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Autore: Hipatya    30/01/2008    2 recensioni
I pensieri di un killer professionista, ogni volta che preme il grilletto e decide della vita di un'altra persona.
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A un altro Victor, che mi ha ispirato questa storia









Il Gentiluomo









Punto. Miro. Sparo.

Qualcuno cade.

Nessuno s'accorge di me, comunque.
Scivolo in mezzo alla folla con la naturalezza d'un ectoplasma; nessuno sa da dove sia arrivata la pallottola. Ho già riposto il fucile nella valigetta, pezzo per pezzo, in una sequenza eseguita con la massima scioltezza e professionalità. Nessuno ha notato niente; tutto ciò che rimane è un fiore di sangue all'occhiello del cadavere, un tempo uomo noto, ora semplicemente... cadavere.
Mentre cammino per strada con tranquillità, sento in lontananza le sirene di un'ambulanza, ormai inutile, e il rombo del cielo gonfio di pioggia.
Nessuno mi guarda negli occhi, in questa città di ferro, nessuno troverebbe interessante un banale ventenne slavo, correttamente vestito di scuro come un piccolo gentleman. Nessuno guarda mai negli occhi chi incrocia lungo la strada, qui, nonostante siano milioni i volti che condividono lo spazio di un respiro.

"Lei è il migliore nel suo campo, Laszlo" mi dice con un ghigno il cliente, la sera dopo, consegnandomi il mio onorario in una valigia di cuoio color vino.
"Lo so" rispondo seccamente. Non amo intrattenere rapporti di nessun tipo con i clienti, preferisco dimenticare rapidamente il loro volto e la loro voce, cancellare i loro recapiti dal mio cellulare, lasciarli ricadere nel mulinello grigio della città. E' anche questo piccolo accorgimento che mi ha permesso di arrivare fino a qui.
Victor Laszlo, questo è il mio nome, e non ho bisogno di ridicoli pseudonimi tanto in voga tra i miei colleghi. Mi chiamano "Il Gentiluomo", certo, ma questa è un'altra storia.

You must remember this, a kiss is still a kiss, a sigh is just a sigh, the fundamental things apply as time goes by... ho sempre amato quel film; per una ridicola evoluzione del destino, porto il nome di uno dei protagonisti.
Questa città è tutta uguale: molti potrebbero trovarvi una discarica di diversità, il celebrato meltin' pot, ma a me è bastato qualche mese per contare in ogni strada le stesse insegne al neon, annusare nell'aria la stessa zaffata di fritto e spazzatura, alzare gli occhi verso le stesse finestre da alveare che si aprono sul vuoto. Uno fra i miei incubi ricorrenti è una città che si estende su tutta la superficie del mondo, un volto architettonico identico e interminabile.

Quando le ho raccontato questo sogno, Bina ha riso. Non m'illudevo certo che capisse qualcosa: in me non c'è nulla che lei possa pensare come suo. Bina non è niente più che un altro volto pescato per caso nell'immenso calderone di questa città, potrei farla ricadere giù quando voglio. In effetti, vivo calpestando i corpi di coloro che cadono, uso le loro vertebre e le loro spalle come scalini.
Un pensiero macabro, direbbero alcuni. Come la verità stessa, dico io.
Il mio lavoro è relativamente semplice: hai un'arma, sai come usarla e sai contro chi usarla, tutto ciò per un mazzetto di dollari. Quello che ti frega, è la mira. Da bambino, mi dicevano tutti che avevo la vista di un falco, il coraggio di un folle e l'ambizione di un generale: naturale che questi tre fattori combinati potessero dare un solo responso, e un solo futuro. Sono un killer perchè ho voluto esserlo, in fin dei conti, le favole sulle scelte e i buoni sentimenti non sono che favole, appunto.

La seconda cosa che conta, nel mio lavoro, è la clientela: ci vuole tempo, un briciolo di notorietà e la capacità di avere accanto persone che credono di vedere del buono in te, come Bina. Solitamente il nome del mio "lavoro" - non chiamiamoli vittime: per lo stato si purifica, si ripulisce, non si uccide - non mi è nuovo, nel momento in cui il cliente me lo comunica: mi capitava di sentire nomi sconosciuti quando ero ancora uno dei tanti bambocci con un fucile in mano, dunque molto tempo fa.

Poi c'è quel tocco di spettacolo che, nel mio caso, consiste nel calarmi in un'aura di anonimato, o nel visitare una per una le tombe delle mie vittime.

Una volta, vi ho trovato pure una vedova.
Era giovane, bionda, vestita di scuro.
Di spalle verso la lapide, piangeva con dignità e senza alcun rumore, come se fosse un dovere di stato improrogabile far scorrere quelle lacrime sulle guance.
Mi sono avvicinato di qualche passo, e deve avermi sentito.
"Grazie, lei doveva essere un ottimo amico per Chris," aveva mormorato quella, senza neppure voltarsi. La sua voce era ferma, solo un leggero stridio nel tono rivelava il pianto.
"Io..." Cosa potevo dirle ? Mi aveva scambiato per chissà chi, stordita da un variegato cocktail di tranquillanti. Io non ero un ottimo amico, ero l'assassino. Era ben diverso.

Non saprò mai cosa avrebbe fatto, se le avessi detto la verità.

"Lei è stato importante per mio marito, non abbia timore. Non... non dimentichi Chris, la prego, non lo lasci morire del tutto..."

E' stata la frase di una vedova gonfia di dolore e calmanti a farmi piangere, la notte, con una rabbia animalesca e un senso di vergogna, quasi soffocandomi nel cuscino perchè Bina non sentisse.

A volte ho la sensazione che finirò per ammazzarmi da solo, dopo che nel mondo non ci saranno più persone da uccidere.
E allora potrò ridere della vedova e del suo Chris, di Bina, dei miei clienti con la faccia da maiali, del cacciatore che ammazzò mia madre nel modo più orribile.
Ridere, fino a che non mi si spezzeranno le ossa. Ma allora sarò già morto, non sentirò dolore. Nulla avrà più senso, a quel punto, nulla.

Sparo un'altra volta.

Cade qualcun'altro.

Ancora, nessuno se ne accorge.












Nota dell'Autrice
Questa storia è nata da una canzone di Vinicio Capossela e Paolo Rossi, "Il killer buono". Ma l'ispirazione si ferma qui: la canzone è decisamente più satirica e sferzante di queste mie righe. E, se l'avete mai ascoltata, vi risulteranno lampanti le numerose differenze.
Grazie dell'attenzione,
Hipatya
  
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