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Autore: Lothiriel_Indil    22/07/2013    2 recensioni
Raccolta di racconti ispirati a varie leggende giapponesi.
Genere: Drammatico, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Spesso ci si chiede cosa può spingere qualcuno a compiere pazzia o atti all’apparenza insensati.

Disperazione?

Mancanza della speranza del futuro?
Non solo. Ciò che spinse me a compiere quel gesto non aveva niente a che fare con questo genere di emozioni. A quel tempo ero una ragazza annoiata che viveva tra casa e scuola, passavo la mia vita sui libri e non avevo alcun amico.
Frequentavo un istituto femminile piuttosto prestigioso, le mie compagne erano per lo più figlie di politici di spicco o di persone note alla gente comune.

Io ero la figlia di un’attrice in voga in quel periodo. Inutile dire che fin da piccola vissi all’ombra di mia madre. Tutti, compresa lei, si aspettavano che prendessi la stessa strada, dopotutto ad occhi estranei la cosa poteva sembrare semplice.
C’era solo un problema: io non volevo fare l’attrice.
Così mi chiusi in me stessa e diventai “La ragazza del bando in fondo alla classe”. Ero poco nota tra le mie compagnie, molte delle quali non conoscevano nemmeno il mio nome.
La cosa non mi dispiaceva più di tanto, ormai mi ero abituata a quell’anonimato che si era venuto a creare nel corso del tempo. C’era soltanto un fattore che rendeva quella situazione alquanto fastidiosa: la noia.
Mi capitava spesso di ascoltare di nascosto i discorsi delle mie compagne di classe, quello era il periodo delle leggende metropolitane, in particolare sembravano essere appassionata per i racconti horror. Mi trovavo a sorridere per le idiozie che uscivano dalle loro labbra, chi poteva credere a storie del genere? I fantasmi esistevano solo nei film o nei libri, la realtà era per i vivi.
In verità quel giorno, nel compiere quel gesto, o semplicemente per la curiosità che mi aveva assalita, mi sentii alquanto stupida. Non ero quel genere di ragazzina che credeva a certe storielle. Forse volevo dimostrare a quelle ragazzine che il fantasma in questione non esisteva e il giorno dopo sarei entrata in classe gridando:”Stupide galline credulone! Sapevo che era una buffonata!”.
Quella mattina avevano parlato di Satoru-kun, un fantasma che, a quanto diceva la leggenda, aveva l’aspetto di un ragazzo e si presentava solo se chiamato per rispondere a una domanda.
Ovviamente c’erano diverse regole da seguire nel caso fosse veramente apparso: mai voltarsi a guardarlo, non osare toccarlo e non perdere tempo nel porgli la domanda.
In realtà non avevo ascoltato la storia al completo e non avevo idea di cosa sarebbe successo quando avessi posto la domanda o nel caso avessi infranto una delle regole, in realtà la questione non mi interessava più di tanto.
Finite le lezioni non mi diressi a casa, ma presi la strada per Shibuya, il quartiere dei divertimenti, lì avrei trovato quello che stavo cercando e nessuno mi avrebbe interrotto.
Entrai alla prima cabina telefonica, una di quelle ancora in vecchio stile e, dopo aver composto il mio numero di cellulare con i tasti ormai sbiaditi dal tempo, appoggia la cornetta all’orecchio e con l’altra mano risposi alla chiamata che arrivò al mio telefonino.
Satoru-kun, Satoru-kun, ti prego di venire qui. Satoru, Satoru, ti prego di mostrare te stesso. Satoru, Satoru, per favore rispondimi se ci sei.”, mormorai senza alcun timore e, senza perdere tempo ad ascoltare una possibile risposta, riposi la cornetta al suo posto e mi affrettai a spegnere il cellulare.
Un sospiro abbandonò le mie labbra e socchiudendo gli occhi mi appoggiai contro il vetro della cabina. A quell’ora il quartiere non era molto affollato, la maggior parte degli studenti erano ancora al doposcuola e gli impiegati al lavoro. In qualche modo potevo considerarmi sola lì dentro.
Uno squillo.
Il mio cuore sobbalzò e abbassai lo sguardo per vedere il cellulare che si era riacceso da solo e che stava squillando, segno che qualcuno mi stava chiamando. Deglutii rumorosamente e, con un certo timore, avvicinai l’apparecchio al mio orecchio per poter rispondere alla chiamata:”P-Pronto?”, domandai balbettando.
“Sono ad Akihabara.”, pronunciò una voce maschile per poi chiudere immediatamente la chiamata.
Tremante abbassai il cellulare e mi guardai intorno. Dovevo uscire di lì e nascondermi.
No, mi stavo facendo prendere dal panico e la cosa non andava per niente bene. Dovevo stare calma e ragionare su quella situazione, probabilmente si trattava di uno stupido scherzo.
Silenziosamente e con passo veloce abbandonai la cabina per incamminarmi verso la stazione.

Cosa avrei potuto farei? Rivolgermi a un poliziotto? No, chiunque mi avrebbe preso per una stupida ragazzina, proprio come le sue compagne. Io avevo fatto quella chiamata per dimostrare alle altre che si trattava di un’idiozia, non perché ci credevo.
Un altro squillo.
Socchiusi gli occhi e mi fermai sul marciapiede. Cliccando il tasto verde avvicinai nuovamente il cellulare all’orecchio e trattenni il respiro nel sentire quella stessa voce pronunciare:”Sono a Shibuya.”.
D’impulso presi a guardarmi in giro freneticamente.
La leggenda raccontava che in tutto dovevano essere tre gli squilli: il primo in cui Satoru-kun diceva dove si trovava, il secondo per avvisare che si stava avvicinando e il terzo…
Il terzo squillo.
Le lacrime presero a scorrere sulle mie pallide guance.
“No…”, mormorai e istintivamente premetti il tasto di risposta.
La voce che sentii in quel momento non arrivò dal cellulare, era troppo lontano, ma dalle mie spalle. Lentamente voltai il viso per scoprire chi avesse osato farmi quello scherzo e mi sentii raggelare il sangue nel vedere quel ragazzo che, a sua volta, mi osservava con i suoi occhi neri.
Un sorriso si dipinse sul suo volto, un ghignò inquietante che mi fece perdere ogni speranza di poter uscire da quella stupida situazione.
Nel giro di pochi secondi tutto intorno a me divenne nero.
L’oscurità mi avvolse.
Troppo tardi avevo capito che Satoru-kun era reale quanto me e la noia che mi aveva spinto a compiere quella pazzia.


Salve a tutti! Parto col dire che non sono un’amante del genere horror, anzi direi che  lo detesto, ma sono stata conquistata da alcune leggende riguardanti fantasmi giapponesi e da qui è nata la mia ispirazione.
Chiedo venia se i racconti sono un po’ banali, spero solo di non avermi annoiati.
Sono ben accette critiche di ogni genere, voglio solo migliorarmi!
A presto!

  
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