Fandom: Star Trek (Reboot
cinematografico)
Genere: fantascienza, romantico
Tipo: one shot
Personaggi: James T. Kirk, Spock, Leonard H.
McCoy, Nyota Uhura
Coppia: pre-slash
Pairing: Spock/Kirk
Rating: PG, verde, K
PoV: terza persona
Avvertimenti: movieverse, OOC
Spoiler: sì, sul finale di “Star Trek - Into Darkness”
Disclaimers: i personaggi non sono miei, ma di Gene Roddenberry (J.J. Abrams). I personaggi e gli eventi in questo racconto
sono utilizzati senza scopo di lucro.
Sogno
di Bombay
Nella
stanza l’unico rumore era il basso ronzare delle macchine che monitoravano i
parametri vitali di Kirk.
La
porta scorrevole della stanza sibilò e si aprì.
“È
ancora qui” la voce del dottor McCoy lo raggiunse. Quella del medico non era
una domanda, forse più un rimprovero.
“È
fuori pericolo e si sveglierà, ma ci vorrà del tempo” l’aveva rassicurato una
settimana prima.
“Aspetterò”
aveva risposto monocorde.
“Potrebbero
volerci giorni” cercò di convincerlo.
“Voglio
essere qui quando aprirà gli occhi.”
“Per
fare cosa? Dirgli di quanto sia stato avventato il suo gesto, ma di come abbia
salvato tutti noi?”
“Forse.”
Il
dottore si affaccendò attorno al letto, ignorando il primo ufficiale. Era
inutile provarci non sarebbe riuscito a convincere il comandante a lasciare
quella camera, non c’era riuscito nessuno di loro.
“Le
serve qualcosa, signor Spock?”
“No.”
Con
un sospiro rassegnato il medico lasciò la stanza.
Solo
quando sentì la porta chiudersi, il vulcaniano si alzò dalla poltrona e si
avvicinò al letto, guardandolo per l’ennesima volta, attendendo che le sue
palpebre tremassero e si aprissero, ma questo non accadde.
Si
ritrovò a pensare ancora a quel giorno, alle sensazioni e alle emozioni che
aveva provato. Le aveva analizzate tutte una ad una,
nelle lunghe notti insonni mentre vegliava il capitano.
Ed
era arrivato a un’unica sconcertante rivelazione.
Quando
lo aveva visto dietro quella porta, avrebbe voluto buttare giù il vetro a pugni
pur di tirarlo fuori da quell’inferno, ma non poteva compromettere tutta la
nave e l’equipaggio. Così lo aveva visto spegnersi sotto i suoi occhi, non si
era mai sentito tanto impotente come in quel momento.
Il vetro che separava le loro mani in quell’estremo ed
intimo saluto.
Come
a riflesso di quel momento prese una mano nella sua ed
intrecciò le dita con quelle del capitano, poteva avvertine il lieve calore.
Ricordava
la sua espressione spaventata e il tumulto del suo cuore quando la mano di Kirk
era scivolata lungo il vetro, priva di vita.
Quel
giorno la sua mente si era spenta ed un unico folle
pensiero affollava la sua testa: uccidere Khan.
Aveva
cercato di ricostruire i momenti dell’inseguimento, ma erano frammentati ed incompleti.
Ricordava però la soddisfazione che aveva provato nel colpire Khan e, se Nyota non lo
avesse fermato, lo avrebbe massacrato a dispetto di tutto, perché a causa sua
Jim Kirk era morto… il suo capitano.
“Jim…”
lo chiamò piano, ma questi non rispose, ignaro della sua presenza al suo
fianco.
Quando
McCoy aveva iniettato il siero nel corpo di Kirk, era rimasto con il fiato
sospeso, aveva vagliato un’infinità di possibilità negative tra cui che il
fisico di dell’umano rigettasse il sangue del
potenziato.
C’erano stati un paio di momenti critici, ma il capitano li
aveva superati e poi si era stabilizzato.
Spinto
da quei sentimenti che aveva represso per tutta la vita, avvicinò il viso a
quello del giovane capitano, poteva avvertirne il suo respiro quieto.
Posò
le labbra su quelle socchiuse dell’altro le assaggiò come si assapora un frutto
raro. Provò un brivido lungo la schiena ed una
sensazione di calore nel proprio petto.
Con
il tenente Uhura non c’era mai stato nulla del genere.
Nyota…
doveva parlare con lei, avevano trascorso dei piacevoli momenti insieme, ma ora
le loro strade si dividevano.
Passò
un giorno e poi un altro, McCoy ignorava la presenza del primo ufficiale era
inutile ripetergli sempre le stesse cose.
Quando
fosse crollato sfinito, allora lui si sarebbe fatto una grossa grassa risata e
poi lo avrebbe soccorso.
Quel
pomeriggio, quando il dottore uscì dalla camera, ne entrò il tenente Uhura.
“Ciao”
lo salutò con un sorriso accostandosi al letto di Kirk, osservandolo con
dolcezza.
“Quando
l’ho incontrato la prima volta, non avrei mai creduto che uno scapestrato come
lui, un giorno, avrebbe fatto un gesto tanto eroico, salvandoci tutti” mormorò
piano.
“Scapestrato?”
“Sì,
ha cercato di abbordarmi e poi è stato coinvolto in una rissa con alcuni
cadetti. È stato il giorno prima del reclutamento.”
“Uno stupido biondino ha cercato di
adescarmi, ma non gli è andata tanto bene, non sei un po’ geloso?”
“Ti
ricordi le mie parole.”
“Lo
stupido biondino era Kirk.”
“Già.
Chi avrebbe mai detto che saremmo tutti finiti sull’Enterprise?”
“Le
probabilità che questo accadesse erano molto alte visto che…”
“Spock
questa non è matematica” lo interruppe voltandosi verso di lui che avvertì la
sua rabbia travolgerlo. Nyota tirò un lungo respiro per calmarsi.
“Se
non è matematica allora cos’è?” chiese calmo anche se
immaginava quale sarebbe stata la risposta della donna.
“Destino.”
Appunto.
“Anche
fosse destino, come sostieni tu, il nostro è cambiato a causa degli avvenimenti
avvenuti venticinque anni fa.”
Nyota
strinse le labbra e la sua espressione si indurì.
Spock sembrava non voler capire.
“Questa
sera Chekov, Sulu, Scott, la dottoressa Marcus ed io, ci troviamo
per andare a mangiare qualcosa insieme. Ci raggiungerà anche
McCoy, vuoi unirti a noi?” domandò cambiando discorso.
“No”
rispose lapidario, senza nemmeno riflettere sulla proposta.
Il
tenente Uhura non si aspettava niente di diverso, si trovavano nella stessa
stanza, ma erano lontani anni luce.
“Ehi…”
lo chiamò accostandosi a lui “Se hai bisogno di qualcosa, di qualunque cosa,
basta chiedere” tentò posandogli una mano sulla spalla.
- Ho bisogno che lui si svegli - fu quello il suo pensiero irrazionale “Non mi serve
nulla, ti ringrazio” affermò osservando Kirk immobile nel letto, poi come se si
fosse ricordato solo in quel momento della presenza del tenente, si volse verso
di lei.
“Dobbiamo
parlare, Nyota” annunciò fissandola negli occhi e la ragazza sentì un groppo
nello stomaco “Di noi.”
La
giovane donna annuì e le sue labbra tremarono un momento.
“Lo
so…” rispose posandogli un bacio sulla guancia.
Buio e voci vorticavano intorno a lui.
Voci dal presente, dal passato.
Volti amati, conosciuti, perduti.
Le stelle dell’universo, del suo amato spazio, tutto
in un vorticare confuso e caotico, ma c’era una certezza, una solida presenza:
Spock.
Aprì
gli occhi di scatto e inspirò profondamente.
Dove
si trovava? Il nucleo, l’Enterprise, le radiazioni, Spock che piangeva, la sua mano sul vetro.
Morte…
vita…
“Ehi
non fare il melodrammatico, eri solo un po’ morto”
la voce di Bones lo riportò alla realtà.
Era
in un letto, in ospedale, sulla Terra probabilmente.
Leonard
continuava a parlare, spiegandogli di come fosse stato incosciente per due
settimane a causa e grazie al sangue di Khan.
“Come
lo hai preso?”
“Non
sono stato io” ammise spostandosi.
Non
sapeva come, ma nel momento in cui aveva aperto gli occhi, sapeva che Spock era
lì, era troppo confuso per accorgersene subito, ma sapeva
che era in quella stanza.
Spock
attese paziente e in disparte che McCoy si accertasse delle condizioni del
paziente.
“Mi
ha salvato la vita…” mormorò Kirk.
“Anche
Uhura ed io non siamo stati con le mani in mano, sai?”
protestò bonariamente il dottore.
“Lei
l’ha salvata a me capitano, come a tutti coloro che…”
“Spock,
voglio solo dirle grazie.”
“È
stato un piacere, Jim.”
I
loro occhi rimasero fissi l’uno nell’altro fino a quando McCoy non si frappose
fra loro per controllare una volta ancora i parametri vitali di Kirk.
“Leonard,
puoi lasciarci soli un momento?” domandò con voce stanca.
Il
medico lo guardò con aria interrogativa, spostò lo sguardo sul primo ufficiale
e poi annuì.
“Vado
a dare la buona novella agli altri, siamo stati tutti in pena per te sappilo” bofonchiò e continuando a borbottare
uscì.
“Signor
Spock.”
“Capitano.”
“Ho
fatto un sogno strano…” mormorò piano.
“Vuole
raccontarmelo” domandò avvicinandosi.
Il
capitano diede un colpetto al materasso e Spock raccolse l’invito di sedersi.
Kirk abbassò lo sguardo, non riusciva a sostenere quello scuro e indagatore del
suo vice.
Prima
di dire qualunque cosa Kirk sollevò la mano e senza esitazione alcuna, Spock
posò la sua su quella dell’altro.
Questa
volta non c’era un vetro tra loro e nemmeno radiazioni che stavano uccidendo
Kirk.
“Ho
avuto paura… non ho mai provato nulla del genere”
ammise Jim ricordando la terribile sensazione.
“La sua presenza però, mi ha rasserenato un po’. Non mi ha lasciato morire da solo”
aggiunse mentre una lacrima scendeva lenta sullo zigomo.
Spock
raccolse quella goccia sulla punta delle dita, come fosse rugiada colta da una
foglia.
“Credo
di comprendere quello che ha provato perché l’ho sentito anch’io e poi l’ho
sfogato in modo poco consono su Khan” spiegò stemperando sulle dita, l’umidità
delle lacrime di Kirk.
“Poco
consono?”
“L’ho
preso a pugni…” confessò con un misto di imbarazzo e
vergogna.
Kirk
sorrise divertito avrebbe proprio voluto vederlo.
“Ero
arrabbiato… addolorato e volevo… vendetta” spiegò e l’ultima parola la sussurrò
appena vergognandosi profondamente.
“Sono
tante emozioni in una sola volta…” costatò Kirk cercando di stemperare
l’atmosfera seria del discorso.
“Già
e sei stato tu a scatenarle” ammise
tornando a guardarlo negli occhi.
Quanto
erano costate quelle parole al suo primo ufficiale? Prima che Kirk potesse dire
o fare qualunque cosa Spock riprese a parlare.
“Mi
ha detto che aveva fatto un sogno strano” la sua voce era tornata neutra e
ferma, aveva ripreso le distanze tra loro in un momento, anche sul suo volto
non si leggeva niente.
Jim
tentennò, forse aveva frainteso, forse Spock non sentiva quello che provava
lui. Quell’esperienza li aveva avvicinati un po’ di più, aveva saldato la loro
amicizia… forse si trattava solo di questo dopotutto.
“Non
me lo ricordo più” mentì spudoratamente.
Prima
che Spock potesse dire qualcosa, la porta si aprì con un sibilo fecero il loro
ingresso Scotty, Chekov, Sulu, Uhura e per ultimo McCoy.
Spock
si alzò di scatto e si diresse alla finestra fissando la pioggerellina che
cadeva oltre il vetro.
“Capitano”
lo salutarono, scattando sull’attenti e facendo il
saluto militare.
“Riposo, signori. Non siamo sul ponte di comando dell’Enterprise” replicò con il suo
solito tono gioviale ed allegro.
Scotty gli si avvicinò con fare minaccioso: “Sappia
che è solo perché è convalescente nel letto di un ospedale che non le do un
pugno” sputò arrabbiato “Non mi faccia più uno scherzo del genere, Jim. Il mio cuore non reggerebbe a un altro spavento di
questa portata.”
“Ho salvato la nave e tutto l’equipaggio, non c’era
molta scelta, ci saremmo schiantati, facendo altre vittime oltre ai presenti
sulla nave. Com’è
che ha detto signor Spock?” domandò voltandosi verso il comandante che ancora
guardava fuori dalla finestra.
“Le
esigenze di molti contano più di quelle di pochi.”
“Non
scherzi su queste cose, capitano” lo redarguì duramente il tenente Uhura.
“Ehi,
se lo dice Spock va bene, se lo dico io no?” la prese
in giro strizzando un occhio.
“No,
non va bene in nessuno dei due casi” brontolò.
“Forse
sarebbe il caso che lasciaste riposare il capitano Kirk” intervenne il
vulcaniano parlando per la prima volta dall’ingresso degli altri ufficiali.
“Lei
è stato qui per due settimane quasi ininterrottamente
e noi non possiamo stare cinque minuti. È nostro capitano
tanto quanto suo” brontolò Chekov dando voce ai pensieri di tutti i presenti.
Il
primo ufficiale si volse verso il guardiamarina, che abbassò lo sguardo
arrossendo, rendendosi conto di aver parlato in modo inappropriato a un suo
diretto superiore; il vulcaniano non ribatté, tutti loro erano ancora scossi per quanto era accaduto.
Con
la coda dell’occhio colse l’espressione di stupore sul volto di Jim.
Prima
che qualcun altro potesse dire qualcosa, la porta si aprì ed entrò la dottoressa
Carol Marcus, zoppicava un poco, ma sembrava stare bene.
Kirk
sorrise ora c’erano proprio tutti, il suo equipaggio,
no la sua famiglia; era bello sentirsi così amato.
“Sta
bene dottoressa?” chiese, gli eventi erano precipitati da quando Khan li aveva
teletrasportati sull’Enterprise.
La
donna annuì con un dolce e schietto sorriso.
“Mi
dispiace per suo padre.”
“Anche
a me, ma purtroppo le azioni che ha commesso lo hanno
portato a quell’epilogo” disse ed il suo sorriso si spense.
“Detesto dare ragione al primo ufficiale scientifico,
ma il tempo della visita è finito.
Su, su tutti fuori” ordinò McCoy, aprendo la porta e facendo
cenno loro di lasciare la stanza.
Ognuno
salutò e uscì; il tenente Uhura cercò di catturare lo sguardo di Spock, ma
questi era immobile davanti alla finestra, con un tremulo sospiro seguì Carol.
“Anche
lei, Spock” lo invitò, ma questi non si mosse “È un ordine come medico.”
L’ufficiale
si volse stava sicuramente per rimbattere, ma Leonard
lo precedette.
“Da
quanto non fa un pasto decente e dorme più di qualche sporadico momento?”
“Sono
un vulcaniano posso…”
“Sì,
sì lo so. Ho studiato la vostra razza, ma ha un limite anche lei e credo
l’abbia raggiunto quindi si congedi.”
Spock
rimase un momento interdetto su da farsi, desiderava parlare ancora con Jim, ma
il dottore era irremovibile, inoltre doveva ammettere che ora che il capitano
era sveglio, sentiva la stanchezza di quei giorni sopraffarlo.
Volse
la testa verso il giovane che aveva osservato la scena in silenzio.
“Vada
pure Spock, sto bene… avremo tempo per parlare…” lo rassicurò.
La
porta si chiuse alle spalle dell’ufficiale che lasciò quella stanza dopo due
settimane.
“Testardo
vulcaniano” sbottò avvicinandosi e controllando il monitor.
“È
sempre rimasto qui?” domandò Kirk.
“Sì,
non si è praticamente mai allontanato, nessuno è
riuscito a convincerlo ad andarsene anche per un po’, nemmeno il tenente
Uhura.”
Kirk
chiuse gli occhi e un sorriso gli piegò le labbra.
Il
suono del cicalino della porta penetrò la sua coscienza, a fatica riemerse dal
sonno. Guardò l’orologio aveva dormito solo un’ora. Il cicalino suonò ancora si
alzò e si vestì in fretta.
Quindi
sbloccò la porta e l’aprì.
Il tenente Uhura lo fissava preoccupata “Va tutto bene? Non hai risposto alle chiamate e ora non mi aprivi.”
Spock
si fece da parte per lasciarla entrare.
“Ti
ho portato della frutta, avrai fame?” suggerì porgendogli un contenitore.
“Non
vedo perché tu sia allarmata. Ho dormito solo un’ora e sarei sceso per la cena.”
Lei
rise divertita scuotendo la testa “Un’ora” sbottò posando il recipiente sul
tavolo e incrociando le braccia sul petto.
“Sì.
Erano le 18.15 e quando ho aperto gli occhi, erano le 19.15.”
“Già
hai spaccato il secondo” lo prese in giro.
“Non
credo di capire.”
“Erano
le 18.15 di ieri. Hai dormito per un giorno intero.”
“Impossibile.”
“Oh
è possibile eccome” affermò sorridendo mostrandogli la data sul pad.
“Non
sono qui per parlare di questo, ma se vuoi torno in un altro momento” propose
dirigendosi verso la porta.
“Nyota
aspetta” la fermò “Non ha senso rimandare ancora.”
“Già”
rispose voltandosi per guardarlo in viso. Come sempre lui era imperturbabile.
Rimasero in silenzio per lunghi attimi.
“Come
lo hai capito?” domandò Spock.
La
ragazza si aspettava tutto tranne quella domanda.
“Ho
visto come vi guardate, forse non ve ne accorgete, vi muovete sempre uno verso l’altro in qualunque situazione. Vi completate
l’un l’altro con una frase, uno sguardo vi intendete
sempre. Non c’è posto per me tra voi due. Credimi lo invidio profondamente.
Vorrei che mi guardassi come fai con Kirk, che mi cercassi come cerchi lui. Quando eravamo su quel trasporto, mentre stavi picchiando
selvaggiamente Khan, non è stata la mia voce a riportarti indietro, ma le mie
parole quando ho detto che Khan era l’unico modo per salvare Kirk: al suo nome
ti sei fermato…” spiegò tutto d’un fiato, incapace di trattenere le lacrime.
Ogni
singola parola che Nyota aveva pronunciato era vera.
“Poi
in ospedale… quando McCoy l’ha dichiarato fuori pericolo, non hai voluto andartene, nemmeno quando te l’ho chiesto io…”
ricordò avvicinandosi posandogli la fronte sulla spalla.
“Li
ho compreso di averti perso.”
Spock
le cinse le spalle con le braccia “Mi dispiace” riuscì solo a dire.
“Lo
so, ma al cuore non si comanda” disse tirandosi su posandogli una mano sul
petto.
“Non
c’è logica in questo.”
“No
l’amore è la cosa più illogica che esista, ma è anche la cosa più meravigliosa
che esista, ricordalo sempre” ribadì asciugandosi il
viso con le mani.
Era stato
lontano da quella stanza solo due giorni eppure gli sembrava molto di più.
Avrebbe
dovuto fermarsi e riflettere a lungo su tutti quei cambiamenti. Stava agendo
d’istinto. Kirk agiva così, non lui.
Gli
parve di sentire la voce dell’anziano se stesso.
-Fa un favore a te stesso, metti da
parte la logica e fa quello che ti sembra giusto.-
La
porta dinnanzi a lui si aprì, avrebbe seguito quel
consiglio.
Il
capitano non era a letto, ma seduto sulla poltrona accanto alla finestra, tra
le mani stringeva un pad.
“Non
avrebbe dovuto alzarsi” lo redarguì entrando nella stanza, togliendosi il
cappello.
“Buon
giorno anche a lei, signor Spock” lo salutò con un ampio sorriso.
“Vedo
che sta meglio.”
“Oh
sì e non vedo l’ora di uscire da qui. Scotty mi ha detto che le riparazioni
dell’Enterprise procedono, ma ci vorrà parecchio tempo.”
“È
corretto, sei mesi forse un paio di più. Ha subito gravi danni, sia strutturali
sia ai motori.”
“Quante…
quante vittime ci sono state?” domandò in un filo di voce.
“Jim…”
“Quante?”
“Novantaquattro.”
“Avrei
dovuto fare di più.”
Spock lo fece voltare verso di sé “Più di cosa? È entrato nel motore a curvatura per riallinearlo…”
“…
a calci” sorrise tristemente Kirk.
Spock
sollevò un sopracciglio e non comprendendo proseguì “Chi altro avrebbe fatto
quello che hai fatto lei?”
“Tu”
ammise e un tremulo sospiro gli uscì dalle labbra.
“Sulu
mi ha detto che ha ordinato a tutti loro di abbandonare la nave, ma loro non
l’hanno fatto.”
La
mano di Spock ancora stava stringendo il suo braccio.
“Abbiamo
fatto tutto quello che era in nostro potere fare, per le vittime che ci sono
state tra l’equipaggio, possiamo incolpare solo Khan e l’ammiraglio Marcus.”
Lo
sguardo di Kirk si rasserenò un poco.
“Non
mi ha ancora raccontato del sogno che ha fatto” lo spronò cambiando
repentinamente discorso.
“Glielo
detto, non me lo ricordo.”
“Non
credo che questa sia la verità, ma se non ne vuole parlare, non la forzerò.”
Jim
lo fissò per lunghi momenti, in piedi accanto al letto, impeccabile nella sua
uniforme grigia.
“Posso
farle una domanda, Spock?”
“Certamente
capitano.”
“Lei
ha passato le ultime due settimane qui con me aspettando che mi svegliassi.”
“Affermativo
signore” rispose e Jim poté notare la sua mascella contrarsi nervosa.
“Perché?”
chiese alzandosi dalla poltrona sulla quale era seduto.
Spock
non rispose subito, sembrava imbarazzato o forse era solo una sua impressione.
“Glielo
dirò se lei mi racconterà il sogno che ha fatto.”
“Questo
è un ricatto.”
“Noi
vulcaniani non…”
“Va
bene farò mente locale per ricordare, se ci tiene tanto.”
Spock
sollevò lo sguardo e si perse per un momento in quei due oceani che erano gli
occhi di Jim, ricordò il momento esatto in cui seppur aperti quegli occhi non
vedevano più nella fissità della morte.
“Volevo essere il primo a vedere i tuoi occhi aprirsi”
confessò.
Kirk
sbatté le palpebre quella era una frase romantica, colma di sentimenti, non era
proprio da Spock. Jim gli si avvicinò piano forse aveva frainteso tutto, ma
doveva rischiare…
“Perché lei è mio amico” aveva detto
oltre quella porta, nell’istante un cui lo stava perdendo, si era reso conto di
quanto fosse importante per lui.
Amico
sì… o forse qualcosa di più, aveva temuto di non poter più approfondire quel
rapporto e invece ora eccoli lì.
Spock
rimase immobile davanti a lui le braccia lungo i fianchi in attesa, Kirk si
accostò ancora di più fino a quando le loro labbra non furono
che a un soffio.
“Fermami
ora… oppure…” bisbigliò, ma il vulcaniano colmò la distanza tra loro.
Un
bacio lieve appena accennato, timido e casto.
“Questo… ho sognato questo. Un tocco morbido sulla mia bocca,
la tua presenza al mio fianco. Sempre. Fedele e
premuroso” confessò posando le labbra su quelle del primo ufficiale.
Un tocco più profondo, la mano di Kirk sulla sua
guancia, le sue mani a cingergli la vita.
“Ma non è stato un sogno. Mi hai baciato mentre ero privo di
sensi, vero?”
“Sì”
ammise “Eppure tu mi hai sentito.”
Kirk
sorrise “È strano, ti sento qui” mormorò posandosi due dita sulla tempia “E
qui” aggiunse portandole poi al cuore. Spock annuì posando la fronte su quella
di Jim “Lo so…”
Avvertirono
la porta aprirsi e Spock fu veloce ad allontanarsi da lui.
McCoy
li fissò alternativamente, Kirk sogghignava rosso in volto, mentre Spock pareva
molto interessato al polsino della giacca.
“Che
cosa sta succedendo qui?”
“Una
visita di cortesia” esclamò Kirk stranamente euforico.
“Stavo
ragguagliando il capitano sulle ultime novità.”
“Se… certo.
Come no” li fissò ancora per un momento poi scosse le spalle.
“Siete
maggiorenni e vaccinati” sbuffò.
Spock
inarcò un sopracciglio aprendo la bocca per parlare, ma Kirk lo prevenne: “È
solo un modo di dire” spiegò rimettendosi a letto, prima che il dottore glielo
ordinasse.
“Avremo
altre occasioni per… parlare” precisò con una luce nello sguardo che Jim non
gli aveva mai visto.
“Me
lo auguro.”
“Buona giornata, capitano” lo salutò dirigendosi verso la
porta “Dottore” lo salutò con un cenno del capo.
Quando
la porta si chiuse alle sue spalle, McCoy si volse verso Kirk, scosse la testa
“Ti ricordi quando lo hai visto la prima volta come lo hai chiamato?”
“Bastardo
dalle orecchie a punta” rispose prontamente Jim, sul suo volto si allargò un
enorme sorriso: “D’ora in poi sarà il mio
bastardo con le orecchia punta.”
---
Note dell’Autrice: ok primissima fanfiction dedicata a questa serie, la
scena finale di “Into Darkness”
ha fatto fare le capriole al mio neurone yaoi che si è
risvegliato con prepotenza!
Ho pensato “Scrivo una cosetta e basta giusto per immortalare il
momento” e invece ho già in cantiere altre due ficci.
Guardavo questa serie da bambina e i film di Abrams hanno risvegliato
in me l’interesse.
Mi sono documentata un po’ in rete se ho fatto degli errori,
perdonatemi ^^’
Va beh bando alle ciance spero vi sia piaciuta e spero di non essere
andata troppo OOC (soprattutto con Spock *_*)
Alla prossima.
Un Kiss
Bombay