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Autore: Koa__    20/07/2013    5 recensioni
Greg Lestrade non riuscì proprio ad alzare lo sguardo. Dopo quella, per lui, patetica confessione, non ce la fece davvero a sollevare gli occhi e a guardarlo. Sperava solo che quel silenzio, carico di tensione, cessasse e che Mycroft facesse qualcosa. Sapeva per certo quello che non avrebbe mai voluto da lui, con tutto quello che era in grado di fare con la sua spietata freddezza, Greg, era la sua indifferenza che temeva maggiormente.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di Mystrade, d'amore e d'altre sciocchezze...'
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I diritti di “Sherlock” non appartengono a me, ma ai legittimi proprietari.
Fa parte delle serie: “di Mystrade, d’amore e d’altre sciocchezze”.
Prosegue direttamente da Qui

 
 

All’ombra di quel faggio ti ho detto che ti amo


 
 

Erano trascorsi due mesi da che Greg Lestrade aveva iniziato a frequentare Mycroft Holmes. Mesi, durante i quali il poliziotto aveva potuto verificare alcune delle teorie che si era fatto su di lui. Se di principio aveva creduto che gli incontri nei sotterranei fossero dovuti al solo fatto che non erano una coppia, successivamente, dovette constatare che era proprio così che Mycroft concepiva gli incontri con altre persone. Gli ci era voluto un mese per uscire dalle fogne ed arrivare in superficie, superficie che si era materializzata con un appartamento a Whitehall o in luoghi appartati del Diogene's Club. Non c’erano stati filtri di alcun genere, una sera si erano visti in un magazzino maleodorante e quella successiva in un attico nel centro di Londra. A quanto pareva, Holmes non conosceva mezze misure. Tutto sommato però non era male vedersi così, ma soprattutto era Holmes a non essere male. Anche se, se mai avesse dovuto trovare una parola con la quale definire il loro rapporto, Greg avrebbe di sicuro detto che era complicato. Non per il fatto che litigassero o discutessero, cosa che tra l’altro non era ancora mai avvenuta, ma per il semplice motivo che non si vedevano praticamente mai. L’aveva compreso fin dalle loro prime frequentazioni: sarebbe stato Mycroft a dettare le regole, lui a prestabilire gli incontri senza chiedere nemmeno un parere su cosa dovessero fare o dove potessero andare. A Greg tutto era precluso, si limitava solamente salire e scendere da una macchina nera, dopo che questa si era fermata di fronte all’ufficio, e percorrere le scale una volta arrivati. E, se di principio questi incontri erano stati eccitanti, ora non ne poteva davvero più.


Ogni volta che faceva simili pensieri, il poliziotto si malediceva. Era fortunato ad aver trovato un uomo del genere: qualcuno che tenesse a lui così tanto, da organizzare tè nei sotterranei della metropolitana. Qualcuno che avrebbe preferito non vederlo, piuttosto che metterlo a rischio. Eppure, un sentore dentro di lui gli diceva che avrebbe dovuto prendere le redini di quel rapporto. John glielo aveva detto, un giorno dopo che erano entrati in confidenza, non avrebbe dovuto permettere ad un Holmes di dettare le regole del gioco. Era vero: il lavoro di Mycroft era complesso e spesso lo portava via da Londra, anche per settimane. Ed era altrettanto vero che si trattava pur sempre del fratello di Sherlock, ma quello che John Watson aveva cercato di fargli capire era più che giusto. E avrebbe dovuto inizare a metterlo in pratica proprio da quel giorno stesso.
 

Era una domenica dei primi di aprile e le giornate andavano via, via allungandosi. La primavera cominciava a far sentire i suoi profumi e il sole a splendere caldo nel cielo. Si era alzato relativamente tardi quel mattino, Greg Lestrade. La domenica non era un giorno lavorativo, l’unico momento della settimana in cui riusciva a ritagliarsi un po’ di tranquillità. Negli ultimi tempi aveva dovuto pensare a sistemare la casa nella quale si era trasferito dopo il divorzio, ma di solito la dedicava al rugby o al calcio in televisione; magari rilassandosi sul divano in compagnia di una birra. Dopo aver fatto colazione con un caffè nero e un paio di toast, sentì suonare al campanello. Ancora in pigiama e con indosso la sola vestaglia, Lestrade si ritrovò Anthea fuori dalla porta.
«Buongiorno, ispettore» trillò.
«Salti i convenevoli, la prego» rispose, si massaggiò poi gli occhi, portando lo sguardo sulla donna.
«Vuole che si vesta e che mi segua» tagliò corto lei.
«Ah, sì, vuole questo?» domandò Greg. «Beh, sa cosa deve fare? Girare i tacchi, tornare da lui e dal suo odiosissimo ombrello, e riferirgli le seguenti parole: se vuoi vedermi, Mycroft, mi chiami e ci mettiamo d’accordo. Perché in nessuna e dico nessuna coppia che si rispetti, uno dei due rapisce l’altro e lo porta chissà dove.»
«Queste esatte parole?»
«Queste esatte parole» annuì Greg. «Arrivederci, Anthea e passi una buona giornata» concluse, sbattendo la porta.


Non poteva credere d’averlo fatto! Anche se, probabilmente, quella sfuriata avrebbe portato a delle conseguenze non esattamente positive. Non si sarebbe arrabbiato Mycroft, no, non era un atteggiamento che lo contraddistingueva. Non ci sarebbero state litigate monumentali, ma solo l’ennesima tediosa spiegazione sul perché erano costretti ad agire in quel modo. Sarebbe stato sfiancante, ma era stato costretto ad agire così. La cosa che si chiedeva era: sarebbero stati così per il resto delle loro vite? Perché lui ci pensava, al futuro, e se immaginava di dover vivere con un’altra persona per la seconda volta in vita sua, non era certo così che lo voleva. Che razza di vita avrebbero fatto? Ma poi, potevano definirsi una coppia? Lo potevano fare per davvero? Perché si erano sì baciati, avevano sì fatto l’amore, ma di sentimenti ancora non si era parlato. Greg ci aveva provato, aveva tentato di dirgli che, nonostante tutto lo amava, ma ogni volta vi aveva rinunciato. Ed era ancora per quello sguardo che Mycroft si ostinava a portare quando erano insieme. Forse era troppo abituato a mentire e a nascondere i suoi sentimenti, per essere totalmente sincero. E qui arrivava al punto cruciale, al nodo che Lestrade voleva sciogliere. Perché se mesi addietro si chiedeva perché avesse scelto lui, ora si domandava se Mycroft lo amasse.
 

 

oOo

 


Camminava sotto il sole caldo di primavera, Greg Lestrade. Era appena uscito di casa e procedeva a passo lento verso il parco di San James. [1] Era relativamente lontano da casa sua, ma voleva camminare; desiderava prendersela con assoluta calma e fare le cose con lentezza. Per una volta in cui non aveva da correre su e giù per Londra, voleva godersela appieno. E poi adorava il parco di San James. C’era un posticino molto carino, nascosto alla vista dei più, lontano dagli splendidi viali, al di là del lago. Una panchina appartata che aveva scoperto quando, ancora fidanzato, ci andava con quella che poi sarebbe diventata sua moglie. Non facevano nulla di particolare, sedevano semplicemente, alle volte chiacchieravano, altre mangiavano o leggevano libri. Non aveva nostalgia di quel periodo, ciò che aveva con Mycroft riempiva la sua vita in maniera totale, e poteva affermare con assoluta sicurezza che non era mai stato tanto felice. Però era complicato, era molto complicato. Perché se durante il suo matrimonio i primi tempi le cose erano scivolate lisce come l’olio, adesso gli sembrava che tutte le difficoltà fossero all’inizio. Come se il destino volesse metterlo alla prova.


Perché, nei fatti, lui si era innamorato di Mycroft ed era successo più rapidamente di quanto ritenesse possibile. Si era ritrovato spesso a pensare a lui, nel bel mezzo di un pomeriggio di lavoro o sulla scena di un crimine. Ed era un atteggiamento del tutto inusuale, perché non si era mai infatuato a quel modo di nessuno.


Mille pensieri vorticavano rapidi nella sua mente, ma quando mise piede al parco, la sua testa si svuotò come per magia. Quella bellissima e calda primavera che stava sbocciando, aveva reso i giardini inglesi una vera e propria meraviglia. Il prato, verde e perfettamente tagliato, era costeggiato da aiuole colorate. Panchine, sistemate ai lati dei viali, facevano posto ad ogni tipologia d’essere umano: c’erano signore più anziane, intente a ricamare o lavorare a maglia, studenti con tomi tra le mani e mamme preoccupate che i rispettivi figli non si facessero troppo male durante i giochi. Gli alberi fioriti, di pesco e ciliegio, ombreggiavano il tragitto, facendo apparire spiragli di sole dai rami mossi dal vento; mentre le acque del lago venivano agitate da ragazzini in vena di scherzi. Greg si tolse gli occhiali da sole che indossava, non voleva che la visione di quel paradiso terrestre fosse preclusa dalle lenti scure. Si soffermò per un momento, inspirando l’aria umida che sapeva di terra ed erba. Poteva udire i rumori del traffico, ma non gli davano fastidio. Non gli importava nemmeno dei passanti che gli camminavano a fianco e che lo fissavano, scocciati dal fatto che si fosse fermato nel bel mezzo del viale. Da quanto tempo non si prendeva una giornata come quella? Tanto, troppo e proprio per quel motivo voleva godersi la natura appieno.


Riprese il cammino dopo qualche minuto, a passo un po’ più rapido, come se avesse fretta d’arrivare. Svoltò alla prima curva e proseguì, girando anche a quella successiva. Ora il paesaggio era cambiato: addentrandosi nel prato, gli alberi che costeggiavano il lago diventavano sempre più fitti. Sorrise, quando intravide l’albero di faggio che sovrastava il suo posto speciale. Fece ancora qualche passo, superò un ciliegio in fiore e poi… si fermò all’improvviso. Sulla sua panchina sedeva la persona più inattesa e inaspettata che potesse immaginare di trovare.
«Mycroft» sussurrò, incredulo. Non avrebbe mai pensato di poterlo vedere lì. Come faceva a saperlo? Come conosceva quel posto? Ma soprattutto, come aveva fatto ad intuire dove sarebbe andato? Non fece a tempo a pensare a null’altro che lo vide voltarsi; Holmes si alzò immediatamente, mettendosi ritto e in sua attesa.
«Stavo provando a dedurre da quale direzione saresti arrivato, ammetto d’aver sbagliato. Pensavo prendessi il viale sulla destra, quello che costeggia Buckingham Palace e invece sei arrivato dalla parte opposta, come al solito sei una continua sorpresa, Gregory.»
«Perché sei qui?» domandò Lestrade, facendosi più vicino.
«Per parlare della nostra relazione, ovviamente.»
«Ah» affermò, sempre più sorpreso. «Sono proprio curioso di sentire ciò che hai da dire» mormorò; si sedette poi alla panchina, incrociando le braccia in un chiaro gesto di attesa.
«Non sarò io a doverlo fare, ma tu» disse Mycroft, puntando l’ombrello nella sua direzione per rimarcare il concetto, così com’era solito fare. «Mi pare ovvio dato quello che hai riferito ad Anthea, sono qui per ascoltare le tue parole, Gregory. È più che evidente che hai qualcosa da dire circa la nostra relazione.»
«Perché, possiamo definirla una relazione?»
«Mi pare il termine più appropriato, ma se preferisci chiamarla in un altro modo, sarò ben felice di accontentarti.»
«Il punto non sono le parole, Mycroft, ma è tutto il resto!»
«Capisco.»
«No, non credo. Se avessi capito, non saremmo qui a fare questo discorso. Il punto è: possiamo definirci come una coppia? Le coppie fanno le cose insieme, decidono se uscire la sera o se stare a casa. Rimuginano su cosa faranno del loro futuro, dove andranno in vacanza l’estate o con chi trascorreranno il Natale; noi invece? Non siamo nulla di tutto questo, ci vediamo ogni tanto e facciamo quello che vuoi tu. Io non posso nemmeno programmare di invitarti a cena o a pranzo, perché non so quando sarà la prossima volta che ci vedremo.»
«Conosci il motivo per il quale sono costretto ad agire così.»
«Certo che lo so, ma è difficile.»
«Non ho mai accennato al fatto che non lo fosse.»
«Sì, mi hai detto queste cose fino alla nausea. E se il nostro rapporto fosse stabile e dichiarato, allora non saremmo qui in questo momento; ho bisogno di rassicurazioni.»
«Di che genere?» domandò Holmes, dubbioso.
«Cosa faremo in futuro? Andremo a vivere insieme? Ci sposeremo? Lo so che ci frequentiamo solo da pochi mesi, ma io ho bisogno di sapere cosa pensi tu del rapporto che abbiamo; cosa vuoi che sia? Solo sesso o c’è dell’altro?»
«Mi stai domandando se ti amo?»
«No, ti sto chiedendo perché, tra le milioni di persone che conosci, hai scelto proprio Greg Lestrade, il poliziotto. Come mai quella sera mandasti Anthea a prendermi? Davvero volevi solo ringraziarmi o mi avevi già scelto? E poi cos’ho di tanto speciale da interessare un uomo come te?»
«Un uomo come me?»
«Andiamo, Mycroft, non fingere di non capire. Sei una persona del tutto fuori dal comune, non solo per il fatto che assomigli dannatamente a tuo fratello Sherlock, ma perché sei strano. Quando ti relazioni con le altre persone il tuo sguardo è freddo come il ghiaccio e mi fai paura, perché la tua espressione è spietata. E di tanto in tanto mi domando se, un giorno, guarderai così anche me. Perché non ti ho fatto prima questo discorso? Avevo paura di distruggere tutto, mi piace ciò che ho adesso; nonostante tu mi faccia diventare matto con i tuoi silenzi e le tue misteriose missioni chissà dove. Adoro tutto quello che facciamo e non parlo solo del sesso, ma di come mi versi il tè o del fatto che ti preoccupi in continuazione per la mia sicurezza. Mycroft, te lo devo dire, così chiariamo questa situazione una volta per tutte. Io detesto così tante cose di te che potrei scriverci un libro, ma allo stesso mi rendo conto che ne amo altrettante, forse molte di più. Spesso mi ritrovo a pensare che ti a… Insomma, quello che sto provando a dirti, in maniera pessima, è che ti amo. Ecco e ora te l’ho detto!»


Greg Lestrade non riuscì proprio ad alzare lo sguardo. Dopo quella, per lui, patetica confessione, non ce la fece davvero a sollevare gli occhi e a guardarlo. Prese quindi a fissare l’erba fresca sulla quale era stata sistemata la panchina, come se fosse la cosa più importante al mondo. Sperava solo che quel silenzio, carico di tensione, cessasse e che Mycroft facesse qualcosa. Qualunque cosa, anche deriderlo. Di lui, durante quei mesi, aveva imparato tanto. Sapeva per certo ciò che non avrebbe mai voluto da lui, con tutto quello che era in grado di fare con la sua spietata freddezza, Greg era la sua indifferenza che temeva maggiormente. Se lo avesse deriso, odiato o fatto picchiare sarebbe stato decisamente meglio.


In quegli istanti eterni, Lestrade si ritrovò ad avere paura, paura come non ne aveva mai avuta in vita sua.

E se avesse perduto tutto quello che in quei mesi aveva guadagnato?

In ogni caso, si disse, qualunque cosa sarebbe stata meglio che il vivere nell’incertezza e se Holmes lo avesse scaricato, allora avrebbe definitivamente messo una pietra sopra quella strana ed insolita storia. L’innamoramento gli sarebbe passato, prima o poi, buttarsi nel lavoro gli sarebbe servito. Sì, gli sarebbe davvero stato utile mettersi a dare ordini ad un branco di inetti.

E, mentre passava nella sua mente i mille modi di dimenticare un amore impossibile, Holmes, parlò:

«C’è un uomo a Scotland Yard, Mycroft, si chiama Lestrade ed è un ispettore. È ovviamente un idiota, non risolverebbe nemmeno le parole crociate facilitate, ma ha detto che posso andare a dare un’occhiata di tanto in tanto. Sai, quando gli ho detto che l’assassino del caso Proud era la moglie, lui non mi ha mandato al diavolo. Ti ricordi come si era comportato l’ispettore Reynolds? Come mi trattano tutti quanti? Lestrade è diverso da loro, mi ha detto che mi chiamerà quando avrà bisogno di me. Ritiene che io possa essere d’aiuto, credo che non sia poi così idiota, in fondo.» Holmes si schiarì la gola, tossendo leggermente, poi proseguì: «Queste sono le parole che mio fratello Sherlock mi ha rivolto la prima volta che mi ha parlato di te; sapevo che gli avresti dato del lavoro e ti ho tenuto sotto controllo. Vorrei dirti che mi dispiace aver spiato te, tua moglie, la tua vita… Ma non è così, perché tutto ciò che riguarda Sherlock riguarda anche me. Mi preoccupo per lui continuamente ed era vitale il tenerti sotto controllo: proteggere te, è proteggere mio fratello e niente è più importante di questo. Tutte le settimane mi arriva un rapporto che ti riguarda; tu mi chiedi come mai ho voluto vederti quel giorno? Hai ragione, ho scelto te. E l’ho fatto perché, settimana dopo settimana, rapporto dopo rapporto, è successo qualcosa di inaspettato. Qualcosa che non mi era mai capitato con nessuno e che non era certo stato programmato sulla mia agenda elettronica, o nel mio cervello. Ho cominciato a provare sentimenti nei tuoi confronti. Vedi, Greg, non ho mai amato nessuno al di fuori di Sherlock; anche se si tratta di tipologie di amore differenti. Ma il giorno in cui mi sono ritrovato ad accarezzare involontariamente una tua fotografia, ho capito che ero attratto da te. Non posso assicurarti nulla per il futuro, non posso dirti che io, da ora, mi comporterò come un fidanzato modello; non sarò mai una moglie, non sarò mai tua moglie. Il mio lavoro e mio fratello sono troppo importanti, io non posso metterli da parte.»
«Non te lo chiedo e non lo farò mai» rispose Greg, alzandosi in piedi, accalorato e desideroso di fargli notare che no, non aveva mai neanche immaginato una cosa del genere. Aveva capito quanto Mycroft volesse bene a Sherlock, lo aveva capito veramente ed era successo la prima volta che li aveva visti insieme. Ovviamente stavano litigando, ma era stata la prima volta, quella, in cui aveva visto un’espressione diversa sul viso di Mycroft.


Aveva mille sfumature differenti, il maggiore degli Holmes. Per lui, gli estranei erano il nulla: solo un mezzo per ottenere qualcosa, di qualunque cosa si trattasse, dal pranzo a dei piani missilistici, al governo di una nazione. Poi c’era l’espressione dolce ed il viso sorridente che portava ogni volta che stavano insieme e alla fine, c’era la faccia per Sherlock. Lestrade poteva descriverlo ancora adesso con assoluta certezza: istinto di protezione. Puro e semplice desiderio di proteggere la persona più importante della sua vita.

«E allora cosa mi chiedi?» La voce di Mycroft interruppe il corso dei suoi pensieri. Stavano parlando di amore e lui si perdeva a pensare a Sherlock?
«Se mi ami» affermò l’ispettore, deciso.
«Avevi detto che non era questo che mi stavi domandando.»
«Lo faccio ora.»
«Ti amo» disse Holmes, con tono secco. «E ti darò la sola cosa che ti posso offrire, non un futuro rassicurante, ma solo me stesso. Ora ti chiedo, Greg, ti è sufficiente? Perché se sono tutte quelle altre cose che desideri, allora io non ti posso accontentare e, se non lo posso fare, allora è meglio che ci…»
«Mi basta» lo interruppe.
«Ne sei certo?»
«Ho già avuto una vita perfetta, Mycroft e guarda com’è finita. Io volevo solo sapere perché avessi scelto me, ora lo so ed era quello che volevo.»

Lestrade lo vide sorridere, sorridere per davvero. L’espressione del viso tirata, che aveva avuto fino a quel momento, stava lasciando spazio ad occhi sereni e ad una risata tenue. Nulla di esagerato, in puro stile Holmes, ma a Greg era sufficiente.
 

 

oOo



 
Avevano deciso che avrebbero pranzato lì, su quella panchina nascosta ai viali, nel parco di San James e che da quel momento sarebbe diventata la loro panchina. Mycroft aveva regalato a Greg una giornata intera, promettendogli che non ci sarebbe stato lavoro per il resto del pomeriggio. Lestrade si era sentito felice come un bambino; perché sapeva lo sforzo che stava facendo nel fargli quel regalo. Si erano fatti portare un cesto pieno di vivande dalle cucine del Savoy. A quanto pareva, Mycroft Holmes era in grado di aprire tutte le porte ed ottenere ogni cosa desiderasse. Il pranzo era stato veloce, a base di panini, ma comunque molto gustoso. Ed ora Greg era lì, disteso sulla panchina e con la testa appoggiata alle ginocchia del suo uomo. Se ne stava con gli occhi chiusi e si beava di quella meravigliosa sensazione. Il lato tenero di Mycroft usciva di tanto in tanto ed era impossibile che venisse fuori quando non si trovavano in camera da letto, ma forse complice la situazione o il luogo appartato, era accaduto. E Lestrade aveva la possibilità di farsi accarezzare i capelli in quel modo speciale.


Non avevano parlato per niente, ad entrambi piaceva il suono del bosco. L’aria era impregnata del melodioso canto degli uccelli e del frusciare delle fronde degli alberi, erano quasi come una colonna sonora.
«Non pensavo apprezzassi la natura, Mycroft» esordì il poliziotto dopo un lungo silenzio.
«Ci sono cresciuto, nella natura: la mia famiglia ha una piccola casa nel Sussex, trascorrevo lì le vacanze estive quando ero bambino. Di tanto in tanto ci torno, anche se per scopi differenti. Potrai sfruttarla ogni volta che vorrai, Gregory.»
«E immagino che con il termine piccola casa, tu intenda una specie di castello con un parco da cento acri!»
«Non essere esagerato; la famiglia Holmes può ritenersi agiata, ma non possediamo l’intera Inghilterra.»
«Già, e tu hai solo un piccolo incarico nel governo britannico, quasi insignificante direi» ironizzò.
«Per l’appunto» annuì Mycroft.


«Posso chiederti una cosa?» domandò Lestrade dopo qualche altro minuto di silenzio. Stava seriamente rischiando di addormentarsi e sentiva che, se non provava a fare un po’ di conversazione, sarebbe sul serio caduto in tentazione e allora avrebbero dovuto portarlo via per davvero, di peso. D’altronde, le dita di Mycroft che affondavano nei suoi capelli e che accarezzavano la cute, stavano diventando un massaggio rilassante vero e proprio, Lestrade avrebbe pagato metà del suo stipendio per farsene fare uno simile. Anche se, forse, la cosa che apprezzava per davvero era il fatto che fosse lui a farglielo; nemmeno dopo il sesso si lasciava andare fino a questo punto.
«Domandami ciò che vuoi.»
«Che infanzia avete avuto? Intendo, due persone come voi non possono essere cresciute in maniera normale.» Lestrade percepì distintamente la carezza cessare e Mycroft ritrarsi leggermente, forse non avrebbe dovuto domandargli una cosa simile.
«Se non vuoi rispondere, non ti obbligo certo a farlo.»
«Non è una storia interessante in realtà, in famiglia eravamo solo noi: mamma, papà, io e Sherlock. Sebbene mamma ci volesse bene, non posso dire che sia stata presente nella vita mia e di mio fratello. Mentre per quel che riguarda papà, non era poi così diverso. Era ovviamente estremamente brillante e perspicace, ma assolutamente anaffettivo. Non ho idea di come fosse il suo rapporto con mia madre, ma non è mai stato un padre per me. Lo è stato molto di più Stanley, il maggiordomo. Quando Sherlock ebbe compiuto tre anni, lasciarono la villa e si trasferirono a Parigi; noi rimanemmo con la servitù. Li incontravamo a Natale e durante le vacanze estive, ma da che se ne andarono per me sono diventati degli estranei. Fu quando Sherlock arrivò ad avere dieci anni che capii che avrei dovuto occuparmi io di lui, che sarebbe toccato a me il doverlo proteggere. Solo qualche anno più tardi imparai che avrei dovuto farlo soprattutto da lui stesso, come forse saprai, Sherly ha avuto problemi di droga. Poi per fortuna è arrivato il dottore e le nostre vite sono cambiate.»
«È incredibile….» mormorò Greg.
«Cosa?»
«Ma la maniera con cui parli di lui, come se fosse la sola persona sulla faccia della terra, l’unica che conti per te.»
«Sherlock è la mia famiglia, Gregory. Nonostante mia madre sia ancora in vita, non provo per lei alcun tipo di affetto. Prima di te, mio fratello era tutto ciò che avevo.»
«Ed immagino sia per questo che tutte le volte che vi vedete vi mettete a litigare» ironizzò.
«Sherlock gradirebbe avere maggiore libertà e non avermi tra i piedi come dice lui e, naturalmente, ciò non avverrà mai.»
«Naturalmente» rispose, con tono ironico.
«Sei soddisfatto della risposta o gradisci ricevere altre informazioni circa la mia famiglia?»
«No, grazie, può bastare.»

Il silenzio tornò a regnare in quel piccolo angolo di paradiso. Greg chiuse gli occhi, per un istante, voleva solo riposare un poco gli occhi, ma si ritrovò addormentato.
 

 

oOo



 
Quando si risvegliò, era completamente disteso sulla panchina e Mycroft se ne stava in piedi e passeggiava tranquillamente, mentre parlava al cellulare in tono sommesso.
«Mi sono addormentato?»
«Ho preferito lasciarti tranquillo e poi avevo qualche chiamata da fare.»
«Ma che ore sono?»
«Le quattro passate, fra poco sarà ora del tè. Gradisci unirti o preferisci fare ritorno a casa?»
«No, no, va bene: vengo con te» annuì tirandosi a sedere
 

Lestrade non fece a tempo ad alzarsi, che fu interrotto dagli strepiti di Sherlock il quale stava camminando verso di loro a rapida velocità, quasi correva mentre inveiva contro un uomo in giacca e cravatta nera, che lo stava inseguendo.
«Mycroft, puoi dire al tuo gorilla che lo zoo è al Regent’s e non qui?» [2]
«Puoi andare; Sherlock Holmes è tra le persone gradite» ordinò. L’uomo annuì e, senza proferire parola, sparì oltre gli alberi.
«Persone gradite?» ripeté Greg, senza capire, prima di alzarsi dalla panca e riassettarsi gli abiti sgualciti.
«Si può sapere perché hai fatto recintare questo posto e come mai c’è una guardia armata al cancello? Cos’è hai fatto di questa panchina la tua nuova base segreta?»
«Non essere sarcastico, Sherly, è un regalo per il mio Gregory.»
«Regalo per chi?» chiese il poliziotto, alzando il tono di voce mentre Sherlock faceva smorfie, rendendo chiaro il proprio disgusto.
«Da questo momento in avanti questo luogo è a tuo uso esclusivo. Come accennato, è stato cintato di modo che tu possa avere tutta la tranquillità che desideri. Ovviamente questo significa che tu, Sherlock, non potrai sfruttarlo se Gregory è presente. In caso contrario, l’invito è esteso anche al caro dottor Watson.»
«Mi hai regalato un pezzo di parco?»
«Non era chiaro?»
«Posso interrompere per un momento questo teatro dell’assurdo? [3] Io non sarei venuto per guardare le vostre disgustose smancerie.»
«Se sei qui per me, scordatelo, questa è la mia giornata libera.»
«Tranquillo, Lestrade, dormi pure sonni tranquilli sulla tua bella e nuova panchina.» Sherlock estrasse di tasca una piccola scatola in metallo che Greg non seppe ben identificare. La agitò poi davanti al viso di Mycroft, il quale roteò gli occhi, scocciato dal suo essere terribilmente infantile.
«Con questo considerami in vacanza. Qualsiasi idiozia combinino quegli inetti che tu ti ostini a definire come i miei uomini, non sarà più un mio problema.»
 

Detto questo, Sherlock sparì dietro la pianta di faggio, allontanandosi da loro. Lestrade portò quindi lo sguardo su Mycroft, aveva già fatto sparire il piccolo oggetto ed ora gli porgeva il braccio.
«Vogliamo andare?» chiese con elegante e gentile sorriso.
«V-va bene» balbettò Lestrade, incamminandosi al suo fianco.
 

Ciò che entrambi non potevano sapere, e che avrebbero scoperto soltanto in seguito, era che Sherlock, qualche ora più tardi era tornato a quella panchina. E che, dopo aver estratto il suo coltellino multiuso, aveva iniziato ad incidere.

Ancora adesso, là, in quella zona cintata del parco di San James, su quella panchina ombreggiata da un faggio, la potete vedere: la scritta Mystrade, un acronimo di sua invenzione, scolpita dappertutto.

Nonostante tutto, Sherlock si è sentito in dovere di rimarcare la possessione di quel piccolo angolo di paradiso all'ombra del faggio.
 

Fine




[1] Il “Saint James Park: è uno dei più celebri parchi pubblici di Londra. È tra i più antichi  della città. Un luogo affascinante non solo per natura, ma anche per i famosi scorci che si possono vedere. Dato che non sono mai stata a Londra ho utilizzato “google map” per orientarmi. Gli ambienti descritti sono esattamente come li ho visti nelle fotografie del sito internet, arricchite con descrizioni a mio piacimento. Basandomi sulla stagione.
[2] Regent’s Park: è più conosciuto come “Zoo di Londra”. È anch’esso piuttosto antico, la sua apertura risale al 1828.
[3] Teatro dell’assurdo:  è nata come corrente letteraria che poi si è evoluta in un vero e proprio genere teatrale. Vede tra i maggiori esponenti Ionesco e Pinter. Quest’ultimo a dire il vero è un omaggio a mio padre, che da giovane, negli anni ’70, traduceva le commedie di Pinter e le metteva in scena (e che non piacevano a nessuno, perché le capivano solo lui e i suoi amici ^^’’). È un fatto affettivo e personale che butto dentro un po’ così, perché mio padre non credo leggerà mai questa roba.

 
 
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_Koa_

   
 
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