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Autore: Littlemisstneb    19/07/2013    1 recensioni
"La mia vita non era mai stata vera e propria vita. Era un lento susseguirsi di giorni in cui sopravvivevo a tutto ciò che accadeva intorno a me, cercando di ignorare tutto e tutti. Soprattutto me stessa."
*** Piccola one-shot inventata ascoltando una canzone. Spero vi piaccia :) ***
Genere: Commedia, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dammi solo un motivo
La mia vita non era mai stata vera e propria vita. Era un lento susseguirsi di giorni in cui sopravvivevo a tutto ciò che accadeva intorno a me, cercando di ignorare tutto e tutti. Soprattutto me stessa.
Sono cresciuta in un orfanotrofio nella periferia di Londra. Uno di quei posti malfamati, dove i proprietari non fanno altro che ubriacarsi e picchiare i ragazzini. Io ero una di loro.                                          
Non mi hanno mai adottato, al contrario di tutti quelli che arrivavano all'orfanatrofio.                      
Non mi importava molto di andarmene da lì. Aspettavo solo di compiere i fatidici 18 anni, che sono arrivati pigri come la Primavera e, come essa, hanno portato una ventata d'aria calda e soprattutto il Sole. Appena fuori, ho trovato lavoro come cameriera in una tavola calda a Victoria. Un posto tranquillo, frequentato soprattutto da ragazzi. Ed uno di questi mi ha completamente stravolto la vita. 
Mi ero appena trasferita in un monolocale vicino a Claudine's, la tavola calda dove lavoravo. L'avevo preso in affitto da una signora anziana, che si era trasferita in campagna. Pagavo poco, per la zona della città in cui vivevo. 
Era Marzo e, nonostante le temperature iniziavano ad alzarsi, era uno dei soliti piovosi pomeriggi di Londra. Quel pomeriggio entrò un gruppo di ragazzi che veniva molto spesso. Di solito stavano ore a chiacchierare, mangiando pasticcini e bevendo cappuccini o cioccolate calde.
"Salve!"esclamò tutto sorridente uno dei ragazzi, sedendosi al loro solito tavolo. Sembravano tutti eccitati per qualcosa di importante e non facevano altro che ridere e darsi pacche sulle spalle a vicenda. Mi avvicinai per prendere le loro ordinazioni.
"Buon pomeriggio! Cosa vi porto?"chiesi, prendendo tra le mani il taccuino e la penna, pronta a scrivere.
"Oggi offro io! Si festeggia" esclamò un altro dei ragazzi, dai capelli arancioni ed il viso ricoperto di efelidi.                                                                                                                                                                    
Dovevano avere poco più della mia età.                                                                               Presi le loro ordinazioni e feci per andarmene, quando una voce mi fermò, ponendomi una domanda.
"Vuoi sapere cosa?"mi chiese il ragazzo che aveva salutato appena entrato. Era moro, con gli occhi blu come lapislazzuli ed aveva ancora il sorriso stampato sulla faccia. Rimasi stupita dalla sua domanda.
"Come?"sussurrai, aggrottando la fronte.
"Vuoi sapere cosa festeggiamo?"
"Io... ehm... non saprei" balbettai confusamente, per poi ammutolire. Lui ridacchiò.
"E io te lo dico lo stesso. Festeggiamo l'aver passato l'esame di solfeggio all'università" mi disse, lasciandomi ancora più confusa.
"L'esame di che?"chiesi, facendoli ridere tutti.
"Si tratta di musica. Studiamo al London College of Music. Tu che scuola fai?"mi rispose.
"Nessuna. Lavoro."chiusi il discorso e, con un sorriso di congedo, andai a preparare quello che mi avevano chiesto.
Per le due settimane di seguito i ragazzi continuarono a venire alla tavola calda e Daniel, così scoprii che si chiamava il ragazzo moro, iniziò a farmi sempre più domande, a cui, senza rendermene veramente conto, risposi, dandogli una confidenza che non avevo mai dato a nessuno. I primi giorni, come mio solito, rispondevo a monosillabi e lui me lo fece notare scherzosamente. Iniziai a rispondere con brevi frasi e poi iniziai a fargli domande anche io, affascinata dalla sua passione per la musica. Parlava con occhi così sognanti delle sensazioni che provava suonando il piano che era come se le sentissi anche io. Anche a me piaceva molto la musica, soprattutto quella suonata con un pianoforte.                                                                      
All'orfanotrofio ce n'era uno verticale, vecchio e male accordato. Lo adoravo. Era una delle poche cose che facevo lì dentro di mia spontanea volontà: pigiare i tasti bianchi e neri, riproducendo improbabili composizioni inventate da me sul momento, fino a scoprire le note, o meglio i tasti, da suonare per canzoni che sentivo canticchiare dalla maestra.
A Maggio Daniel mi convinse a visitare il suo college per farmi scoprire qualcosa in più del mondo in cui "vivevo". Aveva impiegato intere giornate di suppliche per farmi arrivare in quel luogo dove i ragazzi ridevano e scherzavano per i corridoi, suonando chitarre e tamburi, creando una confusione incredibile, che però mi fece sorridere. Vedevo la vita, la voglia di vivere nei loro occhi. Era davvero rallegrante girare per quei corridoi.                                                                                              
Quel giorno, per la prima volta, vidi un "vero" pianoforte. Era nero lucido, a coda. Bellissimo.                      
Me ne innamorai subito ed un professore, sapendo che ero in visita, mi suggerì di fare un'audizione per entrare nel college. Credo lo facesse con chiunque visitava la scuola.                                        
Io, però,non ero come gli altri, che si erano subito lasciati convincere dall'armonia del luogo.              
Io non volevo, nonostante sapessi che l'esame per entrare si basasse sulla cultura generale e non sulle mie capacità artistiche, che io non possedevo assolutamente.                                                      
Capii che avevo paura, non che non volevo sottopormi all'esame, iniziare a provare una speranza che poi sarebbe stata cancellata da un mio eventuale fallimento. Non avevo mai voluto sperare in niente, nonostante il mio nome dicesse il contrario.                                                                                        
Non ho mai capito perché mia madre mi chiamò Hope, se poi mi abbandonò.                                
Non aveva alcun senso.
Quando comunicai a Daniel che non volevo nemmeno provare ad entrare al college litigammo. Ormai eravamo diventati amici e lui rimase deluso della mia riluttanza a provare nuove esperienze. Aveva sempre cercato di farmi vedere la mia vita in positivo, al contrario di quello che facevo ed avevo sempre fatto. La conclusione del nostro litigio mi spinse a riflettere per i mesi successivi, portandomi a scelte che mai e poi mai avrei fatto.
"Dammi solo un motivo! Un solo motivo per cui devo farlo, Daniel"gli avevo chiesto, frustrata dal suo insistere.
"Il motivo sei tu, Hope. "mi aveva risposto, "Devi farlo solo per te stessa" concluse, lasciandomi senza parole ed andandosene dal parco in cui stavamo passeggiando.                                                                    
Era stato il peggior litigio della mia vita.
A fine Agosto erano due mesi che non vedevo Daniel e mi ero decisa a sottopormi all'esame di ammissione al London College of Music. Avevo deciso di farlo per me stessa, perché Daniel aveva ragione. Avevo solo 18 anni, tutta la vita davanti e non potevo sprecarla solo perché il destino era stato sempre crudele con me. Daniel era stata la prima persona al mondo a capirmi veramente ed a farmi vedere il lato positivo in tutte le cose.                                                                        
Mi aveva dato un motivo per iniziare a vivere.              
 

La mattina dell'esame d'ammissione andai al college senza esitazioni. Avevo studiato sodo in biblioteca per riuscire ad entrare in quella scuola. Non lo stavo facendo solo per me stessa, ma anche per quel ragazzo che si era impegnato tanto per svegliarmi dallo stato comatoso in cui ero da tempo. E lo stavo facendo anche per la donna che mi aveva messo al mondo, perché forse la sua vita faceva schifo, forse non aveva potuto tenermi a causa dei genitori e perciò mi aveva chiamata "Speranza", una speranza, forse, che io potessi avere una vita migliore della sua. Mi sarebbe davvero piaciuto conoscerla.
Non avevo più paura del mondo ed entrai nell'aula del college senza esitazione. L'esame durava tre ore. E quelle furono le tre ore più lunghe in assoluto di tutta la mia vita. Sapevo quasi tutte le risposte e le scrissi su quei fogli che avrebbero cambiato la realtà in cui vivevo.
Appena uscita dall'aula, dopo aver consegnato i fogli con le risposte ai test, incontrai Daniel, che mi sorrise come il primo giorno che l'avevo notato sulla porta della tavola calda. Mi invitò a prendere un gelato ed io accettai. Mi disse che era orgoglioso di me e, forse scherzando, anche di sé stesso. Gli parlai di come mi aveva fatto riflettere, di come avevo capito molte cose su me stessa. Lo ringraziai, per quello che aveva fatto per me.
Con mia grande gioia venni ammessa alla scuola di musica ed iniziai i corsi a Ottobre, con l'aiuto e l'appoggio di Daniel e degli altri ragazzi che avevo conosciuto.
La mia vita cambiò radicalmente. In positivo, naturalmente.                                                                      
Da quel momento avevo un motivo per svegliarmi ogni mattina.                                                                                          
Un motivo per sorridere.                                                                                                                                    
Quel motivo me lo sarei portato dentro per sempre, insieme alla speranza.

La musica.





*** Ciao! Spero che vi sia piaciuta. E' un testo semplice, scritto in pochi minuti, ma a me piace, a voi non so. Se volete farmelo sapere recensite, anche scrivendo due paroline...
Grazie a tutte/i... <3 ***
  
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