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Autore: Subutai Khan    23/07/2013    1 recensioni
Questa è l'idea più malata che mi sia mai venuta in testa, e chi mi segue conosce lo standard. Sì, è peggio di quella. E di quella. E pure di quell'altra.
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Shinichi Ono sta tornando a casa dopo una dura giornata scolastica. Per strada, in quel momento sgombra di altre forme di vita bipedi, incoccia contro un ragazzo che non ha mai visto prima.
Stringetevi per bene, saranno capriole.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akane Tendo, Genma Saotome, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Shan-pu
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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10 dicembre 2007.
Off. E anche questa pallosa giornata di scuola è finita.
Il preside Kuno ha cercato, ancora una volta, di raderci tutti a zero. Per fortuna l’ennesimo piano sgangherato di quell’uomo ridicolo ha rimediato un buco nell’acqua, come gli infiniti precedenti e gli altrettanti che seguiranno.
Un buco nell’acqua e un calcio in faccia da parte di quella virago di Haruka. La mia migliore amica è un gran bel soggettone, c’è proprio da dirlo.
Perché quel sacchetto di merda non se ne torna alle Hawaii lasciando il Furinkan in mano a una persona normale, mi chiedo? Cos’abbiamo fatto di male, come scuola, per meritarci una simile persecuzione? E non per forza alle Hawaii, anche in fondo a un vulcano attivo andrebbe benissimo.
Mamma mi ha raccontato che all’epoca anche zia Akane, zia Nabiki, Ranma, Ukyo e Kuno il kendoista pazzo hanno dovuto lottare contro quel cretino con le palme in testa. Brutta gente non cambia, pare.
Vabbè, pericolo allontanato per ora.
Tiro fuori il mio caro iPod dalla tasca e setto la riproduzione casuale. Anche se è un baraccone del 2002 mi serve fedelmente e, da bravo compagno di vita, per ora non ci pensa neppure a rompersi. I miei, poi, non me ne comprerebbero uno ultima generazione. Costa troppo, tsk. Assicurati di durare ancora un po’, bastardello.
Vediamo cosa offre il DJ.
Counterstrike? Non posso proprio lamentarmi.
Six days of fire, one day of rest, June ’67 taught them respect, control Jerusalem…
Tamarri svedesi che cantano della Guerra dei Sei Giorni. Cosa c’è di meglio per allietarsi il cammino mentre si torna a casa?
Sono talmente di buonumore che mi metto a fischiettare. Chiunque mi conosce potrebbe identificare questa situazione come un miracolo, visto che non fischietto mai.
Poi, in lontananza nella strada deserta, vedo un ragazzo che corre. Si avvicina veloce a dove mi trovo e riesco a vederlo in faccia: all’incirca della mia età, i capelli scuri tagliati corti e un aspetto orribile. Proprio in volto dico, appare disperato e... completamente sperduto.
“Tu!” mi indica. Meno male che tenevo il volume basso.
“Che c’è?” gli chiedo annoiato togliendomi un auricolare dall’orecchio.
“Cos’è successo all’Ucchan? Perché è in rovina? Dove sono finiti i miei genitori?”.
Eh? Cosa? Come? Perché?
“Aspetta, calmati”. Cerco di tenerlo fermo perché, oltre ad essere agitato a parole, lo è pure fisicamente. Si potrebbe pensare sia preda delle convulsioni.
“Fai un respiro, su” insisto. Ringrazia che sono di buzzo buono, altrimenti un bel Vaffanculo sul muso non te l’avrebbe risparmiato nessuno.
Da bravo ometto obbedisce e prova a recuperare un ritmo respiratorio più normale. Fa molta fatica, questo è fuori da ogni dubbio. Deve aver visto qualcosa che l’ha davvero sconvolto.
“Va un po’ meglio ora?” chiedo dopo qualche minuto.
“S-sì... un pochino, grazie”.
“Allora ti spiacerebbe spiegarmi di cosa farneticavi?”.
Mi guarda con gli occhi di uno che crede di essere caduto in un incubo, spalancati e increduli: “Come farneticavo? Casa mia... è praticamente diroccata”.
Non riesco a trattenere un rimarco sarcastico: “Beh, mi spiace per te se hai scelto di vivere in mezzo ai rifiuti, alla polvere e allo sporco. Quel posto è così da anni, oramai”.
“Da anni? DA ANNI?” alza il tono. Guarda che non sono sordo.
“Da anni” confermo con voce piatta “Sin da quando la sua proprietaria è morta, prima che io nascessi”.
E a questo sviene, cadendo verso di me. Non prima di aver assunto l’espressione dell’uomo ritratto ne L’Urlo di Munch.
Cazzo, non mi serve un bagaglio. Ho già la mia cartella.
Che faccio ora? Sono da solo e ‘sto tizio mi pesa addosso.
Non trovo niente di meglio che telefonare a casa ed avvisare che ho avuto un contrattempo, quindi farò tardi.
Mi viene da chiedermi perché mi sto prendendo a cuore la situazione quando potrei benissimo fottermene, buttarlo su un lato della strada e tornarmene alla mia vita. Ma c’è qualcosa in lui che mi spinge a non disinteressarmene. Non saprei dire cosa, ma c’è. Una sensazione indistinta, indefinita. Ma forte.
O forse, come mi capita sin troppo spesso, sono solo un curioso del cazzo che non sa farsi i fatti propri e vuole capire.
Poi, mentre cerco alla bell’e meglio di piazzarlo in una posizione comoda per trascinarlo, mi avvedo di un particolare quantomeno insolito: ha degli evidenti canini, quasi da vampiro.
Io ho già visto o sentito una cosa simile da qualche parte.
Oh.
“Ryoga Hibiki, il ragazzo dall’inesistente senso dell’orientamento e dai canini sporgenti, era giunto a Nerima per sistemare i conti con Ranma. Coincidenze strane avevano fatto in modo che poi continuasse a gravitare attorno al dojo Tendo”.
Parole di mamma per descrivere uno dei Sette. L’amico-nemico di Ranma, mi pare.
Che sia suo parente? Suo fratello? Suo nipote? Qualcosa del genere?
Forse sto solo galoppando con la fantasia. Ma la storia del ristorante degli okonomiyaki non mi torna per niente e stuzzica la mia solita, molesta curiosità.
Sarebbe da accertarsi che non sia sotto l’influenza di qualche sostanza strana, tipo la marijuana. O la candeggina.
Riesco a portarlo al parchetto più vicino, ad appoggiarlo su una panchina e a recuperare due lattine di qualcosa di analcolico da una macchinetta. Poi mi dedico all’opera di risveglio, che per fortuna di tutti è breve e indolore.
“Uh? Che diavolo... cheddiavoloèsuccesso?”.
“Sei svenuto”.
Si volta nella mia direzione, ancora evidentemente rincoglionito. Mi focalizza e salta spaventato all’indietro.
“Ehi, io non ti ho fatto nulla e non voglio fartelo. Sei al sicuro”.
“Certo, sono al sicuro. Specialmente dopo che mi hai detto che mia madre è morta”.
...
Sua... madre?
Sua madre era una dei Sette. Non c’è più da quasi vent’anni.
Trovo importante fargli una domanda ben precisa: “Scusa, ma tu come ti chiami?”.
“Akira Hibiki. Tu?”.
...
Ecco il perché dei canini, allora. Dev’essere un segno distintivo di quella famiglia.
“Shinichi Ono”.
“Hai lo stesso cognome del dottore. Sei un suo cugino?”.
“Cugino? È mio padre”.
“Impossibile, il dottor Tofu non ha figli. Non è neanche sposato”.
“Ah sul serio? E io chi sarei allora, il fantasma dell’opera? Inoltre, per tua informazione, è sposato da quindici anni”.
Puoi smetterla di far finta di ringhiarmi, sono scombussolato tanto quanto te.
Frena Shinichi, frena. Ragiona.
Innanzitutto consideriamo l’ipotesi che stia mentendo per chissà quale cazzo di ragione. Ciò non spiegherebbe perché è rimasto pesantemente disorientato quando gli ho detto che Ukyo Kuonji non è nel mondo dei vivi. È notizia vecchia ormai. E poi, ora che ci rifletto meglio... quanti diamine di anni ha costui?
“Akira, quanti anni hai?”.
“Sedici”.
Sedici? Questo non è solo impossibile, è esageratamente impossibile. Se quella che spaccia per sua madre è morta nel 1989, come può un suo ipotetico figlio avere sedici anni nel 2007?
Inoltre, se di cognome fa Hibiki, salvo sorprese impreviste... suo padre dovrebbe essere Ryoga. Mi sembra giusto, perché accontentarsi di un genitore inverosimile quando se ne possono avere due?
Figlio di due cadaveri decomposti. Dev’essere una sensazione inebriante.
La cosa peggiore è che non credo sia un pallista. È apparso veramente fuori di sé quando gli ho detto che Ukyo è morta.
Prendiamo per buono che sia sincero, resta il fatto che sta dicendo una quintalata di fregnacce. I suoi genitori che lo avrebbero concepito e avuto da spiriti; mio padre che non solo non sarebbe sposato ma non avrebbe figli, invalidando quindi la mia presenza...
Lo osservo di sottecchi e mi dà la sensazione di essere immerso a sua volta in calcoli ed elucubrazioni. Sempre presupponendo che non stia vomitando balle di proposito, anche a lui non torneranno un sacco di cose. Tipo come posso esistere se, a detta sua, Tofu Ono è single e senza prole.
“Hai detto di chiamarti Shinichi, giusto?” interrompe la calma.
“Sì, Shinichi”.
“Shinichi, devo chiederti una cosa”.
“Spara”.
“Che anno è?”.
“Oggi è il 10 dicembre 2007”.
Ed eccolo, il fuoco d’artificio definitivo: scatta in piedi puntandomi un dito addosso. La mano gli trema visibilmente.
“Sei un cazzo di bugiardo! Io sono nato nel 2009! Dovrebbe essere il 2025!”.
Oh, finalmente qualcosa di facilmente dimostrabile. Senza scompormi tiro fuori di tasca il mio cellulare e gli mostro il display, ben sapendo che recita la “mia” data.
Gli si spalanca la bocca. Non ha parole per controbattere, né aria per respirare.
“Cosa... cosa... cosa...”.
“Dice 2007, vero?”.
“S-s-s-s-ì...”.
“Te l’avevo detto io” piazzo lì una frecciata gratuita e antipatica. Non ci posso far nulla, sono fatto così e mi diverto così.
“Potresti... potresti averlo modificato... apposta... per fregarmi...”.
“Andiamo a prendere un giornale, allora”.
“Sì, andiamo...”.
Ci avviamo verso l’edicola appena fuori dal parchetto e, da bravo samaritano quale sono, pago io.
Gli porgo la copia dello Yomiuri Shinbun per la prova del nove.
Al centro, appena sotto il nome della testata, appare 10 dicembre 2007.
“Adesso mi credi, Akira?”.
“Tutto ciò... non ha il minimo senso...”.
“Per quanto mi riguarda neanche la tua esistenza ha il minimo senso” affermo mentre ci allontaniamo “Così come immagino la mia non ne abbia per te. Ci sono troppe circostanze che stonano, da una e dall’altra parte”.
Nessuno dei due aggiunge nulla per un po’. Siamo entrambi preoccupati, turbati e molto poco in possesso delle nostre facoltà mentali.
Lo conduco, ammetto in maniera involontaria, verso casa mia.
“È come” rompe il ghiaccio senza preavviso “è come se venissimo... da due mondi diversi...”.
E questa sua frase buttata lì, immagino senza il minimo intento di serietà, mi apre le porte dell’illuminazione.
Se il Torneo si è svolto fra combattenti di realtà parallele... perché non è possibile che lui venga da una delle suddette realtà parallele?
“Akira?”.
“Che c’è?”.
“Mi è appena venuta in mente una possibile spiegazione per tutti questi errori e incongruenze. Però prima avrei bisogno che tu mi dicessi tutto della tua vita, dei tuoi parenti, dei loro amici, degli amici degli amici”.
“Perché?”.
“Fallo e basta, cazzo. O non vuoi capire cosa ti sta succedendo?”.
“Pffff. Va bene, va bene. Mi chiamo Akira Hibiki e sono nato a Nerima il 4 dicembre del 2009 da Ukyo Kuonji e Ryoga Hibiki. I miei, tonti come sono, hanno convissuto per tipo trent’anni prima di sposarsi. Si sono messi assieme dopo che Akane Tendo e Ranma Saotome si erano sposati perché Ukyo era cotta di Ranma e Ryoga di Akane. Con i loro sogni romantici infranti rischiavano seriamente di perdersi in loro stessi e nella loro solitudine, ma hanno trovato conforto l’uno nell’altra e si sono innamorati. E per fortuna sono riusciti ad aggiustare i problemi del passato e adesso sono quattro cinquantenni che vanno in vacanza assieme e si trovano tutte le settimane per il poker, dove Ranma dimostra la sua inesauribile scarsezza”.
I quattro nomi che ha pronunciato mi provocano quattro fitte di dolore, e naturalmente la fitta più forte arriva da zia Akane.
Sento la fiamma di qualcosa che non credo mi piacerà: invidia.
“Shinichi, stai bene? Sei pallido”.
Inspiro prima di rispondergli: “Sì, sto bene. Vai avanti”.
“Ok. Ranma e Akane hanno una figlia, Misaki, che ha quattordici anni più di me e mi sta addestrando nelle arti marziali. Ci sono poi i cinesi Shan-Pu e Mousse con la loro figliola Lian-Fu... e cos’altro...”.
“Basta così, è sufficiente”.
Sì, gli ho fatto esporre tutto questo solo per soddisfare quel figlio di puttana del mio desiderio di conoscere.
Incredibile. È proprio un altro mondo, totalmente. Gente per me morta che respira e ha eredi. E mio padre scapolo e senza figli.
Eppure io abito in una realtà in cui sette ragazzi -anzi, sei ragazzi e una vecchia tricentenaria- hanno sacrificato la propria vita contro persone che venivano da altri universi. Una cosa del genere, per quanto inconcepibile, posso accettarla. A fatica ma posso accettarla.
“Allora, questa ipotesi?” mi chiede, ridestandomi dai miei pensieri.
“Oh, sì. Ascolta, prima di parlartene vorrei farti chiacchierare con una persona. Tu conosci il Nekohanten, vero?”.
“Ha chiuso quando ero piccolo ma sì, so che esisteva un posto del genere. Perché?”.
“Mi piacerebbe che tu scambiassi due parole con Shan-Pu”.
“Con Shan-Pu?”.
“Capirai al momento giusto. Andiamo”.
Credo sia la scelta più opportuna. In quanto unica testimone oculare del Torneo, chi meglio di lei potrebbe spiegargli la mia teoria?
Ci incamminiamo, di nuovo immersi nel silenzio. Ho come la sensazione di non essergli troppo simpatico, anche se forse sono l’unico faro che ha in questo ambiente a lui ostile e sconosciuto. Stando alle sue convinzioni non è nemmeno ancora nato.
E io? Sono ancora un po’ invidioso del fatto che lui... lui li conosce. Dice di conoscerli. I suoi genitori, mia zia, Ranma. Sono facce familiari nella sua testa e non nella mia. So qualcosa di loro tramite i racconti di mamma, ma non ho nessun ricordo vissuto in prima persona. Per quanto, tranne un paio, non è che neanche abbia tutta questa smania... punge comunque.
Ok, basta con queste stronzate.
Ci vogliono una decina di minuti e finalmente arriviamo.
Toh, zia Shan-Pu è all’esterno e sta parlando con qualcuno. Qualcuno che... mi sembra di riconoscere, anche se siamo abbastanza lontani.
Alla mia destra sento un gemito: “G-Genma?”.
Mi giro nella sua direzione: “Akira?”.
“Io... io non credo... a quel che vedo...”.
“Che ti succede?”.
“Genma... Genma è morto...”.
Alé, altre cose sballate.
Più ci avviciniamo e più lo focalizzo ed è... diverso rispetto alla visita che ci ha fatto un paio di mesi fa: sembra più giovane, ma ha i baffi e degli occhiali spessissimi, molto più di quelli che indossava l’ultima volta. Però sì, direi che è indubbiamente lui.
Arriviamo accanto a loro e quel che sento è parecchio strano. Come se non mi fosse già capitata una grana non indifferente: “Shan-Pu, ti prego. Fammi parlare con tua nonna, è importante”.
“Genma, non so cosa tu abbia fatto nel periodo in cui sei stato lontano ma se questo è uno scherzo è davvero di pessimo gusto. Sai benissimo cos’è successo a mia nonna”.
“No che non lo so. Anzi, è per questo che le devo parlare”.
“Piantala. Sul serio, non è divertente”.
Vedo una massa abnorme di ulteriori cazzi portarsi sopra le nostre teste e minacciare di cagare giù di tutto. Perché Shan-Pu ha ragione, Genma non può ignorare cos’è successo alla vecchia. Porca troia, io so di quel casino perché è stato lui a introdurmici.
“Shinichi” mi sussurra Akira all’orecchio “da quando Shan-Pu sa parlare così bene il giapponese? E da quando è così giovane?”.
“Te lo chiedo come piacere personale” rispondo altrettanto a bassa voce “Se noti un particolare differente da come te lo ricordi tienitelo per te e ne parliamo dopo, ok? Altrimenti facciamo notte”.
“Va bene, va bene. Ti piace fare il piccolo boss, eh?”.
Scrollo le spalle. Può essere. Forse perché normalmente vengo maltrattato da quel macho mancato di Haruka.
La mia parente acquisita preferita si accorge di noi e mi saluta con affetto. Meno di un secondo dopo punta un dito inquisitore in direzione di Akira e fa: “E lui chi è? Un amico tuo?”.
Tossicchio prima di risponderle: “Non esattamente. Possiamo entrare? Avremmo delle cose da chiederti”.
“Ehi, bambocci!” si scalda Genma “Mettetevi in fila, c’ero prima io. E poi chi diavolo siete voialtri? Tu li conosci, Shan-Pu?”.
Ah, nemmeno mi riconosci?
Uhm. Aspetta un secondo.
Ha chiesto di avere una discussione con la vecchia Obaba, che in quanto membro di quel gruppo di magnifici suicidi non è qui e non può rispondergli. E questo Genma Saotome non può non saperlo, proprio non può. Ma manco per il cazzo.
Vuoi vedere che...
“Genma, mi sai dire che anno è?”.
“Che domande fai, ragazzo? È il...” e tentenna.
“Dimmi pure, non ti mangio”.
“Il 1989, mi sembra chiaro”.
Sì, ti sembra chiaro. Persin banale, perché trattenersi.
Ci terrei ad aggiungere agli sguardi frastornati di Shan-Pu e Akira il mio, ma mi sa di averci azzeccato.
“Zia Shan-Pu, ti spiacerebbe farci entrare tutti e tre?” prendo in mano la situazione.
Non trova nulla da ridire. E vorrei anche vedere.
Una volta seduti attorno a un tavolo...
“Bene Shinichi, che ne dici di spiegarci cosa cavolo sta succedendo oggi?”.
“Volentieri” rispondo assumendo la tipica posizione di Gendo Ikari, quella col mento appoggiato sulle mani incrociate “Vedi cara Shan-Pu, ho incontrato il qui presente Akira poco fa per strada e quel che mi ha riferito... beh, diciamo che non credevo alle mie fottute orecchie non descrive del tutto la mia situazione. Ad esempio, con tuo sommo stupore, voleva sapere cos’è successo all’Okonomiyaki Ucchan”.
E scoppia a ridere. Ossantoddio, non è proprio il caso.
“Per favore, cerca di evitare. È un argomento delicato per lui”. Mi sorprende sentirmi dire certe cose. Non credevo di aver sviluppato un tale grado di empatia con questo sconosciuto che, se ho ragione, viene da un altro mondo.
“Uh?” si interrompe dalla sua crisi di risarola isterica “Cosa vuol dire che è un argomento delicato? Quel ristorante è in rovina da un pezzo. Sai di cosa sto parlando”.
“Sì, io lo so. Lui no”.
“Come lui no? Non è un fatto successo ieri”.
“Akira, puoi gentilmente ripetere a Shan-Pu quello che hai detto a me prima? La tua biografia, per capirci”.
Esegue.
Al termine del racconto ci manca tanto così che gli occhi di Shan-Pu scappino dalle loro orbite. E, buttando un occhiata furtiva a Genma, lo stesso vale per lui.
“A te dà la sensazione che stia mentendo, Shan-Pu?”.
La vedo assumere un atteggiamento vagamente dubbioso ma, se ho imparato a riconoscere un po’ la sua mimica facciale, non del tutto incredulo.
“Mah. Sai che non sono granché brava a riconoscere i bugiardi, ma onestamente non mi sembra proprio” risponde grattandosi la testa.
“Neanche a me”.
“Certo che non sto mentendo, bastardi che non siete altro!” scoppia dall’incazzatura, con tanto di manata sul tavolo. Ehi tipo, calmati. Qua nessuno ti sta accusando di nulla, al contrario.
“Mettiamo che sia così, Akira. Non stai mentendo. Allora come giustifichi la differenza di date e di informazioni in possesso mio e di Shan-Pu rispetto alle tue? Perché, fidati, neanche lei crede sia il 2025”.
“Confermo”.
E improvvisamente si trasforma in un pulcino bagnato: “Non... non lo so, davvero non lo so...”.
“Neanch’io ne avevo idea, fino a quando non hai detto una cosa particolare”.
“Cosa?”.
“Hai buttato lì quella frase sui mondi diversi”.
Gli occhi di Shan-Pu si illuminano. Brava zietta, vedo che hai afferrato.
“F-fammi capire bene, Shinichi” comincia balbettando “vorresti intendere che loro...”.
“Non lo so. Sei tu l’esperta di mondi paralleli. L’unica ancora in vita, quantomeno”.
Naturalmente gli altri due ci restituiscono due facce da ma che cazzo vi siete fumati voi, l’asfalto? e non posso negare che, in condizioni normali, li capirei fin troppo bene.
“Shan-Pu” riprendo dopo un microsecondo di calma “ti spiace spiegare ai nostri ospiti del Torneo, in particolare di quella nota a margine sulla provenienza degli avversari? Ah, e ti scongiuro: tatto”. Non che voglia sparlare di lei, ma quella dote le è sempre mancata.
Sentendo l’attenzione comune focalizzata su di sé si schiarisce la voce e comincia: “Se l’intuizione di Shinichi fosse giusta, e se lo fosse spiegherebbe praticamente tutto, voi non appartenete a questo mondo ma venite da realtà parallele in cui, com’è evidente, le cose sono andate in maniera molto diversa rispetto a qui. Perché qui Ranma Saotome, Akane Tendo, Mu-Si, mia nonna Ku-Lun, Tatewaki Kuno, Ukyo Kuonji e Ryoga Hibiki sono morti da parecchio tempo. Per la precisione diciotto anni fa, nel 1989”.
“Perché dovremmo credere a una stupidaggine del genere, si può sapere?” chiede Genma, moderatamente alterato. In effetti, rispetto ad Akira, non ha in mano assolutamente nessun elemento che possa dar credito a questa storia.
Shan-Pu alza le mani in un gesto di arrendevolezza: “Se non vuoi libero di farlo, anche perché non ho niente che possa provarlo incontrovertibilmente. Però lasciate che vi dica questo: nel Torneo, che è la causa per cui quei sette non sono qui con noi ora, i partecipanti dovevano affrontare e sconfiggere in combattimento guerrieri provenienti da realtà parallele con in palio la sopravvivenza del proprio piano d’esistenza. Per essere più chiara: chi perdeva si portava nell’aldilà il proprio mondo. E questo l’ho sentito dalle mie stesse orecchie quando Jun, l’entità che li ha guidati, lo ha spiegato a tutti loro. Già, ero presente. Così come ero presente a ogni loro scontro”.
“Conosco questa sensazione” mormora Genma, molto più quieto.
“Quale sensazione?” intervengo.
“La sensazione di dire la verità senza poterla dimostrare, con tutti coloro che ti circondano che non esitano a contestarti e mettere in dubbio quel che affermi a ogni piè sospinto. E ciò nonostante tu non stia per niente cercando di raccontar frottole”.
“Sono nella tua stessa identica posizione, Genma. Quel che ho esposto è la verità per questo mondo, che voi ci crediate o meno è indifferente. Se però foste così carini da farlo ci eviteremmo tutti un bel po’ di problemi, non pensi?”.
“Quindi, se hai detto che diciotto anni fa era il 1989 ora...”.
“2007, già”.
“Oh santo cielo, ho in testa un macello che non avete idea”.
“Lo stesso varrà per Akira. E anche per noi due, non è che siamo più belli”.
“No, vi assicuro che il mio è peggio”.
“E perché lo sarebbe?”.
“Perché, presupponendo che questa baggianata delle realtà parallele sia vera, nel mio mondo io ho viaggiato indietro nel tempo. Prima di questo casino mi trovavo nel mio 1989, ma provengo da dieci anni più tardi”.
“Eh?” è il coro di domande che tutti e tre gli rivolgiamo.
“Visto che siamo in vena di grandi confessioni devo mostrarvi una cosa. Vi pregherei di allacciare le cinture di sicurezza, sarà una roba molto poco piacevole”.
Ciò detto si leva gli occhiali.
Alla faccia del cazzo incatramato.
Quest’uomo... non ha gli occhi. Due buchi neri, vuoti.
Se li rimette in fretta.
“Ve l’avevo detto io” commenta vedendo Akira semi-svenuto sul tavolo, la testa retta solo da una mano molle.
“Che... che cos'era quello?”.
“Vedete, nel mio 1999 succederà una cosa terrificante che porterà allo sterminio dell’intera famiglia Tendo-Saotome. Per pura fortuna sono scampato e ho visto di persona tutti loro, morti nelle maniere peggiori che eviterò di raccontarvi nelle specifiche. Soverchiato dall’orrore non ho trovato niente di meglio che appoggiarmi alla nobile Obaba per poter tornare nel passato, capire la causa di quel massacro e se possibile evitarlo. Per la faccenda degli occhi... Shan-Pu, tu conosci l’Artiglio della Chimera?”.
“Mia nonna ti ha lasciato usare l’Artiglio? Ma dico, è impazzita?”.
“No. L’ho implorata con tutte le mie forze, volevo... dovevo farlo”.
“Allora capisco il tuo... problema”.
“Oh wow...” mi lascio scappare. Immagino di essere palesemente esterrefatto da quanto abbiamo appena sentito.
“Tu non hai nessuna storia truce, Akira? Tanto per rimanere in scia” gli chiedo in tono scherzoso. Lui scuote la testa, evidente come sia contento di non condividere una situazione simile.
“Fortunello” esce a Genma e a Shan-Pu in contemporanea. Lei aggiunge “Se riuscissimo a scoprire come, penso che ogni tanto verrei a visitare il tuo mondo”.
“Hai sollevato un punto interessante, zia: il come. Come hanno fatto loro due a capitare qui? Non c’entrerà mica il tuo amico Jun?”.
“Mai più visto sin dallo scontro di Akane. E poi che senso avrebbe prendere persone da mondi diversi e trasportarle qui per un ipotetico secondo Torneo, se lo scopo è che la nostra realtà presenti i propri campioni a sua difesa? Non regge”.
“No, in effetti sarebbe troppo campato per aria...”.
Devo capire, ora è una questione di principio. Non esiste mistero che Shinichi Ono, nella migliore tradizione di quei minchioni di Scooby Doo, non possa risolvere. “Gente, non è che magari avete percepito qualcosa di strano? Non so, tipo che siete svenuti e vi siete ritrovati in un posto che non vi era familiare, o... che ne so... qualcosa così, insomma”.
“No, niente del genere” liquida Genma.
“Io invece sì...” risponde Akira.
Ecco, raccontaci tutto.
“Dimmi, dimmi”.
“Stavo camminando per strada, tornavo a casa. A un certo punto ho sentito come... non so come definirlo, una specie di... sfasamento. Per qualche secondo ho tremato. E dopo, ora che mi ci fai riflettere, l’ambiente attorno a me era leggermente diverso. Particolari, come il colore differente di un segnale stradale o lo stile datato della scritta di un’insegna. Non capisco perché, ma il mio cervello ha deciso che questi dettagli non erano importanti e ha scelto di ignorarli. Forse anche perché mi sono quasi subito trovato davanti l’Ucchan con l’ingresso sprangato”.
È un inizio. Stentato e senza troppo senso per chi non è pratico di viaggi fra i piani di esistenza, ma è un inizio.
Mai come ora rimpiango l’assenza di Obaba. Stando a quanto mi hanno raccontato era una vera esperta di caratura mondiale per eventi strani come questo e sicuramente avrebbe saputo tirar fuori qualche spiegazione dal cilindro.
Cazzi. Lei non c’è, toccherà a noi.
“Signori” dichiara Shan-Pu alzandosi in piedi “mi spiace essere scortese, ma fra non molto il locale apre e devo mettermi al lavoro. Vi devo chiedere di lasciarmi campo libero, per favore”.
“Va bene. Perché, finché non troviamo una soluzione a questo problema, voi due non venite a stare da me?”.
“Non vedo alternative migliori” concede Genma, e Akira conferma subito dopo. D’altronde, fossi in loro, prenderei al volo qualsiasi mano allungata nella mia direzione. Dev’essere parecchio fastidioso trovarsi in un posto che assomiglia a quello che ti ricordi ma sai perfettamente non esserlo, e dove tutte le iterazioni e la gente che conosci non ci sono o ci sono in forma profondamente diversa.
“Mi raccomando Shinichi, tienimi aggiornata su questo affare” dice mentre ci accompagna all'uscita.
“Contaci. Ti ho tirata in ballo e non ti lascio all’oscuro”.
“Bravo ragazzo. Ah, e fintanto che non si risolverà le nostre lezioni sono ufficialmente sospese”.
“Ricevuto, signora”.
SBAM.
Guarda che nessuno ti paga per sfondarti la porta, furba che non sei altro.
“Facci strada, Shinichi”.
“Penso che in realtà non serva, Akira. Da quel che ho capito entrambi sapete dove si trova il dojo Tendo”.
“Sì, ovvio”.
“Idem io visto che ci abito... abitavo... abiterò. Quel che l’è”.
“Ecco, sto lì. Mia madre l’ha ereditato quando è venuto a mancare mio nonno e ci si è stabilita con la famiglia”.
“Una curiosità che ho sin da quando ci siamo conosciuti, Shinichi: chi è tua madre?”.
“Kasumi”.
“Davvero?”.
“Eh, capisco che ti possa suonare strano se nel tuo mondo il dottor Tofu è single. Qui si è sposato con lei pochi anni dopo il Torneo”.
“Non è tanto lo sposarsi, quanto il fatto che abbia figli...”.
“Ragazzo, Kasumi Tendo può avere figli da due sole fonti: Tofu Ono o lo Spirito Santo” commenta sarcastico Genma, non mancando di notare lo sguardo istupidito mio e di Akira.
“Lasciamo stare, non è niente che vi serva davvero capire”.
Proseguiamo.
Ok, finalmente a casa.
“Tadaima. Ci sono... ospiti” urlo al mio solito. Nessuna risposta.
Poi, improvvisamente, la porta della cucina si spalanca.
Ne esce...
...
...
...
No, non credo a quel che sto vedendo.
“Oh, finalmente è arrivato qualcuno! Kasumi è svenuta e io... chi siete voi? Signor... Genma?”.
Mi sa che seguirò mamma nel fatato mondo dell'incoscienza.
Prima di perdere i sensi sento Genma che esclama: “A-Akane? Cosa... cosa ti è successo in faccia?”.



Note dell'autore
Sì, è vero. Di solito non perdo tempo con 'ste cose, ma qui sono a dir poco fondamentali. Perché, nel caso chi legga non lo abbia capito da sé, ho fatto un mischione di almeno quattro canon differenti.
C'è Shinichi Ono, voce narrante di questo primo capitolo, che viene dalla saga di Bokurano 1/2. C'è Akira Hibiki, protagonista di un paio di shot della raccolta Tetto dell'Ospizio. C'è il Genma Saotome di Rocamboliche Avventure. E soprattutto, in chiusura, appare l'Akane Tendo di Mysterious Secrets post-combattimento amazzone. Si ringrazia la socia Mana Sputachu per avermi concesso l'usufrutto di un personaggio anche suo.
Ok, quel che avevo da dire l'ho detto. Circolare, circolare, non c'è più nulla da vedere qui.
   
 
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