Solo dopo mezz’ora di
viaggio si accorse che qualcosa non
andava, sul treno. Iniziò a guardarsi intorno. Il lettore
mp3 funzionava a
dovere, anche se le cuffiette stavano iniziando a rompersi. I sedili
erano
della solita, squallida qualità da treno, e del solito
colore blu scuro finta
pelle. Il gruppetto seduto sui quattro sedili di fronte a lui era
esattamente
lo stesso di quando era entrato: tre signori e una donna elegante, con
l’aria
di persone importanti, vestiti griffati, e discorsi stupidi.
Guardò incerto nel
suo riflesso nel vetro, che gli restituì
un’espressione enigmatica – per quanto
sembrasse stranamente più giovane e riposato del solito.
Forse era una storia
simile al dilemma filosofico del rosso. Magari quella sensazione di
stranezza
era qualcosa di elaborato dalla sua mente – il treno, in
realtà, era lo stesso:
era lui a vederlo diverso. Un po’ come ognuno vede le
sfumature di colore a
modo suo. Il passeggero di fronte a lui raccolse una rivista di
Trenitalia dal
tavolino, e solo allora si accorse che a posto della mano aveva un
mucchietto
di ossa bianche.
Nikolaj alzò gli occhi. La
Morte ricambiò dal fondo delle
orbite scure, dove due piccole monete d’oro restavano sospese
nel buio e
ruotavano placidamente.
«Mi piacciono le nuove
promozioni sui biglietti» disse la
Morte, dando al suo tono un’aria molto naturale.
«Invogliano la gente a
viaggiare, il che è bene»
«…d-davvero,»
disse. Improvvisamente, tutta la saliva che
fino a poco prima riempiva la sua bocca aveva deciso di emigrare. In un
posto
lontano, magari l’Honduras. La sua lingua si
ritrovò a muoversi in un deserto.
«Certo. Prezzi
più bassi implicano una maggiore affluenza, e
stimolano gli utenti a comprare i
biglietti, invece che salire senza. Ma tu dovresti saperlo. »
Merda,
pensò
Nikolaj avrò fregato Trenitalia
salendo
sui regionali senza biglietto si e no tre volte in tutta la mia vita, e
la
Morte lo sa. Per qualche assurda
ragione, quel pensiero gli sembrò
più pauroso dello scheletro in cappa nera che aveva davanti.
Forse il suo
cervello ancora non aveva recepito.
Forse aveva un tumore. «No,
» commentò lei – se si poteva
chiamare lei. Non era chiaro se stesse negando l’ipotesi
della malattia o
stesse esprimendo disappunto per un articolo sugli eventi estivi da
vedere in
Liguria. Forse non le piacevano le serate all’aperto.
Lanciò un’occhiata sulla
fila di sedili davanti a lui. Il quartetto di persone eleganti
continuava a
ciarlare allegramente. Qualcosa sul desiderio di avere
un’amante da scoparsi in
gran segreto e una moglie che ti prepara la cena quando torni.
Passò un po’ di
tempo. La Morte sembrava aver perso la parola, e sfogliava con
l’ossuto indice
le pagine del giornaletto.
Una sensazione di ansia gli si
piazzò nel petto. Stava per
crepare in un treno anonimo. Nessuno avrebbe raccolto i suoi ultimi
pensieri.
Sarebbe morto senza la possibilità di dire quelle poche,
semplici parole che
gli servivano. Se moriva lì, nessuno avrebbe spiegato a Gael
cosa gli era
successo.
«Dovresti lasciarla,
sai.» Silenzio. Certo che l’avrebbe
lasciata. Non gli risultava che si potesse rimanere fidanzati in quel
modo –
lui in una bara, lei viva? Era una storia d’amore
paragonabile solo a Twilight.
«Questa situazione» continuò la Morte,
che probabilmente si divertiva a
prenderlo in giro «non farà bene a nessuno dei
due.»
Nikolaj cercò di
raccogliere un po’ di saliva e di forza.
L’ansia gli stava schiacciando un punto imprecisato sotto lo
sterno. Da qualche
parte fuori dal finestrino scorreva una città anonima,
immersa nel buio.
Piccole crepe di brina si stavano formando sul vetro, nonostante fosse
luglio.
«Perché,»
riuscì a dire, il tono della domanda che si perse
in una secca affermazione. La Morte abbassò la rivista
promozionale di
Trenitalia. «Voi umani,» commentò
«col tempo ho notato che avete una
straordinaria predilezione per quell’esatta domanda. Non ho
mai capito cosa ve
la rende così affascinante. Forse, qualcosa nel vostro
DNA.»
«Perché,
» cercò di riprendere «dovrei
lasciarla?»
«Mostrami il braccio
sinistro.» il tono perentorio della
mietitrice non ammetteva repliche. Nikolaj obbedì, e subito
la mano scheletrica
della Morte si chiuse sul suo polso come una morsa di ghiaccio.
Digrignò i
denti di dolore e cercò di ritrarsi, ma non accadde nulla.
Il freddo gli
mangiava la pelle. Era finita.
Guardò in faccia la sua
assassina. I due zecchini dorati che
aveva a posto degli occhi giravano calmi, placidi, due specchi che
brillavano
di luce propria. Il treno era sparito.