Questa storia partecipa al contest "Ramoso: un personaggio maltrattato" indetto sul forum di EFP da avalonne
1 Settembre 1971
L’euforia imperversava tutto attorno a te. Era come un’onda che ti sommergeva senza alcuna grazia, a strattonarti, a confonderti, abbandonandoti a quel tedioso senso di disorientamento da cui non sapevi mai riemergere da solo. Annaspavi, cercavi una via d’uscita da quella gioia da cui non eri stato minimante contagiato, troppo colmo d’ansie e paure per scioglierti in altri sentimenti.
Disperatamente cercasti una stanza, un qualsiasi nido* in cui rintanarti e toglierti dal cuore il peso che più gravava sulla tua piccola anima d’undicenne: la solitudine. Per tutto il tragitto avevi condiviso l’ansia con dei tuoi coetanei, ma ora nessuno condivideva la tua paura più grande, quella di vagare a vuoto per intere ore senza trovare un solo letto per te, una sola stanza da poter chiamare casa.
Vedevi visi nuovi o appena intravisti in treno, allo smistamento o al tavolo di Grifondoro; tutti sorridevano, ma non a te. Erano come ombre passeggere con lo sguardo rivolto altrove, l’attenzione fissa su qualcun altro che ardentemente richiamavano nel tentativo di farsi raggiungere. Scivolavi rasente alle pareti, timoroso d’essere travolto da quella folla concitata, domandando timidamente qua e là se ci fosse un posto per te in stanza, ricevendo solo di rado una risposta e, quando erano così cortesi da rifilartela, era sempre negativa.
Sentivi oramai un peso nello stomaco, iniziasti a tremare e fu un immenso sforzo quello che compisti per non iniziare a piangere, rigirando su te stesso, smarrito, disperato.
Una voce ti chiamò, indistinta eppure chiara nel pronunciare il tuo cognome: Pettigrew. Teso iniziasti a cercarne la fonte, muovendoti a scatti, tentando di aprirti un varco tra la folla che si riversava per i corridoi. Quella voce continuò a chiamarti, si faceva più vicina fino a diventare chiara e limpida come quel sorriso che ti venne rivolto. Ti trovasti inspiegabilmente in imbarazzo davanti a quel ragazzino dagli occhiali tondi, dallo sguardo così vispo ed impertinente che con gran gioia ti si presentò.
Fu come una fresca brezza primaverile, una ventata di sollievo che ti provocò un brivido, il quale sciolse tutta la tensione. Quel giovanotto aveva trovato il tuo baule nella propria stanza, posto proprio nel letto di fronte al suo e non vedendoti arrivare, assieme agli altri tuoi nuovi compagni di stanza, era venuto a cercarti. Si era interessato a te, era ansioso di conoscere il tuo sorriso.
Ti lasciasti sfuggire una risata nervosa, quasi imbarazzata, vergognandoti d’aver temuto di poter restare solo, senza una stanza, proprio lì, ad Hogwarts, nella torre di Grifondoro dove ogni singolo ragazzo, per natura e morale, offriva la propria mano al prossimo, Sempre. Tu, quella sera, ti aggrappasti alla sua, a quella di James Potter, pervaso dall’inspiegabile certezza che quella stretta non ti avrebbe mai più lasciato andare. Tornasti a respirare, sentisti i polmoni spalancarsi nel riemergere da tutte le tue ansie. In quel momento scorgesti un barlume di speranza, quella che forse non saresti più affondato, che avresti avuto chi ti avrebbe tenuto a galla.
*Ho scelto questo termine proprio perché, la tana dei topi, viene chiamata Nido.