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Autore: AlexGin    22/07/2013    1 recensioni
"Nella mia ammorbata esistenza aveva provato sollievo durante quell’ assurdo incontro quindi fu ovvio per me ripeterlo." La storia di un incontro d'irreale realtà.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 “Non lo farò, ne sono sicura. No, ma devo farlo è l’unica soluzione. Eppure sto temporeggiando troppo…basta è l’ora.” Questo pensavo, con in mano un flacone di antidepressivi, nella mia campagna a qualche chilometro da casa . Posai la boccetta sulle labbra secche, mi rassicurai: ”Tra poco non sentirai più alcun dolore.”
“ Non funziona proprio così, prima sentirai un dolore straziante tanto che griderai aiuto e allora capirai di aver sbagliato. Se qualcuno dovesse sentirti e ti dovesse salvare starai rinchiusa in un ospedale, con la puzza di piscio e medicine, dove vedrai i tuoi genitori tesi e inerti mentre i medici tentano di salvarti e disperasi quando ti avranno salvato perché la loro unica figlia ha tentato di suicidarsi”. Inizialmente non capii se fossi diventata matta e sentissi le voci, mi girai e scoprì che sarebbe stato meglio. A parlare era stato un ragazzo della mia età o forse più grande , morbidamente abbandonato sul muretto della campagna, tutto di lui dallo sguardo alla postura emanavano un senso di cedevolezza indolente. Mi si inumidirono gli occhi, ero stata colta nel momento di massima tensione, durante un atto estremamente privato. Lui mi guardò e rise. Io gli diedi le spalle e corsi. Dopo qualche secondo mi fermai, ”Uffa l’uscita è lì, ma non ho il coraggio di tornarci…ma….aspetta un attimo questa campagna è di mio nonno…ovvero mia…e lui ci è dentro! Ma che diavolo!”. Tornai indietro, lui era lì sempre nella stessa posa immobile.
”Ehi, violatore di domicilio, irrispettoso della privacy, tu dovresti andartene, non io.”
Si girò sorpreso” Non ti ho mica cacciato, sei tu che te ne sei andata, quindi per me puoi restare”” Non hai capito, non mi interessa che la mia presenza non ti disturba, semplicemente sei dentro la MIA campagna”.
“ No, sono nella campagna di tuo nonno che credo mi sarà molto riconoscente quando gli dirò che ho salvato sua nipote dal suicidio”.
 ”Non ti conosco e già mi ricatti!T-t-t-u…v-vattene!.”  La tensione mi fece balbettare, le parole si fermarono in gola e uscirono solo singhiozzi.
 “ Odio le persone che piangono, perché io non ne sono capace. Comunque non ho un posto dove stare.” I singhiozzi scomparvero e lasciarono il posto a un’ardente curiosità,” Sei scappato di casa?” “Sono scappato, ma anche prima non avevo una casa, quelli come me non ce l’hanno.”
”Sei un barbone?”, anche se in realtà pensai che mi stesse mentendo, deridendo la mia ingenuità, ma stetti al gioco.
“Cos’è un barbone?”, dal mio sguardo saettarono pensieri di astio, tanto che lui stesso se ne accorse “ Perché non rispondi?”, “Perché lo sanno tutti.”
“ Tutti chi?”, capì che mi conveniva rispondere, “ Sono persone che a causa della povertà o per scelta personale decidono di vivere per strada un’esistenza separata dal mondo. Vivono di elemosina e di fortuna.”
“ Allora sì, sono un barbone.”
 ”Ok, ma non chiedere mai elemosina vestito così.”
 ”Perché?”
 ” Perché sei vestito normalmente, sei pulito e hai perfino un mp3” “No, perché dovrei chiedere elemosina?”
 “Bhè, per mangiare, bere e comprare le cose indispensabili, a proposito da quanto sei qui?”
 “ Allora non mi servono soldi. Sono da una settimana.” Questo ero troppo “Smettila! Non è possibile! Cosa hai mangiato? O bevuto? Come ti sei lavato? E i vestiti?”
Si impietrì come una statua di marmo e il tramonto scese sul suo sguardo. Rimase così per tanto e non sembrava volersi destare. Dev’essere drogato, pensai e decisi di andarmene. Lungo la strada gettai il flacone e  indossai la mia maschera da diciasettenne.
Trascorsi una monotona giornata estiva troppo noiosa anche da raccontare. Eppure nella mia ammorbata esistenza aveva provato sollievo durante quell’assurdo incontro quindi fu ovvio per me ripeterlo. Il giorno seguente impaziente mi svegliai alle sei di mattina, lasciai un biglietto per tranquillizzare i miei genitori dicendo che andavo al mare e poi in giro. Più mi avvicinavo alla campagna più il mio cuore spezzava il silenzio con il suo rombare assordante, stavo inserendo le chiavi nella serratura, quando un tocco leggero mi gelò il sangue, mi voltai lentamente. Era lui che mia abbracciò con il suo sorriso. “Ciao, ieri te ne sei andata senza che io rispondessi.”
 “Bhè, sei rimasto tanto tempo in silenzio e credevo non volessi rispondere.”
 “Da dove vengo io il silenzio parla e il tempo non esiste. Comunque è difficile da spiegare sarebbe più facile mostrartelo, vieni con me.” Senza più parlare si voltò e si incamminò. “Ehm, ok, ma dove abiti? Spero vicino perché non posso allontanarmi troppo.”
 “ Dobbiamo andare alla stazione e da lì partiamo.” “Cosa? Ma che credi? Io sono minorenne non posso farlo”
“Che vuol dire?”
“ Minorenne? Che sono sottoposta alla potestà genitoriale. In conclusione per viaggiare devo diventare maggiorenne.”
“Allora aspettiamo che lo diventi” risi, lo guardai in viso e purtroppo capì che parlava seriamente. “ Ci vuole praticamente un anno! Quasi 365 giorni!”
 “ Scusa, ma non capisco”
“ Sono le sei e un quarto se riusciamo a tornare qui anche per le sette di sera per me va bene, posso sempre mentire ai miei genitori.”
“ Se è per il tempo non ci sono problemi dove abito io non c’è.” Ormai le sue frasi ad effetto non mi sorprendevano più, forse faceva il misterioso solo per incuriosirmi, quindi interpretai la sua risposta come un semplice “ Torneremo per le sette di sera”. Arrivati alla stazione successe tutto troppo velocemente. Ci fermammo davanti alla fermata di un treno che arrivò dopo pochi minuti. Appena lo scorse in lontananza mi prese il polso e mi trascinò, entrambi cademmo sui binari. Tutto: i rumori, i suoni e i colori sembravano sopiti. Il buio mi avvolgeva nel suo sterile abbraccio.
  
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