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Autore: Rosheen    19/07/2013    3 recensioni
Certo che non è facile essere un fantasma, non ad Hogwarts. Avete idea di cosa si provi a trascorrere il resto della propria esistenza circondato da persone che non conoscono nemmeno il tuo nome? Che si ricordano di te solo come "lo spettro occhialuto e piagnone che infesta il bagno delle ragazze"? Mirtilla lo sa.
Quello che non saprà mai, invece, è cosa significhi crescere, divertirsi, vivere, amare. Per tutto questo, dovrà arrangiarsi a modo suo.
Genere: Comico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mirtilla Malcontenta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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THE PERKS OF BEING A GHOST

 
 
 
 
 
La cosa più brutta dell’essere piccoli è che tutti non mancano mai di fartelo notare.
Piccoli di età, non di statura, badate bene, anche se è vero che in una scuola nessun “tappo” è mai al sicuro da eventuali burle o frecciatine. Questo, purtroppo, è un dato di fatto che vale anche per le scuole magiche.
Charlene Littletongue era sempre stata una ragazzina nella norma: né troppo alta né troppo bassa, né troppo magra né troppo in carne, aveva i capelli di un biondo sporco che teneva legati in due treccine corte perennemente disordinate. L’effetto che creavano, unite agli occhiali dalla spessa montatura e ai due incisivi sporgenti, era quello di farla assomigliare a una sorta di “animale da cortile”, come amavano ricordarle i suoi compagni di scuola delle primarie.
Una persona per nulla interessante, direte voi. E così la pensava la stessa Charlene, almeno fino a quando non ricevette la lettera. Era incredibile come un semplice pezzo di carta avesse sconvolto la sua esistenza altrimenti monotona: scoprire di essere una strega non è qualcosa che capita tutti i giorni o a chiunque, dopotutto.
Certo, affrontare la separazione dai propri genitori non era stato facile, soprattutto durante le prime settimane, ma le ci era voluto poco tempo per cambiare idea. Hogwarts era così… magica. Non avrebbe potuto trovare parola migliore per descriverla. Amava tutto di quella scuola, dalle scale che si muovevano da sole ai fantasmi che vagavano liberamente per il castello, dal cibo che compariva come per magia nei loro piatti al grosso e gentile guardiacaccia, Hagrid. Sì, trascorrere sette anni lì dentro non sarebbe stata affatto dura, sempre se non si teneva conto di un piccolo particolare: i Serpeverde.
“Mai metterti contro un Serpeverde, se vuoi uscire viva da qui” soleva ripeterle Justin, suo amico e compagno di corso. “Non parlarci, non urtarli, non guardarli neanche: tu va’ dritta per la tua strada e spera solo di passare inosservata, o sono dolori.”
Be’, dolori in senso figurato perché, fortunatamente, nessuno di loro le aveva mai messo le mani addosso; si limitavano per lo più a lanciarle delle frecciatine ogni tanto, e sempre sul fatto che portasse gli occhiali. D’accordo, forse non erano all’ultima moda, ma a lei piacevano.
Di solito cercava di ignorare Samantha Skull e le sue compagne Serpeverde, ma non quel giorno. Quel giorno avevano deciso di divertirsi… con lei. Le avevano impedito di andare al bagno. La prima volta ci si era recata dopo colazione per lavarsi le mani e la bocca dalla marmellata di fragole, ma quando era entrata aveva trovato Samantha e le sue tirapiedi ad attenderla. Prima di avere anche solo il tempo di reagire l’avevano accerchiata, allora Samantha aveva estratto la bacchetta e, un ghigno stampato in faccia, gliel’aveva puntata contro mormorando uno strano incantesimo.
Charlene si era ritrovata sospesa a un metro da terra a gambe all’aria, e lì era rimasta finché un ragazza di Grifondoro dai denti sporgenti quanto i suoi e crespi capelli castani non l’aveva trovata e aiutata. Charlene l’aveva ringraziata a mala pena per poi schizzare fuori dal bagno alla velocità della luce, dimenticandosi di ripulirsi dalla marmellata.
La storia si era ripetuta anche prima e dopo pranzo e durante il cambio dell’ora, mentre usciva dall’aula di pozioni. Il mercoledì era il giorno in cui Tassorosso e Serpeverde avevano lezione insieme, perciò Samantha e le altre non ci avevano messo molto a seguirla mentre si dirigeva verso il bagno, impedendole nuovamente di usufruirne.
Ormai erano più di nove ore che tratteneva la pipì e stava per scoppiare. Ancora poco e non sarebbe più riuscita a resistere. Accelerò il passo. Dritto fino alla statua del cavaliere, girare a destra al secondo incrocio e… Eccola, la porta che stava cercando.
Se quello che le aveva detto Emily corrispondeva al vero, Samantha e le altre non sarebbero mai venute a cercarla lì. Nessuno ci andava mai. Questo giocava dalla sua.
La piccola Tassorosso aprì titubante la porta che cigolò in risposta, ma quando appurò che la stanza era effettivamente deserta non perse un secondo di più ed entrò.
Scelse il primo gabinetto che le capitò a tiro e ci si infilò in fretta e furia, chiuse la porta a chiave per scrupolo e… Finalmente! Ormai non ce la faceva più a trattenerla.
Inebriata da quella sensazione di liberazione, Charlene si guardò attorno: le pareti del gabinetto avevano perso parte della loro vernice e forse l’aria che si respirava non era delle migliori, ma non si stava poi così male. Non capiva come mai le ragazze lo evitassero, quel bagno del secondo piano.
Uhhh…
Cos’era stato? Le era parso di sentire un rumore, come di qualcuno che piangeva. Ma era abbastanza sicura di essere da sola. Forse è stata la mia immaginazione… Be’, se era così, allora la sua mente le stava giocando davvero un brutto scherzo perché quel pianto era ricominciato ancora più forte di prima. Poteva distinguere chiaramente dei singhiozzi che si facevano via via più intensi, come se quella fonte si stesse avvicinando…
Charlene aveva appena finito di ripetersi che andava tutto bene quando, all’improvviso, il suo gabinetto esplose. La tazza tremò sotto di lei e l’acqua schizzò, bagnandole il sedere, mentre davanti a lei compariva una figura, trasparente ed evanescente, che riconobbe come quella di un fantasma. Non lo aveva mai visto prima: era una bambina poco più grande di lei che indossava l’uniforme di Hogwarts con il simbolo di Corvonero cucito sul petto; dalla tazza sbucava solo parte del suo corpo.
Il fantasma la scrutò per un solo, breve istante da dietro un paio di occhiali tondi, poi si mise a gridare: «Chi? Chi è che osa entrare nel mio gabinetto? Non vi è bastato torturarmi in vita, adesso vi divertite anche a farmi la pipì sulla testa!»
Charlene non rispose, continuò a fissare la bambina che le sbraitava a un palmo dal naso senza sapere bene cosa fare.
Questo non parve piacere al fantasma. «Ma sì, dai, facciamo la pipì in testa a Mirtilla! Tanto lei è già morta! Ahhh!»
A quest’ultimo urlo, Charlene rispose con uno ancora più forte. Non seppe mai cosa la spinse a farlo, ma dalla paura afferrò la corda dello sciacquone e la tirò forte, per poi schizzare via dal gabinetto a gambe levate, la gonna ancora abbassata e il cuore che le pompava nel petto.
Eh no, così era troppo: quella volta Samantha aveva davvero esagerato.
 
 
 

*   *   *

 
 
 
L’acqua prese a vorticare e Mirtilla, intrappolata ancora per metà nella tazza del gabinetto, non poté fare a meno di venire trascinata con essa. Dannazione, non di nuovo!
Possibile che nelle rare occasioni in cui qualcuno decideva di entrare in quel bagno questi finiva sempre per usufruire proprio del suo gabinetto, e che per giunta tirasse l’acqua con lei dentro? La sua solita fortuna.
Durante quella folle corsa lungo le tubature le parve di vedere galleggiare un liquido dall’aspetto poco raccomandabile che aveva già avuto modo di conoscere: Pozione Polisucco. Chissà, forse si trattava di uno scherzo di qualche giovane Serpeverde… sinceramente, la cosa le importava relativamente.
Ciò che realmente le premeva era riuscire ad uscire da lì: quella notte aveva un appuntamento a cui non avrebbe dovuto, né voluto, mancare.
Quando le tubature terminarono, Mirtilla si ritrovò catapultata direttamente sui fondali del Lago Nero. In tutti i suoi anni da fantasma vi aveva fatto visita parecchie volte, e quasi mai di sua spontanea volontà. Quel posto non le piaceva. Era decisamente troppo buio e umido per i suoi gusti – cosa assai strana, se si tiene conto del fatto che un fantasma non percepisce cose come il caldo e il freddo –, e in più era abitato da quelle disgustose sirene.
Non erano affatto come le immaginava la maggior parte della gente: avevano sì mezzo corpo di donna e mezzo di pesce, ma non possedevano quell’esotica bellezza che veniva descritta nei racconti, né una voce melodiosa. Be’, almeno quando non cantavano. Perché quando lo facevano, invece, non c’era essere vivente - e non - che non rimanesse incantato dal loro canto, da quelle voci limpide come rugiada e fresche come pioggia.
Ma quando le si osservava in viso i denti affilati e i tratti aspri prendevano il sopravvento su tutti i loro canti. E poi erano antipatiche, antipatiche e spocchiose. Erano decisamente molto meglio i tritoni.
Proprio per evitare di incontrarle, Mirtilla fluttuò verso il luogo dell’appuntamento passando per acque sì più oscure, ma anche meno frequentate. Forse il fatto che fossero il territorio della piovra gigante contribuiva a tenere lontane le altre creature… chissà. Certo era che quel polipo troppo cresciuto non avrebbe potuto farle del male: tanto era già morta.
Durante il tragitto, Mirtilla individuò uno dei tentacoli della piovra. Stava dormendo placidamente rannicchiata sul fondale, il muso appoggiato sulla massa tentacolosa come fosse un cuscino. Si concesse il tempo di fermarsi e di farle una linguaccia; poteva permettersi certe libertà, in fondo era un fantasma. Nessuno può dire a un fantasma cosa deve fare.
Nuotò per una decina di minuti abbondanti prima di individuare una massa nera sopra di sé, abbastanza grande da oscurare la luna. Ecco, ci siamo…
Mirtilla uscì dall’acqua silenziosa come solo un fantasma sa fare e fluttuò verso la poppa dell’enorme nave, verso la zona in cui si trovavano le cabine degli studenti di Durmstrang. Individuò l’oblò giusto, quello da cui proveniva una cacofonia di voci soffocate, e vi guardò dentro. Quasi tutti gli studenti bulgari si riunivano in quella cabina ogni notte per passare il tempo. Mirtilla non aveva idea di che cosa si dicessero – non capiva la loro lingua –, ma il semplice fatto di poterli stare a guardare era in grado di compensare a questa mancanza.
Erano tutti ragazzi dai diciassette anni in su, alti, dai toraci ampi e le braccia muscolose e, maledizione, erano bellissimi. Uno in particolare aveva attirato la sua attenzione: Viktor Krum, il Cercatore della squadra bulgara di Quidditch. Ben piazzato e dai lineamenti marcati, era la mira di molte delle ragazze di Hogwarts. Come poteva non esserlo? Era ricco, famoso e con un paio di occhi neri come il peccato, ed era anche un tipo solitario. I ragazzi belli e dannati facevano sempre gola, almeno su Mirtilla.
Non sapeva, però, come ci si sentisse quando un ragazzo del genere ti guarda con gli stessi occhi adoranti che hai tu. Non aveva idea di cosa fossero le carezze e i baci, non aveva mai udito qualcuno sussurrarle un “ti amo” a fior di labbra, quasi dalla paura di poter fare troppo rumore al sol pronunciare quelle parole. E non l’avrebbe mai saputo.
Perché lei era un fantasma. Era morta prima di cominciare davvero a vivere, prima di poter scoprire quali meraviglie si celassero oltre le lenti dei suoi occhiali. Prima di poter amare. E per quanto tentasse di ingannare se stessa, Mirtilla sapeva bene che quel suo continuo spiare i ragazzi di Durmstrang e i Prefetti mentre si facevano il bagno non le avrebbe restituito ciò che le era stato negato.
Ma questo non le impediva di rifarsi gli occhi.
Persa nei suoi pensieri, la ragazzina non si era accorta di essersi progressivamente avvicinata all’oblò tanto da oltrepassarlo e di essere entrata nella cabina finché uno dei ragazzi non aveva urlato, vedendola. Mirtilla gridò a sua volta e così il resto dei ragazzi, spaventati da quella bizzarra intrusione: per quanto abituati a vivere a contatto con dei fantasmi, trovarsene uno in camera che ti osserva con aria sognante non è una bella esperienza.
Il pandemonio si era scatenato fra i giovani bulgari: c’era chi correva a gambe levate fuori dalla stanza, chi cercava di armarsi della propria bacchetta e chi tentava di coprirsi malamente con delle coperte – era pur sempre una ragazza quella che avevano di fronte. Ma in mezzo a tutto questo, Mirtilla se n’era già andata. Quello che voleva l’aveva ottenuto ed era rimasta anche piacevolmente soddisfatta dalla strana piega che avevano preso gli eventi.
E mentre fluttuava verso il castello, la luna che si rifletteva nelle acque scure del Lago Nero tinteggiandolo d’argento, si lasciò sfuggire un sorriso: sì, in fondo essere un fantasma aveva i suoi vantaggi.

   
 
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