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Autore: AlexisLestrange    18/07/2013    1 recensioni
Il prete parlava, la gente parlava, era solo una confusione di parole senza alcun significato. Ma non
quando fu il turno di John, no. Non quando toccò a lui salire in piedi accanto al microfono. A tenere
un discorso per lui.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Lestrade , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock e John erano stati insieme al funerale del signor Graves. Era stata la vedova Lizzy ad
invitarli, tanto era rimasta commossa dalla “brillante prestazione del signor Holmes, che aveva
permesso alla verità di venire a galla.
” Almeno, così aveva detto alla stampa, il giorno prima.

Ma Sherlock, al funerale, si annoiava. Lo aveva ripetuto più volte a John, l'unico che lo stesse
davvero ad ascoltare, e quando lui gliene aveva chiesto il motivo, Sherlock aveva risposto che era
l'ipocrisia a dargli noia.

«Tutti ne parlano bene» aveva detto a voce bassa, voltandosi appena verso John, in piedi al suo
fianco. «Tutti lo adoravano, tutti pensavano fosse la persona migliore di questa Terra. Ma
metà degli invitati è qui solo per formalità, e una buona parte riteneva Charles un buono a nulla.
Solo la moglie e i figli sono effettivamente dispiaciuti, ma loro possono sempre consolarsi con
l'eredità».

«Sherlock!» aveva esclamato John, con lo stesso tono che usava ogni volta che doveva fargli capire
di aver appena detto o fatto qualcosa di estremamente sconveniente.

Lui si era limitato a stringere le spalle.

«Ormai Charles è morto» aveva aggiunto John, abbassando la voce e scoccando una rapida occhiata
attorno, tanto per assicurarsi che la vedova non fosse in ascolto. «Che senso avrebbe, dirne delle
cattiverie?»

Sarebbe onesto, aveva pensato Sherlock, ma non aveva detto nulla, perché sapeva che il discorso
dell'altro non era ancora finito. E infatti, John aveva fatto una pausa, e poi concluso.

«Voglio dire, tu cosa vorresti che dicesse, la gente, al tuo funerale?»

In piedi in fondo alla folla, le mani strette dietro la schiena come suo solito, perfettamente dritto,
Sherlock aveva incurvato appena le labbra. «Stai già pensando a farmi fuori, John?» aveva
commentato, con leggerezza.

John si era voltato a guardarlo per assicurarsi che stesse scherzando, prima di rispondere. «Ogni
tanto contemplo l'idea, sì».

Sherlock aveva accennato un sorriso, divertito. Nessuno dei due aveva avuto modo di dire altro,
mentre la vedova si avvicinava per ringraziarli lacrimante della loro presenza, ma quando si erano
ritrovati di nuovo seduti accanto, in taxi, Sherlock, con lo sguardo fisso lo sguardo aldilà del
finestrino, aveva rotto il silenzio.

«La verità».

John si era come riscosso dai suoi pensieri, e si era girato a guardarlo, aggrottando la fronte, senza
capire. «Come, scusa?»

Sherlock aveva continuato ad osservare fuori, senza muoversi. «Cosa vorrei che la gente dicesse
al mio funerale. Me lo hai chiesto prima. La verità».

«Oh». John non aveva trovato niente da dire, sul momento, mente cercava di recuperare i brandelli
della conversazione precedente. «E sarebbe, la verità?»

Sherlock aveva deciso che insistere non avrebbe avuto particolarmente senso. Aveva gettato un'occhiata
a John, si era rilassato appena, e aveva aggiunto: «Il vostro rammarico per aver perso la mente più
geniale del secolo».

                                                  *


Ma Sherlock si sbagliava. Perché, per quanto tu possa essere brillante, non sempre le cose vanno
come avevi previsto. Ebbe modo di constatarlo con i suoi occhi, quel giorno. Dopotutto, non era
da tutti poter partecipare al proprio funerale, ma Sherlock non era mai stato una persona ordinaria.

Così, era rimasto nell'ombra, nascosto, ad assistere alla cerimonia. Era quasi divertente, l'andirivieni
di persone in nero che procedevano verso la tomba che solo lui sapeva essere vuota, con espressioni
contrite sul volto. Come al funerale di Charles, aveva pensato.

Solo che qui c'era molta più gente. La sua morte aveva suscitato scalpore. Decine e decine di volti
sconosciuti che si aggiravano intorno ad una tomba vuota. Scattando fotografie. Sciorinando a
memoria la storia della sua vita, redatta quella mattina da una giornalista di quart'ordine che credeva
di sapere ogni cosa.

Aveva stretto i pugni, le nocche bianche contratte. Era abituato alla gente, alle loro bassezze.
Tuttavia, sapere che era bastato un articolo, una sola storia, architettata dalle mani giuste, a
distruggere ciò che lui aveva fatto per una vita intera, era... Si fermò per scegliere l'aggettivo giusto.
Irritante? Prevedibile? Devastante? Le persone sono così facili da manovrare. Era triste aver dedicato
tutta una vita di lavoro a della gente del genere. Il mondo ha bisogno di eroi, sì, ma da sfatare. Per
sentirsene superiori.

Ma poi erano arrivate altre persone. Persone che Sherlock conosceva, questa volta. E le cose
cambiarono, perché, come notò stringendo appena gli occhi azzurri, nessuno di loro stava fingendo.
Nessuno di loro si sforzava di sembrare dispiaciuto, neppure quelli che Sherlock credeva avrebbero
gioito della sua collassante uscita di scena.

Passò in rassegna uno ad uno i volti del corpo di polizia venuto a rendere omaggio alla sua lapide, e
si trovò a constatare ancora una volta quanto le persone fossero assurde. Non si rendevano mai
conto delle proprie azioni. Sbatté le palpebre. Lestrade si stava tormentando il mento con la mano
destra.

E poi, c'era John. La sua vista causò a Sherlock un'indecifrabile fitta di dolore ad altezza delle
costole, un dolore che non riuscì a comprendere. Dopotutto, era lui quello nella tomba, e non John.
Così come doveva essere, come aveva voluto che fosse. Se solo John avesse capito che andava bene
così.

Ma non l'avrebbe mai fatto. Non era affatto corretto nei suoi confronti, non dopo l'intera
messinscena che Sherlock aveva messo in piedi per lui. Non dopo che aveva cercato con tutte le sue
forze di convincerlo che era stata tutta una farsa. Fino all'ultimo, disperatamente. Avrebbe dovuto
credergli. Perché non poteva?

Fu allora che Sherlock capì. John aveva sempre fatto tutto quello che lui gli aveva chiesto. 'Passami
il cellulare', e gli aveva passato il cellulare. 'Interroga la sua psicanalista', e lui era andato. Gli aveva
chiesto la verità, ed ora non poteva mentire.

Il prete parlava, la gente parlava, era solo una confusione di parole senza alcun significato. Ma non
quando fu il turno di John, no. Non quando toccò a lui salire in piedi accanto al microfono. A tenere
un discorso per lui.

Sherlock s'inumidì nervosamente le labbra, nascosto all'ombra, senza riuscire a staccargli gli occhi
di dosso.

Menti, pensò con forza, come a volergli impartire un solo, ultimo ordine.

John si schiarì la voce, prima di cominciare. Sherlock notò un insopportabile fremito nel suo pomo
d'Adamo.

Andiamo, menti. Stai al gioco. Menti, e va' via. Va' avanti.

Ma lui non poteva sentirlo. John aprì la bocca.

«Oggi» esordì « il mondo ha perso la sua mente più geniale».

Avrebbe dovuto stare più attento a cosa gli ordinava.

Avrebbe dovuto proteggerlo meglio.



~Special thanks to claireblahblah, che l'ha betata.

   
 
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