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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    22/07/2013    2 recensioni
Questa storia è su Cosette.
E già qui credo di aver perso tutti i possibili lettori.
Ma non è sulla Cosette che conosciamo tutti.
E' sulla Cosette bambina che sfacchina dai Thenardier e che guarda le bambole dalle vetrine, aspettando la sua mamma.
Spero di avervi incuriositi...
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Dal testo:
Quando se ne era andata, sua madre le aveva fatto due promesse. Le aveva promesso, con un gran sorriso sul volto, che un giorno sarebbe tornata a prendersela e, ora con una smorfia di tristezza impressa sul viso, aveva sussurrato:
“Sono sicura che passerai molte giornate felici in questo posto, principessa”.
Nessuna delle due previsioni si erano avverate: Fantine non era più venuta a prenderla, e, per il resto della sua permanenza lì, i Thenardier l’avrebbero chiamata, sprezzanti e con disprezzo, “principessa”.
Questa storia partecipa al "Contest Pas a Pas" indetto da Fanny Rimes sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Cosette, Fantine, Jean Valjean
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Ha sempre creduto che, con pazienza e lavorando alacremente per un obbiettivo, si possa creare qualcosa di meraviglioso e stupendo della propria vita.
Ha sempre pensato che con dedizione e con la giusta dose di umiltà, qualsiasi progetto, seppure paia, al primo sguardo, irrealizzabile, diventa assolutamente possibile.
Ha sempre creduto che la vita riserva mille sorprese, e che credere che un giorno qualcosa cambierà è già un modo per cambiare la propria vita.
Ha sempre cercato di non lamentarti, perché pensava, SAPEVA che presto (o forse tardi), qualcosa si sarebbe mosso nella tua vita.
Ci sperava.
Veramente.
Le notti insonni a piangere sul cuscino, e il giorno dopo veloce a lavorare, spazzando veloce con quella scopa talmente sfilacciata da parere, il secchio dell’acqua che era tanto più grande e tanto più pesante di lei, i soldi di sua madre che passavano per le mani lerce di quei miserabili Thenardier…
Ricordi rimasti impressi per sempre nella sua mente.
Ma qualcosa è cambiato, effettivamente.
Da poco (o forse da molto tempo), non è più sola.
Non deve più lavorare.
E i soldi che a malapena poteva vedere, ora le scorrono tra le dita quando e come suo padre (suo PADRE) ritiene giusto.
Ma prima ne ha dovuta fare di strada.

Possibile che lei non abbia mai perso la speranza in cinque anni?

An heart full of love

1-At the End of the Day

Quando sua madre l’aveva portato in quella locanda (una piccola locanda a Montfermeil con scritto sull’insegna “Al sergente di Waterlooo”), Cosette si reggeva a malapena in piedi e riusciva a malapena a camminare con quelle esili gambette che facevano sembrare tutto il corpo più grande.
Già all’epoca, per sua madre lei eri una “cosetta” tanto era piccolina e minuta. E già allora, ignorando il nome che lei stessa le aveva dato, la chiamava Cosette.
Quando erano arrivate alla locanda, se lo ricorda bene, seppure fosse così piccola, subito erano state accolte con referenza e con una strana e untuosa gentilezza da parte di quelle persone che dovevano essere i padroni.
La coppia Thenardier, sin da subito si era dimostrata viscida e ipocrita.
Madame l’aveva riempita di carezze e baci di fronte allo sguardo timido e leggermente rassicurato di Fantine, toccandola con quelle sue manacce grosse e rosse che sembravano parte del corpo di un uomo con la stessa delicatezza di un serpente che strangola la preda.
Da parte sua, Monsieur Thenardier si era dimostrato ancora più viscido e untuoso: aveva fatto accomodare Fantine e lei su sedie di vimini (“Avrete fatto un lunghissimo viaggio!”), aveva fatto servire, da sua figlia maggiore Eponine, delle piccole paste alle “gradite ospiti” e, per finire, aveva esclamato felice un “Ma certo, sarà trattata come fosse nostra!” alla richiesta di Fantine di tenere con loro la bambina.
Sua madre aveva continuato a snocciolare, per dieci minuti buoni, il perché di questa scelta, le sue motivazioni, come un modo per scusarsi con i locandieri e, in primis, con Cosette stessa. Sembrava non volesse staccarsi più dalla piccola che ora, timida e leggermente impaurita, stava in piedi tra le braccia grosse di Monsieur e Madame Thenardier.
Per convincerla ad andarsene, i due avevano dovuto prometterle cento, mille volte che la bambina sarebbe stata bene, che non le sarebbe mancato nulla, e ad ascoltare, ripetute freneticamente, mille “Mi dispiace per il disturbo” e “Non posso tenerla con me”.
Quando se ne era andata, sua madre le aveva fatto due promesse. Le aveva promesso, con un gran sorriso sul volto, che un giorno sarebbe tornata a prendersela e, ora con una smorfia di tristezza impressa sul viso, aveva sussurrato:
“Sono sicura che passerai molte giornate felici in questo posto, principessa”.
Nessuna delle due previsioni si erano avverate: Fantine non era più venuta a prenderla, e, per il resto della sua permanenza lì, i Thenardier l’avrebbero chiamata, sprezzanti e con disprezzo, “principessa”.
Appena sua madre, finalmente rassicurata della bontà d’animo di coloro a cui affidava la sua bambina, se ne era andata, e Monsieur ebbe chiuso, velocemente, la porta di legno, Cosette era stata trascinata nello sgabuzzino delle scope in fondo al corridoio, e vi era stata gettata dentro come un sacco di patate.
“Questa è la tua stanza”, le disse la signora Thenardier prima di socchiudere la porta.
L’ultima cosa che Cosette sentì fu la voce di Eponine, sardonica, che le diceva:
“Dubito fortemente che trascorrerai molte giornate felici in questo posto”.
E poi la porta si era chiusa.
E Cosette era rimasta al buio.
L’incredulità che all’inizio l’aveva presa nel sentirsi strattonare e farsi gridare “Cammina, stupida!” dalle persone che poco prima le avevano servito bignè e l’avevano accarezzata, fu presto rimpiazzata da una orrenda e totale paura.
Con i piccoli pugni, Cosette aveva cominciato a battere sulla porta di legno, con insistenza, urlando come poteva con la sua piccola voce: aveva tremendamente paura del buio.
Quando, dopo poco, aveva sentito mancare le forze, non aveva potuto fare altro che accasciarsi sul pavimento e addormentarsi, cercando di ignorare la sensazione di terrore allo stomaco e le ombre delle scope che le ridevano contro.
Il giorno dopo, la Thenardier le aveva messo secchio e scopa in mano.
Voleva che scopasse il locale.
 
E così era iniziato il suo primo anno alla locanda "Al sergente di Waterloo".
Subito, Cosette si era resa conto della meschinità d’animo del locandiere e di tutte le persone che ruotavano intorno a lui.
La moglie, ora decisamente più dura, con lei, dopo la partenza di sua madre, la costringeva, ogni giorno, a correre avanti e indietro col secchio in mano, che a malapena sosteneva perché era molto pesante, e la faceva correre quando lei a malapena camminava. Se per caso, durante la corsa, cadeva o inciampava, con rabbia la Thenardier la prendeva per i capelli e la schiaffeggiava furiosamente.
Nei casi più gravi, in cui aveva rotto, per errore dei piatti che dovevano andare ai clienti, con un orribile schiaffo che le staccava quasi i candidi dentini, Madame la buttava nel ripostiglio, che ormai era la sua camera e il suo rifugio.
Eponine, la figlia maggiore, faceva di tutto per impartirle sofferenze: da subito si dimostrò viziata e piena di sé, e la costrinse anche lei a svolgere delle mansioni che la facevano piegare in due per lo sforzo.
Spesso l’aveva vista sollazzarsi con delle bambole tanto belle e ricche di dettagli, che le lacrime le erano salite agli occhi. Solo dopo avrebbe pensato che Eponine si metteva in mostra solo per farle dispetto.
Azelma, l’ultima figlia, era di poco più grande di lei, eppure aveva già anche lei l’aria superba e cattiva della sorella, sebbene non le avesse mai ordinato nulla.
Spesso le faceva lo sgambetto mentre portava le ordinazioni ai clienti, oppure la incolpava di piccoli incidenti e distrazioni che erano state invece sue.
Madame Thenardier era sempre straordinariamente gentile con le figlie, e comprava loro tutto ciò di cui necessitavano e anche di più: le viziava con tutto il suo essere e con tutta la sua forza. A Cosette, venne poi in mente che le accontentasse in tutto ciò che volevano solo per far sentire lei inferiore.
Dopo solo una settimana, la piccola bambina bionda e dagli angelici occhi azzurri che Fantine aveva portato alla locanda era diventata (se era possibile) più magra e i capelli erano completamente spettinati.
Dopo un mese, Cosette aveva il viso smunto e pallido. Il mento era diventato più affilato, e sulle gambe e le braccia contava innumerevoli graffi e sbucciature.
Dopo due mesi, alla piccola venne una terribile febbre che agli occhi di Thenardier non fu abbastanza per impedirle di lavorare.
Giorno dopo giorno, la piccola capiva sempre di più con che genere di persone aveva a che fare, e di quanto il loro cuore fosse irrimediabilmente nero e corrotto.
Nelle notti, si interrogava spesso sul perché quei due si fossero dimostrati così gentili con lei e poi, improvvisamente, senza motivo, fossero diventati due mostri.
E intanto i giorni passavano, e Cosette non ne ricordava neanche uno felice.
Aveva paura che la promessa di sua madre non si sarebbe avverata, che lei non sarebbe tornata, e che neanche per un giorno, per il resto della sua permanenza lì, sarebbe stata felice.
Sperava, SAPEVA con certezza che sua madre sarebbe tornata e ogni notte, quando andava a coricarsi, un nuovo graffio sul braccio o sulla gamba, si aggrappava intensamente a quella speranza che sapeva tanto di felicità.
Domani verrà, lo so. Domani verrà…
Domani sarà un giorno felice.
Domani sarò felice.
E così si coricava tranquilla e riusciva, la mattina dopo, ad alzarsi con un lieve sorriso sulle labbra, che però spariva non appena capiva che no, neanche quel giorno sua madre sarebbe venuta.
Spesso Monsieur le affidò il compito di pulire la vetrata. Era un compito che, dopotutto, non le dispiaceva e, anzi, forse era l’unico lavoro che non le riusciva difficile. Bisognava solo passare con il panno bianco il vetro, e togliere tutta la sporcizia che vi era accumulata.
Quando le capitava di dover fare quel lavoro, il suo sguardo andava alle strade e alle case davanti alla locanda con feroce speranza: cercava, con lo sguardo, sua madre tra la folla.
Un giorno, mentre era intenta in quel lavoro, Cosette si ritrovò a fissare, ancora più intensamente, una signora che stava passando in quel momento, girata di spalle, e di cui intravedeva solo i lunghi capelli castani.
Mentre era distratta, Eponine le rovesciò sulla testa uno strano composto nero che la fece rimanere senza fiato e che la fece urlare per il dolore: era pece bollente.
La bambina si allontanò ridendo come una pazza, e a Cosette non era rimasto altro che correre, più veloce che poteva, verso lo sgabuzzino e a chiudersi dentro, piangendo silenziosamente.
No, davvero non sarebbe passato giorno felice in quel luogo.
Eppure ogni giorno sperava, voleva, DESIDERAVA essere felice in quell’Inferno di pentole e scope e secchi.
E le sarebbe piaciuto così tanto vedere la sua mamma…
Sarebbe tornata, lo sapeva.
DOVEVA tornare.
Sì, assolutamente.
Sarebbe tornata, e il giorno del suo addio sarebbe stato il più felice di tutti.
 
Il terzo mese alla locanda fu forse il più difficile.
La febbre, che già l’aveva colta durante il secondo, si andò aggravando, tanto da impedirle alcune mansioni che, ormai, riusciva a svolgere abbastanza bene per la forza di abitudine.
Quando, mentre scopava, la bambina era improvvisamente crollata a terra preda della stanchezza, la Thenardier, con insulti e con invettive orrendi, l’aveva costretta a rialzarsi.
Ma Cosette, ormai, non si teneva più in piedi. Sentiva tutta la faccia in fiamme e vedeva a malapena le sue dita minuscole e magre.
Non riusciva più neanche a sentire, chiaramente, le parole e le ingiurie dei locandieri. I rumori e le voci le arrivavano da lontano, come ovattati, e lei riusciva a percepirne a malapena il suono. Il senso le sfuggiva.
Al quarto mese, finalmente, Madame dovette prendere atto della malattia della piccola, e anche Mounsier decise che era ora di farla visitare, non tanto perché si preoccupava per lei, ma perché ormai le sue distrazioni gli stavano facendo perdere molti clienti.
Il dottore che solitamente visitava anche Azelma e Eponine fu chiamato, e subito la sua diagnosi fu una e una sola: riposo assoluto. Di questo aveva bisogno la piccola Cosette.
 
Del mese che passò, lentamente, la piccola non sentì quasi nulla.
Si svegliava spesso ma per pochi minuti, per poi richiudere le palpebre e ripiombare nel suo mondo di sogni.
I pochi attimi che si svegliava erano più che altro attimi di follia in cui, con sua grande sorpresa e gioia, Cosette vedeva Fantine vicino a lei baciarle il viso e rassicurarla dolcemente con la sua voce d’angelo.
“Dubito fortemente che tu abbia trascorso qualche giornata felice in questo posto.” le sussurrava. Lei scuoteva la testa in su e in giù, con le lacrime agli occhi, e guardava la sua mamma vicino a lei.
“Tranquilla, tesoro, ce ne andiamo via di qui…”
Nei momenti di assoluta pazzia, Cosette credette anche di aver visto sua madre andarsene via e, quando tornava in sé, chiedeva piangendo della sua mamma.
Sebbene la Thenardier si attenne al divieto del lavoro imposto dal dottore, non le risparmiò certo le sue maniere rudi. La scuoteva nel sonno quando le sue urla rimbombavano nella casa, e la schiaffeggiava appena era sveglia, la riempiva di insulti quando le chiedeva di sua madre e parlava male di Fantine davanti a lei.
In un attimo di follia, in cui Madame si era azzardata a chiamare sua madre “sgualdrina”, Cosette le aveva sputato con tutta la forza che aveva in faccia.
Madame non aveva potuto chiuderla nello scantinato.
E i giorni passavano, e Cosette era a letto infelice, pensando, nel suo delirio, di essere finalmente felice, lì, con sua madre vicino al suo letto, e la promessa della loro partenza imminente.
E invece Fantine non era al capezzale della figlia, i Thenardier non la avvertirono mai, e non passò un giorno felice durante la sua malattia.
 
Cosette potette (dovette, più che altro) tornare al lavoro durante il suo sesto mese di permanenza nella locanda.
Appena il dottore la dichiarò guarita, la piccola tornò a sfacchinare con secchi, piatti e boccali da lavare, ora più debole che mai.
La febbre l’aveva destabilizzata completamente, e ora Cosette si muoveva ancora più traballante di prima sulle gambette. Questo non impediva certo a Mounsier e a Madame di essere crudeli con lei. Al contrario, ora che la piccola causava ancora più danni, i due avevano più motivi per trattarla in malo modo.
Ai due sembrava non importare nulla che lei fosse stata male, e che quella malattia l’aveva resa più debole fisicamente e, anzi, continuavano a punirla, sia con le parole che con i fatti, per quella mancanza, come se ammalarsi fosse stato un suo volontario gesto.
Eponine, se possibile, era ancora più maligna con lei. Le sventolava le bambole in faccia ogni qualvolta poteva, e riusciva ad accusarla di mille piccoli incidentucci accaduti a lei e Azelma.
“Il vetro della finestra è rotto!”, strillava la maggiore disperata. Naturalmente era stata Cosette.
“è caduta un’anta al mobile in bagno!”, aggiungeva la minore, nello stesso tono. Ancora, Cosette.
“Il nostro locale va male!”, si arrabbiava Thenardier. E di chi era la colpa?
Spesso, la bambina si chiedeva come i due coniugi potessero anche solo pensare che fosse stata lei.
Si guardava, con circospezione, le braccia e le mani, cercando di capire se quei minuti ossicini, ricoperti solo da un filo di carne, potessero davvero tendere l’elastico di una fionda, rompere un’anta e mandare in malora un locale con la loro incapacità.
Si chiedeva, spesso, come la Thenardier e il Thenardier si fossero ridotti in quello stato: essere felici solo causando infelicità agli altri.
Cosette giunse alla conclusione che probabilmente neanche loro avevano mai passato dei giorni felici lì.
 
Al settimo mese, era ormai Dicembre.
Cosette, nel suo straccetto grigio senza maniche, rabbrividiva tristemente mentre guardava Eponine ricevere un nuovo cappotto di ermellino dai Thenardier.
In seguito, la ragazza si sarebbe chiesta come quei due si fossero permessi una tale meraviglia se il locale andava davvero male come dicevano. Giunse infine alla conclusione che probabilmente Monsieur l’aveva rubato.
Quell’inverno, il Natale sembrava non dovesse arrivare mai.
I giorni scorrevano lenti e sempre uguali, per la povera Cosette.
Ogni mattina la Thenardier la mandava a piedi nudi al pozzo, e lei rabbrividiva al contatto con la neve sotto le palme. Trascinava alla bell’e meglio l’acqua, cercando di non inciampare nella strada, e poi, arrivata alla locanda, si fermava un attimo a fissare la vetrina di giocattoli davanti a essa. Gli piaceva fantasticare che sua madre sarebbe tornata e le avrebbe comprato subito la bambola che era in vetrina: una stupenda ragazza coi riccioli neri e con gli occhi azzurri che le sorrideva dolcemente.
Ormai, la bimba era sicura che Monsieur e Madame non le avrebbero regalato assolutamente nulla per Natale, anzi, che avrebbero fatto di tutto per sbattergli in faccia quella mancanza. Così si preparava al grande giorno non con gaia allegria né con gioia: aspettava con angoscia il giorno che l’avrebbe vista sola, ancora, nello suo sgabuzzino con le scope.
E così fu.
Madame e Monsieur la rinchiusero dentro la sera verso le 8, chiudendo, per sicurezza, la porta col chiavistello.
Le avevano parlato, controvoglia, di una cena a cui avrebbero partecipato tutti i loro amici, e in cui avrebbero mangiato come dei maiali.
Madame, con quella sua squisita viscidità, le aveva descritto approfonditamente tutte le pietanze del banchetto, includendo nella spiegazione anche gli ingredienti usati per quella o quell’altra portata. Lo stomaco di Cosette aveva preso a ringhiare furiosamente.
E così, la notte di Natale la bimba la passò sola e senza nessuno.
Dalla sala sentiva giungere le voci allegre e cordiali dei Thenardier, e si ritrovò a pensare che erano davvero dei bugiardi a fare i perfetti padroni di casa.
D’un tratto, da fuori un odorino stuzzicante le arrivò al naso: pollo arrosto.
Cosette si scaraventò sulla porta e cominciò a battere furiosamente il pugno, urlando a squarciagola che aveva fame, e che non era giusto che lei fosse rinchiusa lì.
Il giorno dopo, Madame la sculacciò pesantemente davanti a Eponine.
Con le lacrime agli occhi, Cosette notò la bambola con gli occhi azzurri tra le braccia della bambina.
 
L’ottavo mese, Cosette ebbe particolarmente da fare.
I clienti alla locanda sembravano essersi moltiplicati, forse perché in cerca di un luogo in cui ripararsi dal freddo pungente di Gennaio.
Monsieur sorrideva a ogni nuovo arrivo, e faceva gli onori di casa come un vero e proprio gentiluomo.
Cosette fu leggermente confusa dall’atteggiamento cordiale che il signore tenne con lei in quel particolare mese. Sembrava difenderla da qualsiasi ingiustizia, e non erano poche le volte in cui la aiutava nei lavori.
“Da qua, Colette, faccio io…”, diceva, togliendole i piatti sporchi dalle mani.
Lo diceva con lo stesso tono viscido e ipocrita con cui aveva accolto lei e sua madre lì. E a Cosette dava abbastanza fastidio che ancora non conoscesse il suo nome.
Il motivo di tanta gentilezza fu subito chiarito quando, una mattina fredda, Thenardier uscì con lei fuori dalla locanda (Il freddo le tormentava le braccia) e cominciò a dire, cantinelando:
“Venite nella mia locanda! Offrite un po’ di soldi alla mia figlioletta malata!”
Cosette all’inizio non capiva.
E neanche Madame parve capire quell’idea.
“Non potevi provarci con ‘Ponine?” gli chiese tutta arrabbiata la sera.
Lui rispose con un’alzata di spalle e un secco:
“Colette sembra molto più patita di ‘Ponine”.
 
Il nono mese lo passò fuori col signor Thenardier, a raccogliere soldi per “la figlioletta malata” che era poi lei.
Quello stesso mese, notò Cosette, c’era il suo compleanno.
Madame e Monsieur però non sembravano ricordarlo, anzi, parvero totalmente ignorarla in quel mese.
Sebbene ora Monsieur fosse più soddisfatto di lei e della fortuna che gli era fruttata da quella piccola truffa, continuava ancora a dare ordini e a insultare, sebbene meno di prima, per ingraziarsela e convincerla a continuare l’ “attività”.
Madame continuò a chiamarla “principessa” con disprezzo, e Eponine le lanciava occhiate di fuoco perché era Cosette protagonista della truffa e non lei.
Il giorno del suo compleanno, la bambina andò nel suo sgabuzzino con le mani intirizzite dal freddo preso fuori e con il desiderio assurdo di mandare Eponine nella neve al posto suo.
Pensò che quel giorno, quello speciale giorno, poteva passarlo felice con la sua mamma. Certo, lei non le avrebbe regalato nulla, di sicuro, ma sarebbe sempre stato bello averla vicina e sentirsi coccolare dal suo canto mentre si addormentava.
Chiudendo gli occhi, Cosette desiderò intensamente che il giorno dopo venisse a prenderla, e poi si addormentò dubitando che sarebbero mai venuti giorni felici finché fosse stata lì.
 
Il decimo e l’undicesimo mese la truffa andò avanti fino a quando un cliente venuto pochi mesi prima alla locanda, riconobbe in Cosette la cameriera che aveva visto servire al suo tavolo.
Allora Monsieur si convinse, anche sotto consiglio di sua moglie, di usare, finalmente, Eponine.
La gioia della bambina per quel ruolo fu tanto grande quanto grande fu la sua delusione quando si ritrovò ferma all’ingresso della locanda con la mano tesa al passante.
A Cosette scappò da ridere paragonandola a una mendicante, ma Madame la mandò subito a prendere altra acqua.
 
E così passò un anno in quella locanda.
Un orribile anno in cui si sentì più sola che mai e più debole che mai.
Quando se ne andò a dormire, quella sera, si accorse improvvisamente che era passato veramente moltissimo tempo.
E cominciò a dubitare che sua madre sarebbe venuta davvero.
Un sordo terrore le penetrò nell’anima, e un brivido freddo le percorse tutta la spina dorsale.
Un anno.
365 giorni.
E, si rese conto Cosette, non ne era passato uno felice.

Note d'autrice:
La prima parte voleva solo essere un'introduzione.
Allora...
Ho scritto... "questo" tutto d'un fiato. 
Forse si pottrebbe considerare più una raccolta che una long, ma mi ci sono messa molto, davvero.
E... 
Tutti i titoli verranno presi dal musical "Les Miserables" che semplicemente VENERO.
Vi avviso che ci saranno 5 capitoli in tutto, per le condizioni del contest. Ogni volta Fanny Rimes mi invia due pacchetti con dei prompt e io devo scieglierne uno.
Per questo ho scelto una frase:
Dubito fortemente che trascorrerò molte giornate felici in questo posto.
Che dite, ci stava?
  
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