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Autore: YourSisterX    19/07/2013    1 recensioni
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Morta da 50 anni, ancorata alle mura di una casa.
L'anima di una quindicenne vive dentro un appartamento in maniera tranquilla, ogni giorno nulla di nuovo, niente di cui meravigliarsi, nulla che risvegli la sua curiosità.
Poi un giorno qualcuno va ad abitare quella casa.
è il 21 Dicembre 2011. Il giorno in cui finisce la solitudine e inizia la vita, anche per una morta.
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Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo1.
 
Nulla di nuovo. Morta da 50 anni e nessuno che si svegliasse dicendo “facciamo qualcosa di nuovo”.
Se vi chiedono cosa ci sia dopo la morte voi rispondete “la noia”.
Non c’è nient’altro.
Superati i primi tempi in cui ti senti depresso perché sei morto e i successivi due anni dopo che ti sei ripreso dal trauma durante i quali non farai altro che passare attraverso i muri pensando che sia la cosa più figa del mondo o spiando le persone quando sono da sole per vedere quello che fanno... ecco superato questo periodo comincia la noia.
Te ne stai confinato nelle quattro mura della casa in cui sei confinato, nulla da fare, da vedere, da dire, nessuno che ti veda, che ti senta, magari ogni tanto capita che un cane ti abbai contro, ma dura poco, poi il padrone gli dice di stare tranquillo e torna il silenzio.
Quella mattina non succedeva nulla di speciale, come al solito nell’appartamento che una volta era stato mio, prima che morissi, alla veneranda età di 15 anni, per un fulmine, non c’era nessuno.
Vi starete chiedendo come mai sono ancora viva, o meglio… fantasma… beh non lo so neanche io.
Perché dovrei saperlo scusate? Sono morta, nulla più m’importa, ma tutto sommato neanche da viva la morte mi spaventava tanto, seguivo la filosofia del “finché sei vivo la morte non è affar tuo e quando sei morto ormai il peggio è passato” quindi potete capire la mia noia.
No, non mi dispero, né mi sono disperata troppo quando sono morta.
Non avevo parenti se ve lo stesse chiedendo, mia nonna era morta l’anno prima, i miei genitori una decina d’anni prima, in un incidente, non pensate che io sia triste o cose così, la tristezza l’ho sempre avuta, ma adesso, sapendo che comunque i miei genitori non sono neanche diventati fantasmi e stanno nella più totale tranquillità, come anche mia nonna, non c’è nulla di cui preoccuparsi.
Morire è stata una cosa abbastanza inusuale. Per un attimo ho sentito una scarica elettrica in tutto il corpo, mi sono sentita capace di ogni cosa, era solo un fulmine. Poi tutta l’energia che avevo se n’è andata. Per non tornare più. E così non so quanto tempo dopo, mi sono trovata in piedi, davanti al mio cadavere, vedevo una me stessa sdraiata in terra, immobile, i miei capelli castani sparsi per terra a formare un’aureola intorno alla mia testa, i miei occhi perlomeno erano chiusi. Ce li avevo verdi, adesso è un po’ che non mi guardo ad uno specchio, sapete com’è… i fantasmi non riflettono la luce, quindi… niente luce niente riflesso, niente riflesso niente immagine e fine a tutte le paranoie da specchio. Comodo no? Tornando alla mia morte, per un attimo sono stata assalita dal panico. Poi ho visto la mia casa invasa dai condomini. Inizialmente pensavo fosse tutta una mia impressione, poi un uomo mi passò attraverso.
E realizzai di essere morta.
Crollai a terra.
Piangendo credo.
Non mi ricordo molto di quel momento.
Li seguii fino a quando potevo, avevamo un cimitero vicino al condominio in quel periodo.
Mi seppellirono a fianco a mia nonna, io mi fermai davanti alla sua tomba un momento, sperando che magari come me, anche lei fosse un fantasma, urlai di fronte alla sua tomba, ma nessuno mi rispose, appoggiai una mano sopra alla lapide ma sprofondai. Con il dolore ai limiti di sopportazione andai verso il luogo dove mi stavano seppellendo.
Vidi buttare la prima palata di terra. Me ne andai. Dopotutto il mio corpo ormai era andato.
Se vi state chiedendo dove vivevo, beh era Seoul. Mia nonna amava viaggiare e dopo che i miei genitori erano morti mi aveva portato con sé, ci eravamo stabilite là, una città dove di solito la gente occidentale non andava… almeno negli anni ’50… ma mia nonna era abbastanza emancipata da potersi permettere di fare quello che voleva. E poi era vedova. Che le fregava ormai?
Fatto sta che trovammo un bell’appartamento, non troppo grande, ma abbastanza per due persone (una vecchia e una bimba di cinque anni).
Insomma. Come ho già detto prima morì lei, poi io. Fine.
Una mattina, mentre stavo pensando a cosa potevo fare, la porta si aprì improvvisamente.
Spaventata persi un attimo l’equilibrio, per poi riprendermi subito e mettermi a fluttuare sul soffitto.
Erano cinque sei persone. Presero le misure delle pareti, guardarono i mobili, valutarono cosa portare via e buttare e cosa lasciare così, tolsero al grande specchiera della nonna che occupava tanto spazio. Un po’ mi dispiacque ma nulla di che, dopotutto era inutilizzata da 50 anni.
Se ne andarono lasciando un paio di teloni a coprire il divano.
Due giorni dopo,il 13 dicembre 2011, arrivarono altre persone, erano palesemente dei muratori o traslocatori, fatto sta che passarono la giornata a togliere e spostare mobili. 
Il giorno dopo ancora vennero altre persone, misero dei mobili, pulirono, stettero là tutto il giorno.
Non c’era mai stata così tanta attività in quella casa, neanche quando sia io che mia nonna eravamo vive.
Qualcuno sarebbe venuto a vivere qua? La cosa mi ispirava abbastanza e sperai che fosse una bella famigliola, di quelle con un papà, una mamma e due figli, una bambina piccola e un fratellone. Sarebbe stato bello. Continuai a fantasticare su quella che sarebbe potuta essere la mia nuova vita.
Passò una settimana, era quasi Natale.
Perché ancora non venivano?
Finalmente arrivò il giorno.
Entrarono prima delle donne con delle scatole. Ma se ne andarono subito. Poi vidi entrare i ragazzi.
 Sei ragazzoni tutti ventenni. Se mi fossi potuta vedere allo specchio avrei potuto certamente vedere il ghigno compiaciuto che mi era nato sul viso.
Era andata meglio di quello che speravo.
Belli, decisamente belli.
Beh ero decisamente una noona. Avrei dovuto compiere 65 anni il maggio di quell’anno. E comunque non avrebbero mai potuto vedermi.
Sospirai triste.
Dopotutto anche i fantasmi dovrebbero avere il diritto ad una vita sentimentale. Maledissi tutti gli dei che conoscevo.
Poi mi avvicinai per vedere meglio i bambini, circondati com’erano da un branco compatto di persone non riuscivo a vedere che sei zazzere bionde. Ora che ci penso non sapevo neanche chi realmente sarebbe venuto là a vivere. Magari sarebbe venuta solo una vecchia ajumma di quelle e loro erano gli amici di suo figlio venuti ad aiutarla.
Mi ero illusa. Tutti i buoni propositi che mi ero già creata vedendoli erano crollati in meno di dieci secondi. Passarono diverse ore, durante le quali la gente sistemò bagagli, vestiti e vettovaglie varie.
Non vidi nessun indumento femminile. Tanti prodotti per il trucco, ma nessun vestito, nessuna gonna o altro che potesse ricondurre alla presenza di una donna. Ripensai all’epoca in cui mi trovavo in quel momento e pensai che dopotutto poteva essere una di quelle donne che non amano vestirsi in maniera femminile. Ancora una volta la lieve speranza che si era accesa dentro di me svanì.
Poi una gran parte delle persone lasciò la casa. Saranno state le dieci e mezzo quando realizzai che la migliore delle ipotesi si stava realizzando.
I sei ragazzi erano ancora qua.
Esultai fluttuando qua e là. Mi avvicinai a tutti loro sfiorandoli come in una danza di gioia. Risi come mai era successo.
Finalmente ero in compagnia.
Finalmente non ero più sola in una casa vuota e familiare. Quasi piangevo dalla felicità.
A quel punto mi permisi di studiare definitivamente i ragazzi che nel frattempo stavano preparando la tavola. Quello che sembrava il più grande aveva un sorriso dolce nonostante l’apparenza un po’ minacciosa, nei venti minuti in cui l’avevo osservato aveva dato una mano a tutti. Sembrava gentile e premuroso. Allo stesso tempo anche affidabile, l’emblema del bravo ragazzo. Da come gli altri lo chiamavano capii che si chiamava Yongguk.
Compiaciuta del primo “acquisto” passai avanti.
Un ragazzo decisamente bello, sguardo profondo, lineamenti ai limiti della perfezione umana, mi stupii della voglia che avevo di toccargli le guancie. Lui era stato un po’ più in disparte, ma non aveva evitato gli altri, aveva messo a posto il cibo negli scaffali e preparato i letti. Aveva sistemato meglio i suoi vestiti nell’armadio e aveva passato quello che serviva agli altri. Poi si era allontanato nella camera con una valigetta, incuriosita lo avevo seguito, giunse vicino ad un comò nuovo, di quelli che gli operai avevano sistemato poco tempo prima, aprì un cassetto, aprì la valigetta e con meticolosa precisione si mise a riempire di cosmetici il cassetto. Rimasi alquanto stupita, dopotutto era un ragazzo, ma evidentemente tutti facevano così. Me ne feci una ragione e dopo aver memorizzato che quel ragazzo si chiamava Himchan passai oltre.
Mi concentrai su un ragazzo dall’aspetto familiare, ma che ero sicura di non aver mai visto, che era occupato a portare le ultime valigie che erano sul pianerottolo dentro. Non sembrava particolarmente forte, né particolarmente motivato, per fare quel lavoro, ma fece tutto con un sorriso, canticchiando e riposandosi spesso. Durante le almeno diciotto pause che fece per arrivare dal pianerottolo alla camera aveva preso un aggeggio, un telefono di nuova generazione che io non avevo mai visto essendo uno spirito confinato nella mia casa,  con il quale si era messo più volte a giocare, messaggiare e fare foto.
Sentì che dalla cucina lo chiamavano YoungJae. Quello sorrise evidentemente contento di dover sospendere il lavoro e andare a mangiare e io lo seguì.
Al tavolo soffermai il mio sguardo su un ragazzo dai tratti tipicamente orientali, gli occhi piccoli che scomparivano quasi del tutto mentre sorrideva, cosa che succedeva decisamente spesso, i capelli biondi facevano una specie di banda davanti alla fronte, ma stava comunque bene, aveva un naso un po’ inarcato, ma il tutto lo rendeva particolarmente attraente. Preso da un momento di caldo si tolse la felpa rimanendo in canottiera e io rimasi invece senza fiato, delle braccia notevoli in un corpicino così giovane, avrà avuto sedici, diciassette anni, ma era notevole. Mi appuntai mentalmente di seguirlo mentre faceva la doccia (una noona si deve sempre preoccupare, se scivolasse come faremmo?), memorizzai a mala pena il nome, JongUp, delusa di non poterlo chiamare mr.Braccia e provai a concentrarmi su qualcos’altro per quanto potessi.
Per fortuna JongUp si rimise la felpa, capendo che il 21 dicembre non è proprio d’estate. Ringraziai mentalmente il ragazzo che glielo aveva consigliato, neanche mi leggesse nel pensiero.
Mi soffermai su quest’ultimo.
Una bellezza incredibile, non riuscivo a pensare a nulla, labbra carnose e perfette, occhi grandi e sorridenti, sorriso affascinante. Un sex appeal che faceva invidia a chiunque credo. Mi decisi a proteggere anche le sue scivolate in doccia e rimasi per credo una mezz’oretta incantata su quelle labbra intente a masticare un po’ di tutto. Sentii che lo chiamavano Daehyun e che gli intimavano di non mangiare tutto.
Dato che cominciavano a finire il cibo pensai che fosse meglio finirla di vederli mangiare, era ai limiti dell’inquietante e poi mi ricordavo che quando ancora mangiavo, decisi di andarmene.
Non mi ricordavo più che ce ne fosse un altro, le labbra di Daehyun mi avevano intontita tantissimo, dopotutto dobbiamo ricordarci che quando sono morta avevo quindici anni ed ero nel pieno della crisi ormonale dell’adolescenza.
Per puro caso mi soffermai sul sesto ragazzo.
Sentii come una presa allo stomaco, nonostante non avessi uno stomaco e il respiro mi mancò, le vertigini mi presero all’improvviso.
Quel ragazzo. Tutta colpa di quel ragazzo, mi dissi mentalmente. Sospirai guardandolo, doveva avere più o meno l’età di quando ero morta.
Non era nulla di così speciale, non aveva l’inconfrontabile splendore della bellezza di Daehyun, non aveva il sorriso di Yongguk, la sensazione familiare di YoungJae, i lineamenti perfetti di Himchan o le braccia di JongUp, era qualcosa di speciale, non sapevo cosa, questo sua viso giovane, gli occhi innocentemente felici, il sorriso sbieco di un combina guai, i capelli ricci e biondi gli davano un’aria angelica e allo stesso tempo ancora più irrequieta.
Non avevo mai provato una sensazione del genere prima. Lo fissai per quello che sembrò un tempo infinito.
Percorsi con lo sguardo il suo profilo, le labbra sottili, il mento allungato, i ricci, gli occhi. Sorrisi beatamente.
Poi i nostri occhi si incontrarono. Evidentemente dietro di me doveva esserci qualcuno o qualcosa che lo aveva incuriosito.
Aveva uno sguardo concentrato, inquieto, ma allo stesso tempo affascinato. Mi girai. Dietro di me c’era una porta.
«Che cazz- » dissi accorgendomi che dietro di me non c’era nulla. Evidentemente era scemo. Bene. Bello e stupido. Un mix perfetto.
«Hyung vedi qualcosa là te?» disse il ragazzo rivolgendosi a JongUp, quello guardò nella mi direzione e socchiuse gli occhi per vedere meglio fino a farli quasi scomparire «Nulla Jun… a parte la porta»
“Jun” pensai un bel nome. Jun guardò di nuovo nella mia direzione, socchiudendo gli occhi, si alzò.
«Jello dove vai?» disse Yongguk vedendo che si alzava, nonostante tutti avessero finito e Himchan e YoungJae stessero già sparecchiando.
«Guardo una cosa.. c’è…un… insetto» rispose quello mentendo così male che nessuno riuscirebbe a fare di peggio
«Cos’è ti fanno paura?» disse Daehyun ridendo
«No, ma se vuoi lascerò che i ragni ti divorino durante la notte, hyung»
Daehyun si zittì ridacchiando e Jun continuò ad avvicinarsi alla porta. Si fermò ad un passo da me.
 

Poi disse

«Cosa sei?»

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