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Autore: koukla    21/07/2013    4 recensioni
" Io sapevo.
Benché i miei genitori avessero fatto di tutto per nascondermi la situazione, io sapevo.
Probabilmente avevo sempre saputo.
Conoscevo il motivo per cui mio padre, nonostante fosse un uomo affascinante e piacevole sotto molti punti di vista, non si era mai sposato, non aveva una fidanzata e non frequentava nessuno. Sapevo perché, certi giorni, si chiudeva in casa da solo. Perché, in quei giorni, beveva.
Sì, io, Sofia Robbin Sloan Torres, sapevo."
[ Siccome sono una polla, avevo dimenticato, nel trascrivere la storia al computer, di copiare uno dei ricordi di Sofia... Chiedo venia per questo: l'ho appena inserito e ora la storia può davvero considerarsi completa!]
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres, Lexie Grey, Mark Sloan, Sofia Robbins Sloan Torres
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Knowledge

 

 

La notte, nel letto, lo perseguitavano le ambizioni più grottesche e fantastiche, il cervello gli tesseva un universo di sfarzo indicibile, mentre l'orologio ticchettava sul lavabo e la luna gli intrideva di luce umida gli abiti sparsi alla rinfusa sul pavimento. Ogni notte alimentava le sue fantasie finché la sonnolenza si abbatteva con un abbraccio dimentico su qualche scena vivace. Per un certo periodo queste fantasticherie gli procurarono uno sfogo all'immaginazione; erano un'intuizione confortante dell'irrealtà della realtà, una promessa che la roccaforte del mondo era saldamente basata sull'ala di una fiaba.”

Francis Scott Fitzgerald - “ Il Grande Gatsby”

 

 

 

Io sapevo.

Benché i miei genitori avessero fatto di tutto per nascondermi la situazione, io sapevo.

Probabilmente avevo sempre saputo.

Conoscevo il motivo per cui mio padre, nonostante fosse un uomo affascinante e piacevole sotto molti punti di vista, non si era mai sposato, non aveva una fidanzata e non frequentava nessuno. Sapevo perché, certi giorni, si chiudeva in casa senza parlare con nessuno. Perché, in quei giorni, beveva.

Sì, io, Sofia Robbin Sloan Torres, sapevo.

 

 

Lexie.

Avevo scoperto il suo nome per caso a dieci anni.

Lexie.

Lexie.

Lexie.

Era un nome inusuale. C'era una ragazza alla scuola di danza che si chiamava così. Non era molto simpatica, comunque. Ma forse avrei provato a diventare sua amica.

Forse avrei dovuto dirlo a mio padre.

Forse non gliene sarebbe importato.

O forse sì.

Mark era fantastico con me. Mi aveva viziata, coccolata, amata. Mi adorava, sul serio. Mi aveva riservato una dedizione completa e assoluta e, a volte, mi ero chiesta se non fossi davvero la sua unica ragione di vita.

 

 

Fu Callie a parlarmi per la prima volta di lei.

Di solito, quando il discorso finiva su Lexie nella stanza calava il silenzio, l'atmosfera diventava tesa e triste. Ed io venivo, puntualmente, spedita nella mia camera.

In ogni caso, fui molto grata a mami per aver infranto quel fastidioso taboo.

Eravamo in cucina, lei stava preparando la cena ed io ero appollaiata su uno sgabello di fianco al bancone, sfogliando pigramente un fumetto.

Era, apparentemente, una normale sera di maggio. Tuttavia, ero consapevole che in quel giorno nulla era normale. A maggio tutti diventavano più cupi e depressi.

Mami parlò d'impulso, senza rendersi conto di ciò che stava facendo.

“ Era giovane, Dio, com'era giovane.” esordì. Poi rise leggermente, trovando la cosa divertente e al tempo stesso imbarazzante.

Io alzai lo sguardo di scatto, chiudendo il giornale. Non potevo lasciarmi sfuggire quell'occasione. Mami mi rivolse un'occhiata preoccupata, comprendendo realmente ciò che le sue parole avevano appena innescato.

“ Non avrei dovuto. Tesoro, hai appena tredici anni... Non avrei dovuto. Non puoi capire.”

“ Io capisco, invece!” ribattei con foga.

“ No, Sofia, non puoi. Però puoi chiedermi ciò che vuoi. Prima promettimi una cosa, ok? Non dovrai mai parlarne a tuo padre. Mai. Capito?” si avvicinò a me, cingendomi affettuosamente una spalla.

“ Te lo prometto, Mami.”

Callie mi strinse a sé e rimanemmo così per qualche minuto, in silenzio.

Poi, scostandomi da lei, le chiesi timidamente: “ Com'era? Lexie com'era?”

Mami mise una mano sul mio ginocchio e, abbassando lo sguardo, iniziò a parlare piano.

“ Era sveglia.” Poi, scuotendo la testa, aggiunse: “ No, non sveglia, era brillante. Era una persona brillante, letteralmente. Era intelligente, aveva una memoria da far invidia ad un elefante, piena di intuizioni sorprendenti. Era la prima della classe. Era sicura di sé, delle sue conoscenze e delle sue capacità. Quando faceva qualcosa, non solo come medico, dava il meglio di sé, ci metteva tutta se stessa. Le importava sul serio degli altri. Era generosa. Aveva dentro una tale gioia ed una tale voglia di vivere da sembrare quasi seccante a volte... Sì, Lexie Grey brillava. Davvero.”

La voce di mami si incrinò leggermente, mentre pronunciava le ultime parole. Era sull'orlo delle lacrime.

“ Non sarebbe dovuta morire.” continuò, un minuto dopo. “ Una persona come lei non meritava di andarsene in quel modo.”

“ L'incidente?”

Volevo approfittare della situazione, ma sapevo che avevo oltrepassato il limite.

Mami mi accarezzò i capelli, scuotendo la testa.

“ No, Sofia. Questo no. È troppo presto, non puoi capire. Mi dispiace.”

Si allontanò da me e riprese a sminuzzare rapidamente il prezzemolo con la mezzaluna. Sospirai. Per quel giorno, ne avevo saputo abbastanza.

 

 

Avevo sedici anni quando successe.

Sapevo che non avrei dovuto, ma fu più forte di me; ero stufa di essere trattata in quel modo.

Era maggio, di nuovo.

Tornai a casa e aprii la porta del suo appartamento. Era seduto sul divano, un bicchiere di scotch tra le mani. Probabilmente aveva bevuto per tutto il giorno.

Mi sedetti accanto a lui.

“ Cosa c'è che non va?” gli chiesi esitante.

Scioccamente pensai che si trattasse di qualcosa di semplice, magari qualche problema durante il suo ultimo intervento. Speravo fosse così.

D'altra parte, ero consapevole che dietro c'era molto di più.

Più che una domanda, la mia era un'esasperata richiesta di verità.

Scattò in piedi e si diresse verso il bancone della cucina, dandomi le spalle e stringendo saldamente il bordo di metallo con le mani.

Spalancai gli occhi, notando solo allora le bottiglie vuote che ricoprivano la superficie davanti a lui. Iniziai a contarle per tenermi occupata, quando iniziò a parlare con voce piatta.

Oggi. Oggi è l'anniversario della sua morte.”

Non avevo bisogno di chiedergli di chi stesse parlando, né tanto meno lui credette di dovermi delle spiegazioni. Sapevamo entrambi quanto mami e mamma ne parlassero alle sue spalle. Non con cattiveria, chiaramente. Erano sinceramente preoccupate per lui, gli volevano bene. E questo, lo sapeva.

“ Ti hanno detto che ero con lei quando è morta? Ti hanno detto di come le sono stato accanto, di come le stringevo la mano mentre stava accadendo?

Di come le ho assicurato che ce l'avrebbe fatta, che l'avrei portata a casa, che sarebbe sopravvissuta?... Di come le ho promesso che saremo stati insieme per sempre? ”

Sebbene si rivolgesse direttamente a me, arrivai a chiedermi se si fosse realmente accorto della mia presenza.

Iniziò a piangere, il corpo scosso violentemente dai singhiozzi.

Non avevo mai visto mio padre piangere, non l'avevo mai visto in quello stato.

Mamma mi aveva raccontato che a volte si commuoveva tenendomi in braccio; ma era prima che perdesse Lexie.

In quel momento realizzai che, una volta che hai perso l'amore della tua vita, piangere per qualcun altro o per qualcos'altro ti deve sembrare solo un'inutile perdita di tempo.

“ Ho sempre saputo che non ero abbastanza per lei. Se pure fossimo sopravvissuti entrambi, sapevo che non sarei stato alla sua altezza. Non mi meritava. Anche allora, con il fiato corto e la morte negli occhi, mi disse che mi amava. Ed io non sono stato in grado di salvarla. Ero lì, immobile e la guardavo andare via.

Ho permesso che lei morisse, ho permesso-” la voce si fece dura e fredda “ Ho permesso a me stesso di sopravvivere.”

Deglutii spaventata. Non di lui, della situazione. Non sapevo cosa fare, non si era mai aperto in quel modo.

“ Papà” le parole mi morirono in gola.

Tirai un profondo sospirò e cercando di assumere un tono rassicurante e deciso ripresi: “ Papà, non è colpa tua se è morta.”

“ No, Sofia. Non lo è.”

Spalancai gli occhi per la lucidità delle sue parole. Sapeva chi ero, ricordava il mio nome.

“ Ma è colpa mia perché sono sopravvissuto al suo posto.”

“ Papà” mi avvicinai di qualche passo.

“ Vai, Sofia.” si voltò e alzò una mano per bloccarmi.

“ Papà, per favore.” lo supplicai, ignorandolo.

VAI!” Si voltò all'improvviso, indicando la porta. “ Vai VIA!”

Boccheggiai senza fiato, continuando a ripetermi che non era per me che aveva urlato.

Era per lei, per l'alcool, per quel maledetto giorno.

Ma quando i suoi occhi si fissarono nei miei vi lessi un tale livore che scomparii all'istante.

Chiusi la porta e mi accasciai sul pavimento del pianerottolo, le ginocchia strette al petto, la vista offuscata dalle lacrime.

Pensavo solo al modo in cui mi aveva gridato contro, come se avesse desiderato che fossi morta anche io, come lei.

Alla rabbia, al dolore, allo sfinimento.

Mami arrivò poco dopo. Si avvicinò perplessa, si inginocchiò e prese il mio viso tra le mani.

“ Sofia, cosa è successo?”

“ È papà. Tu devi-”

La sua voce si fece immediatamente più dura e severa: “ Cosa stavi facendo da tuo padre, oggi?”

“ I-io...”

Come potevo spiegarglielo? Come potevo dirle che volevo sapere, che avevo bisogno di sapere? Che avevo bisogno di capire?

“ Mami sta... Sta male, davvero. Ha bevuto.”

Sospirò e si passò una mano sulla faccia, stancamente.

E allora capii. Non doveva essere una novità. Capii che andava avanti da un po': giorni, mesi o, probabilmente, anni. Magari da tutta la mia vita.

“ Mi dispiace Sofia.”

Sentii il sangue gelare nelle vene e mi chiesi quante altre volte doveva essere successo. Era evidente anche che non poteva accadere solo in quella particolare ricorrenza, che riuscisse a contenersi per gli altri trecentosessantaquattro giorni dell'anno e poi esplodere in quel modo.

Ciò a cui avevo appena assistito era solo la prova di ciò che era rimasto di lui negli ultimi quindici anni.

Quindici anni di angoscia e tortura, giorni infiniti e senza senso.

Ed io non me ne ero mai resa conto.

Senza bussare o suonare il campanello, mami entrò in casa sua. Mise la chiave nella serratura e aprì la porta.

Poco dopo, arrivò mamma. Mi fece alzare e mi abbracciò delicatamente. Entrammo anche noi. Chiusi gli occhi e mi imposi di respirare; non ero sicura di essere pronta a riaffrontarlo.

Mami era di fronte a lui, dall'altro lato del bancone.

“ Non puoi andare avanti così, non puoi continuare a farti questo, Mark.

Lexie non avrebbe voluto, lei-”

Perfino io ero consapevole che, tra tutte le cose che poteva dire, mami aveva scelto la meno opportuna, la peggiore.

Mamma mi strinse più saldamente al suo fianco.

“ Tu non hai idea di ciò che Lexie avrebbe voluto per me, Callie!” il suo grido rimbombò nella stanza silenziosa.

“ Mark-”

Tu non ne hai idea!” urlò di nuovo, sbattendo una mano sul bancone. “ Perché neanche io ce l'ho! E sai perché? Perché lei è... MORTA!” finì in un ruggito, le lacrime gli rigavano il volto.

Mamma si staccò da me e si avvicinò a lui, mettendo una mano sul suo braccio e iniziando a parlare delicatamente.

Con lo stesso tono dolce che usava con i suoi piccoli umani o con me, quando doveva consolarmi per qualcosa che era andato storto.

“ Sai quante volte sono stata sveglia la notte desiderando di essere morta al suo posto quel giorno? Desiderando che i nostri ruoli si fossero invertiti? Lo sai Mark?”

Arizona” mormorò papà “ Io-”

“ Sai quanti giorni, settimane, mesi, anni – anni Mark- ho trascorso pensando a lei?” si fermò per riprendere fiato, la voce strappata.

“ Chiedendomi come potessi continuare a vivere, ad andare avanti, quando lei è stata l'unica a morire? Pensando a come ciò ti abbia completamente devastato. Non pensare che manchi solo a te. Noi tutti le volevamo bene. Noi tutti ci sentiamo in colpa.” iniziò a piangere anche lei. “ Noi tutti abbiamo desiderato di essere morti al suo posto, Mark. Lei non se lo meritava, questa non è una novità.”

Papà iniziò a tremare. Prima la sua testa, poi le mani e infine tutto il corpo. Il bicchiere cadde a terra e si ruppe in mille pezzi.

“ Aveva ventisette anni, Arizona.”

Mamma camminò sui frammenti di vetro, e lo fece sedere su uno degli sgabelli.

“ Lo so.”

“ Cosa aveva fatto di male?” chiese guardando disperato mami.

“ Perché non è successo a me? Lei non aveva mai fatto niente di male in tutta la sua vita ed è morta a ventisette anni. Ed io? Io sono ancora vivo, io sono ancora qui. Per quale dannatissimo motivo?”

“ Non c'è nessun motivo, Mark. È solo successo.”

La sua risata mi fece sobbalzare.

“ Non c'è nessun motivo?” chiese aspramente. “ Magnifico. Magnifico, Arizona. Questo sì che mi fa stare meglio, davvero.” la sua voce era bassa e grave.

“ Mark, sai che non volevo dire questo.”

“ Zitta, Arizona. Stai zitta!”

 

Il giorno dopo venne a chiedere scusa. Era pomeriggio inoltrato, ma almeno venne.

Prima che entrasse in casa, sentii mamma e mami discutere in camera loro su ciò che era successo la sera prima.

“ Non puoi biasimarlo per la sua depressione.”

“ Arizona sono quindici anni che-”

Calliope. Non eri lì quel giorno. Non puoi iniziare a capire adesso. Non puoi neanche immaginare come è stato per noi vederla morire, vedere Mark fare di tutto per impedirlo. Sentirlo sussurrare il suo nome ininterrottamente. Convincerlo a non lasciarsi andare. Non puoi capire, perché non eri lì.

Però pensa ad una cosa. Pensa a cosa avresti fatto tu se a morire fossi stata io. Saresti andata avanti, in questi quindici anni? Non avresti avuto rimpianti? Non ti saresti sentita in colpa? Sapendo che allora ci eravamo lasciate, che non eravamo insieme e che... non avremmo mai più potuto esserlo? Come puoi biasimarlo?”

“ Ma il bere, Arizona!”

“ Oh, e allora? Non ha mai fatto male a nessuno se non a se stesso.”

“ Avrebbe potuto, ieri avrebbe potuto!”

“ Ma non l'ha fatto. E mai lo farà... Non potrebbe.”

Mamma lasciò la stanza e andò ad aprire la porta.

“ Ehi Mark!”

“ Ciao Arizona. Sono desolato, per ieri. Scusami, davvero.”

“ Non scusarti” replicò mamma. “ Non devi chiedere scusa per nulla.”

Gli sorrise e papà annuì riluttante.

“ Se per te va bene, vorrei parlare con Sofia.”

“ Ok, certo. Vado subito a chiamarla.”

Papà si sedette sul divano ed io lo raggiunsi lì.

Mamma ci lasciò da soli e rimanemmo in silenzio per un po'; se non avesse iniziato subito a parlare sarei esplosa.

“ Per quello che è successo ieri sera...” esordì, finalmente.

“ Papà” lo interruppi, pronta a riprendere la strategia di mia mamma. “ Non devi-”

“ No” tagliò a corto lui “ Devo.”

Si voltò verso di me, guardandomi fisso negli occhi.

“ Non so davvero come farti capire quanto mi sia dispiaciuto e quanto mi sia sentito umiliato per ciò che è accaduto ieri. Ho urlato contro la tua mamma. Ho urlato contro te!

Non dovrà succedere mai più. Non avresti mai dovuto vedere in quello stato, Sof. Non mi vedrai più in quello stato. Non più. Te lo prometto.”

Annuii in silenzio. Sapevo dentro di me che l'anno successivo ci sarebbe ricascato di nuovo. Avrebbe finito tre bottiglie di scotch, o anche di più, ma siccome l'avrebbe nascosto a me, a mamma e a mami e siccome non ci avrebbe urlato contro, avrebbe finto che niente era successo.

“ Ok, papà.” risposi in sussurro. Cos'altro avrei potuto fare?

Infransi la regola numero uno circa un minuto dopo.

“ Papà?” lo chiamai piano, era già vicino la porta.

“ Sì, Sof?”

“ Vuoi raccontarmi qualcosa su di lei?”

La domanda uscì fuori dalle mie labbra prima ancora che potessi davvero rendermi conto di ciò che gli avevo appena chiesto. E quando lo feci, ormai era troppo tardi.

“ Solo-solo una cosa. Non deve essere qualcosa di grande o di importante, vorrei solo provare a conoscerla.”

Chiuse gli occhi, sospirando. Si prese la testa tra le mani e quando ero convinta che avrebbe lasciato la casa, ritornò sui suoi passi e prese posto accanto a me.

“ Dolcezza” iniziò “ Questo è al di fuori della tua portata. Si tratta di qualcosa che non puoi capire.”

“ Lo so. Mi dispiace, non avrei dovuto.” replicai, imbarazzata.

“ Non è questo. È solo che io non voglio che pensi che sia qualcosa che tu debba risolvere. Non ha niente a che fare con te.”

“ Sì, però-” non sapevo come spiegarglielo. La paura, lo spavento e la preoccupazione che provavo vedendo come stesse rovinando se stesso.

“ Papà, sono solo preoccupata per te. Tutto il tempo. Ogni-ogni giorno.”

“ Sofia”

“ Mami ha ragione. Bevi troppo.” Ormai ero in ballo, non potevo più trattenermi. “ Dovresti smettere, dovresti trovare qualcos'altro.”

Mi rivolse uno sguardo strano, quasi divertito.

“ E quale altro metodo autodistruttivo suggerisci, Sof?”

Gli sorrisi anche io. Era fatto così, era ciò che amavo di più in lui.

Mentre entrambe le mie madri cercavano di proteggermi, di educarmi, di insegnarmi la differenza tra il giusto e lo sbagliato papà mi trattava come un'adulta. Lo aveva sempre fatto.

Mi fermai a riflettere, ponderando la sua domanda.

Dopo circa un minuto, trovai cosa rispondere: “ Potresti-” mi bloccai, cercando di apparire più delicata possibile. “ Potresti trovare una fidanzata.”

Ecco, lo avevo detto.

Per un attimo pensai che stesse per scoppiare a ridere.

“ No Sofia. Non posso trovare una fidanzata.”

“ Perché? Non sei gay.”

“ No, non lo sono.”

“ E allora? Cosa te lo impedisce?”

Sapevo benissimo cosa glielo impedisse ma non potevo fermarmi.

“ Tesoro, mi dispiace. Ma questo non puoi capirlo davvero, okay?”

“ Dimmelo e basta! Ti prego.” lo interruppi, seccata di essere trattata come una bambina dall'unica persona che non lo aveva mai fatto. “ Spiegami perché non puoi trovare qualcun'altra, perché...”

“ Perché ho promesso me stesso a lei.” la sua bassa e calma risposta mi fece zittire immediatamente.

“ Tu-tu cosa?”

Chiuse gli occhi e riprese a parlare: “ Vuoi sapere qualcosa su di lei? Bene. Ecco qualcosa su di lei.”

Fissava il tavolino davanti al divano, senza guardarmi ed ero certa che stesse combattendo con tutte le sue forze per non iniziare a piangere.

“ Sono sicuro che la tua mamma ti ha detto come è morta. Beh, noi non eravamo insieme quando è successo. Io e... Io e Lexie non stavamo insieme. Ma lei avrebbe voluto. Mi amava e a-anche io l'amavo. Ma ero troppo stupido e codardo per dirglielo.

Quando l'ho trovata lì, sotto le macerie dell'aereo... Tutto ciò che avevo tenuto dentro per mesi – per anni- è uscito fuori. Era la mia ultima possibilità per confessarle ciò che provavo. La stavo perdendo.”

Deglutì, accarezzandosi con noncuranza la barba.

“ Le dissi che l'amavo.” continuò con un mezzo sorriso. “ Furono le prime parole che mi uscirono dalla bocca... Credo di averle pronunciate almeno un centinaio di volte quel giorno. Sapevamo entrambi che stava morendo. Tutti ne eravamo consapevoli. Così, ho cercato di recuperare tutto il tempo che avevo sprecato.

Prima che se ne andasse, le ho confessato quanto desiderassi sposarla, quanto desiderassi averla sposata. Passare il resto dei miei giorni con lei.”

Sentivo un groppo in gola, doveva essere difficilissimo per lui parlarne.

Era terribile e dolcissimo al tempo stesso.

“E così, lei mi chiese all'improvviso, perché non farlo adesso? Lei era così: impulsiva, divertente. Dolce. E gentile. Dio, quanto era gentile! Gentile con me, con tutti. Ma io non la meritavo... Non meritavo la sua gentilezza, non meritavo il suo amore.”

Piangevo tacitamente, era straziante. Lui era in silenzio, non avrebbe continuato a parlare. Vedevo le lacrime agli angoli dei suoi occhi, per qualche strano motivo non riuscivano a cadere sul suo viso.

Con gli occhi chiusi e le guance completamente bagnate, bisbigliai: “ Così, l'hai sposata?”

Si girò verso di me con il suo classico sorriso sghembo stampato sul volto.

Non legalmente.”

“ Ma lo hai fatto, non è vero? Vi siete promessi l'un l'altra?”

Annuì, stringendomi una mano.

“ Sì, l'ho sposata.”

 

 

Qualche mese dopo stavo trascorrendo la notte a casa sua quando papà mi mostrò una foto.

Solo qualche tempo prima non avrei neanche lontanamente immaginato che qualcosa del genere sarebbe mai successa.

Guardando la donna nella foto, sorrisi emozionata.

Aveva i capelli castani lunghi e leggermente mossi, la bocca spalancata in un sorriso splendente, lo sguardo innocente e festoso.

Rispecchiava esattamente l'immagine che mi avevano dato di lei.

Sveglia, dolce, gentile. Brillante.

Alzai lo sguardo su papà, credendo che mi stesse guardando aspettando una mia reazione. Invece il suo sguardo era fisso sulla foto.

“ È bellissima, papà.”

“ Sì, lo era.”

“ No.” lo corressi. “ Lo è.”

Rimase immobile e per un momento mi pentii per ciò che avevo detto, forse avevo esagerato.

Ma subito la sua bocca si aprì in un sorriso e annuì leggermente.

Lo è.”

Mi strinsi accanto a lui sul divano, appoggiando la testa sulla sua spalla.

Eravamo entrambi rapiti dall'immagine di Lexie.

“ Se c'è qualcosa che vuoi chiedermi su di lei.” disse, avvolgendo un braccio attorno al mio busto. “ Sentiti libera di farlo.”

Ero stupita, era finalmente arrivato il momento di parlarne apertamente.

“ Mi conosceva? Insomma, mi aveva mai incontrato?”

“ Sofia-”

“ Vorrei solo sapere-” spiegai “ Avrebbe voluto essere come una mamma per me?”

Chiuse gli occhi, doveva averci pensato tante volte anche lui.

“ Mi dispiace, mi d-dispiace davvero.” balbettai, non volevo causargli altro dolore.

“ Non devi scusarti. Sì, ti conosceva.”

“ E... Io le piacevo?”

“ Sì, lei” continuò con voce calma “ Lei pensava che anche tu fossi bellissima.”

“ Davvero?”

Davvero. Non ha mai trascorso molto tempo con te ma io credo, sono certo, che ci teneva a te, Sofia. Penso che avesse un posticino nel suo cuore solo per te.”

“ Ma io non ero sua figlia!” esclamai come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“ No, non lo eri.”

“ Eppure lei mi a-amava lo stesso? Anche se non ero sua? Perché avrebbe dovuto?”

“ Perché... Perché tu eri mia. Tu eri parte di me.”

“ E lei ti amava.” non glielo stavo chiedendo. Lo sapevo.

“ Sì” confermò, mentre iniziò a piangere insieme a me. “ Lei mia amava.”

 

 

Avevo sempre creduto che avrei trascorso tutta la notte del ballo del mio ultimo anno di liceo fuori casa. Avevo combattuto per ottenere il permesso e, alla fine, l'avevo spuntata.

Invece, erano da poco passate le dieci quando tornai a casa.

Mami era di turno in ospedale, così quando aprii la porta trovai solo mamma appisolata sul divano.

Mi rannicchiai accanto a lei, lisciando la frusciante gonna del mio abito lilla.

Lei si girò, sbadigliando.

Ehi! Ma che ore sono?”

“ Le dieci e venti” risposi laconica.

Si stiracchiò, aggrottando le sopracciglia.

“ Non sono ancora le undici e sei già di ritorno? Non me la conti giusta, signorina.” mi punzecchiò divertita.

“ Mi stavo annoiando.”

Spalancò gli occhi, sorpresa.

“ Ti stavi annoiando? Sofia Robbin Sloan Torres che si stava annoiando ad una festa?”

“ La compagnia non era granché.” spiegai facendo spallucce.

“ E Dean?”

La mia risposta non fu più eloquente di un grugnito.

“ Ho capito.” esclamò balzando in piedi “ Qui ci vuole una bella cioccolata calda.”

Vedendo che continuavo a rimanere seduta, alzò gli occhi al cielo e batté le mani risoluta: “ Andiamo! Ci sono anche i marshmellows!”

Circa un'ora dopo, ero accoccolata nel lettone insieme a lei, avvolta in una vecchia felpa di mio padre. Risaliva ai tempi dell'università, era logora ma mi sentivo al sicuro quando la indossavo.

“ Dean è carino. È simpatico. È intelligente. È il capitano della squadra di football-”

“ Ma?”

“ Chi ti dice che c'è un ma?”

Alzò un sopracciglio, ammiccante.

“ Ma sono cresciuta con un'idea dell'amore completamente diversa! Insomma, tu e mami, papà e Lexie. Io voglio un amore così. Come il vostro. Un amore che penetra in ogni mia cellula, che mi accompagna in ogni minuto della mia vita. Un amore talmente travolgente che mi impedisce di mangiare, dormire o respirare. Perché basta, da solo, a farmi stare bene. Dean era solo la brutta copia di ciò che avete avuto voi. E io non voglio un ripiego.”

Mamma mi accarezzava piano i capelli, commossa.

“ Sei ancora così giovane e sei già così saggia. Avrai anche tu un amore così, mia piccola donna. Te lo prometto.”

 

 

Ero appena tornata a casa dal college per le vacanze estive.

L'Harvard Med School; i miei genitori erano molto fieri di me. Sopratutto papà, era la stessa università che aveva frequentato lei. Mi era sempre piaciuto trovare delle analogie.

Conclusi gli esami potevo, finalmente, godermi un po' di tranquillità.

Avevo finito in quel momento di attaccare le foto scattate durante l'ultimo semestre sull'album in cui raccoglievo i ricordi più importanti della mia vita.

Era stata un'idea di mio padre, lo aveva iniziato appena ero nata.

Chiusi l'album e, canticchiando il ritornello di una canzone ascoltata poco prima alla radio, andai a riporlo nella libreria del salotto.

Una foto scivolò sul pavimento.

Mi chinai per raccoglierla e osservandola iniziai a ridere portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Era del primo compleanno di Zola. Sedute su un tappeto e con le guance paffute sporche di torta io e Zola giocavamo felici.

C'era anche Lexie.

Era seduta a gambe incrociate e ci osservava sorridendo. Si vedeva che era una foto scattata per caso, nessuno di noi tre stava guardando l'obiettivo.

Era spontanea, fresca, naturale: come lei.

Me l'aveva data Derek, dicendo che forse mi avrebbe fatto piacere conservarla.

Zola aveva tante foto con Lexie. In fondo era sua zia.

Io no.

Papà si era commosso quando ha scoperto che l'avevo messa nell'album.

Mi soffermai a guardare Lexie, mami aveva ragione: doveva essere proprio giovane.

Sentii papà arrivare al mio fianco, si inginocchiò e mise una mano sulla mia spalla.

Trattenni il fiato.

“ Siete stupende.”

Gli lanciai un'occhiata in tralice, sorridendo.

 

 

 

Avevo ventidue anni quando mio padre morì.

Tamponamento cardiaco con conseguente rottura del miocardio. Andò in arresto diverse volte e dopo averlo rianimato rimase in coma per un mese. Non di più. Come stabilito dal suo testamento biologico era il tempo massimo che si era concesso. Poi lo lasciarono andare, non voleva continuare a vivere – a sopravvivere- dipendendo completamente dalle macchine.

Non aveva paura di morire. Era pronto, lo sapevamo tutti.

 

 

Attraversai la navata a testa alta, come lui mi ripeteva sempre di fare.

Arrivai al microfono e guardai la folla di persone che mi stava fissando, aspettando che parlassi.

Mamma e mami erano in prima fila, accanto a Meredith e Derek.

E poi Jackson e April, Miranda, Addison, Cristina e Owen. Alex e Jo. Non mancava nessuno, erano la nostra famiglia, dopotutto.

I loro volti erano tristi ma anche pieni di speranza: non era difficile immaginare il perché.

“ Mark era un persona fantastica. Era un padre fantastico. Mi ha fatto crescere con la consapevolezza di essere realmente amata. Mi è stato vicino in ogni momento della mia vita: ai saggi di danza, gli spettacoli a scuola, al diploma.

Mi ha anche insegnato tante cose. La prima parola, i primi passi, ad andare in bicicletta.

Perfino la mia prima sutura.” mi fermai sorridendo.

“ Però, in assoluto, mio padre mi ha insegnato ad amare. Mi ha fatto capire che quando trovi qualcuno che ami, e che ti ama, devi tenertelo stretto. Devi combattere, devi fregartene del giudizio degli altri. Devi fare di tutto per preservare questo amore.

Perché un amore del genere è raro. Lui lo aveva trovato.

Prima di morire mi ha fatto fatto promettere una cosa perché voleva assicurarsi che anche io, un giorno, avrei potuto trovarlo.

Mi ha detto che quando ami qualcuno glielo devi dire, anche se hai paura che non sia la cosa giusta. Anche se hai paura che creerà qualche problema o che possa rovinare la tua vita. Devi dirlo. Ad alta voce. E poi devi ripartire da lì.” Ripresi fiato e iniziai a parlare mentre le lacrime solcavano le mie guance.

“ Lui era vissuto con il terrore di non aver fatto abbastanza, di non essere riuscito a prendersi cura del suo amore.

Ma io so che non è così. So che, per quanto assurdo e irrazionale possa sembrare, ora da qualche parte ha rincontrato l'amore della sua vita. Lei lo stava aspettando. Lo ha aspettato. E adesso, sono pronti a ripartire da lì, insieme.”

 

 

"I fell in love with her when we were together,

then fell deeper in love with her in the years we were apart."

Nicholas Sparks

 

 

 

 

 

 

   
 
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