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Autore: Mirin    20/07/2013    1 recensioni
«Qual è il compito di un ninja, Jiraya?»
«Proteggere il villaggio dagli aggressori.»
«Da cos’è formato un villaggio?»
«Da case… edifici…»
«No, Jiraya» -il Sandaime si voltò verso di lui con un sorriso gentile- «da persone. Il compito di un ninja è quello di proteggere chi va protetto.»
«Questa» -concluse, invitandolo ad uscire fuori- «è la Hi no Ishi.»

long!fic | naruto's old generation, riveduta e corretta.
Genere: Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Questa storia contiene personaggi creati da me o caratterizzati da me. La maggior parte degli eventi narrati in questa long!fic non sono realmente accaduti -e quindi descritti- nella saga di Naruto, ma inventati dalla sottoscritta; se questa cosa vi urta, vi consiglio caldamente di non avventurarvi in questa lettura, che può sembrarvi ostica. Se siete interessati a scoprire qualcosa in più sui personaggi di questa storia (ovviamente, non quelli più famosi), vi indirizzo verso un post nel mio blog personale (ATTENZIONE! contiene spoiler sul continuo della long!fic).
Superato il nervosismo da pubblicazione, soprattutto questo tipo di pubblicazione che è sempre un’arma a doppio taglio, lascio i pochi sopravvissuti alla strage-delle-note ad avventurarsi in questo mare di melma che è The Old Flames.

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The Old Flames.

Storie di Ninja, allora solo ragazzi.

 
Minato era sdraiato e rigirava fra i denti uno stelo d’erba fresco e morbido. I capelli biondi erano sparsi sul prato verde e le sue braccia e il suo sguardo vagava leggero fra le nuvole e il cielo smaltato di blu, lo stesso colore dei suoi occhi. Le chiome degli alberi erano scosse dal vento leggero e il rumore che le foglie provocavano quando strisciavano l’una contro l’altra era piacevole, rilassante. Si rizzò in piedi, consapevole che il maestro Jiraya l’avrebbe ripreso se non fosse tornato ad allenarsi. Shibi stava già impastando il chakra, gli insetti che sibilavano sinistri mentre uscivano dalle maniche larghe del giaccone beige.
“Come farà ad indossare il cappotto il sedici Luglio lo sa solo lui” pensò divertito ed ammirato, entusiasmato dalla prontezza del suo compagno di squadra.
Il Team Jiraya suonava bene, una squadra composta dagli shinobi più promettenti di Konoha. Era fiero di appartenere al gruppo di genin più esclusivo del villaggio e avrebbe dato il massimo per non deludere le aspettative; in fin dei conti, anche lui sapeva di essere forte e riponeva grandi speranze nelle sue abilità –“non si diventa di sicuro Hokage dal nulla!”- e in quelle del suo collega. Certo, assieme al Team 19, erano gli unici con due soli membri più il loro sensei, ma il numero inusuale non gli pesava, lo spronava soltanto a dare il meglio per sostituire quella persona in meno.
Sferrò un calcio al manichino di fronte a lui che dondolò sprezzante. Minato assottigliò gli occhi, prendendo quella dell’essere inanimato come una provocazione, ed iniziò a mitragliarlo di colpi energici e precisi. Sentì Shibi sbuffare per la poca pazienza del ragazzo mentre il ronzio degli insetti si intensificava a mano a mano che il loro numero cresceva. Si disposero in fila, fermi a mezz’aria, così Shibi fece un cenno con la mano in modo da farli sfrecciare verso l’interno della foresta prima di seguirli con aria sicura. Minato osservò ammirato il suo modo di fare che non tradiva nessuna incertezza, nessun ripensamento, nessuna ansia: Shibi aveva l’istinto e la precisione del killer di professione, quello che sa di poter morire sul campo di battaglia e non se ne preoccupa più di tanto. Si chiese se un giorno anche lui avrebbe avuto il suo stesso sguardo determinato senza nessuna ombra di gentilezza, solo così -almeno credeva- sarebbe potuto diventare un grande ninja.
«Stai battendo per caso la fiacca, Namikaze?» una voce conosciuta suonò severa alle sue spalle.
Minato si voltò di scatto, colto in fragrante. Si grattò la nuca, visibilmente imbarazzato, e sorrise con fare di scusa. Jiraya ricambiò e gli diede un buffetto sulla testa.
«Avanti, non fare lo scansafatiche e muoviti» lo redarguì, poggiandosi contro un tronco poco distante dal ragazzino ed osservandolo con occhio critico. Minato annuì con convinzione e tornò ad allenarsi nel taijutsu. Ogni volta che le sue nocche impattavano con la superficie morbida della stoffa imbottita si sentiva rinvigorire, come se un solo pugno bastasse a renderlo meno debole ed all’altezza del proprio nome. Minato Namikaze. Il piccolo genio di Konoha.
L’ultimo montante spezzò la cordicella del fantoccio, che cadde a terra e sollevò uno sbuffo di polvere. Jiraya scoppiò a ridere per la veemenza del ragazzo.
«Ed adesso come farà Shibi?» ghignò il sannin. Minato arrossì, prendendo gli sberleffi del sensei come rimproveri.
«Gomen nasai» mormorò, lo sguardo fisso sul burattino di pezza ai suoi piedi.
L’Aburame spuntò in quel momento dalle foglie, portando con sé un lembo azzurro di seta.
«Era questo l’oggetto che mi aveva chiesto di trovare, sensei?» domandò con distacco, pur sapendo già la risposta.
«Esattamente!» trillò elettrizzato lo shinobi e tese una mano per riprendere lo straccetto. Shibi glielo consegnò con aria soddisfatta.
Jiraya semplicemente adorava la sua squadra, ragazzi pronti a spiccare il volo e maturi, sicuramente le nuove speranze di Konoha per la guerra sanguinosa che imperversava fuori dal villaggio. Il suo voltò si rabbuiò, ripensando all’ultima discussione avuta con il Sandaime.

«Sempre peggio» esordì Washiku Takana, gli occhi scuri fissi
sulla cartina geografica. Jiraya, appena entrato nello studio,
cadde in un religioso silenzio.
«Dov’è Suna?» chiese Hideyoshi che scrutava il volto
maturo e abbronzato del Sandaime. Hiruzen teneva le mani
dietro la schiena e si limitava a sondare il cielo azzurro oltre
la limpida finestra. Era difficile credere che al di fuori della tranquilla
Konoha stesse infuriando sempre più brutale e sanguinosa
la guerra contro Kusa e Iwa.
«A Suna» rispose laconico il jonin moro, sospirando.
«A quanto ammontano le perdite?» Jiraya si pentì immediatamente
di quella domanda scomoda. Non voleva saperlo.
«Siamo sotto di..»
«Mille uomini.»
Jiraya si stupì che fosse stato proprio il suo ex-maestro a concludere la frase.
Soprattutto se sfoderava quel tono tranquillo e minimizzante.
«Dovremmo mandare altre unità, Hokage-sama» azzardò Hideyoshi
che si mordeva nervosamente le pellicine delle unghie.
«Non posso sguarnire Konoha, Kichiro.»
«Ma Kichiro ha ragione!» sbottò frustrato Jiraya.
I tre uomini si girarono verso di lui con sguardi diversi.
Jiraya e Hiruzen si misurarono l’un l’altro senza parlare.
Il primo era la maschera della rabbia, l’altro la copia della distensione.
«Non posso restare a guardare i miei compagni morire al posto mio, sensei.»
«È ciò che ti ho chiesto quando ti ho ordinato di tornare al villaggio.»
«Ti sarei più utile come shinobi che come insegnante, lo sai meglio di me!
Sono uno dei tre Sannin, per la miseria!»
«Ho bisogno che alleni Minato, Jiraya. Sarà lui che ci farà vincere la guerra.»
«Punti tutto su un ragazzino?!» sbottò frustrato il ninja.
Sbatté i palmi sul tavolo ed osservò il Sandaime negli occhi.
«Io voglio allenare Minato» chiarì, una luce strana oltre le iridi «ma prima devo compiere il mio dovere.»
«Devi restare qui, Jiraya» affermò Washiku, osservandone il profilo.
Jiraya gli avrebbe volentieri torto il collo.
«Non prendo ordini da te, geretsunin.»
«Abbiamo bisogno di te al Quartier Generale. E finché il QG sarà a Konoha,
tu devi restare a Konoha.»
«Beh, io non sono affatto d’accordo con le direttive del QG» gli fece il verso.
«Un Torneo per la Selezione dei Chunin in questo momento» continuò seccato e tagliente
«Come se non avessimo già abbastanza grattacapi. E quell’idiozia di “Aratana Kibo”…!»
«Dimmi una cosa, Jiraya» attaccò il Sandaime con voce tranquilla
«perché vuoi allenare Minato? E perché anche Shibi?»
«Perché voglio che diventino dei grandi ninja» rispose automaticamente.
«Qual è il compito di un ninja, Jiraya?»
«Proteggere il villaggio dagli aggressori.»
«Da cos’è formato un villaggio?»
«Da case… edifici…»
«No, Jiraya» -il Sandaime si voltò verso di lui con un sorriso gentile-
«da persone. Il compito di un ninja è quello di proteggere chi va protetto.»
«Questa» -concluse, invitandolo ad uscire fuori- «è la Hi no Ishi.»


«Sensei?» lo chiamò Minato con la sua solita pacatezza, guardandolo sorpreso. Shibi, alle spalle del compagno, scandagliava il suo viso attraverso le lenti scure.
Sorrise in segno di scusa. «Mi dispiace, mi ero perso a fantasticare.»
Minato gli sorrise di rimando e scosse la testa: «È tutto a posto, sensei!»
Jiraya si sfregò le mani, improvvisamente tornato in sé. Studiò Shibi e Minato con sguardo luccicante, come un bambino in un negozio di giocattoli.
«Che ne dite di una bella sfida? Giusto per riscaldarvi!» il ghigno di Jiraya andava da un orecchio all’altro. «In fondo Minato ha rotto il punching ball» rilevò Shibi con i suoi soliti commenti alteri che fecero ridacchiare il Namikaze, abbastanza a disagio.
«Avanti ragazzi, al lavoro!»
Minato annuì convinto e Shibi si aggiustò meglio gli occhiali sul naso con un gesto arrogante. Jiraya ormai aveva capito che quei piccoli gesti esprimevano il suo entusiasmo, così come aveva capito che Minato non avrebbe mai smesso di mettersi alla prova, non per boria, ma per dimostrare agli altri -e in primis a lui stesso- di potercela fare, sempre.
Minato si staccò dal suolo con un balzo, in modo da darsi slancio in avanti.
“Attacca sempre per primo in modo da avere una risposta rapida ed istintiva. È da lì che inizia a sviluppare la strategia” analizzò Jiraya, che non aveva intenzione di perdersi un solo scambio.
Dalla propria posizione sopraelevata, Minato stese la gamba per dare un colpo di taglio al suo avversario. Shibi arretrò con un movimento fluido, così Minato si trovò ad affondare il tallone nel terreno.
“Non si scopre mai più di tanto, lui prepara la propria strategia in anticipo. Essendo un utilizzatore di insetti, deve calcolare molte più cose che il semplice corpo a corpo: il proprio chakra, quello del nemico, il suo modo di muoversi e di attaccare, la sua preferenza nelle tre tecniche di combattimento… anche se è avvantaggiato in quanto ha centinaia di alleati in più rispetto a Minato.”
Lo shinobi biondo sfruttò il cedimento della terra sotto di lui per scattare in avanti. Fu troppo veloce perché Shibi fosse pronto a reagire e quindi riuscì a prenderlo sul viso con un pugno ben assestato.
“Ottiene il massimo rendimento dall’ambiente che lo circonda, in questo modo riesce a ribaltare situazioni di svantaggio in occasioni d’oro.”
La mano di Minato affondò sempre di più in Shibi, fino a quando la carne del ragazzo non esplose, rivelando miriadi di insetti: Mushi Bunshin no Jutsu.
“La Tecnica del Clone d’Insetti! Però, che velocità nell’utilizzare il chakra, devo dire che nemmeno io mi ero accorto di quella sostituzione. Bella mossa, ragazzo.”
Minato arretrò con un saltò e si accovacciò a terra, come un corridore ai blocchi di partenza, con i sensi all’erta. Shibi non era in vista e lui non voleva di certo farsi prendere di nuovo per il naso.
«Cosa è successo, Minato?» lo interrogò Jiraya, senza togliergli gli occhi di dosso.
«Quando l’ho attaccato, ha subito preparato il chakra per fare quella copia. Evidentemente, nei pochi secondi in cui ho rielaborato la mia strategia di assalto, è riuscito ad evocare il clone e a sostituirsi a lui» Minato rispose correttamente senza perdere un filo di concentrazione. Studiò la scena circostante in cerca di una traccia. D’improvviso, si staccò dal suolo con rapidità felina; nello stesso istante, un kunai volante comparì alle sue spalle e si conficcò nell’erba dove era rannicchiato. Si girò a mezz’aria e guardò nella direzione da cui proveniva l’arma, con un sorrisetto di sfida sul volto. Lo sciame d’insetti ronzava furioso e si dirigeva dalla sua parte. Shibi era seduto qualche ramo più dietro e orchestrava i loro movimenti con il chakra, la mano destra stretta al petto con due dita sollevate e il volto un po’ abbassato per l’impegno.
Minato toccò terra e, nello stesso momento, evocò due copie.
«Bushin no Jutsu!» esclamò e si lanciò verso l’Aburame. Il vero Minato fece slalom fra gli animali di Shibi, i falsi si gettarono nel mucchio per distrarli. Minato raccolse il chakra sotto il piede sinistro e saltò verso di lui. Si abbassò di scatto ed allungò la gamba destra per colpire Shibi alle ginocchia, il quale, colto di sorpresa, barcollò all’indietro. Utilizzò la stessa tattica del compagno e si ancorò con i piedi intrisi di chakra all’albero per non cadere e spiccò un salto all’indietro, andando a finire su un altro albero. Da lì si buttò verso l’altro shinobi e tentò di colpirlo con una gomitata allo stomaco. Per evitarla, Minato arretrò ed uscì dalla macchia di foresta, seguito a ruota da Shibi. Quest’ultimo giocò sulla sua vicinanza all’avversario e lo colpì con un pugno diretto alla guancia. Minato si chinò all’ultimo e lo deviò sulla tempia. La brutalità del colpo gli fece perdere l’equilibrio e cadere di schianto a terra, prono. Fece leva sulle braccia e tentò di colpire Shibi con il tacco del sandalo, dritto sotto il mento, ma lui, capite le sue intenzioni, gli bloccò il piede con una mano e gli diede una poderosa spinta verso l’alto. Minato ghignò: era ciò che sperava. Dove il Namikaze giaceva, apparve un pezzo di legno.
“La Kawarimi è sempre la Kawarimi” rifletté Jiraya, incrociando le braccia con un ghigno.
Minato apparve dietro Shibi e tese il braccio per assestargli una botta dietro la nuca. Essendo Shibi più alto di lui, si abbassò e afferrò l’arto di Minato. Fece per tirarlo verso il basso in modo da ribaltarlo e gettarlo ai propri piedi ma Minato si assicurò bene al terreno e calciò il polpaccio di Shibi.
Il ragazzo, accusando il colpo, cascò in ginocchio e Minato ne approfittò per colpirgli il collo, ma lui, per non dargli quell’opportunità, si stese. Minato capì con un secondo di ritardo cosa sarebbe successo. Un’altra copia di Shibi affiorò fra i tronchi –l’avvertì nonostante gli rivolgesse la schiena- e gli affondò un pugno tra le scapole. Minato avvertì il dolore farsi strada da quel punto ma lottò contro di esso e, estratto un kunai, trapassò la gola del falso avversario senza neanche voltarsi. Quello scomparve in uno sbuffo di fumo.
“Si equivalgono, non c’è che dire. Sono perfettamente alla pari.”
Shibi, nel frattempo, si era ripreso dalla botta e accennava ad alzarsi. Prese il biondo per un polso e lo trascinò a terra. Minato non riuscì ad opporsi e si sentì cadere; dalla propria posizione supina tirò un calcio a Shibi che lo prese in pancia, poi con l’altro piede lo colpì al lato del volto. Shibi brancolò all’indietro e Minato si sollevò, di nuovo in posizione di combattimento.
Jiraya apparve fra i due, le mani protese verso il petto di entrambi.
«Può bastare per ora» li redarguì con voce ferma.
I due, ansimanti, annuirono. Minato tese due dita verso Shibi che le strinse con dovizia.
“Anche se non è seccato, sembra seccato” pensò Minato, in soggezione a causa dell’incapacità di Shibi di parere gradevole.
Jiraya guardò entrambi con un sorriso sul volto.
“Hi no Ishi, huh?”.


Fugaku scagliò l’ultimo kunai verso il bersaglio, che roteò con un gran fracasso di corda sotto sforzo.
«Centro perfetto» sospirò il ninja biondo, scuotendo la testa divertito.
«Sembra quasi deluso, Hideyoshi-sensei» captò Fugaku, la solita voce bassa e diffidente.
«Di questo passo mi ruberai il lavoro, Fugaku» illustrò Hideyoshi. Misurò Fugaku con sguardo accorto, senza che lui -impegnato a riprendere il proprio posto nella fila- se ne accorgesse: proprio un piccolo Uchiha prodigio. L’Hokage, in fin dei conti, gli aveva affidato quell’incarico proprio per tenere d’occhio quell’improbabile bomba ad orologeria.
Kushina si fece avanti saltellante e urlante e iniziò a staccare i kunai dal tiro a segno in legno. Temendo che con la veemenza con cui strattonava i pugnali avrebbe potuto accidentalmente suicidarsi, Hideyoshi accorse a darle una mano.
“Parlando di bombe ad orologeria…” rifletté per poi porgere alla rossa l’arma affilata.
«Il bersaglio, Kushina» chiarì Hideyoshi con celata preoccupazione «non fare come l’ultima volta.»
«Stia tranquillo sensei, andrà tutto bene, sono Kushina Uzumaki io!» si pavoneggiò con aria regale.
Fugaku sbuffò, contrariato e decisamente discordante. Mikoto lo redarguì con un sopracciglio inarcato ed un colpetto di tosse fasullo.
«Allora procedi. Il bersaglio, Kushina» l’ammonì per l’ultima volta mentre arretrava di qualche passo.
Il primo kunai si abbatté sul bordo del bersaglio. Kushina ringhiò, insoddisfatta: ma come, aveva tirato così bene!
Il secondo sfiorò il terzo cerchio. Kushina guardò male quello spesso disco di betulla: perché non riusciva a fare come Fugaku? Era soltanto uno stupido lancio!
Ritrasse il braccio con stizza ma con troppa foga, tale da non accorgersi di aver scaraventato la lama alle sue spalle. Mikoto, trovandosi sotto mira, strillò impaurita così Fugaku la strattonò via dal sentiero di morte che stava per imboccare.
Hideyoshi la guardò con gli occhi socchiusi, la tipica espressione del “cosa ho detto due minuti fa?”. Kushina ridacchiò, a disagio, e si grattò la nuca.
«Tipico» commentò sintetico «è già tanto che tu non abbia ucciso la povera Mikoto.»
«Ho preso il terzo cerchio però!» disse, battendosi fieramente il petto «prima non riuscivo a prendere neanche il secondo!»
«Me lo ricordo» rispose Hideyoshi, che rabbrividì rievocando la prima esperienza di Kushina con le armi da tiro.
«Se non riesci neppure a lanciare tre stupidi kunai, come diavolo pretendi di chiamarti genin?» esordì Fugaku, risentito.
«Ohi!» esclamò Kushina. Si voltò a fronteggiare Fugaku con occhi di brace, nello sguardo la consueta scintilla assassina di quando veniva infastidita. Hideyoshi l’aveva soprannominata “spia Habanero”.
«Io sono una grande genin!» sbottò contro di lui con un’espressione superiore «e un giorno diventerò Hokage!»
«Aspetta e spera» mormorò Fugaku aspramente, un ghigno canzonatorio sul volto pallido contornato dai capelli neri.
«Ragazzi» -Hideyoshi intervenne a fermare la rissa- «basta. Ricordatevi che facciamo tutti parte del Team 16! Vero, Mikoto?»
«Hai!» confermò lei con un gran sorriso. Fugaku incrociò le braccia e sollevò gli occhi al cielo per masticare un soffio sprezzante. Kushina gonfiò le guance arrabbiata e guardò la sua compagna di squadra emettere un risolino che spezzasse la tensione: lei e il maestro avevano la stessa smorfia tesa.
Hideyoshi concesse a Kushina una lunga occhiata.
“Sicuro di quello che fai, Sandaime?”


Era il sette marzo e da poco la pioggia aveva smesso
di precipitare su una silenziosa e dormiente Konoha.
La muraglia di nuvole si aprì per scoprire un cielo ebano
trapunto di stelle. La luna svettava in tutto quel nero
ed un uccello notturno, forse un gufo, bubolò nel buio.
«Sandaime» esordì l’ANBU nell’ufficio dell’Hokage
–illuminato da molte candele dorate-,
la voce alterata dalla maschera.
«Siediti pure, Kichiro» lo invitò Hiruzen con un sorriso.
Kichiro annuì e si accomodò, poggiando la schiena contro
la generosa e morbidissima imbottitura.
«Sono arrivato il prima possibile dal fronte» lo ragguagliò
«ma non ho ben capito perché mi ha richiamato.»
«Oggi c’è stata la cerimonia accademica» disse Hiruzen, portandosi
la pipa carica alla bocca. Prese una piccola boccata di fumo, poi proseguì.
«Sono state annunciate le squadre genin» lo informò.
«M-meraviglioso» balbettò confuso l’ANBU che non capiva
dove il Sandaime volesse andare a parare.
«Come ben sai, quest’anno si è diplomata Kushina Uzumaki.»
Il nome “Uzumaki” accese un campanello nella testa di Kichiro.
«La jinchuriki del Kyuubi?» chiese interessato, accavallando le gambe.
«Mito-sama non approvava questo termine» lo riprese Hiruzen con voce pacata.
Kichiro annuì, comprensivo. «Mi scusi.»
Passarono alcuni secondi di silenzio pesante -che Hiruzen non sembrava
avvertire- poi finalmente l’uomo si decise a rompere l’atmosfera.
«Chiedo scusa, Hokage-sama, ma non ho ancora capito
cosa questo c’entri con me.»
«Sei il miglior esperto di fujinjutsu a Konoha» spiegò Hiruzen
«abile e versatile in tutt’e tre le arti ninja. E, in più, sei un ANBU.»
«Il Team 16 è composto da due dei ninja più brillanti di Konoha
e voglio che tu li alleni e insegni loro l’arte dell’essere un guerriero.»
Kichiro, dietro la maschera, strabuzzò gli occhi.
«Sandaime, con tutto il rispetto, ma credo che questa sia una follia.
Konoha sta combattendo una guerra pericolosissima contro Iwa e Kusa,
non mi pare il momento di sguarnire il fronte per una tale sciocchezza.»
«La ritieni una sciocchezza?» -dal tono del Sandaime, l’uomo capì di aver osato troppo.
Era molto calmo e informale, come se gli avesse chiesto un parere su un gelato,
ma Kichiro sapeva che gli doleva sentire queste parole per un argomento
che gli stava tanto a cuore quale “le giovani foglie di Konoha”.
«Sono stato scortese, Sandaime, però io…» «Quella ragazzina rischia di diventare Hokage.»
«Mi scusi, cosa?» domandò Kichiro, stanco: forse la fatica gli aveva fatto
intendere male le parole del suo superiore.
«Kushina Uzumaki un giorno potrebbe guidare il villaggio, perciò pretendo
che le venga impartita la migliore educazione possibile.»
Il suo interlocutore scosse la testa: l’Hokage stava delirando.
«Sono certo, d’altronde, che quella ragazzina salverà il villaggio.
Sarà un’eroina, nonostante la bestia che porta dentro.»
Kichiro, in soggezione a causa della saggezza delle parole dell’Hokage,
non si permise di emettere fiato.
«Ti sto chiedendo di sembrare un vile per allenare la nostra salvatrice, Kichiro.
Sarai più eroe così, che uccidendo poveri sprovveduti.»
Kichiro annuì, avendo colto l’antifona, e sollevò la maschera
per scoprirsi il volto pallido contornato da ribelli ciocche bionde.
I suoi occhi d’ambra brillarono nel buio.
«D’ora in poi sarai Hideyoshi. Ora fila a letto, domani ti aspetta la prima lezione.»

 

Hiruzen Sarutobi osservò il jonin davanti a sé con il suo caratteristico sguardo gentile. L’uomo -il tipico fascino del “bello e maledetto”- soppesava due fogli con attenzione. Nonostante pesassero poco più di un paio milligrammi e fossero virtualmente innocui, egli li maneggiava con circospezione, nervosismo.
«Sei molto teso, Washiku» si permise l’Hokage. L’uomo chiamato Washiku alzò gli occhi, come appena svegliatosi da un brutto sogno, e mise insieme un sorrisetto sforzato.
«Questi dati… non sono, come dire?... a favore di Konoha. Nell’ultimo periodo stiamo avendo un forte declino e Suna non ci viene incontro» rispose lui, poggiando i fogli sul tavolo dopo un profondo sospiro.
«Sei tu che ti occupi delle relazioni estere con il Paese del Vento e quello dell’Acqua» gli fece notare l’Hokage, senza marcare troppo nessun punto: era una semplice constatazione.
«Sì, e Suna non ha intenzione di mollare la presa: dice che i patti sono chiari, Suna interverrà soltanto quando e se l’esercito di Konoha venisse distrutto, come a dire “solo se ci andrà”; sommato a Kiri che non ha nessunissima voglia di mettere a rischio la propria potenza militare per noi, direi che la nostra situazione non è poi così rosea» anche se quello appena sputato era uno sfogo, la sua voce si era mantenuta piatta, priva di emozioni.
«Sei sempre il solito catastrofista» lo riprese tranquillamente l’Hokage.
«Può essere» accondiscese «ma le carte parlano chiaro.»
Mostrò ad Hiruzen i documenti da lui studiati fino ad un attimo prima. Anche l’Hokage dovette in parte ricredersi: in effetti, il loro stato attuale non era felicissimo.
«Shikami cosa dice?» chiese a Washiku, osservando i piccoli segni neri che stavano decidendo il destino di Konoha.
«È dello stesso parere di Jiraya, anche lui è convinto che all’esame di Selezione dei Chunin ci sarà parecchio movimento» replicò. Ripensò alla faccia con cui il suo ex-maestro ed odierno collega gli aveva rivelato il suo parere sulle manovre adottate da Konoha.
Aratana Kibo è un progetto molto rischioso. Fino ad ora soltanto due ragazzine hanno superato gli allenamenti, quindi non vedo che apporto potrebbero recare ai team genin di Konoha; questa generazione di sensei è ottima, ed in più ci sono parecchie punte di diamante anche fra gli allievi: il figlio degli Uchiha e degli Aburame, questo Minato Namikaze… perfino gli altri genin non sono male, anzi. Perché far scendere in campo due bambine così piccole? Non vorrei di certo essere uno dei loro padri.”
«Shikami non crede in Aratana Kibo» aggiunse il Sandaime. Guardò negli occhi Washiku, che fu costretto ad annuire piano.
«Nessuno crede in Aratana Kibo» rise Hiruzen. Si alzò e raggiunse la vetrata, cosicché Washiku poté osservare il suo volto riflesso nel vetro. La luce color conchiglia ed oro del tramonto iniziava ad inondare Konoha e filtrava nello studio circolare dell’Hokage, donando all’atmosfera una certa maestosità che Washiku avvertiva come un macigno sullo stomaco.
«Signore, Aratana Kibo è un’operazione azzardata» esordì Washiku senza preamboli di sorta -Hiruzen apprezzava quella sua virtù- «non mi sembra corretto immolare due bambine come quelle coinvolte; avrebbero avuto di certo una chance fra qualche anno, raggiunta l’età giusta, e poi si godrebbero di più il tempo con le loro fami-» «A quelle due bambine, è stata distrutta, la famiglia.»
Washiku si fermò di botto.
«Sono entrambe cresciute fra le difficoltà estreme del vivere quasi sole e ciò che desiderano è dimostrare il loro valore, la loro utilità, per trovare il proprio posto nel mondo. Credi che sarebbero state evidenziate a dovere, confuse nella massa di tutti i giovani aspiranti genin?» Hiruzen gli rivolgeva la schiena e la sua voce era seria, dura, una cosa inusuale per lui.
«Signore, io…» «Lo so, Washiku. Vorresti proteggerle dalla dura vita del ninja. Ma credimi, quelle due bambine, quelle due piccole donne, sanno cosa significa vivere duramente. Sono forti, non solo dal punto di vista psicologico, ma anche come kunoichi. Loro sono le nuove speranze di Konoha. Loro sono Aratana Kibo.»
A quelle parole fiere, seguì un lungo silenzio di riflessione. Il jonin sapeva che l’Hokage non avrebbe mai tirato in ballo due bambine senza essere sicuro che esse fossero pronte alla ligia, spartana e severa esistenza da assassine; ciò significava, quindi, che quelle creaturine nascondevano in loro stesse una potenza inimmaginabile. Forse Shikami-san si sbagliava, forse quegli ultimi due membri sarebbero stati il tocco finale per quella generazione così ricca di talenti.
“Ricca di talenti… certo, come i miei bei tre talenti” singhiozzò nella propria mente quando il pensiero gli andò a cadere sulla propria squadra: i tre nullafacenti più inutili della storia. Sicuramente avevano passato tutta quella giornata libera ad oziare, mangiare e provarci con le ragazze. Shikaku Nara, Inoichi Yamanaka e Choza Akimichi, come diavolo avevano fatto quei tre a diventare genin? Sì, Shikaku aveva un po’ di cervello -era pur sempre il figlio del grande Shikami Nara-, Inoichi era sveglio -quando non andava in shock anafilattico osservando le gonne svolazzanti delle civette di Konoha- e Choza pareva quasi competente quando ci si applicava -mai, ma quello era un altro discorso- però Dio se erano dei pasticcioni e pigroni cronici! Parecchie volte aveva giocherellato con un kunai, indeciso se premerselo nell’addome e farla finita, ma era quasi sicuro che quella persecuzione l’avrebbe tormentato anche nell’aldilà…
«Tornando a noi» riprese il Sandaime, scuotendolo dalla seconda trance in cui era caduto -anche questa altrettanto spiacevole- «dovresti consegnare questa a Jiraya e la sua squadra.»
L’Hokage raggiunse la sua scrivania e trasse da un cassetto un piccolo rotolo blu.
«Livello C?» chiese interessato Washiku, avendola riconosciuta dal colore del bando.
«Jiraya si sentirà abbastanza frustrato dopo tutto questo tempo “inchiodato” al villaggio e questa è un’ottima occasione per mandarlo fuori. In più, servirà a mettere alla prova il giovane Minato e il giovane Shibi» spiegò l’Hokage con un sorriso divertito. Washiku annuì ed accennò ad uscire, ma proprio mentre stava per aprire la porta questa venne spalancata dall’esterno e un giovane chunin fece capolino.
«Mi scusi, Hokage-sama, ma la signorina Ran Aoki-san desidera essere ricevuta» lo informò dopo aver eseguito un saluto militare.
«Falla pure entrare» disse Hiruzen, congedando il chunin con un gesto conciliante della mano.
Washiku, intuendo di essere di troppo, fece un piccolo inchino ed uscì dallo studio.
“Aratana Kibo. Il Team Jiraya. Il Team 16. Il Team 17. Il Team 19. È questo quello su cui Konoha fa affidamento?”
   
 
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