Anime & Manga > Sousei no Aquarion
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Autore: Gavriel    24/07/2013    1 recensioni
In quei pochi minuti tra la notte e l'alba lui era libero.
Il giovane inspirò nell’aria fredda del mattino; una brezza gli scompigliava i capelli, che immersi nella luce aurorale riflettevano i colori del cielo. Arricciò le dita dei piedi, che spuntavano fuori dalla testa del gargoyle e si diede la spinta.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il volo di Cael

 

L’alba si diramava attraverso il cielo rosato: nel giro di pochi minuti il sole sarebbe comparso dietro le curve dell’orizzonte collinare.  Cael stiracchiò le sue lunghe braccia da adolescente, mentre ancora un po’ assonnato camminava sul tetto del palazzo. Quei pochi minuti, in cui la notte non è ancora dì, in cui il cielo passava dal cobalto al bianco, erano ciò che lui attendeva ogni giorno, ogni notte: in quel breve limbo tra notte e alba, lui era libero. Il giovane inspirò nell’aria fredda del mattino; una brezza gli scompigliava i capelli, che immersi nella luce aurorale riflettevano i colori del cielo. Si tolse prima le scarpe, poi la casacca che portava per dormire; le prime perché non poteva perderne un altro paio, la seconda… chi lo spiegava alla vecchia Tami come si era lacerata durante la notte?
Scalzo oltrepassò la ringhiera del terrazzo e cominciò a percorrere il profilo di una delle innumerevoli diramazioni del palazzo. Glielo aveva insegnato sua madre,  sulle prime si era anche chiesto come lei facesse a conoscere l’unico percorso che garantiva un accesso al palazzo passando esclusivamente attraverso i punti ciechi delle torri di guardia, poi ne aveva capito l’utilità il giorno in cui lo aveva utilizzato per la prima volta; in effetti sembrava progettato apposta per lui, o per suo padre. In alcuni punti, dove gli archi rampanti passavano poco sopra il cornicione, doveva ormai accovacciarsi, in altri ormai doveva quasi strisciare, ma il lungo cornicione centrale di pietra, che univa le vetrate della sala reale ormai lo percorreva correndo. Cael alzò lo sguardo verso le colline ad est, una curva bianca aveva già preso a levarsi, accellerò il passo.
Arrivò così veloce alla testa del gargoyle che segnava il punto estremo del tetto, che dovette roteare le braccia per non cadere di sotto. Guardò ancora ad est, mancava poco. La brezza leggera di poco prima si era mutata in un vento frizzante, Cael arricciò le punte dei piedi che spuntavano fuori dalla testa piatta del gargoyle: man mano che il sole si alzava e il vento lambiva sempre più forte il suo torso il ragazzo si sentiva più leggero. Un senso di impazienza lo bruciava sempre quando aspettava l’alba:sarebbe stato molto più semplice se avesse potuto farlo anche di notte, chiuse un attimo gli occhi. L’aria che gli entrava nei polmoni, la luce che gli scaldava la pelle, il vuoto che lo separava dal terreno in basso lo facevano sentire sempre più vivo. Cael allargò le braccia come a voler abbracciare il cielo; non appena tutto il suo corpo fu investito della luce aurorale venne pervaso del consueto e gradevole brivido caldo.
Altri respiri, sempre più profondi e veloci,  si piegò in avanti, un familiare e piacevole fastidio alle scapole, poi si diede la spinta.
Cael vide l’abisso, poi di nuovo il cielo: trovò una corrente ascensionale e salì di quota oltre le nuvole, assaporò il momento di stasi,  poi ad occhi chiusi si gettò in picchiata. Si sollevò a pochi metri da terra, poi si involò verso est. Le sue ali, il dono di suo padre, avevano lo stesso colore candidò dell’alba e sua madre gli aveva detto che avevano anche la stessa dimensione delle sue, gli aveva anche raccontato che avevano anche lo stesso sorriso.
Volò elegante assieme ad uno stormo di fenicotteri, seguì il percorso di un airone, provò l’ebbrezza della caccia assieme ad uno sparviero.
Quando si accorse che tenersi in quota non risultava più così facile, che ad ogni battito le ali si facevano più pesanti e goffe, Cael capiva che il suo tempo alato stava scadendo, solo che questa volta si era avventurato troppo lontano: aveva oltrepassato le colline, il palazzo e la città di Alisia erano poco più che un’ombra grigia. L’inquietudine pervase il petto del giovane: non ce l’avrebbe fatta. Trovò una corrente ascensionale e cercò di sfruttarla per salire i quota, poi planò per diverse centinaia di metri; quel metodo era il migliore per non sfruttare troppa energia, ma non gli era già più sufficiente. Quando arrivò a sfiorare le fronde degli alberi con la pancia Cael diede qualche colpo d’ala per rimettersi in quota, ma i suoi movimenti erano sempre più goffi. Alla sua destra vide degli sparvieri volare in circolo: un’altra corrente ascensionale. Ci si fiondò, la sfruttò, avanzò verso il palazzo, altri affannosi battiti in cerca di un’altra corrente. Ripeté diverse volte questi movimenti, sempre più disperati, fino al confine della città.
Sorpassò le mura esterne appoggiando i piedi a terra, poi con un balzo si diresse alla volta di casa sua. Non riuscì ad arrivare al tetto, dove era partito, vide che la serra centrale aveva mezzo tetto scoperto, ormai le ali gli erano un peso, con un’ultima disperata manovra riuscì a centrare l’apertura della serra urtando il bordo; si schiantò tra i rami di un albero, cadde sul terriccio umido.
Cael si girò per guardare in alto, intorno a lui le ali giacevano inerti, enormi, morte; sarebbero passati diversi minuti prima che si ritirassero del tutto dietro la sua schiena.
 Il cielo sopra di lui ormai aveva preso i consueti toni dell’azzurro che delle nuvole screziavano di bianco. Non appena cominciò a sentire dolore dietro le scapole si mise a fatica a pancia in giù, per permettere a quelle cose di scomparire dentro di lui. Mentre il lento processo avveniva Cael guardò ancora una volta il cielo, avido, ma ciò che vedeva era la struttura in ferro della serra, una gabbia che lo separava da esso.
 
Questo racconto non è legato strettamente alla storia originale, in effetti potrebbe reggersi anche senza l’ambientazione di Aquarion, tuttavia mi piaceva l’idea di raccontare un pezzo mancante della vicenda, per quanto non strettamente inerente. So che è presente una registrazione radiofonica in cui si capisce che Celiane  e Apollonius abbiano avuto una figlia femmina, ma mi piaceva l’idea di un giovane uomo.  
Per me è stato un piacere scrivere questo racconto, spero che lo sia stato anche per voi leggerlo.

Gavriel

 
  
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