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Autore: Mirin    23/07/2013    3 recensioni
«Io e lei siamo facce della stessa medaglia, Temari» sospirò, una vellutata nota di rassegnazione e consapevolezza «complementari, certo, ma mai destinate ad incontrarsi nonostante siano appiccicate.»
[...]
Perché non era riuscito a comportarsi così con Ino? Perché non aveva fermato il tempo come in quel momento e l’aveva abbracciata, perché non le aveva fatto capire che lui c’era e partecipava al suo dolore, che riusciva a comprenderlo?
[...]
Si domandò, inoltre, perché parlava di lei in modo così distaccato quando sentiva che i dorsi delle loro mani -a due centimetri di distanza- formicolavano, attraversati da intense scariche elettriche.
SHIKAMARUCENTRIC|ShikaIno|post-guerra|tributetonickelback.
A Fra, perché manca solo un mese.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Shikamaru Nara, Yoshino Nara | Coppie: Shikamaru/Ino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Ad una pazza come te, a cui solo questo posso regalare.
Pensa che fra un mese, a quest’ora ti starai asciugando da un mio gavettone a sorpresa.
Goditi questo schifo.

It isn’t the love of a hero, and that’s why I fear it won’t do.

Shikamaru si era avviato, come tutti i suoi compagni e concittadini, sulla strada verso Konoha. Camminava di fianco ad Ino, la quale si ostinava a sorridere e a rispondere personalmente alle domande rivolte al chunin.
Quando per l’ennesima volta si era voltato per guardarla, aveva notato la sua espressione tirata.
«Che hai?» le chiese con la solita biascicata strafottenza, gli occhi fissi sul baldacchino di foglie che copriva il cielo.
«Stavo pensando a… Yoshino-san» ammise nostalgica, facendolo fermare, stupito.
«Perché pensi a mia madre?» le domandò. Stavolta fece fatica a nascondere la sua preoccupazione, era talmente ovvia da farla ridere -anche se quella risata suonava stanca e triste.
«Quando tornerò a casa, non avrò nessun cuore in frantumi da riaggiustare.»
Shikamaru si rabbuiò: la madre di Ino era morta molti anni prima e lei aveva sempre giocato il ruolo della donna di casa, con Inoichi che doveva sottostare alle sue decisioni da piccola donna e a cui era impedito di coccolare la propria bambina -perché Ino, bambina, non lo era mai stata.
«Mentre tu» riprese, dopo una leggera esitazione «dovrai stare accanto a Yoshino-san.»
Shikamaru ghignò con amarezza: «sembra destino per me essere portatore di cattive notizie come questa.»
Ino dovette rifletterci qualche secondo, poi fremette.
«Kurenai-sensei…» mormorò, più flebile del proprio respiro.
«Già» confermò laconico, infilando le mani in tasca con il suo tipico fare scocciato. Accelerò il passo: non voleva discutere di quell’argomento, soprattutto con Ino. Il fatto era che lui non poteva credere che quelle stupide cicatrici non avrebbero più fatto parte della sua vita e faceva fatica a digerire la nuova. Gli mancava già, quel vecchio pazzo.
Gli mancava suo padre, da morire.
«Shika?» la voce di Ino lo frenò ancora una volta. Si girò verso di lei con lentezza e i loro sguardi persi, un po’ vuoti ma pieni di lacrime invisibili, si fronteggiarono nuovamente. Ogni volta che era successo, uno dei due voleva prevalere, voleva dimostrarsi più forte, ma in quell’occasione il fato di entrambi sembrava segnato: la sconfitta. Chi poteva mai prevalere, d’altronde, in quel girotondo di sofferenze e dipartite?
«Siile vicino, per favore» Ino lo pregava di non lasciare sola sua madre. Come poteva un essere umano avere un cuore così grande? Shikamaru l’avrebbe presa a schiaffi, se avesse potuto.
“E a te chi ci pensa? Nessuno, come al solito. Nemmeno tu.”
«Assomigli tanto a lui, sai?» Ino rise di nuovo, ma con meno tristezza. Shikamaru era confuso: perché si metteva a filosofeggiare in quel momento?
«Non deludermi, Shika, Yoshino-san ha bisogno di te. Ci si vede a Konoha!» lo salutò energica. Gli batté una mano sulla spalla e corse per raggiungere Sakura. Non appena la vide le si buttò addosso, provocando le grida irate -“SHANNARO, INO-BUTA!”-  di quella. La risata di Ino fu udibile persino a lui, che sorrise mentre scuoteva la testa: quella ragazza era un vero tornado.
Il suo sguardo si assottigliò e la sua mano destra si chiuse nella propria tasca -attorno all’accendino di uno dei suoi mentori- quando le parole della ragazza riecheggiarono nella sua testa.
Pensò a Shikaku, il loro salvatore, il martire sacrificato per la loro vita. Pensò ad Ao e Mabui, due ninja efficienti che erano morti per permettere all’Alleanza di andare avanti. Pensò a lui e una mano incandescente gli soffocò il cuore: Inoichi. Quante volte lo aveva visto vezzeggiare la sua principessa, trattarla come l’oggetto più prezioso che possedesse? Gli era rimasta solo lei così come lei aveva solo suo padre. Ora, morto.
«Come mai questo muso lungo, crybaby?» Temari lo riscosse dalla sua trance. Si girò verso di lei e le fece un cenno debole con il mento, riprendendo a camminare.
«Non dovresti essere con le truppe di Suna?» le domandò.
«Questo tratto di strada è comune. Ho visto la tua ragazza che ti piantava in asso e allora mi è sembrato carino passare a salutare» gli spiegò con la sua solita aria d’importanza, un ghigno canzonatorio sul volto.
«Sai, vero, che fai schifo a consolare?» le rinfacciò Shikamaru con sardonico divertimento.
«Uno cerca di essere gentile e tu lo insulti. Ora capisco perché la tua ragazza ti ha mollato, sei noioso, Nara» sbottò, falsamente innervosita. Si capiva che mentiva perché nonostante tutto gli rimaneva vicino.
«Non è la mia ragazza» chiarì inacidito, la testa incassata fra le spalle.
«Ti piacerebbe, eh?» si vedeva che Temari si stava impegnando per fargli passare il malumore. Shikamaru apprezzò molto i suoi sforzi ma così non faceva altro che peggiorare le cose.
«Grazie Temari ma, davvero, non ho voglia di scherzare ora» la congedo con stanchezza. Temari affilò lo sguardo, truce.
«Cavolo, sei proprio preso» commentò lei, fischiando. Osservò la biondina che ciarlava con il tizio con i tatuaggi e Naruto, il quale aveva un arto di Sasuke attorno al collo. «Complimenti, è davvero un bello schianto» disse ammirata «un po’ troppo magra ma è molto carina. Però probabilmente questo lo sai già» rifletté. L’amico le appariva smunto, smorto, ancora più annoiato e scontroso del solito; la feriva vederlo in quello stato, a modo suo gli voleva bene e desiderava ogni bene per lui. Con una piccola fitta, si ricordò che anche quella ragazzina -le sembrava si chiamasse Ino, ma non ci avrebbe scommesso- aveva perso il padre nel medesimo modo del Nara.
Shikamaru rialzò gli occhi ed osservò la lunga coda di Ino che dondolava sulla sua schiena. Bella, già. Dannatamente bella, ma irraggiungibile, come negli ultimi sedici anni. Dopo la morte dei loro genitori non c’era stata una volta in cui avesse smesso di pensare a lei e a quelle lacrime che lui non aveva potuto asciugare, al trattamento freddo ed imparziale che le aveva riservato anziché l’abbraccio con cui avrebbe voluto stringerla. Avevano combattuto fianco a fianco, avevano rischiato la morte insieme, Ino era sbocciata di fronte ai suoi occhi e si era dimostrata ancora una volta la roccia inamovibile della sua esistenza, ancora una volta aveva dato prova di essere il collante resistente della sua realtà che rischiava di andare in pezzi ogni stramaledettissimo giorno.
Sapeva da sempre di amarla, così come sapeva da sempre che non avrebbe mai avuto il coraggio di guardare quegli occhi blu e confessarglielo, confessare che aveva bisogno di lei da una vita intera. Era sempre stato un codardo, a differenza di suo padre: ecco il motivo per cui non gli assomigliava, non avrebbe mai potuto assomigliargli.
«Io e lei siamo facce della stessa medaglia, Temari» sospirò, una vellutata nota di rassegnazione e consapevolezza «complementari, certo, ma mai destinate ad incontrarsi nonostante siano appiccicate.»
«Se ci fosse stato tuo padre qui, ti avrebbe già mandato a calci da lei a dichiararti, ma ok, fa come ti pare. Ci si vede, Shikamaru» Temari concluse la sua tirata con un lieve colpetto sul braccio del ragazzo. Aveva riconosciuto quell’espressione: l’arrendevolezza. Si era arreso contro il destino e non aveva intenzione di lottare. Si chiese se avesse mai lottato, per quella Ino. Se avesse mai lottato, per il suo amore.
 
 

Your very own lullaby.

Yoshino lo aspettava davanti alla porta, sul volto la consapevolezza. Lui non c’era e Shikamaru era più rigido di uno stoccafisso.
«Mamma…» attaccò Shikamaru, con una specie di tono solenne ma al contempo esitante: durante tutto il viaggio non aveva fatto altro che prepararsi quel discorso ed ormai lo conosceva a memoria, eppure lo sguardo di sua madre gli stava bucando l’anima come acido.
«La notizia non è ancora trapelata a Konoha, però… il Juubi ha… distrutto il Quartier Generale dell’Alleanza e… Shikaku, insieme ad Inoichi-san, è… rimasto c-coinvolto» Shikamaru si morse la lingua per tutte gli indugi di cui aveva infarcito quel semplice periodo.
«Capisco» Yoshino si morse la lingua per la propria inadeguatezza. Suo figlio le stava dicendo che suo marito -suo padre- era morto e lei non faceva altro che mormorare flebilmente “capisco”. Perché non era caduta in ginocchio e si disperava? Perché non faceva la brava moglie e si dibatteva dal dolore? Perché ancora una volta rimaneva impassibile di fronte al dolore che le stava risucchiando l’anima centimetro per centimetro?
«Un ninja stringe un patto con la morte appena accetta il coprifronte» rise lei, ricordando le parole che Shikaku le aveva rivolto prima di uscire di casa, diretto alla magione di Tsunade.
Gli aveva dato oppure no un bacio prima di partire? D’improvviso, le parve blasfemo non ricordarlo. Il suo pizzetto -quel dannato pizzetto che non era mai riuscita a fargli tagliare- le aveva graffiato il mento, prima di perderlo per sempre?
«Mamma?» la voce di Shikamaru non era mai stata così fioca. Alzò lo sguardo verso di lui -quando aveva abbassato il viso?- e gli sorrise, in attesa.
«Mamma…» ripeté, allungando una mano verso il volto di Yoshino. Il sorriso minacciò di incrinarsi, si accartocciò su sé stesso e si allungo verso le sue labbra; le morse, si fece male, in modo da non scoppiare a piangere. Dalla sua gola si fece strada a dolorose unghiate un suono gutturale, che le lasciò una scia sanguinante di dolore acuto e rovente.
Aveva abbracciato Shikaku? Gli ricordato che lo amava e che non desiderava nient’altro che stargli accanto? Lo aveva ringraziato ancora una volta per averle donato quella vita splendida e quel figlio meraviglioso? Gli aveva detto che lui l’aveva resa una donna straordinaria? Gli aveva stretto la mano? Gli aveva sorriso nel modo in cui gli piaceva tanto?
Shikamaru, gli occhi lucidissimi, la strinse a sé e soffocò i suoi gemiti. Si unì a lei in quella manifestazione di cordoglio estremo e impastò i suoi capelli con le proprie lacrime.
Yoshino si aggrappò alle spalle forti di suo figlio -del suo ometto- e pianse. Pianse, sebbene le lacrime alimentassero il fiume della sofferenza e finissero con il distruggere la diga della sua dignità. Fu in quel momento che Yoshino premette la testa nell’incavo delle clavicole del suo bambino e gridò, gridò contro l’ingiustizia di quel mondo che le aveva portato via il suo Shikaku, che si era accanita contro il suo piccolo Shikamaru e che gli aveva strappato prima il suo secondo padre, poi quello vero.
Già moriva dalla mancanza del suo Shicchan. Come avrebbe fatto quella notte a sopravvivere da sola nel letto freddo con la consapevolezza che nessun’altro l’avrebbe mai più riempito? Come poteva sopravvivere al pensiero che la voce roca di Shikaku non avrebbe più cantilenato nessuna ninnananna per farla dormire? “Come riesci a costringermi a fare addirittura questo?” borbottava poco prima di iniziare a canticchiare stonato qualche verso a caso. Quella ninnananna aveva sempre saputo di pace e conforto, sensazioni che Yoshino ormai non avrebbe mai più conosciuto senza l’amore della sua vita.
«Watashi no Shicchan» bisbigliò infine, come soffocata da tutta quella sofferenza.
Shikamaru, udendola, la avvolse più forte contro di sé e la dondolò, invitandola a sfogarsi ancora.
Perché non era riuscito a comportarsi così con Ino? Perché non aveva fermato il tempo come in quel momento e l’aveva abbracciata, perché non le aveva fatto capire che lui c’era e partecipava al suo dolore, che riusciva a comprenderlo?
Yoshino avvertì la sua improvvisa rigidità, così una mano si staccò dal suo torace e cercò la sua guancia per accarezzarla.
«Sei incredibile, Yocchan» Yoshino sobbalzò a quel nomignolo e sorrise nel mare di lacrime: nessuno l’avrebbe mai pronunciato come lui, ma sentire un tale segno di affetto dalle labbra del suo Shikamaru le scaldava il cuore, anche se la sua voce era rotta dal pianto.
«Nonostante tu stia soffrendo come un cane, cerchi sempre di consolare gli altri» il nodo alla gola era così stretto da strozzarlo, ciò nondimeno gli impediva di stuzzicarla.
«Tu sei il mio Shikamaru-chan. Questa vecchia strega è pur sempre tua madre» gli ricordò con superiorità palesemente finta, senza smettere di lambire dolcemente la sua guancia ispida.
Ormai il suo Shikamaru-chan si avviava a diventare un uomo, proprio come suo padre. Gli somigliava così tanto e lei era fiera di lui, sapeva che nonostante tutto avrebbero superato anche quello scoglio gigantesco e minaccioso, insieme.
«Lui avrebbe voluto che ti proteggessi, non che mi comportassi come il solito moccioso che va a nascondersi dietro le gonne degli adulti» rimarcò con rancore. Yoshino gli afferrò il volto con entrambe le mani e lo costrinse a guardarla negli occhi. Entrambi avevano il viso rigato di lacrime -le quali ancora scendevano copiose- e le loro iridi, dello stesso colore, si specchiarono le une nelle altre.
«Non sei un moccioso, Shikamaru. Lui era orgoglioso di te, e lo sono anche io. Quello stupido avrebbe voluto che tu mi stessi accanto, proprio come stai facendo: non ho bisogno di essere protetta da nessuno, tantomeno da un idiota come un Nara» ribatté. Il sorriso che mostrò a Shikamaru finalmente rese meno sibilline le parole di suo padre. Capì che era possibile sposare una donna soltanto per il suo sorriso, perché quello di Yoshino non aveva eguali nell’intero universo.
«Sei anche tu una Nara» le ricordò, pedante. Yoshino tornò ad appoggiare la testa sul petto di Shikamaru: il cuore di suo figlio martellava ancora molto forte e sembrava che ad ogni battito diffondesse in lui il veleno urticante della solitudine. Per alleviare quella sensazione, tornò a circondare la sua schiena robusta.
«Non ho mai detto di non essere un’idiota» gli rammentò, inzuppandogli ancora il giubbotto polveroso.
Trascorsero altri minuti così, avvinti in quella dolce stretta, vinti dall’amarezza ma non per questo decisi ad abbandonare le armi.
«Mi dispiace per non avertelo mai detto prima, mamma, ma sappi che ti voglio bene» mormorò Shikamaru. Il muscolo cardiaco di Yoshino perse un battito prima di ricominciare a frantumarle le costole.
«Oh, Shikamaru» sospirò, mentre un senso anestetizzante addormentava per qualche secondo la sua somma tristezza «anche io ti voglio bene.»
Shikamaru infilò una mano fra i suoi capelli e li baciò con dolcezza. Quanto gli appariva fragile in quell’istante la donna che aveva sempre considerato una tiranna!
«Andrà tutto bene, mamma» le disse sottovoce «ce la caveremo. Anche lui ne era certo.»
Yoshino annuì.
«Entriamo, metto il tè a bollire e tu vai a sciacquarti la faccia, lo so che non sopporti farti vedere piagnucolare da una femmina
Shikamaru ghignò e Yoshino rise, una risata probabilmente non squillante, ma di certo viva, o qualcosa del genere.
Forse non avrebbe mai più annegato i brutti sogni nel petto di Shikaku e lui non le avrebbe biascicato parole dolci ed improperi mezzo addormentato, ma lei avrebbe continuato a coltivare quel ricordo. Sarebbe vissuto per sempre nella memoria della sua donna.
Chissà se avrebbe trovato seccante anche quello.
Yoshino si ripromise di chiederglielo, quando sarebbe stato il momento.
 
 

If today was your last day.

Il sole splendeva, quel diciannove Settembre. Shikamaru, a dispetto del clima caldo, non avvertiva altro che gelo oltre la sua casacca nera e lunga. Quello era il suo primo funerale dopo la morte del Sandaime; in fondo, quello del suo maestro l’aveva saltato perché in cerca di sé stesso e l’ultimo saluto a suo padre erano le uniche esequie che richiedevano la sua partecipazione.
Yoshino si dirigeva a passo lento, calmo, verso la lapide di pietra grigia. Anche a dodici metri di distanza Shikamaru riusciva a scorgere le lettere che componevano il nome di suo padre, quasi fossero marchiate a fuoco sulla sua retina. Choji, a distanza di qualche jonin a lui sconosciuto, piangeva in maniera silenziosa nel suo tovagliolo di stoffa. Chouza, il viso contratto per impedire alle lacrime di solcarlo, gli cingeva le spalle con un braccio e la signora Akimichi teneva gli occhi incollati su Yoshino, il labbro inferiore stretto fra i denti e la schiena spezzata dai singhiozzi.
Quella scena fece stringere il cuore a Shikamaru, che tornò in fretta a guardare il triste e solitario corteo di sua madre. In mano stringeva un mazzo di fiori, così Shikamaru si chiese se Ino avesse dovuto lavorare anche quel giorno. Si domandò, inoltre, perché parlava di lei in modo così distaccato quando sentiva che i dorsi delle loro mani -a due centimetri di distanza- formicolavano, attraversati da intense scariche elettriche. La esaminò con la coda dell’occhio: era così fiera, così dritta, così composta, come una leonessa acciaccata ma mai, per questo, meno orgogliosa.
Ino, sentendosi studiata, roteò lentamente lo sguardo su di lui con un espressione dubbiosa.
Imbarazzato, fece un cenno poco compromettente con il capo a cui Ino rispose con un segno d’assenso. Yoshino, poco dopo, posò i fiori sulla tomba e si inginocchiò. Pareva serena, quasi avesse trovato una sorta di instabile equilibrio interiore, e accarezzò la lastra fredda con dolcezza.
Sulle sue labbra secche lesse un “ciao Shikaku” che lo fece rabbrividire. Da un po’ di tempo a quella parte, Shikamaru si era scoperto molto suscettibile al pronunciare il nome di suo padre, gli faceva ballare di brividi la spina dorsale; era come se il suo nome lo evocasse, rendesse ancora più vivida e reale la sua morte, che già aleggiava come un fantasma nella sua casa e nel suo spirito.
Dopo qualche minuto di preghiera, Yoshino rifece il percorso al contrario, il viso basso ed i capelli che le oscuravano la fronte, appoggiandosi infine alla sua clavicola e separandolo da Ino. Shikamaru, con un gesto automatico, serrò le sue spalle strette in un abbraccio vigoroso. La donna gli accarezzò il petto con una mano, come ad infondergli coraggio. Allungò poi il braccio sinistro nella stessa direzione, in modo da accarezzare la tempia di Ino.
«Forza, Ino-chan, puoi farcela» le mormorò all’orecchio dopo essersi allontanata di poco da Shikamaru.
Ino, ferma -come poteva un essere umano avere la sua tempra morale?-, annuì e Shikamaru giurò addirittura di avere scorto sulle sue labbra pallide l’ombra di un quasi-sorriso.
Ino, le mani che avvolgevano il piccolo bouquet di fresie e viole, si avviò verso il sepolcro dell’ultima persona rimastale.
La vista di Shikamaru si appannò allo scorgere la ragazza minuta e magra che lentamente camminava fra l’erba bassa con il naso per aria. Non era quella la marcia che Ino doveva compiere; doveva marciare in chiesa, nel suo abito bianco e radioso, stretta al braccio di suo padre. Choji non avrebbe dovuto piangere nel fazzoletto la morte di due uomini così vicini a lui, ma l’unione dei suoi migliori amici. Shikamaru non sarebbe dovuto stare dietro, ma di fronte a lei, sorridendole senza nessuna preoccupazione.
Invece la pena attanagliava la gabbia toracica di Shikamaru, la riempiva di acqua gelata, di dolore ed incapacità di agire, incapacità di frenare quella follia, incapacità di restare vicino ad Ino, incapacità di prenderle la mano e dirle “ti amo”. Cosa diavolo gli importava di quanto suonava sbagliato? A che servivano sette anni di repressione per quel sentimento infido se l’unico effetto era quello di fargliela amare ancora di più?
La ragazza si piegò sulle ginocchia e depositò i fiori sulla tomba di suo padre. Passò molto tempo, ma Ino non accennava ad allontanarsi. Il cimitero -quanto era orribile soltanto il nome, di quel dannato luogo!- iniziò piano a svuotarsi. Molti compagni di suo padre passarono a colpirgli la spalla e a stringere il braccio di Yoshino. Iniziava ad odiare quei convenevoli: perché diavolo non sparivano tutti? Ormai la bella figura l’avevano fatta, potevano anche togliere il disturbo.
«Shikamaru, andiamo ora» gli disse sua madre in un sussurro. Aveva visto, forse, le sue occhiaie calcate? O la microscopica lacrima che era scivolata lenta sulla sua guancia?
Shikamaru annuì e si girò verso il cancello in ferro battuto, pieno di riccioli vaporosi e decorazioni floreali.
Un vento inusuale per quella giornata rovente passò a spazzare il prato curato, sollevando le prime foglie marroncine e friabili. Con sé portò l’aroma dolce delle fresie e Shikamaru fu pronto a mettere la mano su fuoco che la raffica fredda avesse trascinato nella foga anche un singhiozzo discreto e femminile.
Forse era abbastanza codardo da uccidere i suoi sentimenti per Ino, ma mai, mai, mai, a lasciarla sola in quella situazione così precaria, intrappolata nella sua fragilità e nella sua stupidità -perché soltanto uno stupido non chiede aiuto mentre brucia.
«Scusa mamma, prima devo fare una cosa» si accomiatò. Le impresse un bacio timido sulla fronte e la lasciò alle cure di Choza.
Choji fece per seguirlo ma lui lo fermò con un gesto del capo. L’amico comprese e rimase indietro.
Con il cuore che tamburellava impazzito fra le costole, avanzò frettoloso attraverso le centinaia di lapidi alla ricerca di una certa bionda. Si fermò a qualche passo da lei, indeciso su cosa dire e come comportarsi: per la prima volta gli mancavano le parole per raccontarle il proprio dolore, per la prima volta non aveva idea di cosa fare per far capire ad Ino che lui c’era e che non se ne sarebbe andato così presto.
«E se oggi fosse il tuo ultimo giorno?» esordì Ino senza voltarsi. Si stupì solo per un secondo che sapesse della sua presenza, poi ricordò che quella era Ino e con Ino non bisognava farsi tante domande: Ino era onnipotente -perché se qualcuno non le obbediva lo gonfiava di botte- ed onnisciente -perché se qualcuno stava male, lei era la prima a saperlo.
«Credo che starei sul prato dietro casa tua a guardare le nuvole per tutto il tempo» rispose, le mani che per riflesso si congiungevano dietro la nuca e gli occhi incollati al cielo azzurro.
«Hai la vitalità di un bruco rintanato in una crisalide» lo rimproverò.
«Cosa faresti tu, allora?» ribatté tranquillo, sedendosi dietro di lei.
Shikamaru notò i muscoli di Ino irrigidirsi. «Non lo so, e questo mi spaventa.»
«Non morirai domani, Ino» affermò Shikamaru, una durezza non voluta nella voce: pensare alla morte lo intimidiva, lo faceva sentire troppo piccolo in quel momento dove non desiderava altro che sentirsi robusto abbastanza da caricarsi addosso anche la solitudine ed il dolore della sua compagna di squadra.
«Ma potrebbe succedere!» disse lei, frustrata, finalmente fronteggiandolo. Una sola traccia umida spiccava contro la sua gote marmorea, abbastanza da far perdere a Shikamaru tutta la sua faccia tosta. Cosa ci faceva là? Perché aveva voluto fare l’eroe, lui, il primo a scappar via, quando non aveva neanche la forza per pensare di andare avanti?
«I-io…» balbettò, colto alla sprovvista. Ino, rassegnata, abbassò il volto.
«Scusami» mormorò, stringendo convulsamente la stoffa dell’abito nero per impedirsi di piangere.
«No, hai ragione» la bloccò. Vigliacco o no, era pur sempre un uomo, e non poteva comportarsi in quel modo, da sbarbatello infantile, davanti ad una donna -ed il fatto che avrebbe voluto sua quella donna era soltanto un aggravio.
«La vita di un ninja è sempre in ballo e tutti rischiamo di morire da un momento all’altro» rispose lui. Teneva gli occhi fissi sui capelli biondi di Ino e ringraziava il cielo di non doversi specchiare in quel manto azzurro mentre affrontava un discorso troppo importante per qualcuno come lui.
«Io, te e Choji ci siamo andati molto vicino in tante occasioni, lo sai» proseguì, dopo una breve pausa «e abbiamo visto la falce nera di Thanatos fin troppo spesso. Asuma, mio padre, il tuo…»
Ino rialzò il viso niveo e lo studiò. Shikamaru si accorse che in fin dei conti non era tanto male guardarla, bearsi delle sfumature celesti delle sue iridi, amarla per quella sua capacità di imprimere in ogni espressione il suo stato d’animo -e quella boccuccia a forma di “o” lo stava implorando di baciarla.
«Troppi se ne sono andati davanti a noi, Ino, ed ognuno di loro ci ha insegnato che ogni giorno è un dono, non un diritto» riprese, dopo averle sorriso con una certezza che lui non aveva. Sapeva solo che in quell’istante desiderava rassicurarla e darle conforto, dimostrarsi l’uomo che non era mai riuscito ad essere.
«Quindi non è così grave non sapere come riempire l’ultimo giorno della propria vita, l’importante è ricordarsi di ringraziare quei grandi uomini per averci insegnato a vivere, una volta che li avremo raggiunti» concluse, rialzandosi e battendosi i vestiti sporchi d’erba. Provvisto della sua tipica maschera di strafottenza, allungò una mano verso Ino per aiutarla a fare lo stesso.
«Credo che ti farei compagnia, su quel prato» affermò ridente. Afferrò la mano di Shikamaru ma anziché limitarsi a tirarsi su, si tirò contro il suo petto e lo soffocò in un abbraccio intriso di paura e sofferenza.
Gli stava esplicitamente chiedendo di essere per qualche minuto il pilastro portante della sua vita sconvolta e Shikamaru non si sarebbe di certo tirato indietro.
La strinse di rimando e avvicinò il volto alla piega del collo della ragazza per starle più vicino, il più vicino possibile, come se d’improvviso entrambi sentissero il peso delle loro vite macchiate dalle perdite e cercassero il modo di rendersi più forti fondendosi l’uno con l’altra.
Sentiva le dita di Ino aggrapparsi alla sua casacca e il suo respiro sul torace, vicino al cuore.
Quante volte aveva desiderato tenerla così?
Avrebbe più potuto rinunciare a quel contatto oramai che sapeva quanto potesse essere fantastico?
Incastrò una mano fra i suoi capelli lunghi, ingabbiati in quella coda perfetta, e la maledì per non averli lasciati sciolti neanche quella volta. Era diverso da quello che aveva sentito con Yoshino: quando l’aveva fatto con sua madre, lo faceva per consolare lei, non sé stesso.
Il respiro di Ino si fece più insicuro, aritmico, fuori tono.
«Rimango qui con te quanto vuoi, seccatura» le promise, e gli suonò stranamente rincuorante.
Ino, intendendolo allo stesso modo, si allacciò ancora di più a lui. Ogni loro particella era in contatto, il loro dolore era intensificato da una sensazione che, paradosso, riusciva anche ad alleviarlo: l’unione, la certezza che in quel momento fossero una cosa sola.
Era l’occasione perfetta per confessarle i suoi sentimenti ma gli pareva irrispettoso farlo in un cimitero, sotto i cipressi.
«Ti voglio bene, Shika» sussurrò pianissimo, quasi pentendosi di quello che le era sfuggito dalle labbra.
Lui sorrise con amarezza.
«Lo so, seccatura.»


ladie’s a gentleman! (author’s corner):
Ma quanto la posso odiare questa fiction? Ma boh. Mi ha richiesto due giorni di lavoro, quindi non è un granché, inoltre la trama è banale e senza senso alcuno. Al solito, è principalmente Shikamaru POV -ma ormai riesco a scrivere solo questo- e ‘sto Shika è fin troppo OOC per i miei gusti -e la mia precaria salute mentale. Oh, per chi se lo stesse chiedendo, “watashi no” è il costrutto giapponese per dire “mio” (e Yocchan e Shicchan sono sotto il copyright di eleanor89, li ho rubati a lei). Questa fiction è anche detta “la fic dei punti interrogativi” perché in 4273 parole, la metà sono domande, però (FOLLIA!) c’è un perché: qui, oltre allo ShikaIno (e lo ShikaIno c’è, perché anche se Shika non se ne accorge e Ino lo nasconde -vedesi quel “ti voglio bene” di cui si pente perché voleva dire tutt’altro e quel respiro mozzo alle sue carezze-, lei è innamorata di lui) lo ShikaYoshi, lo ShikaTema FRIENDSHIP (che Fra non mi perdonerà mai), volevo mettere in risalto l’incapacità delle persone di ricordare che la vita è un dono e non un diritto (“each days is a gift, not a given right”), cosa su cui Shikamaru riflette alla fine.
Avevo detto nella scorsa fic che mi sarei temporaneamente ritirata dallo ShikaIno e rimarco questa decisione, soprattutto dopo questa fic che davvero non è ““““““““““degna”””””””””” dei miei precedenti risultati, che per quanto facciano schifo non sono una chiazza di vomito come questo.
Oltre a un regalo per la mia Fra, questo vuole essere un piccolo tributo ai Nickelback, gruppo che amo e che mi accompagna da tutta la vita e un regalino a tutte le mosche bianche -come tutti i miei precedenti scritti!-, nonché un regalo al White Flies Crusade che oggi compie un mese! :’) so proud of him.
Che dire se non amore imperituro ai lettori e venerazioni ai recensori?
Giusto: ti voglio bene, lampina.
Kiss,
la vostra svampita Ladie.
   
 
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