta e falle mettere in ghingheri; quando sarete pronte, tornate qui. Intesi?»
Miku annuì, e si fiondò di corsa al piano di sopra, alla ricerca delle cinque sorelle rimaste indietro. Trovarle fu un’impresa - Mayu e Tei erano chiuse in una stanza buia a cavare gli occhi di alcune bambole con degli aghi, Len e Rin avevano finito per giocare a nascondino nei giardini reali (un nascondino molto strano, in cui Rin era sempre quella che scappava e Len quello che cercava), Gakupo e Luka si erano chiusi a chiave nella torre più alta del castello, Gumiya e Gumi osservavano le stelle insieme su un albero in riva al laghetto e Yuuma e Aria non avevano ancora finito di consumare sin da quando li avevano lasciati. Quando le ebbe avvertite del piano di Meiko, tutte furono obbedienti, e alla fine si presentarono davanti al salone come promesso.
Nel frattempo, anche la maggiore si era cambiata. «Siete tutte pronte?»
«Meiko, ti prego, non entriamo! Io non posso maritarmi! Non sono adatta!» la supplicò Aria. «Come sarà la mia vita, costretta a rimanere fedele a un solo uomo per sempre? Chiudermi le gambe sarebbe come... tarpare le ali di una colombella!»
«Io non posso lasciare Len. So che lo disprezzo e lo rifuggo, ma è tutta una scenata dettata dall’orgoglio! Anche se non voglio ammetterlo, sono una pervertita incestuosa anch’io!» singhiozzò Rin.
«E che dire di me? Gakupo mi ha comprata senza denaro, e giuro che rinuncerei a tutto l’oro di qualunque uomo sia il mio promesso pur di ripagarlo con il mio amore» mormorò Luka. «Certo, se fosse povero sarebbe un problema, ma... fortunatamente non lo è, quindi è anche meglio!» soggiunse.
«Gumiya invece sì, ma non m’interessa. Mi fa sentire come se non avessi più nulla da invidiare a nessuna donna, come se per lui fossi la migliore e la più bella di voi altre, cosa che ho sempre desiderato essere!» balbettò Gumi quando venne il suo turno.
«E Tei mi capisce. Sì, va bene, è una donna, ma nessun uomo potrebbe vantare la sua stessa visione distorta, sadica e sanguinaria del mondo. Che è esattamente come la mia! Siamo fatte per stare insieme, anche se siamo dello stesso sesso! Meiko, ti prego, non posso vivere senza lei!» pianse Mayu.
Meiko se le raccolse tutte attorno, mentre loro piangevano senza ritegno, disperate all’idea di perdere la loro libertà. «Sshh, ragazze, buone. Voi non vi sposerete, posso assicurarvelo. So già cosa fare per evitarvi questa sorte. Mi comporterò come vuole il mio ruolo e vi proteggerò, perciò non piangete, va bene?» disse, carezzando i volti madidi delle sue sorelle.
Loro si acquietarono un poco, e rimasero in silenzio.
«Ora andate a prendere i vostri cavalieri... o le vostre dame» si corresse, guardando Mayu. «Dite loro che c’è un ballo, e che è ora di far festa a nostro padre.»
Le sei ragazze schizzarono in direzioni diverse, per poi tornare a braccetto delle persone con le quali avrebbero mai voluto danzare a un ballo di matrimonio, al contrario di Miku che era sola. Meiko aggiustò i loro abiti un’ultima volta, poi spalancò le porte e fece la sua entrate trionfale.
Considerato il fatto che tutti gli invitati aspettavano solo loro, non fu una sorpresa quando, una volta che videro la maggiore apparire sulla soglia, le trombe squillarono e la folla si diradò per farle passare. Ciò che colse di sorpresa gli spettatori fu la sfilata che seguì Meiko; cinque sorelle al braccio di cinque individui che in teoria non avrebbero mai dovuto trovarsi in una sala da ballo, e una di loro osava persino camminare sola e a testa alta!
Il re trasalì sul trono, sentendosi minacciato da un malore imminente. Scese gli scalini e si fece largo tra la folla silenziosa per raggiungere le sue figlie e i suoi cavalieri, ma venne fermato da Meiko, che gli si mise davanti, impettita.
«Padre, mi dispiace per la sorpresa. Immagino non sia questo il modo in cui ti aspettavi che irrompessimo.»
Il re sembrava incapace di spicciare verbo, la furia e l’umiliazione gli avevano tolto la voce. Così Meiko ne approfittò e proseguì: «Le mie sorelle sanno quel che vogliono, e sono abbastanza grandi da prenderselo. Se le amate davvero come le amo io, padre, lasciatele libere di decidere con chi passare il resto della loro vita, o rispettarle se vorranno non farlo.»
«Questo... questo è impossibile!» tuonò il re, fuori di testa dalla rabbia per quell’affronto. «A chi dovrei affidare i miei Sette Regni quando sarò morto, di grazia?»
Meiko sospirò, prima di dire, con tono altisonante e più che mai determinato: «Affidateli a me e al mio futuro sposo, ser Kaito Shion. Io accetterò di sposarlo a patto che voi lasciate libere le mie sorelle di amare chi vogliono. Se non accetterete, i regni non avranno erede e sarà il caos.»
«Come osi ricattare tuo padre?» ruggì il re.
Meiko gli sorrise. «E’ che ho capito che ci sono cose più importanti del stare alle vostre regole.»
Il re mugugnò qualcosa tra i denti e diede la spalle alla sua primogenita, dirigendosi a grandi passi verso il trono, il mantello che svolazzava furiosamente dietro di lui. Non appena si fu dileguato tra il pubblico muto, le sei sorelle che erano rimaste indietro raggiunsero la loro salvatrice, aggrappandosi a lei.
«Meiko, come hai potuto sacrificarti al posto nostro?» chiese Miku, piangendo a dirotto.
«Non ti meriti l’infelicità per concedere la felicità a noi!» gemette Aria.
«Ma cosa andate dicendo! Per me sposarmi con Kaito e diventare regina dei Sette Regni non è una tragedia, sapete?» rise Meiko. «Conobbi Kaito anni addietro, e ricordo di essere sempre stata affascinata da quel bel ceffo. Oggi non lo avevo riconosciuto perché da bambini giocavamo nel fango. Era sempre così sozzo che il suo volto mi è nuovo, ora! Inoltre, sapete quanto alcol e cibo può avere a disposizione una regina?» Meiko allargò le braccia. «Tanto così!»
Rin ridacchiò incerta, mentre Gumi si asciugò le lacrime tremolando.
«E poi, io ho già venticinque anni. Voi siete tutte quante molto più giovani di me, dovete vivere la vostra vita e trovare la vostra strada e il vostro amore. Non importa quanto strambo! È questo ciò che deve fare una sorella maggiore, oltre che sgridare... dico bene, Luka?»
Luka le scompigliò affettuosamente i capelli. «Sei una splendida sorella maggiore, Meiko.»
«Ti vogliamo bene!» piagnucolò Mayu, seguita dalle altre ragazze.
«Anch’io vi voglio bene... malgrado i vostri difetti...» ghignò lei. «Non vi scambierei con le sorelle più caritatevoli, temperate, generose, laboriose, mansuete ed umili! Vi preferisco così, è molto più divertente!»
Il giorno dopo, il re si fece nuovamente vedere dai suoi cortigiani. Convocò Meiko e parlò a lungo con lei, sentendo le sue ragioni e, infine, giungendo al compromesso che lei stessa aveva proposto. Pochi mesi dopo furono celebrate le sontuose nozze della principessa Meiko e del principe Kaito, alle quali parteciparono tutti i Sette Regni. Prima di morire, il re diede la sua benedizione alle altre sei figlie. Dopo i suoi funerali, Kaito e Meiko regnarono a lungo, lui giusto e leale, lei sempre affamata e ubriaca. La sua fama di presentarsi brilla persino in occasioni importanti le fece guadagnare il titolo che aveva da giovane, Meiko la Sobria, pronunciato con grande sarcasmo.
E grazie al suo volere, lei e le sue sorelle poterono vivere per sempre felici e contente.



 

***



FIN
 

  
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