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Autore: trittico    22/07/2013    0 recensioni
Un Gagà partito per irretire la bella ereditiera Sherazade, ma.....!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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                                                                                                         Il gagà

 

  Gaston si guardò per l'ultima volta allo specchio, con occhio critico si aggiustò per l'ennesima volta il fazzoletto che sporgeva dal taschino. Era perfetto per l'impresa che lo attendeva. Doveva irretire Sherazade, la giovane e bella ereditiera, ambita da tutti i rubacuori di Parigi e dintorni.Con una battuta di mano, chiamò il valletto e quello prontamente accorse. Ordinò che gli fosse portato il suo bastone da passeggio e il paletot. Lo fece con un tono autoritario, di quelli che pretendevano tutto e subito, bisognava essere inflessibili con la servitù, “plebei senza speranze!” pensò arricciando il suo bel nasino.
  All'uscita lo aspettava l'autista che con fare ossequioso, teneva aperta la portiera della Bentley. Indossava la nuova livrea ordinata appositamente, per quella occasione da Cristian, il suo sarto di fiducia. La vista di quel quadretto, gli diede un senso di soddisfazione. Aveva faticato tanto nella sua vita, per arrivare a quel punto. Per un ragazzo povero, la scalata in società poteva essere veramente dura. Ricordava con ribrezzo le effusioni amorose che aveva dovuto subire da donne “molto” mature, per arrivare ai loro conti bancari. Salì sull'auto e fece cenno allo shaffeur di partire alla volta della sua preda.
  Lungo la strada si fermò dal fioraio per prendere il mazzo di rose rosse che aveva ordinato in precedenza, le sue strategie non ammettevano contrattempi.
Pagato il dovuto al proprietario, ebbe il tempo per ammiccare alla volta della commessa che con un sorrisino, abbassò lo sguardo, arrossendo. “Un bel fiore da cogliere e poi ributtare nella spazzatura; da dove veniva!” Quel pensiero lo fece sentire onnipotente.
  Già pregustava il momento in cui la bella e riottosa Sherazade, sarebbe caduta ai suoi piedi. Li, il suo trionfo sarebbe stato totale. Se li immaginava i suoi amici del club, quando con fare sufficiente, si sarebbe fatto bello di quella conquista tanto ambita. Lo avrebbero sicuramente incoronato “re dei mascalzoni”. Certo non era un compito da nulla. Sapeva che conquistare il cuore della fanciulla sarebbe stata un'impresa ardua, in tanti avevano provato, ma senza successo. La pulzella, a loro dire, era dannatamente esigente, trovando mille scuse per non concedere loro i suoi favori.
Ma traverso il finestrino dell'auto, si poteva vedere la piega della bocca di Gaston, esprimente tutta la sicurezza dovuta alla sua grande esperienza nel campo e il suo status sociale, ben noto a tutti, che l'accompagnava.
  Quando l'autista gli apri con un inchino la portiera dell'auto, tutte le sue fibre erano tese e pronte per l'avventura, “sarebbe uscito vincitore, era inevitabile”, pensò mentre approntava il suo fatale sorriso e bussava al portone di quella che, se tutto andava bene, sarebbe diventata la “sua” casa. L'anziana governante aprì la porta e lo invitò ad entrare e accomodarsi in una saletta arredata con gusto, dove c'erano due poltrone e una magnifica vista sul parco. Ci si vedeva, con i suoi amici e... amiche, godersi tutto quel ben di Dio, mentre la povera moglie tanto debilitata da una oscura malattia, li osservava dalla finestra della sua stanza, su in alto, lontana dalla vita e dai suoi affari.
  La governante lo pregò di attendere la signorina Sherazade, lui congedò la donna con quel suo fare annoiato, osservando mentalmente l'inadeguadezza di quella vecchia comare. Già pregustava il momento in cui l'avrebbe cacciata, e in malo modo, così, tanto per far vedere chi comandava.
  Sherazade entrò nella stanza come una folata di Zefiro, in un abito leggero di seta che, castamente, velava le bellissime forme. Gaston ne rimase abbagliato, pensò che dopotutto poteva aspettare un po' prima di farla ammalare. Lei accettò con un sorriso l'omaggio floreale e si sedette leggera su una poltrona e invitò Gaston a fare altrettanto. Gli chiese il motivo di quella visita e cosa gli occorresse. La franchezza con cui lo trattava, metteva a disagio l'uomo, abituato a giochi complessi fatti di finzioni e strategie. Quegli occhi profondi e dolci lo smarrivano, quasi dovesse nascondersi da quello sguardo che sembrava penetrare nel suo intimo. Allora lui si fece coraggio e andò subito alla carica, usando il repertorio speciale, con aggiunte poetiche di qualità. Aveva saputo, da un'indiscrezione da salotto, che la sua preda amava in massimo modo, quelle inutili, stupide e svenevoli serie di parole.
  Così aveva cercato l'aiuto di un suo vecchio compagno di scuola, un buono a nulla, sempre con la testa fra le nuvole ma che sapeva usare la penna egregiamente. Già aveva fatto ricorso a lui in passato e i risultati erano stati ottimi. Il poeta aveva buttato giù qualcosa e Gaston, con la rapidità di chi è abituato a fare tesoro di ogni particolare, anche il più insignificante atto a raggiungere lo scopo, l'aveva imparato subito a memoria. “Come facevano a emozionarsi le donne con quelle baggianate, era un mistero. Con la dote di questo tonto, farei faville!”. Pensò mentre ringraziava l'amico che non volle nemmeno un, seppur piccolo, compenso per quell'utilissimo favore.
  Sherazade stava ad ascoltare estasiata, seduta sulla poltroncina, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, e le mani, che avevano assunto l'aspetto di un calice, incorniciavano quel bel volto ingenuo. Gaston aveva riacquistato la sua solita sicurezza, e inginocchiato ai suoi piedi, andava promettendo oceani di passione, vallate di tenerezza e monti di denaro.
  Ma alla fatidica richiesta di concessione delle sue grazie, la ragazza, invece di comportarsi come di solito facevano le altre dame, aveva fatto a sua volta una mossa per lui incomprensibile: avrebbe accettato la corte, solo se lui le avesse portato una gemma del suo cuore. Così lo aveva congedato, lasciandolo fuori dall'uscio, a meditare sul significato di quelle parole. Da uomo pratico qual'era, realizzò che solo un bel diamante puro, poteva essere quella tanto ambita gemma.
  Ordinò all'autista di recarsi in un certo quartiere, dove ad un prezzo molto ragionevole, aveva acquistato la pietra preziosa. Quando quel gentiluomo del ricettatore aveva sparso sul tavolo la sua merce, quelle gocce di rugiada avevano scatenato in Gaston il desiderio di possederle tutte. Sarebbe bastato un colpo ben assestato, pensò rapido, non c'erano testimoni, ma una serie di piccoli colpi alla porta bloccò sul nascere ogni sua mira. Così, scelse il diamante più bello e con riluttanza, sborsò il compenso dovuto. Del resto con un pizzico di premeditazione avrebbe potuto tentare questo colpetto facile, facile, pensava soddisfatto, mentre sornione, fissava negli occhi il malvivente. “Aveva speso una piccola fortuna per quella pietra, ma era sicuro che l'avrebbe ripresa con gli interessi.... tanti interessi”.
 Questo stava pensando, mentre porgeva la gemma alla bella Sherazade. Lei, delicatamente, la prese dalle sue mani e si mise ad osservarla attentamente, mentre adagiata sul palmo della candida mano, la pietra scomponeva in mille stelle colorate, la luce del sole. Poi, dopo avergliela restituita con un gesto rapido, con la sua solita dolcezza ma guardandolo fisso negli occhi, aveva detto che quella non era affatto la gemma del suo cuore, ma di un altro cuore. Il cuore di un uomo, palpitante nelle viscere della terra, dove le lacrime e il sangue avevano lo stesso sapore; e il giorno, lo stesso odore della notte. E che quel pezzo di carbone evoluto aveva permesso a tre volti imploranti di avere di che sfamarsi, e che il sorriso di quell'uomo era il più luminoso dei diamanti.
  Così l'aveva nuovamente congedato, con la rassicurazione di essere preso in considerazione, nel momento in cui, le avesse portato ciò che chiedeva.
Gaston era esterrefatto, credeva di avere la vittoria in pugno e invece quella stupida ragazzina viziata, l'aveva rifiutato... lui Gaston! Il re dei salotti, il vero tombeur de femme, gabbato da una mocciosa.
E poi come l'aveva chiamato: “carbone evoluto”! aveva quasi ucciso per quel diamante, costato un accidente. E lei invece di strabuzzare gli occhi e sorridere compiaciuta, andava menando storie di miniere e fame. Come se lui potesse fare qualcosa in merito. Il mondo girava e il più svelto si vestiva, questa era vera filosofia per quella bella mente lucida di Gaston.
  Ora la questione si stava facendo complicata per lui. Con il diamante era andata male, la bimba non si faceva allettare tanto facilmente. Ma lui era un uomo pieno di risorse.
  Ritornò da quel suo amico, per un consiglio, pensando che quel mentecatto avrebbe trovato sicuramente la soluzione dell'enigma.Il poeta, alla descrizione delle parole di lei, rimase pensieroso per un bel po, poi con aria risoluta chiese di poter vedere, di nascosto, la fanciulla, così da costruire un vero poemetto che sicuramente lei avrebbe gradito.
  Niente di più facile per Gaston. Conosceva i movimenti della ragazza, l'aveva fatta tenere sott'occhio da qualcuno, non voleva che gli succedesse niente.... per ora. Il ragazzo vide la bella Sherazade, e ne rimase così colpito, da rassicurare Gaston, che avrebbe fatto stavolta un vero capolavoro, ma per averlo, avrebbe dovuto pazientare qualche giorno.
  Gaston passò quei giorni come al solito, andava a trovare le “ragazze”, per riscuotere la sua parte, amoreggiava un po qua e un po la e poi la sera il giro dei night club più esclusivi, dove veniva accolto con grandi riverenze direttamente dai proprietari.
  Era proprio tutto pieno di se, quando seduto nella camera con la vista sul parco di Sherazade ripassava mentalmente la “parte” che gli assegnava il copione ideato dal poeta. Lei con quella sua aria leggera, stette ad ascoltarlo lietamente, poi improvvisamente si fece più attenta, chiuse gli occhi e si concentrò sulle sue parole. “il bastardo aveva fatto proprio un buon lavoro, stavolta la vittoria era certa”. Pensò Gaston mentre le parole, per lui, dal dubbio significato, uscivano ordinate e armoniose.
  Quando ebbe finito di proferire l'ultima sillaba, Sherazade riapri gli occhi, lui vide che erano lucidi, “la pulzella è emozionata, diavolo di un poeta, ci sapeva proprio fare”, pensò trionfante.
Ma la ragazza, guardandolo con quel suo sguardo profondo, aprì con la solita tiritera: quella non era la gemma del suo cuore, ma la gemma di un altro cuore. Un cuore lieve come una piuma. Però gli disse che aveva gradito molto quel dono e che ne avrebbe fatto tesoro. Questo diede un filo di speranza a Gaston, subito naufragata dall'invitò di lei a ritentare perché anche stavolta non aveva passato la prova.
  Uscì infuriato da quella casa, quasi travolgendo una donna con una carrozzina. Invece di scusarsi con lei, le rivolse una mala parola gonfia di odio. Neanche stette a discutere, montò in macchina e secco ordinò all'autista, di essere portato a casa del poeta. “Gliene avrebbe dette quattro a quel fantoccio. Non lo avrebbe ammazzato, gli poteva sempre tornare utile, ma avrebbe chiarito parecchie cose!” pensò mentre l'auto sfrecciava alla volta dell' abitazione dell'artista.
  IL ragazzo non era in casa, Gaston sempre più infuriato sentiva montare un irrefrenabile impulso violento. Aveva bisogno di sfogarsi su qualcuno. Sapeva anche con chi. C'era un certo ricettatore da andare a trovare, “si sarebbe divertito quella sera.... cocaina e sangue!”. Quel pensiero lo esaltava, gli piaceva unire l'utile al dilettevole. Diede un calcio a un bidone della spazzatura rovesciandolo con tutto il contenuto e salì nella macchina che si dileguò nelle tenebre.
  Giorni dopo, si presentò dal poeta, non conveniva mai interrompere contatti utili, rompendo ossa. Lo trovò alquanto bene in arnese, ben vestito, cosa rara per quanto lo conoscesse e con una certa fierezza nello sguardo. Dopo avergli rinfacciato il fiasco subito, tanto per farlo sentire in colpa, Gaston venne a più miti consigli, chiedendo di quali dannatissime gemme parlava Sherazade. L'artista, scusandosi per la sua assenza in un momento tanto delicato, addusse una scusa palesemente falsa: vagheggiò di una certa zia malata. Ma per l'occhio esperto di Gaston quello era amore bello e buono. “Il ragazzo è innamorato!” pensò sorpreso. Lui conosceva bene i segni caratteristici del rimbecillimento. Nella sua vita aveva imparato subito ad approfittare di chi era in quello stato. Era il momento migliore per guadagnarci qualcosa. Ma stavolta era contento, finalmente il debosciato aveva trovato un'altra pazza come lui. “Si, ogni tanto poteva permettersi un pensiero bonario, in fin dei conti non costava denaro”. Questo pensiero lo inorgoglì.
  Il poeta, poi, gli aveva consigliato l'unica cosa da fare: donare qualcosa di veramente suo. Al che il viveur, aveva fatto notare a quell'anima ingenua, che lui era padrone di tantissime cose. Ma ricevette solo una risposta sibillina da parte del poeta. Il ragazzo, guardandolo fermamente negli occhi, se ne era uscito con un “quando nasciamo siamo nudi”.
  Gaston aveva lasciato la casa dell'artista innamorato, con più dubbi di prima. Pensandoci bene, ogni cosa che possedeva, prima era appartenuta ad un altro, almeno i soldi per comprarla. La cosa cominciava a stancarlo, avrebbe abbandonato la partita, se non fosse che aveva sparso la voce di una sua ormai certa vittoria. “Con che faccia si poteva presentare al club”! Il pensiero lo atterriva. Gli era parso già di vedere qualche risolino di troppo, nel salotto della contessa.
  Era alle strette, se Sherazade voleva il gioco duro, allora lui l'avrebbe giocato. La sciocca ragazza aveva tenuto solo la poesia del poetucolo, rifiutando la pietra preziosa. “Se quella era la gemma, lui se ci si metteva, era una miniera”.
  SI chiuse per una  settimana nella sua bella casa rococò, adducendo come scusa una leggera indisposizione, tuffandosi in ogni tipo di poesia: dall'epica all'ermetica, dai voli pindarici, all'underground.
  Quando ne usci, era ormai padrone della situazione. Quei babbei in fin dei conti dicevano tutti le stesse cose, solo in maniera diversa. Non avevano, secondo lui, tanta fantasia. Così lui aveva mischiato le carte, componendo un poema, a suo dire, “ispirato”.
  Gli aprì la vecchia governante, lui educatamente le porse i fiori destinati all'ostinata fanciulla e si sedette sulla solita poltrona. Adesso voleva vedere dove scappava la cerbiatta! Doveva per forza capitolare; fascino, potere e ora anche l'arte!
  Sherazade lo accolse con un sorriso radioso, Gaston si rincuorò, quello era un volto innamorato. Il gioco si stava facendo interessante per lui. Dopo i convenevoli e un tè, iniziò a declamare i suoi versi. Partì un po titubante, ma poi alla vista dell'espressione trasognata di lei, prese coraggio, sentendo il traguardo vicino. Aveva anche il tocco di classe, un prodotto che, spruzzato sul fazzoletto, produceva calde e copiose lacrime. Alla fine esausto, tutto piangente, inginocchiato davanti a lei, con fare romantico le rinnovellò la richiesta di poterla corteggiare.
  Sherazade rimase perplessa un momento, poi si avvicinò alla finestra aperta e stette a guardare il sole giocare nel parco. Quando si girò, il suo sguardo aveva una luce strana, lui non l'aveva mai vista così. I suoi begli occhi, prima tanto dolci, ora erano diventati due lame di buio. Quelle tenebre taglienti, penetrarono improvvisamente nella sua mente, con una tale irruenza che Gaston ne ebbe un contraccolpo. Stava li, bloccato da una forza irresistibile, mentre sentiva emergere incontrollatamente i suoi ricordi, in un vortice frenetico.
  Di colpo si ritrovò padrone di se stesso, Sherazade davanti a lui, aveva un'espressione disgustata, Gaston capì che la partita era persa, forse alcuni versi erano troppo osè, o Sherazade si era accorta del gioco del fazzoletto, non poteva dirlo. Una fredda ira emerse violenta in lui, avrebbe voluto spaccare tutto, doveva assolutamente avere quella ragazza, costasse quel che costasse. Estrasse con un gesto rapido la lama celata nel bastone da passeggio, e puntandola al petto della fanciulla, le ordinò di accettarlo come marito, o la vita, sua e dei suoi cari, sarebbe stata in pericolo.
  Sherazade lo guardava senza un accenno di paura, anzi Gaston sconcertato, notò compassione nel suo sguardo. Un trambusto alle sue spalle lo fece voltare, due energumeni in divisa lo stavano agguantando. Non fece in tempo a fare nulla, tanto rapidamente si svolsero le cose. Entrò in uno stato confusionale tale che anche i suoni arrivavano ovattati. Riusci solo a capire:”...... Gaston le Blan.......arresto.....omicidio...noto trafficante.....diamanti.....patibolo!
  Venne chiuso in malo modo nell'auto della polizia, che partì immediatamente. Ebbe appena il tempo, prima di impazzire di vedere il poeta, che, libro sottobraccio e aria lieta svoltava l'angolo del palazzo, in direzione della casa della bella Sherazade.

                                                                                                                                                    



 

 



                                                                                                                                                                                                                                                                 fine

Nota dell'autore: povero Gastone, andato per suonare e rimasto suonato... la giusta punizione per chi non ama l'Amore.

 

   
 
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