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Autore: BlueWhatsername    23/07/2013    6 recensioni
La voce gioviale ed attenta all’armonia dei suoni riproduceva le note a meraviglia, facendo avvampare le guance di soddisfazione e gli occhi di sentimento.
Quell’azzurro era tutti i colori in uno, le sue labbra erano tante emozioni e nessuna, quando accompagnavano la pelle liscia su quelle smorfie che sembrava proprio un pittore gli avesse regalato per fungere da maschera e personaggio all’occasione.
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Un po' folle, non me la so spiegare nemmeno io.
But Boo is my love, I can't help it.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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‘ […] he's always, always in my mind
- not as a pleasure, any more than
I am always a pleasure to myself
- but as my own being. […] ‘

 
[I think I love you, Boo.]
 
 
 
 
 
 
 
Il momento della barba era un momento sacro per lui.
Ci metteva secoli anche per decidere l’attimo giusto: di prima mattina mai, era troppo assonnato; nel pomeriggio nemmeno, aveva quasi sempre altro da fare; di sera, troppo stanco.
Sua madre gli aveva sempre detto che avrebbe dovuto lasciarsela, che gli stava troppo bene, gli dava quel tocco particolare che il suo bambino meritava.
Gli incredibili occhi azzurri gentili e vispi, sempre attenti e sospettosi, come se scrutassero il mondo in una maniera tutta loro, speciale, trovando mille colori diversi in un solo riflesso.
Louis Tomlinson era sempre stato un tipo particolare.
Appena nato, chiunque gli fosse intorno, aveva subito notato che c’era qualcosa di anomalo in quel piccoletto dal naso buffo e dalle labbra sottili.
L’espressione imbronciata, la bocca piccola e stretta, le palpebre di poco abbassate su due pupille quasi invisibili se paragonate alle immense iridi blu e tormentose.
Le guance lisce e piene, tonde, che sua madre si divertiva ad accarezzare e baciare, quando lo teneva stretto al seno e gli lisciava i radi capelli castani.
Capelli che sarebbero diventati poi più folti e lisci, costantemente in avanti, sulla fronte, o lambenti le orecchie scattanti e all’erta, desiderose di carpire i misteri che l’universo degli adulti offriva.
Era sempre stato un tipo curioso, Louis Tomlinson.
Sempre stravagante e pieno della meraviglia del mondo, come un fuoco scoppiettante sotto le ossa che faceva ribollire il sangue anche nei mesi invernali.
Come una luce eterna costantemente incastonata nell’azzurro vivo dei suoi occhi di bambino.
Come un’armonia di suoni, quella che le sue labbra disegnavano quando si piegavano in un sorriso caldo e sincero, e poi si curvavano a disegnare le note di una musica rock e irriverente, capace di scuotere i profumi dell’aria , come quando si avvicinavano e si sfioravano, quelle due labbra, in un rapporto di profonda simbiosi e convivenza.
Sua madre glielo diceva sempre che la sua bocca era un qualcosa di speciale e unico, era sempre ricca di sorprese e così tagliente da saper sorprendere.
Era sempre stato un abile parlatore, Louis Tomlinson.
Un esperto oratore e disegnatore di discorsi, pittore incrollabile che con le sue parole sapeva legare i fili più contorti e tenerli fin quando voleva, sospesi o intrecciati, a seconda delle occasioni.
Era sempre stato un ottimo ascoltatore, gli occhi azzurrissimi e sinceri non lo avevano mai tradito quando si era trattato di captare le vibrazioni degli stati d’animo o della chimica che legava ogni singola emozione all’altra.
Gli occhi non lo tradivano mai, in effetti.
Era schietti e sinceri, come lui.
Erano puliti e lucidi, come acqua di un sogno remoto.
Erano grandi e riflettenti, come gocce di tenero incontro.
Erano scrutatori e attenti, affamati ed implacabili, erano la sorgente da cui sgorgava la vita, da cui fuoriuscivano i pensieri.
Era loquace, Louis Tomlinson.
Sapeva parlare senza interrompersi, sapeva ridere in quella maniera incantata ed ammaliatrice, in quelle note alte e squillanti come di una remota melodia ancora aggrappata ai fili del tempo.
Parlava con tutti, Louis Tomlinson.
Perfino con gli animali, quando beccava, da bambino, le formichine sul davanzale della sua cameretta e si fermava a conversare con loro, a bloccare lo scorrere del tempo con le sue battute o i suoi sguardi.
Parlava sempre, in continuazione, cantava anche.
La voce gioviale ed attenta all’armonia dei suoni riproduceva le note a meraviglia, facendo avvampare le guance di soddisfazione e gli occhi di sentimento.
Quell’azzurro era tutti i colori in uno, le sue labbra erano tante emozioni e nessuna, quando accompagnavano la pelle liscia su quelle smorfie che sembrava proprio un pittore gli avesse regalato all’occasione  per fungere da maschera e personaggio all’occasione.
Era schietto, Louis Tomlinson.
Uno di quei tipi severi, con il naso costantemente arricciato per le ingiustizie, aggrottato per il disappunto o più semplicemente rilassato, in quell’espressione di bambino che aveva sempre.
Quell’espressione che incantava e poteva smarrire, quell’espressione di giovane gattino indifeso o di tigre affamata quando il cielo dei suoi occhi diventava tempesta, e puntava i piedi, testardo e deciso.
Era un tipo anche serio, Louis Tomlinson, di quei tipi sempre con la risposta pronta e la soluzione costantemente a portata di mano, specie quando si mordeva il labbro inferiore con enfasi, quasi volesse staccarselo con i denti.
Quasi a voler staccare la cattiveria del mondo con i denti e poi gettarla via, nel secchio delle cose dimenticate.
Da dimenticare.
Non dimenticava mai nulla, Louis Tomlinson.
Né quando lavarsi i denti, con quel suo spazzolino colorato da bambino ed il dentifricio rigorosamente dei supereroi, né quando andare dalla mamma per tuffarsi con lei sotto le coperte e farsi raccontare qualche accattivante avventura da Power Ranger, né quando sistemare le sue magliette a righe, per cui aveva una passione smisurata.
Non dimenticava mai di sorridere, ed era quella la cosa che più lo contraddistingueva.
Ancora più che per i suoi occhi azzurri e le sue battutine sagaci, Louis Tomlinson era ricordato per i suoi sorrisi.
Sua madre ancora ricordava il primo che gli aveva visto fare, e a volte glielo diceva pure, quando, ancora nella culla aveva spalancato quei suoi immensi occhioni contenenti il mondo ed aveva tentato di abbracciare l’immensità con una risata.
Ed era stato magico, gli diceva sempre lei, il modo in cui aveva spalancato le braccia e gonfiato il petto, quasi a voler inghiottire la realtà, con un semplice sorriso, cristallino come l’acqua sulle rocce.
Ed erano stati altrettanto meravigliosi, i successivi sorrisi, quelli evoluti nel tempo, quello che lo avevano portato ad essere un giovane uomo dalle spalle larghe ed i capelli meno ordinati rispetto a prima.
Ed anche in quel momento, in quei cinque minuti che si era preso per radersi, si trovò a sorridere, riflesso nello specchio.
Aggrottò le sopracciglia, arricciando le labbra e schioccandole, con fare divertito, mentre si spalmava la schiuma sul mento e sulle guance.
Appunto, non di mattina, non di pomeriggio, e non di sera, ma era lecito farsela di notte, la barba, appena tornato da una serata fuori.
Era andato in giro con un velo leggerissimo di baffi ed una leggera peluria sul mento che gli aveva solleticato la pelle per tutto il tempo, anche se alla fin fine era stato anche utile, considerate le occhiate allusive che molte ragazze gli avevano lanciato.
Forse avrebbe dovuto dare retta a sua madre e lasciarsela, quella barba.
La realtà era che non gli piaceva poi molto, lo faceva sentire cresciuto, sciolto da quella quotidianità che lo aveva sempre circondato, anche un po’ triste e sinceramente contrariato verso quello sconosciuto che lo avrebbe fissato di rimando dallo specchio.
<< Quando ti toglierai il buon vizio di farmi spaventare così, eh? >>
A quelle parole, Louis sobbalzò, la lametta per la barba slittò dalla sua gola dritta verso l’alto.
Si portò una mano al cuore, sbarrando gli occhi, mentre la madre rideva piano, la mano lievemente poggiata sulla bocca.
<< Mamma… >> ringhiò lui, tornando a concentrarsi verso lo specchio << … Cazzo, mi hai fatto venire un… >>
<< Scusami, amore… >> mormorò la donna, con un sorriso gioviale << … Ti sei accorto di che ore sono? >>
Louis gettò un’occhiata rapida seppur svogliata all’orologio da polso, prima di mettere in funzione la sua precisione con la lametta.
<< Sì, scusa, eravamo fuori ed il tempo è volato e… >>
La donna sollevò gli occhi al cielo, sentendo quelle parole risuonarle nella testa come ogni volta.
<< D’accordo, ma la prossima volta avvisa. >>  sancì, decisa.
Quando il figlio non le rispose schioccò le labbra, con evidente disappunto, cosa che lui non mancò di notare.
<< Certo mamma! >> squittì infatti Louis, con una guancia rasata e l’altra no, lanciandole un bacio volante.
E quando constatò che il suo cipiglio non era cambiato, si affrettò a modificare registro, voltandosi lentamente verso di lei e sfoderando uno dei sorrisi più smaglianti ed ammiccanti della storia.
Le si avvicinò con passo sinuoso, metà del viso ancora impiastricciata di schiuma da barba, e la strinse a sé, baciandole il colle e le guance.
La donna rise, divincolandosi dalla presa gentile e morbida del figlio, intravedendo nei suoi occhi il barlume d’acciaio temprato che l’avrebbe sempre mantenuto un cuore scapestrato e ben poco gestibile.
Come la fonte di un piccolo piacere visibile, ma necessario.
Si pulì la schiuma da barba che lui le aveva lasciato, mollandogli un amorevole scappellotto sulla nuca.
Ed a vederlo così, con una guancia pulita e fresca e l’altra ancora coperta di lieve barba, la madre non poté fare a meno di sospirare, intenerita ed affranta insieme, chiedendosi come sarebbe stato tra qualche anno, se le rughe che aveva anche lei gli avrebbero mai solcato la fronte, se il castano splendente avrebbe fatto così presto a diventare grigio e poi bianco.
In ogni caso, lei non lo avrebbe visto – con molta probabilità – ricordandolo in altri modi.
Così, sempre nella mente, come il suo stesso essere.
Così, sempre nel cuore.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
SPAZIO AUTRICE.
Lo so, lo so. Ho pubblicato solo l’altro giorno l’OS su Zayn.
LO SO.
Ma sapete cosa? Oggi avevo dei fogli a disposizione, avevo tempo, avevo voglia.
Ed ecco qua cosa ne è uscito.
Che, per carità, potrà sembrare anche scema a senza senso, ma…
… Immagino che mi conosce almeno un po’, ha colto un bel po’ da queste poche righe.
Non so, dovevo scriverle.
 
Boo is my love, and I can’t help it. <3
 
La cit. iniziale me la ripetevo stamani – sì, mi ripeto i pezzi dei libri a memoria, non sto tanto bene, LO SO – e mi è venuto da pensare troppo a Lou.
 
The first love, that’s all.

 
:) 
  
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