Elizavéta sbadigliò. Era una bella noia essere costretta a stare in casa per colpa di Chibitalia! Le venne in mente che avrebbe potuto lo stesso andarsene fuori: Feliciano si sarebbe messo a strillare, e poi la sera lo avrebbe raccontato a Roderich; ma lei avrebbe sempre potuto dire che non era vero. E, dopo, avrebbe dato della pasta a Feli per comprarsi il suo silenzio totale e fargli rimangiare le parole.
Le piacque talmente l'idea che le venne una gran voglia di farlo. Ma poi indugiò a guardarsi nello specchio ovale del cassettone. Si mise le mani nei capelli, a pettinarli e posizionò, come al solito, un fiore sopra l'orecchio destro. Il vetro era scheggiato per traverso, sì che non ci si poteva specchiare bene: la faccia non c'entrava tutta.
Dopo qualche minuto, scese in cucina.
- Dove vai? - Feliciano le si attaccò alla gamba.
- Sto qui. Noioso. -
- No, tu vai fuori. - piagnucolò l'italiano. Era incredibile la paura che aveva di restare solo.
- Non vado fuori, sto qui. -
Si era messa alla finestra. La finestra dava su uno spiazzo tra le case. In fondo lo spiazzo si stringeva in una specie di vicolo, che immetteva nell'unica strada del paese.
Gilbert era seduto sullo scalino della casa di fronte.
- Ehi! Che ci fai qui? - lo apostrofò Elizavéta.
Gilbert non rispose. Si alzò pigramente e attraversò il piazzale. I pantaloni gli scivolavano lungo i fianchi magri, e ogni poco era costretto a tirarseli su.
- Vieni fuori. - Le disse.
- Non posso. Devo guardare Feliciano. -
- Vengo io dentro. -
- Nemmeno. -
- E perché? -
- Roderich non vuole che tu venga quando sono sola. -
Aveva risposto così, senza pensarci, e un momento dopo se n'era già pentita. La faccia di Gilbert si era infatti aperta in un sorriso malizioso.
- Lo so dov'é andato Roderich. Ad un meeting. -
- No, - mentì Elizavéta. - E' andato qui vicino e ora torna. -
Gilbert ridacchiò.
- E' andato al meeting, - ripeté. - Quindi prima di buio non torna. Vedi che puoi farmi entrare. -
- Non voglio. -
- E io entro lo stesso. -
- Non puoi, ho chiuso a chiave. -
Se Gilbert avesse provato ad aprire, si sarebbe accorto che la porta era solo accostata. Ma non lo fece; ed Elizavéta fu molto soddisfatta della sua furberia.
- Lasciami entrare. - la supplicò.
- Ti piacerebbe, eh? - lo stuzzicò lei.
Gilbert stette zitto. Si passò una mano nei capelli argentei costantemente arruffati, a sistemarseli un po'.
- Hai paura? -
- Di che dovrei aver paura? - si risentì lei.
- Di me. - e il suo viso si allargò in un sorriso compiaciuto.
- Figuriamoci se ho paura di te. -
- E allora aprimi. -
- No. - e gli fece la linguaccia.
- Bene, tu intanto devi stare in casa mentre io invece me ne vado in giro. - disse dopo un po' Gilbert.
- Non me ne frega niente. -
- Vado a trovare Natalia. -
- Vacci. -
- Scommetto che ti dispiace. -
- Povero scemo. -
Gilbert assunse l'aria di chi la sa lunga.
- Voi donne fate finta di niente...ma poi vi rodete il fegato. -
- Sentiamo: perché mi dovrebbe dispiacere? -
- Perché Natalia ti ha portato via l'innamorato. -
- Saresti tu il mio innamorato? - Elilzavéta scoppiò a ridere. - Io te, guarda, nemmeno ti vedo. Se tu sparissi, nemmeno me ne accorgerei! -
- E a me. Credi che a me ne importi qualcosa di te? -
- E allora perché non te ne vai? -
- Da dove me ne devo andare? -
- Da sotto la mia finestra. Se non te ne importa, perché ci stai? à
- Io sto dove mi pare... -