Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |       
Autore: fourty_seven    18/07/2013    1 recensioni
In un futuro molto lontano, su una Terra diversa da come la conosciamo oggi, un ragazzo, che vive in una enorme baraccopoli, sorta attorno ad una città, lotta contro il suo mondo per cambiare il proprio destino
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
È tardi, troppo tardi. Ho perso tempo, troppo tempo e ormai è il tramonto; in più mi trovo in una zona che non conosco bene. Imbocco di corsa una strada a destra, sperando che sia quella giusta, e comincio a correre, arrivo al termine e mi blocco. Il vicolo sbocca su un vasta piazza; al centro di essa vi è ciò che ogni abitante di questa città teme più di ogni altra cosa: gli Uomini Neri. Mi fermo e inconsapevolmente trattengo il respiro. Pian piano comincio ad indietreggiare, tenendo lo sguardo fisso su di essi; quando vengono nascosti dalle mura delle case, mi volto e comincio  correre. Ritorno nella via di prima, il sole, ormai non più visibile, illumina un lembo di cielo alla mia destra, quindi devo andare dalla parte opposta per tornare a casa. Mi metto di nuovo a correre, mentre il buio cala sui vicoli. Continuo ad imboccare strade a caso: mi sono completamente perso. Quando sono senza fiato mi fermo. Mi guardo attorno e, nella quasi totale oscurità , mi sembra di riconoscere una via alla mia sinistra. Mi muovo verso di essa e mi ritrovo completamente immerso nell’oscurità. Comincio a camminare; per sapere dove vado, cammino con un piede nel canaletto dei liquami, che scorre al centro di ogni via. Se le mie supposizioni sono esatte dovrei incontrare due strade alla mia sinistra e la seconda è quella che mi porterà direttamente a casa. Cammino cercando di non fare caso a ciò che il mio piede tocca e calpesta in mezzo all’acqua, anche se la puzza togli ogni possibile dubbio. All’improvviso sotto al mio piede destro manca la terra e cado in avanti; fortunatamente riesco a mettere in avanti le mani ed evito di finire con la faccia in mezzo alla melma, in compenso sono bagnato fino al ginocchio. Però in tutto questo c’è una nota positiva: ho incontrato la prima strada, dato che sono finito dentro la polla che raccoglie i liquami ad ogni incrocio. Un tempo dal fondo delle polle partiva un canale sotterraneo, che scaricava direttamente nelle fogne della Città, poi si sono rotti e nessuno gli ha riparati. Comunque finché è la stagione secca non ci sono molti problemi; questi sorgono invece nella stagione delle piogge, quando la strade diventano veri e propri fiumi di acqua piovana e... beh potete immaginare voi di cosa. Mi rialzo e con il piede destro, che è già sporco, provo a sentire quanti canaletti, e da quale direzione, si immettono nella polla. Ne trovo, oltre il tratto alle mie spalle, due: uno alla sinistra e uno che prosegue in avanti. Forse questa è davvero la strada giusta! Riprendo a camminare, sempre con il piede nel canale; ma all’improvviso comincio a sentire un suono strano, che si fa sempre più forte, tanto da coprire quello dell’acqua smossa dal mio piede, il suono è accompagnato da vibrazioni del terreno. Due elementi che ogni abitante di questo posto ha imparato ha riconoscere e temere: sono i segni dell’arrivo di una Divoratrice. Mi blocco cercando di capire da dove arriva il suono per scappare dalla parte opposta, ma loro sono più veloci; alla mia destra, a poche decine di metri, due fasci luminosi bucano l’oscurità, rivelandomi due cose: primo, sono vicinissimi; secondo, questa non è la strada che pensavo; quindi mi sono veramente completamente perso. Comincio a correre dalla parte opposta, imboccando la strada che ho superato, almeno una cosa positiva c’è: i fari mi permettono di distinguere abbastanza bene la strada, così posso correre il più veloce possibile. Per un attimo ritorno nell’oscurità, ma dura solo un attimo, poi la luce e il rumore ritornano, facendosi più intensi; ovviamente mi hanno visto e mi inseguiranno fino all’alba. Alla destra un’altra strada, la prendo senza rallentare, loro invece sono costretti a farlo, così riesco a guadagnare un po’ di vantaggio, anche se inutile, poiché loro possono continuare ad inseguirmi tutta la notte, ma io non posso scappare per tutta la notte; in più nessuno mi aiuterebbe, dato che se lo facesse, farebbe la mia stessa fine. La strada che sto percorrendo, benché larga, è piena di curve, cosa che dovrebbe farmi guadagnare un certo vantaggio. Mi guardo alle spalle, dopo l’ultima svolta la luce si è affievolita di molto, segno che sono lontani; poi alla mia destra vedo nella penombra un vicolo troppo stretto perché ci possano passare. Così rallento e con un sorriso di trionfo sulle labbra lo imbocco. Procedo camminando con le braccia protese in avanti, dato che sono nella completa oscurità. Continuo a camminare per parecchi minuti, poi tocco qualcosa di ruvido e solido: un muro di terra, tipico di vicoli come questo; di solito sono abbastanza bassi e si possono superare facilmente, così allungo la mano verso l’alto per constatarne l’altezza, ma non ne sento la fine; provo a saltare, ma la mano continua a toccare la parete; riprovo ancora, questa volta saltando il più possibile, ma sento ancora il muro. Preso dal panico comincio a tastare ai lati per vedere se vi è una qualche apertura, ma non trovo nulla. Mi fermo ansante, sia per la fatica, che per il terrore, il terrore di essere intrappola. All’improvviso dall’alto arriva una lama di luce, luce bianca, luce della luna, che mi permette di distinguere lo spazio attorno a me. Ai lati due pareti verticali, lisce e alte, le mura delle case, i cui tetti si avvicinano senza toccarsi e da questa apertura filtra la luce; di fronte a me il muro, privo di qualsiasi appiglio, che mi possa permettere di scalarlo, muro che si innalza molto oltre i tetti delle case. Reso folle dal terrore, con un grido mi scaglio contro il muro, cercando di arrampicarmi, ma ovviamente non ci riesco e cado al suolo; mi rialzo e con un altro grido di disperazione ci riprovo, con l’unico effetto di ricadere nuovamente al suolo. Mi rialzo e mi accorgo di stare piangendo, mi asciugo le lacrime e, nel momento in cui vedo la mano bagnata, ritorno presente a me stesso, lucido, freddo, la paura e la disperazione scompaiono. Mi accorgo della gravità di quello che ho fatto: nel silenzio, che caratterizza le notti di questo luogo, le mie grida saranno risuonate per centinaia di metri, rivelando la mia posizione.  Mi volto e comincio a correre più veloce che posso. Questa volta impiego meno tempo per percorrere il vicolo e capisco che sta per finire dalla luce gialla dei fanali. Aumento maggiormente il passo e scatto a destra appena esco. Riesco distintamente a vedere, accanto all’uscita, due uomini neri, di spalle, evidentemente stavano per andarsene, che però si girano non appena esco.  Poi tutto si fa confuso e l’unica cosa su cui mi concentro è la corsa. Ormai ho rinunciato ad orientarmi e sono intenzionato a correre tutta la notte, se necessario per non farmi catturare. La strada termina in un’ ampia piazza e senza esitazioni ne imbocco un’altra, esattamente di fronte a quella da cui sono appena uscito.  Qualche metro dopo sulla sinistra un’altra strada, più larga, vi entro; grazie alla luce della luna vedo un incrocio più avanti, però quando mi avvicino noto che entrambe le strade sono troppo illuminate per i miei gusti, così proseguo dritto. Mi volto per un attimo: dietro di me il buio. Forse li ho seminati, comunque non è ancora il momento di cantare vittoria, la notte è ancora giovane. Passo un altro incrocio, poi alla destra un vicoletto; mi fermo, vi entro; è molto stretto, ma molto illuminato e riesco a vedere a pochi passi da me un muretto, alto forse un metro, così decido di scavalcarlo. Lo supero ed esco dal vicolo. Mi ritrovo in un luogo ampio, molto ampio, un luogo che riconoscerei tra mille simili. Finalmente sono riuscito a raggiungere la mia zona, il posto in cui sono cresciuto e che conosco meglio di me stesso. Però l’entusiasmo è smorzato dal fatto che al centro della piazza vi è una Divoratrice, spenta, segno che gli Uomini Neri non sono nelle vicinanze; in più da almeno un paio di strade laterali provengono dei rumori e delle luci inconfondibili. Comincio a correre, tenendomi il più lontano possibile dalla Divoratrice e prendo la strada più lontana dalle luci; la percorro a passo veloce, all’improvviso da una strada alla mia sinistra sbuca un gruppo di Uomini Neri, a piedi. Mi fermo stupito, ma solo per un attimo, poi ricomincio a correre dirigendomi verso una strada a destra e loro, purtroppo, mi inseguono; comunque ormai io gioco in casa. So che a sinistra ci sarà una strada, la prendo; esco in un incrocio con altre tre strade, prendo la prima a sinistra; mi volto per vedere se li ho distanziati, sono abbastanza lontani, forse adesso riesco a seminarli. La strada curva a sinistra e appena dopo c’è un vicolo a destra, che è buio, perché i tetti delle case sono sovrapposti, ma questa è la mia zona e potrei percorrerla ad occhi ad occhi chiusi, o al buio. Entro nel vicolo e comincio a contare i passi, dopo quindici salto. Il mio piede sinistro sfiora precisamente la sommità del basso muretto, che taglia a metà il vicolo. Sorrido. Tocco il suolo, faccio un paio di passi e scatto a sinistra, imboccando esattamente al centro un altro vicolo. Sorrido nuovamente. Guardo verso l’alto, pian piano i tetti delle case si allontanano e la luce della luna illumina nuovamente il terreno. Proseguo fino a raggiungere un altro muro, alto, ma non impossibile da scavalcare; però ciò che mi interessa è un’altra cosa. Di fianco a me c’è un cumulo di macerie, abbandonate da tempo immemore, che sono diventate la mia scorciatoia; infatti praticamente ogni giorno, per un motivo o per l’altro passo di qua, così conosco ogni sua più piccola pietra. Sto per iniziare ad arrampicarmi, quando sento un grido di dolore. Sorrido per la loro stupidità: sono andati a sbattere contro il muretto, però ciò che vedo dopo mi spegne il sorriso: hanno preso delle torce e con quelle non impiegheranno molto a trovarmi. Comincio la scalata cercando di muovermi il più veloce possibile, ma all’improvviso tutta la parte sinistra del mio corpo si ritrova senza appoggio. Spinto dalla paura non ho prestato attenzione e ho toccato il punto in cui le macerie sono instabili. Miracolosamente riesco ad afferrare un pezzo di ferro, che sporge poco sopra la mia testa, e altrettanto miracolosamente questo non si stacca; ma ormai il danno è fatto: il rumore del crollo avrà attirato decine di Uomini Neri e i due, che mi stavano inseguendo, li vedo arrivare a tutta velocità. La parte instabile era solo un piccolo tratto, così riesco ad arrivare in cima. I due sono a qualche  metro da me. Guardo in alto: fra i due tetti vi è uno spazio di qualche decina di centimetri, sufficiente per me, ma non per loro. Però i tetti si trovano a  mezzo metro dalla mia testa, se vado con calma impiegherò troppo tempo e loro mi raggiungeranno. Con sicurezza allungo le braccia e mi aggrappo ad un tubo di ferro, che sporge fra le assi di legno. Gli Uomini Neri sono arrivati alla base delle macerie ed iniziano a salire. Faccio forza con le braccia, piego la testa di lato e passo fra i tetti; sento i bordi, resi taglienti a causa del tempo, che gli ha consumati, graffiarmi le spalle e la schiena. Intanto loro devono essere quasi in cima e li sento gridare qualcosa, ma non presto attenzione alle parole. Con un altro grande sforzo riesco a sollevare tutto il corpo sul tetto, al sicuro dai due; appoggio il piede destro sulle assi di legno e mi spingo in avanti, ma mi muovo troppo velocemente. Sento il rumore del legno che si spezza accompagnato da un dolore insopportabile alla gamba sinistra. Un involontario e atroce grido di dolore mi esce dalle labbra; stringo convulsamente il tubo di ferro per evitare di scivolare in basso e cerco di trattenere le lacrime. Guardo cosa è successo: poco sotto i miei piedi vedo un pezzo di legno, che si è staccato dal bordo del tetto, una sua estremità è insanguinata; muovo gli occhi fino alla gamba, un unico taglio corre da sotto il ginocchio fino a quasi la caviglia. Fa un male terribile, ma non deve essere molto profondo e per fortuna non esce molto sangue. Intanto da sotto continuano a giungere voci, ma non capisco quello che dicono, però capisco quello che fanno; infatti stanno spaccando le assi di legno intenzionati a raggiungermi. Stringo i denti e mi alzo, ma il dolore è troppo forte e cado, rischiando di scivolare giù dal tetto. “Dannazione!” grido con le lacrime agli occhi, poi si sente un rumore più forte degli altri e un bel pezzo di legno si stacca; dal buco spunta una testa completamente coperta di stoffa nera, con due buchi bianchi: gli occhi. A questo punto la disperazione e la paura riescono là dove la volontà ha fallito. Appoggio le mani al tetto e mi sollevo, appoggiandomi alla gamba buona riesco a raggiungere la sommità del tetto; mi aggrappo e mi tiro su. Davanti a me una selva di tetti e la luna, ancora bassa sull’orizzonte alla mia sinistra, l’est, devo andare da quella parte. Mi lascio scivolare verso il basso, verso il punto in cui i tetti si toccano. A fatica riesco a rimettermi in piedi, raggiungo la cima dell’altro tetto aiutandomi anche con le braccia; questa volta i tetti sono separati, per passare all’altro dovrò saltare. Ancora una volta mi lascio scivolare, poi quando sono vicino al bordo salto; ma sono troppo debole e non riesco a saltare così lontano. Con il busto tocco l’altro tetto, ma dalla vita in giù penzolo nel vuoto. Scivolo verso il basso, disperatamente cerco qualcosa a cui aggrapparmi e lo trovo. La mia mano destra si infila in un buco fra le assi, immediatamente stringo il bordo e per poco non lascio la presa. Sotto al palmo sento un bordo scheggiato e tagliente, che mi incide la carne; con grande fatica riesco a non mollare la presa e mi aggrappo anche con l’altra mano. Poi l’oscurità diminuisce sostituita da una miriade di luci e di voci: stanno arrivando. Ancora una volta la disperazione riesce a trovare in me energie nascoste. Con un enorme sforzo comincio ad issarmi sul tetto, ignorando il dolore alle mani; riesco a sollevare oltre il bordo la gamba sana, così mi appoggio su questa per sollevarmi completamente. Evitando di appoggiarmi sull’altra provo a mettermi in piedi, per evitare di cadere all’indietro rimango piegato in avanti, con una mano appoggiata alla superficie del tetto. Provo a muovere un passo, poi un secondo, ma la gamba sinistra non regge e cado in avanti, picchiando il ginocchio. Un tremendo ed involontario urlo di dolore esce dalle mie labbra, sento gli Uomini Neri, che mi hanno raggiunto, ridere. Cosa che mi provoca una rabbia cieca, rabbia verso di loro, verso di me, verso questo mondo maledetto; rabbia che mi da nuove forze. Con un altro tremendo urlo mi rimetto in piedi e raggiungo la cima del tetto; due passi e sono sul successivo, ne raggiungo la cima e comincio a camminarci sopra per evitare una parte crollata dell’edificio; poi mi lascio scivolare verso il bordo e salto raggiungendo il successivo. Cammino fino in cima e poi mi giro a sinistra. La luna, ora più alta, brilla in tutto il suo splendore, sotto di essa la mia salvezza. Un edificio più alto di quelli che lo circondano, il tetto a capanna e sotto una grande croce bianca: casa mia. Mi sporgo per vedere la strada sottostante; di solito, dato che siamo in un paio ad usare questa scorciatoia, Franky fa posizionare una scala per aiutarci a salire, tanto di oggetti strani in giro ce ne sono molti, però di sera viene tolta, come tutte le altre cose, dalla strada per evitare che venga distrutta dagli Uomini Neri. Vado verso la parte più bassa e cerco di capire la distanza da terra, forse quattro metri; comunque il muro della casa non è perfettamente liscio, quindi, contando che il tetto non è molto sporgente, posso riuscire a scalarlo. Così con la gamba sana cerco di trovare qualche appiglio; ma all’improvviso arriva alle mie orecchie un suono, come il rombo di un tuono, che cresce di intensità velocemente. Sono qui, sono arrivati! È troppo tardi, non farò mai in tempo a scendere normalmente! Senza ragionare mi lascio cadere. Il vuoto mi accoglie per qualche secondo, poi tocco il suolo.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: fourty_seven