Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: LoveLustFaith    21/07/2013    0 recensioni
“Cosa devo fare?”. Non poteva andare via, non poteva restare lì. Era bloccata come in un sogno, o un qualcosa di più irreale, ma allo stesso tempo vivibile e poco astratto. Continuava a guardarsi intorno come per cercare una risposta, che non trovava ovviamente.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nonostante quel profumo di rose che le inebriava il cervello, si ripetè più volte in testa che non avrebbe dovuto metter piede fuori da casa. “Ma perché l’ho fatto?” si disse tra sé e sé mentre rabbrividì leggermente ad una folata di vento che ci mise poco a sparire. Erano da poco passate le 15 e quel parco non aveva mai visto cosi tanta solitudine. Non vi erano bambini, né adulti o ragazzi appoggiati agli alberi intenti a leggere un libro. Né ragazzi che facevano sport, né cani o gatti che passeggiavano incessantemente avanti e indietro elemosinando coccole e cibo. Niente. Il silenzio era quasi assordante e un po’ di paura ce l’aveva. Ma era giorno, cosa le sarebbe mai potuto accadere?
In lontananza poteva ammirare il sole che, nonostante fossero in pieno giugno, sembrava flebile e opaco, ma che emanava comunque luce abbastanza e calore da poter asciugare le pozze di acqua createsi il giorno prima da quella pioggia che, da giorni, non voleva davvero smettere. Si potevano ammirare gli alberi in fiore o le case in lontananza; vecchie case che sì, un po’ di inquietudine la mettevano. Ma non ci si badava, anzi. Girava voce che, in quella rosa e più malconcia, ci vivesse una giovane coppia di ragazzi appena sposati, con un bimbo di circa 2 o 3 anni, non s’era mai capito. Probabilmente era anche quello il motivo per cui ci si passava avanti senza dare più di tanta importanza al “terrore” che potevano trasmettere. Più in là vi era una vecchia ferrovia. Più che vecchia, era una ferrovia e basta. Dei treni ancora ci passavano e facevano gran baccano ogni qual volta sfrecciassero a gran velocità da quelle parti.
L’erba era alta, e la paura di imbattersi in qualche strano animale era alta, a differenza delle vecchie case che invece no, di paura ne mettevano ben poca rispetto a quest’ultima. Cosa si potesse mai trovare lì in mezzo poi, non si sa.
Le panchine erano disposte in modo anomalo: non vi era panchina alla quale non era stata affidata un’altra e messa, sempre, dando le spalle a quella dietro. Chissà se era soltanto voluto per dare un tocco di stranezza a quel posto, o erano messe così alla meno peggio, o se avevano davvero un significato. Fatto sta che su una di quelle vi era seduta lei, Samantha, o Sam, come la chiamavano gli amici. Fare una descrizione di questa ragazza potrebbe sembrare semplice di primo impatto, ma via via potrebbe davvero diventare complicato. Perché? Non vi era un preciso motivo. Probabilmente era vista da tutti come “la classica ragazza”, niente di più, niente di meno, ma se ci si fermava un po’ di più a contemplare quei suoi due occhioni castani, si sarebbe arrivato a constatare che, si, effettivamente era davvero “speciale”. Oltre che due grandi iridi dal colore quasi “classico”, vi era tutto un “assemblaggio” che rendeva ancora più speciale quella ragazza. Né lunghi, ma nemmeno corti, capelli castani; una pelle che, più che bianca, sembrava quasi avvicinarsi al caffèlatte della mattina; delle labbra di un color indefinito e un corpo minuto, ma forte abbastanza per sorreggere quelli che erano i colpi della vita, ma soprattutto, sorreggere i momenti di gioia e felicità che la travolgevano di tanto in tanto quando il suo cervello si svuotava da tutto quella che poteva rovinarle una semplice giornata.
Ed era seduta su questa insolita panchina, continuando a ripetersi che non sarebbe dovuta uscire, ma restare rinchiusa in casa, nella sua camera, magari leggendo un buon libro o ascoltando la musica dal pc, mentre accarezzava il suo amico più fidato: un cane? No, un coniglietto bianco.
“Che cosa sto facendo? Ma davvero, Sam, fa anche freddo! Che diavolo sei.. ok, perché sto parlando da sola? La gente potrebbe pensare che sia stupida, o peggio, pazza! .. Ma cosa? Sto pensando dentro di me, parlo con me stessa, con il mio cervello, il mio io. Sto pensando ad alta voce? Ma che carino quel.. no, aspetta, che cazzo è? Ah, un fottuto piccione. Odio i piccioni, mi fanno schifo. Ma che novità.. la smetto? La smetto.”
Non c’era poi cosi tanto da sorprendersi, discorsi del genere ne aveva sempre fatti e sempre ne avrebbe continuati a fare, anche se, lei stessa, era cosciente del fatto che mentre si trovava a farli, iniziava a fissare un punto a caso nel vuoto e la gente iniziava a guardarla male, o preoccupata, pensando magari che stesse per sentirsi male o che altro. Insomma, una tipa alquanto stramba, ma chi non lo è al giorno d’oggi?
Si ostinava a guardare dritta avanti a sé, e quasi si sorprendeva del fatto che non aveva ancora preso in mano quello che per lei, ormai, era diventato amico intimo, il cellulare.  “Facciamo progressi” si disse, poi continuò “E’ anche vero che questo posto ha un qualcosa di..” si interruppe all’improvviso. I momenti di riflessione vengono sempre interrotti da qualcosa che, in quel momento, sembra davvero futile e senza senso, ma quello che aveva interrotto i pensieri di Sam lo era ancor meno, anzi, era motivo di sclero e anche di incazzatura. Se non fosse che riusciva, quasi sempre, a mantenere la calma..
.. no, non è vero.
“MA PORCA DI QUELLA..” farfugliò qualcosa di incomprensibile, ma dal tono poteva essere intuito il suo stato d’animo del momento. “Perché questo? Cosa diavolo ho fatto per meritarmelo?” alzò gli occhi al cielo e imprecò contro qualcosa, anche se non sapeva bene contro chi lo stesse facendo. “Dai, siamo seri! Davvero dovete farmi incazzare anche ora? Anche ora che sono in pace. IN PACE.” Disse scandendo le ultime due parole. Dopo l’accaduto, iniziò a parlare ad alta voce e aveva smesso di pensare e parlare con se stessa. “DEVO ANDARMENE VIA DI QUI. MA CRISTO!”.
All’improvviso si sentì picchiettare dietro la spalla. Era un picchiettio lento, fragile e dolce allo stesso tempo. Si girò di scatto, come dettato dall’istinto e spalancò gli occhi impaurita.
“Perdonami, ma.. potresti abbassare la voce?”
“Come diavolo.. “ disse sbattendo le palpebre due volte nel modo più veloce possibile.
Effettivamente, o era lei ad avere allucinazioni, o quella era davvero una ragazza che le stava chiedendo di abbassare la voce. Probabilmente dormiva, e lo si poteva constatare dai sui occhi semi sbarrati e dalla voce quasi rotta dalla stanchezza.
Come c’era finita lì? Perché non l’aveva vista arrivare? Ah si, le panchine messe di spalle.
“Credevo di essere sola. Lo credevo, l’ho creduto. Lo credo anche ora perché..”
“Davvero, non è soltanto tuo questo parco, abbassa la voce. C’è gente che dorme.” Disse riportandosi in posizione eretta, ma verso il fondo della panchina.
“Beh, quanta gentilezza!” disse mentre si grattava una guancia e la seguiva nei suoi movimenti di ritorno verso la panchina.
“Hm” mugugnò la ragazza, senza capire bene, probabilmente nemmeno lei stessa, cosa stesse dicendo.
“Hai detto qualcosa?” ribattè Sam.
“Cosa?” replicò la ragazza ormai addormentata.
Sam iniziò a pensare, più che mai, di aver sbagliato ad essere uscita quel giorno. E nel fare quello strano incontro, si era anche dimenticata dell’inconveniente capitatole poco prima, così tornò con gli occhi su quel che le era accaduto e finalmente imprecò contro qualcosa che probabilmente era già andato via molto prima, lasciandole in dono un pensiero non del tutto piacevole. “Maledetto piccione!”.
 
Ronf.
 
“Questa tipa smetterà mai di fare così tanto baccano? Come ho fatto a non accorgermene prima? Avrei potuto cambiare panchina.. ma potrei farlo anche ora. Buona idea!” si alzò e fece per andarsene.
“Hey!”
Si sentì urlare da lontano. Fu costretta, così, a fermarsi, voltarsi e vedere chi fosse quel qualcuno che stava intralciando il suo cammino verso la pace, per l’ennesima volta.
Tornò indietro verso la panchina ove vi aveva passato più di tre quarti d’ora della sua vita, senza fare nulla tra l’altro. “Mi chiamavi?” disse riferendosi alla ragazza sdraiata come una barbona, sulla panchina ancora bagnata fradicia, ma probabilmente a quel mucchietto di ossa addormentato nemmeno importava più di tanto.
..
“Hey?” continuò Sam “Ci sei?”
..
Nulla. Era ricaduta tra le braccia di Morfeo.
“Prontooo?” la scosse un po’, anche con un po’ di paura nel beccarsi qualche strana malattia che l’avrebbe portata all’amputazione della mano, poi del braccio, della spalla (le spalle si amputano?) di tutta la sua parte destra e, infine, sarebbe rimasta una “mezza donna” a vita.
Probabilmente vedeva troppi film fantascientifici. Era una ragazza, non un virus mortale.
Tornò, si fa per dire, con i piedi nel mondo reale.
“Oh!” disse alzandole un braccio e lasciandoglielo cadere a peso morto. “Sei morta?”
“No..” disse quasi ansimando dal sonno.
“E allora perché non mi rispondi?”
..
Riprese a non rispondere.
C’era qualcosa di strano in quell’esserino. Volendole dare un’età, probabilmente non aveva più di 16-17 anni, e se cosi fosse, allora se li portava veramente bene. Emanava uno strano profumo di “buono”. Non si potrebbe descrivere un odore “buono”. Come si fa? Possiamo paragonarlo, chessò, all’odore del mare, o all’odore che emanano i dolci appena sfornati, o, ancora meglio, l’odore dei libri nuovi. Era un insieme di buoni odori, e le piaceva. Restò lì, accanto a lei, inerme senza sapere cosa fare. Pensò, ma era quasi bloccata da quell’odore che le impediva di ragionare e di far funzionare le sinapsi. “Che devo fare?” disse a voce bassa, ma abbastanza per farsi sentire.
“Niente” rispose l’altra.
“Mi stai prendendo in giro? No, perché se è così dimmelo, vado via..”
..
Silenzio.
“Ne ho abbastanza!” disse con l’intenzione di andare via, ma rimase ancora lì, bloccata da quell’odore che la tratteneva in quel posto, impiantandole i piedi fin sotto terra, dove arrivavano le più grandi e sagge radici dei vecchi alberi. La guardava, senza un motivo. La scrutava da capo a piedi e si accorse che era vestita come uno di quei cartoni giapponesi, con quelle divise per la scuola che tante di quelle persone bramerebbero avere. Una camicia bianca, una gonna a quadri verde, delle calze lunghe fin sopra le ginocchia, delle ballerine. Un manga.
Lo sguardo addormentato della ragazza rivolto verso l’esterno della panchina la confondeva. Temeva che da un momento all’altro le sarebbe spuntata sulla testa una vignetta con su scritto *ZZZZ*. Iniziò davvero a pensare di essere pazza, ma si limitò a disegnare i contorni della fanciulla con i suoi occhi, e a farle una radiografia che, altro che il terrore per le case o gli animali che spuntavano dall’erba, la fece davvero sussultare e preoccupare.
Fece un ultimo tentativo di svegliarla, le diede un pizzico su quella guancia che sembrava perfetta e “AHI!” urlò la giovane.
Sam fece un passo indietro, come impaurita, poi tornò a fare qualche passo in avanti, aspettando che la ragazzina si riprendesse del tutto e iniziasse a parlare e a dire qualcosa di sensato, e soprattutto, le motivasse quel dover restare.
“Beh?” le domandò Sam quasi spazientita.
La ragazza prese a guardarla, senza dire nulla, restando composta al suo posto, ma giocherellando con un rametto poco distante da lei. Poi gli diede un calcio e lo mandò via del tutto.
Sam incrociò le braccia, voltando lo sguardo verso l’orizzonte del parco, aspettando, ovviamente, una risposta, o una semplice parola, un qualsiasi cosa, insomma. Poi tornò sulla ragazza “Allora?”.
La ragazzina prese a sorriderle senza dar cenno di voler iniziare una conversazione.
“Ok, davvero sono seccata. Tu mi stai seccando. Mi stai dando ai nervi, mi stai… NON LO SO” scandì le ultime parole “.. mi stai facendo sentire scema, per cui.. potresti gentilmente dirmi quali sono i tuoi problemi e mandarmi via? Grazie.”
Grazie? Grazie.
“Prego!” le rispose.
E quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Sam si spazientì e senza dir nulla, al di fuori di un “Addio”, le voltò le spalle e cominciò a camminare senza sapere nemmeno lei dove andare. Ma doveva andare via da quel posto e allontanarsi da quella ragazza che sembrava schernirla.
“Aspetta!” le urlò la ragazza “Mi chiamo Emily!”.
Sam si voltò solo dopo aver sentito pronunciare la frase “Mi chiamo Emily” e si decise a tornare indietro. Non che fosse andata poi così lontano, ma una decina di passi li aveva ormai già fatti. Tornò a posare lo sguardo su quella piccola creatura, ma stavolta poteva guardarla dritta negli occhi. Quegli occhi che non aveva potuto ammirare poco prima, perché nascosti dalle pesanti palpebre stanche. Neri, come la pece. Enormi iridi neri che riflettevano nitidamente quel mondo intorno a loro. Erano come uno specchio, nei quali tutti potevano facilmente riconoscersi se solo si poneva un po’ più di attenzione alle forme che, via via,  si andavano creando all’interno di essi. Sam dovette riconoscere di avere avanti a sé degli occhi magnifici, e infatti trasalì un attimo quando dovette imbattercisi.
Restò lì davanti a lei, creando un momento di imbarazzo dal quale avrebbe voluto presto andarsene, ma poco le riuscì. Sapeva che il momento successivo a quello sarebbe stato reso meno complicato dall’ingenuità che quella ragazza sembrava emanare da tutti i pori, ma il timore che lei fosse riuscita a guardarle fin dentro l’anima, era tanto. Per cui, decise di interrompere quello strano istante in cui, si, si stava sentendo estraniata dal mondo, e nel momento in cui le sue labbra stavano per aprirsi per lasciar spazio alle parole, le sue orecchie vennero pervase da un dolce suono, accompagnato da un sorriso, che continuò a ripetere:
“Mi chiamo Emily!”
 
Finalmente qualcosa si smuoveva. Si era decisa a dare qualche cenno di vita, com’è giusto che fosse, visto che era un essere vivente e non un essere inanimato, senza senso, tipo, non so, un sasso? Si, un sasso.
“Emily” farneticò Sam “Emily..”
“Emily, si!” sorrise la ragazza dai lunghi capelli neri.
“Emily..” ci metteva un qualcosa di strano ogni qual volta che pronunciava quel nome. Forse le era familiare, o semplicemente le piaceva come veniva fuori. “Emily..”
“Ehm, sì. Ora sei tu quella che..” non riuscì a finire la frase che si ritrovò Sam ad un palmo dal naso.
“Tu” le disse guardandola dritta negli occhi, come a volerle bucare l’anima “Tu Emily.”.
“Io Emily..” disse ridendo leggermente.
“La pianti?” sorrise, stranamente.
“HAI SORRISO!” urlò ingenuamente la ragazzina “HAI SORRISO! TU HAI SORRISO! TU..” si interruppe e guardò che un qualcosa di strano si faceva strada nella visione, non distorta, ma probabilmente di più, della situazione, sulla spalla della ragazza che le era di fronte. Le si avvicinò per cercar di capire cosa fosse quella roba abominevole che, ormai, aveva preso residenza sulla maglia prima pulitissima, e dopo resa uno schifo da uno stupido volatile che non riuscì a contenere i suoi bisogni. “E quello cos’è?” disse indicando.
Sam guardò al di là del suo mento, scostando la testa leggermente verso destra, poi cercò in qualche modo di cambiare argomento, facendo sparire quell’orrenda visuale dal suo campo visivo e quell’odore poco sopportabile che, da un bel po’, nonostante facesse finta di nulla, le stava uccidendo le narici. “Posso sapere cosa..”
“MA CHE SCHIFO!” aveva capito.
Sam riprese la sua posizione eretta, e guardò con fare altezzoso la ragazzina davanti a lei. Le sembrava quasi un batuffolo di cotone da prendere a morsi, ma in certi casi sapeva essere davvero irritante. Socchiuse gli occhi e la guardò con tono di sfida, poi pronunciò tre parole ben distinte l’una dall’altra “Chi sei tu?”.
La ragazza non rispose, non doveva essere più una novità ormai, e in un certo senso Sam se l’aspettava.
Sam prese una boccata d’aria, si guardò intorno e vide uno stormo di uccelli passarle dritto sopra la sua testa. Imprecò qualcosa sotto voce, talmente tanto sotto voce che per capirla bisognava starle nella bocca, o nella gola, o ovunque provenisse quel suono. Cercò in qualche modo di ripararsi da una probabile “pioggia di merda” come osava definirla, ma poi fortunatamente il peggio passò e i volatili scomparvero come per magia, prima di un batter d’occhio. Intanto Emy rimase lì, a fissarla nell’intento di proteggersi da un qualcosa che si, le avrebbe messo un nervoso addosso se solo si fosse verificato.. di nuovo. Tirò un sospiro di quelli ai quali reagisci con “Oh mio dio” dopo averli sentiti, e infatti Sam spostò il suo sguardo dal cielo a quella fanciulla che, in quel momento, stava spostandosi quei lunghi capelli dal viso, dopo che il vento vi era bellamente passato attraverso e ci aveva giocato per un istante. Iniziò davvero a non sapere più cosa fare. Le balzavano in testa migliaia di domande, tra le quali ne spiccava sempre una, “Cosa devo fare?”. Non poteva andare via, non poteva restare lì. Era bloccata come in un sogno, o un qualcosa di più irreale, ma allo stesso tempo vivibile e poco astratto. Continuava a guardarsi intorno come per cercare una risposta, che non trovava ovviamente. Per cui, azzardò, di nuovo, di instaurare un dialogo che, da quel momento, non aveva mai avuto modo di nascere. “Quanti anni hai?” le chiese con un sorriso abbozzato sul viso.
Emy sorrise. Era l’unica cosa capace di fare, a quanto sembrava. Poi rispose tirando fuori dalla bocca parole come fossero nuvole nuove nel cielo dopo un’incessante tempesta, “17, e tu?”.
Bingo! Ci aveva preso. E infatti, in quel frangente di secondo, provò quasi soddisfazione di se, abbozzando un ghigno insolito sul suo volto. “20!”.
Si guardarono per un attimo senza dire nulla, poi Emy prese la balla in balzo e le disse “Siediti!” indicando il posto accanto a lei. Sam le sorrise, ancora una volta, e quasi ci stava prendendo gusto. Poi fece un paio di passi verso la panchina, verso Emy, e le si sedette alla sinistra, accavallando le gambe e girando il busto verso di lei. “Sei strana, davvero!” le disse.
La ragazzina, che poco prima era stata attratta da una coccinella che le si era posata sulla mano, spostò lo sguardo negli occhi della ragazza come per volerle rispondere qualcosa. Poi si limitò a fare spallucce e sorriderle ancora, per l’ennesima volta, riportando il suo sguardo da ragazzina ingenua su quell’animaletto rosso.
Sam sapeva che c’era qualcosa di strano in lei, qualcosa di magico, misterioso. Qualcosa che, però, non riusciva a capire. E forse le piaceva anche. Le cose facili non l’avevano mai intrigata.
“I tuoi occhi parlano” le disse la giovane ragazzina dai capelli neri corvino.
Sam si ritrovò confusa e, in un certo senso, agitata. Lo stava facendo. Quell’esserino le stava leggendo nell’anima e la cosa non le piaceva affatto.
Intanto il loro contatto visivo venne interrotto da due farfalle bianche che, leggiadramente, danzavano all’interno di quella bolla che si stava creando tra Sam ed Emy. Si posarono entrambe, stranamente, su una delle gambe minute della ragazzina, quasi volendola accarezzare. Sam guardò per un attimo la ragazzina che prese a ridere, e nascose il suo sguardo non appena Emy prese a guardarla di ritorno. Si sentiva bene, e non credeva che quella strana sensazione di nervosismo e arrabbiatura che le pervase il corpo poco prima, potesse fare spazio a nuove e più belle sensazioni, donate da una creatura che, chissà chi, aveva voluto mandare da lei, in quel posto.
“Ti piacciono le farfalle?” chiese la ragazzina tenendo sopra un dito una di esse.
“Beh.. “accennò con una certa indecisione.
“Sono gli esseri più puri di questa terra. O, almeno, è quello che mi piace pensare. Le vedi lì, posarsi su una qualsiasi superficie, e restano immobili. Alcune hanno anche un proprio odore. Se provi ad avvicinarti puoi sentirlo. Ma molto spesso si spaventano, e volano via. Per cui, quel profumo di cui sei sicura che abbiano, non riuscirai mai a sentirlo, ma potrai fartene una tua idea nella testa. Prova a pensare ad una rossa. Una bella farfalla rossa che si posa sul davanzale della tua finestra e tu, dal tuo letto, ne riesci a cogliere le sfumature, le emozioni che potrebbe avere, e il suo probabile profumo. Inizi a farti un’idea. Associ al colore un profumo. Rosso.. un fiore. Odorerà di fiore? E quindi provi ad avvicinarti per assaporare quello che ha da donarti, ma scappa. Hai perso la tua occasione. Forse hai esitato troppo e quindi si è stancata ed è volata via. Magari se ti avvicinavi poco prima, restava lì inerme, a farsi annusare, odorare, ammirare.” si fermò un attimo, prese fiato e ricominciò “Guarda questa. E’ bianca.. cosa ti fa venire in mente il bianco? Magari la vaniglia.. o l’odore del ghiaccio. Si, anche il ghiaccio ha un odore se badi bene. Il bianco.. un giglio. Proviamo a sentire se sa di giglio..”si avvicinò lentamente all’insetto e *sniff sniff* “Sa di cioccolato.”
Come poteva essere possibile? Dopo una lunga ed estenuante teoria sui colori e gli oggetti da abbinare, abbinò una farfalla bianca all’odore di cioccolato. Come poteva essere? Cosa stava blaterando? Sam, però, doveva ammettere che da tutte quelle parole ne rimase esterefatta. Dalle parole monosillabiche che le erano uscite dalla bocca poco prima, passò ad un lungo discorso sui colori, le farfalle, gli odori. Ne era rimasta leggermente impressionata, ma anche ammirata. Quello non fece altro che alimentare la sua voglia di sapere e conoscere e capire perché tutto quello.
“Odora anche tu!” disse guardandola nel modo più delicato possibile.
Sam si avvicinò, cautamente come le era stato accennato prima, ma la farfalla volò via. Ciò nonostante però, riuscì davvero a sentire quell’odore di cioccolato che, Emy, accennava. Così rimase ad odorare quella sua mano per qualche istante, poi una domanda le fu lecita “Cosa hai mangiato prima di venire qui?”
“Un gelato!” rispose perplessa la ragazzina.
“Ah..” ora si spiegava tutto.
Le sue teorie dei colori e gli odori, per quanto fossero belle ed illuminanti, sembravano non avere fondamenta. Insomma, sentire odore di cioccolato su una farfalla! Cose da pazzi. Ma la teoria poteva avere qualche spiegazione se, prima di tutto quel ragionamento, ci fosse stata una premessa iniziale. “Ho mangiato un gelato.. ma ora voglio raccontarti di..”.
Peccato che il gelato che avesse mangiato qualche ora prima aveva un solo gusto, e lei era intollerante al cioccolato.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: LoveLustFaith