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Autore: Rage Ramone    18/07/2013    2 recensioni
E' la mia prima song-fic, ispirata ad "A little boy named Train", perchè Trè! per me, in questo perodo, è un pozzo d'ispirazione e amo questa canzone.
E' semplicemente la storia di Train, un ragazzo un po'... strano. No. Train è solo un ragazzo come tutti noi.
Un ragazzo come te.
"Non conosco una parola che possa definirmi. Solo Train."
Enjoy
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The last one of trilogy. (Tré!)'
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 Shooting from the stars

 
Sono un ragazzo come tutti gli altri.

Non so leggere, non so scrivere, non so contare e non riesco a distinguere la differenza tra “giusto” e “sbagliato”.

Sono bravo in geografia, però: conosco il Mondo come le mie tasche.

Il Mondo è la mia casa, il cielo è il tetto che mi protegge dalla pioggia, anche se è il primo a scagliarmela addosso. Un po’ come fanno tutti, insomma. Il Mondo mi sveglia tutte le mattine, così come mi mette a letto ogni notte.

Il Mondo mi ha cresciuto, due veri genitori non li ho mai avuti.

Non so parlare, ma so cantare. Non ho amici, ma ho una ragazza: la mia chitarra. Trovata ancora accordata ai piedi di un monumento. Non l’ho cercata io, lei è venuta da me. Me la cavo, strimpellando qualche canzoncina che m’insegnano gli uomini venuti da posti lontani. Le canto, ma non capisco le sue parole.

Da dove vengo? Non ne ho idea. Alcuni dicono che sono piombato giù dalle stelle, altri dicono che sono insorto da chissà quale universo. La verità è che sono stato trovato nel bagno di una stazione, da una signora. Mi ha portato con se sul treno che stava per perdere e mi ha consegnato al controllore. Sono nato su un treno, a quanto pare. Quindi mi chiamarono Train.

Sono un ragazzino chiamato Train. Molta gente mi chiede conferma, pensando di aver sentito male, quando io mi presento, e io rispondo che non è così: il mio nome è Train. Si, ok, forse è un po’ bizzarro e originale come nome, ma del resto, rispecchia come sono realmente.

Non conosco una parola che possa definirmi. Solo Train.

Da dove vengo non lo so. Dove sono stato si, invece. Ricordo ogni singolo volto che mi ha sorriso o sputato in faccia, ogni strada che ho percorso e ogni luogo che ho visitato. La gente sembra che m’ignori, ma la maggior parte mi sembrano tutti uguali. Più viaggio, più mi rendo conto che per trovare gente diversa devi attraversare mezzo continente. La gente seria mi sembra troppo divertente, la gente divertente mi sembra troppo seria.
Viaggio sui treni, sugli aerei… Ovunque. Passo tranquillamente, come se nessuno mi vedesse, chitarra sulla spalla. Viaggio a sedere, in piedi se non c’è posto. Senza pagare il biglietto, naturalmente.

Solo alcuni notano la mia stramba presenza e mi chiedono: “Dove sono i tuoi genitori?”
Io non gli rispondo, perché non so parlare.

Spesso mi accontento dei treni merci, non faccio preferenze tra questi mezzi. Non riesco a capire perché la gente debba spendere così tanti soldi per viaggiare comoda, in prima classe o in classe lusso. In fondo, l’importante è dove arrivi, non dove viaggi. Lì c’è gente persa per il mondo, come me, scappata dalla vita e alla ricerca di un luogo dove sentirsi a casa. Mi siedo e tiro fuori lei, Amanda, la mia chitarra. Le diedi questo nome quando, anni fa, incontrai una ragazza su una strada, mi chiese dei soldi, ma io non ne avevo. Era bella, e mi sorrideva, con quei denti masticava una gomma in modo annoiato.

Io le allungai la mia coperta: si doveva coprire, era mezza nuda. Lei la rifiutò, e io pensai che fosse strana. Mezza nuda, su una strada di notte, a chiedere soldi agli sconosciuti. “Poi sarei io quello strano” ho pensato.

Le riuscii a dire “Nome”, una delle poche parole che so.

“Cosa?”

“Nome” ho ripetuto indicandola, sperando con tutto il cuore che avesse capito. Mi fissò con quegli occhi azzurri, illuminati dai fari di un’auto che si era appena fermata davanti a noi. L’uomo al volante le chiedeva di salire.

“Amanda, tu?” Aveva capito! In cuor mio ringraziai il cielo, perché nessuno aveva mai cercato di capirmi.

“Train” risposi. Lei sorrise: quant’era bella!

“Gran bel nome, Train” disse lei sghignazzando, aprendo la portiera dell’auto ed entrandoci dentro. Io sgranai gli occhi: lei è stata la prima ad avermi fatto un complimento, e per il nome, tra l’altro! Solitamente la gente non capiva subito che “Train” era il mio vero nome, e chiedeva sempre qualcosa del tipo “Come, scusa?” o “Cos’hai detto?”.

Lei no. Lei aveva detto, testuali parole: “Gran bel nome, Train”. Mi sentii come mai prima di allora! Avrei voluto abbracciarla, ringraziarla, ma l’auto che l’aveva rapita si mise in moto. Non sentii il suo rombo, il battito del mio cuore era più forte ma soprattutto, più bello.  La vettura sparì dalla mia vista, portandosi con lei Amanda. Via da lì, via da me. E io lì, fermo, senza che potessi far nulla.

Amanda, Amanda… Che bel nome! Ricordo che mi ero seduto sul ciglio della strada, a fissare l’auto allontanarsi, fissare il punto in cui era svanita. Tirai fuori la mia chitarra dalla sua custodia e cominciai a suonare.

Le corde avevano la stessa dolce rigidità della sua voce,  il suono la limpidezza dei suoi occhi e il ritmo era il battito del mio cuore. Spensi il mio sguardo, abbassando le palpebre. Il suo viso, i suoi occhi, il suo sorriso.

“Amanda” sussurrai. Guardai la mia chitarra, e decisi che d’ora in avanti l’avrei chiamata così.

Una goccia di pioggia mi macchiò il viso, di nuovo il mio tetto aveva delle perdite. “Amanda” ripetei a voce più alta.

Un’altra goccia,

“Amanda” sempre più forte.

e un’altra,

“Amanda” ancora più forte.

un’altra ancora!

Mi ritrovai fradicio in pochi secondi, abbandonai la mia chitarra al suolo e scattai in piedi.

“AMANDA!!” urlai allargando le braccia verso il cielo, mentre le gocce di pioggia mi carezzavano il viso, formando cerchi perfetti sulla mia pelle. Risi, perché in quel momento conobbi la felicità. Ne avevo sentito parlare, di questa felicità, ma solo in quel momento mi ero reso conto di cosa fosse realmente.

“Felice” sussurrai.

“TRAIN È FELICE!” urlai, mentre il cielo si squarciò in un lampo. Risi ancora, allargando la mia bocca per accogliere la pioggia. Il suo sapore. Il suono della mia risata mi sconvolse.

Dall’ora, quando suono, sono felice. Suono ogni volta che ne ho l’occasione. Canto anche. I miei testi? Un groviglio di parole, le uniche che so, messe in modo da farle danzare con la musica. Alla gente, a quanto pare, non interessa il testo di una canzone. Piacciono le melodie orecchiabili e che mettano allegria. Io suono questo.
Quando mi chiedono “Chi ti ha insegnato a suonare?” io rispondo “Amanda”.

Perché la mia chitarra, Amanda, mi ha cercato, mi ha trovato, e si serve di me per suonarsi da sola. È lei che si fa suonare da me, non sono io che suono lei.

Così è la mia vita. Un viaggio continuo. Un giorno a New York, uno a Londra. Uno a Peshawar, due al Cairo. Uno a Roma, tre a Sidney. Poi ritorno a New York, e infine a Tokio. Città nuova, gente nuova, musica nuova, parole nuove: questo è viaggiare per me.

Questa è la mia vita, cavalco la nebbia, e vengo travolto dalle ondate della mia immaginazione.

Per tutta la vita non sono mai stato fermo. Sono sempre in costante movimento.

Non sono i miei piedi che camminano, è la terra sotto di loro che si muove.

Io vivo così, sfamato dalle orecchie soddisfatte della gente, e dai soldi nel mio cappello. Vivo di musica, di esperienze.

Girovagavo avanti e indietro senza meta, ma ora ne voglio raggiungere una. Da quando? Esattamente da quando ho conosciuto Amanda. Non la chitarra: l’Amanda vera. Voglio viaggiare, trovare una scala che porti al tetto del mondo, ed urlare, da lassù, il suo nome. Lo sentirà, e sorriderà di nuovo. Sorriderà pensando a me, il piccolo ragazzo di nome Train al quale aveva chiesto dei soldi e le aveva offerto una coperta.

Mi sono perso nel Mondo, solo così lo troverò. Sulla strada dei miei passi, ecco dove sono.

Datemi una direzione, ma io mi perderò di nuovo. Sono fatto così.

Il mio cammino è stato scritto, ma io non so leggere. Vado ad intuito, come faccio con la mia musica.

Sono un ragazzino di nome Train.

E a parte questo, sono un ragazzino come tutti gli altri.

Con dei sogni, delle aspirazioni e una vita.

Non sono così diverso, in fondo.

Sono come tutti gli altri.

Sono come te.

Da dove vengo non lo so, ma so dove sono stato.

È questa l’unica differenza tra me e te, oltre ad avere un nome strano,una chitarra di nome Amanda come compagna di viaggio e una voglia matta di scrivere una storia che non potrò mai leggere, ma, forse, un giorno, solo cantare.

***

 
NOTE:Sapevo dell’interpretazione originale della canzone, del Train “afrodite” eccetera. Ma io ascoltando la canzone in macchina ho pensato ad un “Train molto forever alone”, e non mi andava proprio di scrivere su un cazzofiga, davvero.  ùwù Quindi, et voilà votre fanfiction!
Ho scelto il nome di Amanda perché, seguendo la track list di Trè! , dopo “A little boy named Train” vi è, appunto, “Amanda”. Solo per questo l’ho chiamata così, ma si poteva chiamare perfettamente Ermenegilda, Augusta o Bartolomea, sarebbe stato uguale. E poi è psicologia collaterale, la mia chitarra si chiama Amy, quindi ho fatto una specie di parallelo con la mia vita. (?) #LaPsicheContortaDiRageRamone
Spero solo che questa song-fic vi sia piaciuta. Lasciatemi una recensione, non sono cannibale.
Tanta rabbia e tanto, tanto amore.
See ya


PS: per chi non fosse aggiornato sui fatti, sappia che sono la vecchia Bloody Lau. Ho solo cambiato nickname.


   
 
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