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Autore: Claudia    29/09/2004    7 recensioni
Il destino di Kagome è di ritornare nel Sengoku Jidai dopo quattro anni, affrontare di nuovo Inuyasha, ora suo nemico, e salvare sua figlia... ma la figlia avuta da chi?
Genere: Romantico, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Nuovo personaggio, Sango
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 28

Kimi to iu Hikari
(The light that is you)

 

 

 

I loved watching the jellyfish floating atop the waves
And they always seemed to lead my thoughts to distant worlds

(Kimi to iu Hikari, Garnet Crow)

 

 

Guardò le pareti attorno a lei. Il profumo del legno d'acero aleggiava nella stanza, donando alle narici un piacere intenso. I raggi del sole filtravano ostinati tra le curvature del legno, creando un gioco tenue di luci. Si sedette sul futon, osservando il lato disfatto di esso. Sorrise, ma si stancò quasi subito e tornò a sdraiarsi, lasciando che le coperte la coprissero completamente. Kagome osservò il soffitto dove a tratti spuntavano fili di paglia e rametti di ciliegio; voltò il capo, sprofondando il volto nel cuscino e sorrise.

"Buongiorno Kaeru." Posò delicatamente una mano sul futon.

Fuori dalla capanna, i suoni della natura avevano preso vita dopo la notte silenziosa. Gli stormi di uccelli attraversavano il cielo, mentre in lontananza le voci dei pescatori riecheggiavano squillanti e ritmate.

Si sollevò stancamente, riassettandosi le vesti e spazzolandosi con le mani i lunghi capelli corvini. Aprì la finestra, permettendo all'aria del mattino di invadere la stanza, trasportando con sè il fresco e l'odore dell'erba bagnata. In lontananza, su un disteso campo di grano, intravide la figura di Inuyasha, seduto su una grande roccia. Con lui, altre due persone che riconobbe come Miroku e Sango, sembravano aver istaurato una discussione tranquilla.

In fretta chiuse la finestra, portando di nuovo l'ombra nella stanza.

"Amore, la mamma va da papà. Non uscire mi raccomando!" Detto questo chiuse la porta della capanna alle sue spalle, e prese a camminare per un sentiero che l'avrebbe condotta al campo.

Respirò una tranquillità che da tempo aveva perso.

Un leggero venticello spostava le fronde degli alberi in modo gentile e delicato.

Sango accarezzò la piccola Kirara, accovacciata sulle sue ginocchia. I lunghi fili d'erba pungevano la bestiola, che a scatti nervosi muoveva le orecchie pelose. Miroku inspirava l'aria fresca del mattino, tenendo il proprio bastone al petto più per abitudine che per altro.

"Come sta Kagome-chan?"

Inuyasha, seduto su una roccia, guardò la donna umana.

"Abbastanza bene."

La cacciatrice sospirò allontanando un filo d'erba dalla zampa del cucciolo.

"Il medico del villaggio ha assicurato che la sua gravidanza sta procedendo bene. Però, l'ultima volta che l'ho vista, Kagome mi ha detto di non essere incinta."

"Lo dice a tutti quelli che incontra." Inuyasha incrociò le braccia al petto.

"... possibile che non se ne renda conto?" Sango proferì quella domanda più a se stessa. Miroku aprì gli occhi e sorrise mestamente.

"Comunque, la cosa più importante è che lo Shikon, a suo modo, abbia neutralizzato la creatura che Kagome-sama portava in grembo."

"Lo Shikon nel corpo di Kaeru... non riesco ancora a crederci." La cacciatrice si sistemò una ciocca di capelli ribelli dietro a un orecchio. "Però... alla fine, iniziano a tornare molte cose... il motivo per cui Kagome è tornata.... si spiega anche il comportamento che Kaeru ha avuto con noi, Miroku."

Il bonzo fece un cenno d'assenso.

"Eppure... quando Kaeru stava con noi, nessuno percepiva la Sfera."

"Ti sbagli," disse Sango "Kagome percepiva la presenza dello Shikon, ma era la Sfera stessa che voleva mantenere nascosta la sua posizione. Non c'è altra spiegazione... e d'altro canto, nessuno poteva certo sospettare di Kaeru."

Il rumore di rami spezzati attrasse la loro attenzione verso la fine del sentiero. Kagome, vestita con un kimono fiorito, sorrise vedendo i suoi amici tutti riuniti.

"Kagome-chan! Non dovresti essere qui!" Sango si sollevò di scatto, facendo ruzzolare Kirara dalle sue ginocchia e afferrò con aria seriamente preoccupata le mani dell'amica.

"Ma Sango-chan, io mi sento bene!" Kagome sorrise, osservando Inuyasha che era rimasto impassibile.

"Ciò non toglie che dovresti riguardarti Kagome-sama." Miroku le si era avvicinato posandole una mano sulla spalla.

"Voi siete gentili, ma dovevo venire da Inuyasha." Detto ciò andò verso il demone, che intanto era sceso dalla roccia, e gli afferrò un lembo del kimono nero. Dopo aver stampato un leggero bacio sulle labbra di Inuyasha, sorrise, strattonando la manica della sua veste.

"Inuyasha, Kaeru si è svegliata! Mi ha chiesto di te, vieni, torniamo alla capanna."

Inuyasha rimase fermo, osservando di sfuggita le espressioni dei suoi amici. Fece un cenno con il capo, e, senza dire una parola, prese a camminare dietro Kagome. Poco dietro di lui, Sango e Miroku avevano preso a seguirli.

Nella capanna, Sango socchiuse gli occhi abituata alla luce accecante del sole, mentre Miroku chiudeva la porta alle loro spalle.

Kagome aveva velocemente attraversato la stanza, recandosi nella parte adibita a camera da letto, ne aprì le finestre facendo entrare la luce del sole.

"Sveglia pigrona, papà, Sango e Miroku sono venuti a salutarti!" Si avvicinò a un futon e spinse indietro le coperte.

"Ma tu guarda, tuo padre ha un influenza negativa su di te!" Disse posando lo sguardo sul demone. Inuyasha sorrise, un semplice dispiegamento di labbra.

"Può anche darsi." Inuyasha fissò il futon vuoto e le coperte che Kagome si ostinava a scuotere. Sango si portò una mano agli occhi e uscì dalla stanza, seguita da Miroku.

Il demone dai capelli argentati chinò il capo, osservando Kagome che accarezzava il cuscino bianco latte.

Dopo la scomparsa di Kaeru, Kagome non aveva più parlato, né a lui né ad altri. Era rimasta chiusa nella loro capanna avvolta nel suo mutismo che non lasciava sperare nessuno. Un giorno, era uscita sorridendogli e lo aveva pregato di seguirla. Le aveva mostrato lo stesso futon, facendogli notare quanto fosse bella la loro bambina mentre dormiva. Ma quel letto era vuoto, freddo. Kagome si ostinava a vedere Kaeru da ogni parte, parlando con lei come se davvero esistesse. Le preparava il pranzo, si arrabbiava perché il riso rimaneva sempre intatto nella ciotola della bambina, lo rimproverava per essere un padre troppo accondiscendete.

Da quel giorno, aveva dovuto dividere Kagome con uno spettro, che poi spettro non era. Kaeru non era mai nata, quindi non era mai morta.

Tentava di far ragionare Kagome, soprattutto all'inizio, ma le lacrime della donna lo avevano sempre disarmato delle sue intenzioni. Alla fine si era arreso, aveva lasciato che Kagome facesse quello che credeva più giusto e spesso, per renderla felice, fingeva di parlare alla figlia.

Ma tutto ciò non lo sopportava.

Per questo andava spesso in quel campo di grano, su quella roccia. Per stare lontano da Kagome e dallo spettro di Kaeru. Amava Kagome, ma anche il suo cuore umano era stato duramente colpito quella notte. Anche se Kaeru non era mai esistita, per un periodo della sua vita, aveva creduto davvero di avere una figlia. E per lui lo era stata.

In quei giorni aveva osservato la notte, silenziosa e senza stelle.

Presto, avrebbe assunto le sue sembianze umane, e per questo motivo, avrebbe dovuto vivere in quella capanna, proteggendo se stesso e la sua compagna.

Si, perché alla fine era rimasto un mezzo spettro, o un mezzo demone come gli uomini preferivano chiamarlo. Durante la battaglia contro Kuroi era arrivato tanto vicino allo Shikon da poterlo quasi sfiorare, ma aveva previsto che, nonostante tutto, sarebbe rimasto per metà umano. Non provava rimpianti, forse era addirittura soddisfatto che la sua natura umana fosse sempre parte integrante del suo essere.

"Inuyasha, c'è forse qualcosa che ti preoccupa?" Kagome strinse un mazzetto di fiori profumati che stava cogliendo nei dintorni della capanna, ma si era interrotta vedendo lo sguardo pensieroso del demone.

"Stavo solo pensando che presto sarà il Novilunio."

"Capisco, ma non ti preoccupare... nessuno avrebbe ragione di attaccarti."

"Forse." Disse secco, con un tono che non ammetteva repliche.

"Ascolta, Inuyasha. Mi piacerebbe molto tornare a casa."

Inuyasha la osservò in silenzio. Kagome non era più tornata nel suo mondo dopo quel giorno, e quell'affermazione così decisa quasi lo sorprese. Non avrebbe avuto niente in contrario, avrebbe potuto lasciarla andare perché, tanto, lei sarebbe tornata da lui, ma... il problema non era quello.

"Vedremo."

Kagome continuò a raccogliere le violette selvatiche, senza più prestare attenzione al demone dai capelli d'argento.

Più volte Inuyasha si era domandato se la sua decisione fosse stata corretta nei confronti di Kagome; la decisione di recarsi nel suo mondo, a sua insaputa, per parlare con sua madre. Infatti, nonostante lo Shikon fosse scomparso, il pozzo Mangia ossa funzionava ancora come ponte tra i due mondi, per una strana ragione che era rimasta incomprensibile.

"Hai incontrato sua madre?" Sango lo guardò sbalordita.

"Quindi è sempre possibile tornare al suo mondo." Miroku prese a strofinarsi il mento con aria da intellettuale.

"Esatto, non so per quale ragione visto che lo Shikon non è più in nostro possesso."

"Ma per quale ragione ci sei andato?"

Inuyasha rimase qualche secondo in silenzio, come per cercare le parole giuste da dire.

"Ho spiegato a quella donna tutto quello che è successo nel momento in cui sua figlia è tornata nel Sengoku Jidai.Mi è sembrata un po' diffidente, ma credo che mi abbia creduto."

"E come ha reagito?"

"Semplicemente non ha reagito."

Sango e Miroku lo guardarono incuriositi.

"Ma come? Sua nipote è morta... e non ha reagito?"

"Sì, per il semplice fatto che non sapeva di avere una nipote."

Un silenzio di tomba cadde su di loro. In lontanza Kagome rientrava nella capanna dopo aver fatto loro un cenno con la mano.

"Probabilmente, questa è una conseguenza del potere dello Shikon" Disse Miroku.

"...e una testimonianza del fatto che Kaeru non è mai esistita." Concluse Sango.

"Proprio per questo non so quanto bene le possa fare bene andare là."

Sango si alzò di scatto, spolverandosi il kimono dalla terra secca del campo.

"... Resta il fatto che Kagome non può continuare così! E nemmeno tu Inuyasha! Diamine, aspetta un figlio e c'è il rischio che non lo riconosca come tale!"

Sango aveva ragione.

Per quanto potesse essere dolorosa la realtà, andava accettata...cosa che non aveva fatto Kagome.

Era vero, lui aveva sofferto per quella perdita. Aveva perso sua figlia quando aveva iniziato ad amarla come tale. Ma sapeva che la vera Kaeru doveva ancora nascere. E questo, in qualche modo, lo rincuorava.

Ma invece Kagome si chiudeva giorno dopo giorno nella sua ostinazione. Per lei Kaeru era viva. L'aveva amata talmente tanto che era inaccettabile per lei prendere coscienza della sua inesistenza.

** 

Quando affiorò dal sonno in cui era caduta, Kagome sentì un peso leggero sul suo fianco. Il braccio di Inuyasha le cingeva la vita sotto alle coperte del loro futon, mentre il mezzo demone, ora diventato un essere umano, dormiva spostando una ciocca di capelli con il proprio respiro.

Kagome si voltò per constatare se la Kaeru della sua immaginazione ancora dormiva, e vedendo il sonno placido della piccola sorrise.

Si mosse, cercando di non svegliare il compagno.

Appena fuori dalle coperte ebbe un desiderio fortissimo di tornare tra le braccia di Inuyasha, sapendole calde e non fredde, ma scosse vigorosamente la testa. Kagome prese a tastare le pareti della capanna alla ricerca delle proprie vesti e, trovatele, iniziò a vestirsi.

Le notti nel Sengoku Jidai erano sempre state fredde.

L'aria pungente ti penetrava nelle carni, facendo rabbrividire persino le ossa. Niente si muoveva, se non i corsi d'acqua che si distinguevano in lontananza. La natura sembrava congelata in un sonno eterno, avvolta da un torpore che poteva facilmente influenzare anche semplici esseri umani.

Mentre camminava, una sensazione fastidiosa le veniva comunicata dai piedi che, nudi, calpestavano una terra tanto umida quanto fredda. Le foglie degli alberi rendevano il terreno più scivoloso e viscido, costringendola più volte a fermarsi.

Non c'era luna nel cielo, e la sua vista, quella di un comune essere umano, era limitata rispetto al giorno. Kagome continuava il suo cammino, procedendo a passi lenti e poi veloci, evitando sassi acuminati e foglie bagnate, avanzando con gli occhi socchiusi per carpire al meglio particolari di quella visione notturna.

Nell'oscurità, le civette issavano i loro versi acuti, i gufi intonavano canti goffi, mentre le chiome degli alberi venivano a volte turbate da fremiti d' ali.

In lontananza, Kagome intravide un insieme di pietre poste in malo modo le une sulle altre. Avvicinandosi, si fermò ad osservare l'enorme fossa, scura quanto il cielo sopra di lei, che andava penetrando la terra, fino a una profondità a lei sconosciuta. I fili d'erba le solleticarono i piedi, mentre le edere rampicanti separavano la nuda pelle di lei dalla superficie ruvida delle pietre.

Si sedette sul bordo del pozzo, domandandosi se avrebbe mai raggiunto la sua casa, ora che la Sfera degli Shikon non era più in suo possesso.

Sembrò pensarci su qualche secondo, mentre le sue dita avevano preso a tormentare un ciuffo dei suoi capelli. Respirò l'aria fredda della notte, che le penetrò gelida nei polmoni, per poi cacciarla subito fuori.

Con un gesto veloce, ma deciso, cadde nel pozzo.

Toccò la terra brulla del fondo quasi subito. Quando alzò gli occhi non vide differenze tra il suo cielo e quello di Inuyasha. Una macchia scura, adorna di stelle, stava racchiusa tra le mura del pozzo... ma lei sapeva che quella macchia, apparentemente limitata, era infinita.

Si arrampicò fino a raggiungere la sommità del pozzo. Senza prestare molta attenzione al paesaggio intorno a lei, si issò a sedere sul bordo, respirando profondamente per lo sforzo fatto dai suoi muscoli.

Sollevò lo sguardo, lentamente. Il pavimento legnoso riportava un numero consistente di amuleti, mentre la struttura attorno a lei la proteggeva dalla pallida luce della luna. Kagome salì i gradini della scala legnosa, aprì la porta e incontrò la linea delle case, dei lampioni. Il piazzale che divideva il piccolo tempio dalla sua casa era illuminato dalla luce dei lampioni che sembravano gareggiare con la pallida luna.

I piedi nudi vennero subito a contatto con la pietra del sardone, ma non le sembrò fredda quanto il terreno che aveva calpestato.

Osservò la casa. Non c'erano luci accese, segno che i suoi abitanti stavano dormendo. Si sedette sugli scalini, porgendo le spalle alla porta, e si strinse in se stessa, cercando di proteggersi dal freddo che non era poi così pungente.

 **

Non riusciva a dormire, e si maledì subito, sapendo che il giorno dopo avrebbe provato una infima stanchezza.

Ma i suoi occhi si ostinavano a stare aperti, bruciavano perché forse avrebbero voluto stare chiusi. Ma non dormiva, e questo la rendeva nervosa. L'insonnia la tormentava, perché quando non dormiva e fissava il soffitto sopra di lei, la sua mente inziava a pensare, a pensare, a pensare. Quello che aveva  fatto durante il giorno, o nei giorni precedenti. Ma il più delle volte affioravano le preoccupazioni, che a volte riusciva a reprimere da sveglia.

Ne aveva parlato anche con Miroku, ma lui le aveva sorriso e le aveva detto di non preoccuparsi.

Miroku.

Anche il monaco rappresentava una fonte di preoccupazione ed era in parte la causa del suo nervosismo. Si, perché quella notte, prima dello scontro diretto con Kuroi, ci aveva quasi sperato. Aveva sperato di raggiungere con lui quel rapporto idillico che aveva sempre desiderato; stretta tra le sue braccia aveva creduto di essere diversa dalle altre, di rappresentare, per lui, qualcosa di diverso. Durante la notte della loro unione aveva riacquistato la sua metà perduta, felice perché quella metà era proprio Miroku. Eppure... ora, tutto sembrava diverso.

Era diversa lei, diverso lui, diverso tra loro.

Non le bastava vivere sotto lo stesso tetto per essere felice.

Sango chiuse gli occhi sentendo un rumore provenire dal fondo della capanna. Si voltò verso il lato opposto, dando le spalle alla porta di legno e nascondendosi nelle coperte del suo futon. Si stava fingendo addormentata... da qualche giorno era diventata un'azione istintiva.

In realtà aveva paura.

Miroku entrò nella capanna con passi silenziosi, mentre la cacciatrice tese le orecchie al massimo per captare qualsiasi tipo di rumore. Lo sentì fermarsi accanto a lei e sebbene Sango non vedesse, sapeva che gli occhi del monaco erano fissi sopra la sua schiena. Finse un mormorio assonnato per rendere veritiera la sua finzione. Nonostante il silenzio che aleggiava nell'abitazione di legno, Sango sentì il proprio cuore pulsarle nel petto, tremando all'idea che anche Miroku potesse sentirlo. Poi percepì un tonfo, come di vesti che cadevano sul pavimento di legno e per poco si tradì quando la sua schiena entrò in contatto con la pelle fredda di Miroku. Usò violenza contro se stessa per evitare di gridare e nel farlo si morse la lingua.

Le mani di Miroku erano gelide, poteva sentirle anche attraverso la stoffa del proprio yukata. Socchiuse gli occhi con un espressione delusa sul volto. Sapeva, o almeno credeva di sapere, come si sarebbe evoluta la notte da quel momento in poi, forse per questo soffriva. Contrariamente al suo solito fece una smorfia e si ostinò nella sua posizione.

In fondo, poteva dire di essere arrabbiata. Ancora meglio, amareggiata.

Da parecchi giorni, Miroku era solito uscire al tramonto dicendo di dover compiere i propri doveri nei riguardi dei Signori della zona. In un primo tempo la sua assenza non aveva mai preoccupato la cacciatrice, anche se durante la notte Miroku non era al suo fianco. Ma poi il verme del dubbio aveva preso ad annidiarsi dentro di lei, nutrendosi delle sue paure e delle sue preoccupazioni. Sango si svegliava ogni notte, senza trovare Miroku al suo fianco; a volte lo sentiva rientrare, ma fingeva di dormire. Avrebbe dovuto piantarsi di fronte a lui, chiedendogli spiegazioni, ma sapeva che la risposta del monaco sarebbe stata sempre la stessa.

"Non devi preoccuparti."

Le bisbigliò a un orecchio, spostando una ciocca di capelli da esso.

Lei rimase impassibile, immobile in quella stretta, fingendo un sonno profondo.

Tanto non le avrebbe creduto.

Non avrebbe mai creduto a quel sonno fittizio.

Sango si mosse lentamente, portando le sue mani all'altezza della vita. Sciolse l'abbraccio di lui e si portò a sedere, scoprendo il petto nudo del monaco. Era molto buio, ma in qualche modo era certa di fissare gli occhi di Miroku, allo stesso modo in cui Miroku guardava lei. Il monaco prese a giocherellare con la punta dei suoi capelli, crendo quell'atmosfera intima che Sango avrebbe voluto evitare.

Ormai ne era abbastanza certa. Miroku la tradiva.

Probabilmente con le principesse dei castelli, in cui soleva andare ogni notte.

Era un dubbio che vagava da tempo nella sua mente, ma non aveva mai saputo dargli forma concreta.

Il perché del suo tradimento fu una questione che cercò di risolvere in seguito, senza tuttavia arrivare a delle conclusioni certe. Aveva pensato di seguirlo, ma si era dichiarata troppo codarda e troppo permissiva. Sentiva il suo corpo usato ogni notte che lui la pretendeva. Uno dei tanti corpi che potevano soddisfarlo. A quel pensiero subentrava l'illusione che lui l'avesse mai amata.

Eppure, sebbene nutrisse dei dubbi, continuava stupidamente ad aspettarlo, continuava ad amarlo offrendogli il proprio corpo senza remore.

Represse tutti i suoi pensieri e si sforzò di sorridere.

"Sei tornato..."

Miroku non le rispose subito come lei avrebbe voluto, fece passare qualche secondo prima di pronunciare parola, mettendosi anche lui seduto.

"Scusa... è che c'è voluto più tempo del previsto per esorcizzare quel castello."

"Capisco..." Sango sorrise amaramente, considerando quella di Miroku una nuova scusa.

Si alzò abbandonando a terra le coperte del letto e si rivolse al monaco con sguardo finto assonnato.

"Vuoi da bere?"

"No... meglio di no..."

Anche il monaco uscì dal tepore delle coperte, tremando al freddo della capanna. Quando Sango si voltò verso di lui, arrossì in vistoso imbarazzo, coprendosi gli occhi con le mani. Miroku si era tolto completamente i vestiti.

"Miroku!!!! Mettiti qualcosa addosso!!!"

Con voce sarcastica, Miroku le rispose "Perché mai? Non è la prima volta che mi vedi nudo..."

"Depravato!" La cacciatrice gli lanciò contro il suo kimono.

Respirò affannosamente l'aria, quasi come se avesse avuto paura di morire da un momento all'altro. Per un attimo sorrise, pensando che quella scenetta, abbastanza comica dopotutto, aveva allentato almeno la tensione che c'era da parte sua.

 

**

 

"Kagome-chan, sei tu?"

Una donna dall'aria stanca ed assonata aveva aperto la porta alle sue spalle. Il cigolio dei cardini e la voce della madre fecero voltare Kagome, che le sorrise con affetto. La signora Higurashi stava avvolta in una vestaglia da camera molto vecchia che Kagome ricordò di aver usato molte volte. Sorrise di nuovo, pensando a quegli istanti di semplice intimità che aveva trascorso in quella casa, con la sua famiglia.

"Ciao, mamma."

La donna si avvicinò a Kagome, prendendole il volto tra le mani e sorridendo a sua volta.

"Finalmente sei tornata a casa." Il tono rilassato della madre fece intristire Kagome. In fondo, sapeva che non sarebbe rimasta molto a lungo nel suo mondo... in quel mondo. Scacciò quel pensiero, sopratutto per rispetto a sua madre e la seguì nel corridoio della loro casa.

Niente era cambiato.

Non cambiava quasi niente durante i periodi trascorsi nel Sengoku Jidai.

I soliti quadri appesi alle solite pareti, il biancore di quest'ultime e l'odore inconfondibile dell'incenso e della mobilia.

Kagome si sedette su una sedia della cucina, osservando la madre che, di spalle,stava preparando il the per entrambe. Un piccola striscia di fumo saliva da dentro la teiera, mentre il liquido verdastro si muoveva a malapena nella sua ciotola. Afferrò la tazza con entrambe le mani, riscaldandosi con quel contatto e sospirando per il piacere.

"... come fai a vivere in quell'epoca, Kagome-chan...?"

Kagome osservò gli occhi della madre fissi sopra il suo yukata un poco logoro e non più bianco come un tempo.

"... non esiste acqua corrente... sei tutta sporca, vuoi fare un bagno?"

La donna annuì mestamente. Sorseggiò l'ultimo rimasuglio liquido del the e posò la tazza sul piattino di ceramica.

"Con il tempo ci fai l'abitudine, mamma.... devo dire che anche Kaeru si è adeguata abbastanza... ma ci vuole tempo, no?"

La signora Higurashi non rispose, ma Kagome notò il sopracciglio della madre leggermente arcuato.

Non gli diede peso.

Fece scorrere l'acqua tra le dita della mano che rimanevano insaponate ogni qualvolta che il liquido scivolava del tutto. Il profumo del bagnoschiuma aveva riempito le sue narici che ora, aspiravano con profondità l'aroma del bagno. Niente era più rilassante di un bagno. Specialmente se venivi da un epoca in cui tutto ciò non era conosciuto. L'acqua dei fiumi era sempre troppo gelida e a volte sporca di foglie e di fango.

Guardò il piccolo orologio che appeso a una parete segnava le tre di notte. Pensò a Inuyasha, che probabilmente dormiva nella sua forma umana, e le parve di vederne il volto in una increspatura dell'acqua insaponata.

Ricordando la sua opinione riguardo al ritorno al suo mondo, Kagome aveva preferito tacergli l'intento di tornarci quella notte stessa. E non aveva portato con sè Kaeru perché temeva che la bambina volesse rimanere nel loro mondo per sempre. Lei, egoisticamente forse, aveva preso la decisione di rimanere insieme a Inuyasha per sempre... entrambi erano immortali e desideravano vivere insieme, recuperando quel frammento di vita passata che avevano trascorso odiandosi. Inuyasha, però, non le aveva mai imposto niente. Era sua la decisione di agire come meglio credeva. Se lei avesse voluto, avrebbe potuto lasciare Kaeru nel suo mondo, avrebbe potuto vivere anche lei nell'epoca moderna... ma il legame con Inuyasha era troppo forte, anche per lei.

Uscì dalla vasca, lasciando piccole pozze d'acqua sul pavimento del bagno. Si avvolse in un asciugamano pulito e prese a strofinarsi i capelli corvini con energia; lo specchio rifletteva l'immagine di una bella donna, ora libera dal fango e dalla sporcizia di un epoca passata.

Si diresse verso la sua stanza, in fondo al corridoio superiore. Posò la mano sulla maniglia della porta, ma prima di abbassarla, notò il piccolo comò adiacente ad essa. Afferrò una cornice che proteggeva una foto della sua famiglia. La osservò per qualche istante, estraendo la foto dalla fessura superiore della cornice. Le sue mani tremarono leggermente, mentre una di esse strofinò i suoi occhi grigio azzurri. Prese in mano il secondo portafotografie, il terzo e poi il quarto.

L'asciugamano che avvolgeva i suoi capelli cadde nell'istante in cui prese a correre verso la rampa delle scale.

Entrò con impeto nella cucina, facendo sobbalzare la madre che aveva preso a guardare un telegiornale notturno. Kagome le puntò la foto di fronte, con le lacrime agli occhi.

"Perché lo hai fatto?!"

"Fatto cosa?" La signora Higurashi guardò stranita la figlia e prese in mano la foto che stava tremando a causa della presa incerta di Kagome.

La osservò attentamente concedendosi qualche minuto nel farlo, ma, con sorpresa della stessa Kagome, l'espressione della madre era rimasta la stessa: confusione e preoccupazione.

"Hai tagliato la foto dove compariva Kaeru!" Disse Kagome tutto d'un fiato, per impedirsi di singhiozzare.

La madre guardò nuovamente la foto.

"Kaeru? Non capisco..."

"L'angolo in alto a destra è tagliato! E lo stesso vale anche per il resto delle foto! Perché hai tagliato l'immagine di Kaeru? Mamma, diamine, RISPONDI!"

Sentendo il tono di voce della figlia troppo alto, la signora Higurashi diede uno schiaffo a Kagome e prima che quest'ultima potesse prendere a parlare, rispose alla sua provocazione.

"Non alzare il tono della voce con me! Sono tua madre ed esigo rispetto! Questa foto non è tagliata, è perfettamente intera. Inoltre non so di cosa tu stia parlando perché io non conosco nessuna Kaeru!" La madre le porse indietro la foto.

Kagome l'afferrò tremante e con un gesto di rabbia l'accartocciò per poi gettarla a terra.

"KAERU ERA MIA FIGLIA! TUA NIPOTE!"

"Adesso basta Kagome! IO non ho mai avuto nipoti e tu non sei mai stata madre! Che ti sta succedendo, sei forse impazzita?!"

Dopo la frase alterata della madre, Kagome corse nella propria camera. Guardò il punto laddove un tempo stava il lettino di Kaeru per vederlo vuoto, aprì con disperazione l'armadio e prese a rovistare tra i suoi vestiti alla ricerca degli abiti di Kaeru. Si bloccò tenendo le ante aperte e respirando affannosamente. Sgranò gli occhi e guardò nei cassetti ricordando dei disegni della figlia.

Non c'era più niente.

Kaeru sembrava non essere mai esistita.

Dal soggiorno sentì la voce del fratello e quella agitata di sua madre.

Corse di nuovo, incespicando nelle scale. Appena lo vide, afferrò il braccio del fratello che l'osservava meravigliato e con sorpresa.

"Kaeru! Kaeru! TU ti ricordi di lei, vero?! Sì... giocavi sempre con lei, ricordi?!"

Il fratello non rispose, ma scosse la testa.

"... ricordi, vero?" Strinse con forza la divisa del fratello. Chiuse gli occhi sentendo una fitta al ventre... tutto quello che percepì in seguito fu il pavimento freddo sotto di lei.

 **

La ciotola d'acqua le scivolò dalle mani, bagnandole la parte inferiore del suo yukata.

"Ehi, ehi, si può sapere cosa combini?"

Miroku comparve accanto allo spigolo della porta, mentre osservava Sango che aveva preso ad asciugare il pavimento legnoso.

"... niente. Ho avuto solo una strana sensazione..." poi si sollevò dicendo "deve essere la vecchiaia." Con un braccio si strofinò la fronte sudata e ripose lo straccio su una panca lì accanto.

Miroku le si avvicinò cingendole delicatamente la vita.

"Lo sai che devi stare attenta."

"Si lo so." e per tutta risposta, Sango gli diede un pizzicotto sul dorso della mano.

Miroku ritrasse la mano, scuotendola avanti e indietro, guardando deluso la cacciatrice. Non si arresse e le afferrò il volto con lei mani, sfiorando le labbra di lei con le sue.

"Ricorda che non sei più sola sciocchina." le disse sfiorandole il ventre.

Sango sorrise di rimando, annuendo.

Aspettavano un bambino, o meglio... lei aspettava un bambino.

Stentava ancora a credere che nel giro di pochi mesi un bambino avrebbe preso a chiamarla mamma...semplicemente perché era un ruolo che non le si addiceva. Inoltre tenere il figlio che aveva dentro aveva comportato delle rinuncie, per lei molto ingenti. Da un mese aveva smesso di cacciare spettri e demoni, aveva riposto in un angolo della propria capanna il suo boomerang gigante e aveva iniziato a condurre una vita tranquilla... forse fin troppo noiosa, abituata come era a fare movimento per tutto il giorno. Ma erano chiaramente rinuncie fatte volentieri, seppur a malincuore, perché desiderava da tempo la concretizzazione del loro amore. E proprio in questo periodo di stasi, aveva sospettato che Miroku la tradisse. Avendo un figlio... il loro figlio, il timore per l'abbandono da parte di Miroku era sempre crescente.

Tornò a stendersi nel letto, seguita da Miroku.

Il monaco posò delicatamente il capo sopra il suo ventre, sospirando speranzoso.

"Miroku," esordì Sango "dubito che tu possa sentire qualcosa... è solo un mese."

"Se parli non sento di certo!" disse con caparbia l'uomo.

La cacciatrice sospirò.

Quando aspostò lo sguardo, vide gli occhi di Miroku fissi su di lei. Arrossì leggermente "E adesso che c'è?"

Miroku sorrise, un sorriso stranamente serio.

" Stavo solo pensando..." disse afferrandole una ciocca di capelli "... che gravida sei ancora più bella."

Sango arrossì violentemente, non molto avezza a quel genere di complimenti.

Miroku le sorrise di nuovo, posandole una mano sopra alla testa. Poi si allungò fuori dal futon afferrando una sacca di media grandezza e la posò sulle ginocchia della cacciatrice.

"Cos'è?" chiese Sango, sfilando il laccio di corda che teneva chiusa la sacca.

"... bhé, finalmente sono riuscito a raggiungere almeno uno scopo nella mia vita."

Sango spalancò gli occhi osservando lo scintillio delle monete d'oro che la sacca conteneva.

"Ma...?"

"Ho lavorato parecchio, ma alla fine ne è valsa la pena... i Signori dei castelli pagano parecchio... non so se considerarli degli stupidi o meno... comunque," disse incrociando le gambe " questi saranno sufficienti per noi ed il nostro bambino."

Sango rimase in silenzio, fissando il laccio di corda abbandonato sul futon.

"Ehi, ehi, perché piangi adesso??" Miroku si spostò per osservare meglio il volto della cacciatrice. Sango scacciò via le lacrime dagli occhi, dandosi mentalmente della stupida per aver dubitato di Miroku. In un attimo, tutti i pensieri, i dubbi che aveva covato dentro i recessi della propria anima, svanirono di colpo come neve che si scioglie sotto il sole.

Sango prese la mano di Miroku, incrociando le proprie dita con quelle di lui e poi, sorrise.

"Che bravo papà avrà il nostro bambino."

E stavolta non fu lei ad arrossire.

 **

Osservò con ostinazione l'incavo del proprio braccio; un prurito sgradevole sembrava torturarle la pelle. Si strofinò l'arto con la veste che indossava, provocando un leggero arrossamento. Poi la sua attenzione deviò dal braccio all'ambiente circostante. Era la capanna di Inuyasha. Scosse la testa, convinta come era di trovarsi nel suo mondo, nella sua casa e con la sua famiglia. Chiamò a voce alta il mezzo demone, ma non ricevette risposta. Al di fuori della finestra la luna risplendeva chiara e luminosa sostituendo malamente l'astro del giorno.

Era sola.

Si affacciò alla porta della stanza che condivideva con il mezzo demone: il futon era ordinato, segno che nessuno vi aveva dormito. Camminò al centro della stanza per poi fermarsi, cercando di captare rumori provenienti dall'interno.

"Mamma."

Kagome si voltò di scatto, osservando allo stipite della porta legnosa l'immagine di Kaeru. Indossava un pigiama rosa, cosparso di coniglietti bianchi. Kagome sorrise ricordando che quello era il pigiama preferito della figlia. Kagome le si avvicinò chinandosi per arrivare all'altezza della piccola, fece per accarezzarle la testa, ma la sua mano attraversò il corpo della piccola come se questa fosse diventata un essere incorporeo. Riprovò, mentre l'espressione di Kaeru era rimasta bene o male la stessa.

"Kaeru...?"

Kagome cercò con gli occhi un oggetto da poter afferrare e toccò uno stecco di legno usato per alimentare il fuoco. Aveva percepito perfettamente la superficie legnosa e ruvida, ma nonostante tutto non riusciva a toccare il corpo della figlia. Si voltò nel punto in cui Kaeru stava in piedi, ma lo scoprì vuoto. Rimase immobile cercando di capire razionalmente ciò che stava vivendo.

Forse era un sogno. Si, doveva essere senz'altro un sogno.

"Mamma."

Kaeru stava di nuovo in piedi, stavolta dietro di lei. Kagome si voltò nuovamente, ma l'immagine della bambina di dissolse davanti ai suoi occhi. Poi, come in una sequenza cinematografica, il corpo trasparente e chiaro di Kaeru prese a comparire e scomparire intorno alla madre; ogni volta che appariva la bambina assumeva espressioni diverse e contrastanti: quando una risata, quando un pianto. Kaeru era la rappresentazione perfetta di un fantasma.

Chiuse gli occhi, in parte impaurita da quegli eventi a lei del tutto estranei. Mormorò il nome della figlia e in seguito quello di Inuyasha.

Quando i suoi occhi tornarono a vedere, una Kaeru dall'aria tranquilla aleggiava sospesa di fronte a lei.

"Mamma, io devo andare."

"Andare..? Che stai dicendo Kaeru?"

La bambina sembrò guardarla pensierosa.

"Devo tornare a casa."

"Ma... è questa la tua casa!" Kagome tentò di afferrare la figlia, invano.

Kaeru scosse la testa, indicando il ventre della madre.

"Un'affarino luminoso mi ha detto che io sto lì, ora."

"... lo Shikon?"

Kaeru fece spallucce.

Si avvicinò poi a Kagome, sfiorando con le sue piccole labbra le guance della donna. Anche se quel gesto voleva essere caldo, Kagome sentì solo freddo.

Con un gesto inaspettato per la stessa Kagome, Kaeru si mosse verso di lei passandole attraverso, all'altezza dell'addome. Kagome vide un luce bianca brillarle davanti che svanì nell'istante stesso in cui Kaeru era scomparsa.

Si chinò, poggiando le mani sul pavimento della capanna.

Osservò la pelle della mano cospargersi delle striature colorate del legno.

Di lì a poco, scomparve del tutto.

 **

Il primo odore che percepì chiaramente fu quello acre e intenso del disinfettante. La sensazione fredda del pavimento era scomparsa, al suo posto qualcosa di soffice e caldo toccava le sue spalle; aprendo gli occhi Kagome notò il sacchetto di una flebo il cui filo pendeva dal letto su cui era sdraiata. Fece scorrere lo sguardo fino a incontrare gli occhi della madre, ora più tranquilli e sereni, mentre dalla parte opposta del letto, Sota stava seduto su uno sgabello datogli per l'occasione. Sentì la testa intontita e riuscì a fatica a mantenere gli occhi aperti.

"Kagome-chan? Ti senti meglio?"

Kagome sollevò il braccio destro e fece una smorfia nel vedere l'ago sotto la sua pelle.

"...prude."

"Come?" La signora Higurashi si sporse sopra il letto della figlia. Le posò una mano sulla fronte, spostandole le ciocche di capelli ai lati della testa. Fu una sensazione talmente piacevole che Kagome emise un sospiro di sollievo.

"Kagome..." Prese a dire la madre, "... sapevi di aspettare un bambino?"

Kagome guardò la madre con sguardo spaesato.

Ora aveva la sensazione di averlo sempre saputo, come chiara fu la consapevolezza che Kaeru non era mai esistita.

"Sì... in un certo senso."

"Finalmente avrò un nipotino!" Kagome sorrise mestamente alla madre, annuendo. Pensò a come avrebbe potuto reagire la donna sapendo di avere avuto un'altra nipote, anche se per un tempo relativamente breve.

"... Kaeru." farfugliò Kagome posando una mano sul lenzuolo.

La signora Higurashi guardò la figlia, di nuovo palesemente preoccupata.

"A proposito di questo Kagome, io..."

"Kaeru... sarà il nome di mia figlia."

La signora Higurashi la guardò stupita.

"Oh, si certo... va bene. Ma chissà se poi sarà veramente una femmina..."

Kagome non rispose. Il suo sorriso sicuro valse più di mille parole.

Sdraiata sul letto, grazie a una posizione più o meno favorevole, Kagome fissava le infermiere che oltre la porta, camminavano svelte nel corridoio dell'ospedale. Sia l'ambiente che le persone avevano iniziato ad esercitare su di lei un fascino incomprensibile. Niente demoni, o creature maligne... solo esseri umani... normali. Per un istante pensò a Sango e a Miroku, mordendosi la lingua, immaginandosi il loro disappunto.

Immersa in quei pensieri, fissava la parete bianca di fronte a lei e non ebbe modo di accorgersi della presenza della madre.

"Kagome-chan, ti senti meglio oggi?"

Kagome sobbalzò un poco sul letto, guardando la madre con occhi sorpresi.

"Scusa, ti ho spaventato?"

"Si... cioè no. Non preoccuparti, mamma."

La signora Higurashi sorrise al goffo tentativo della figlia di rassicurarla. Prese a guardarsi intorno, afferrando poi uno sgabello che avvicinò al letto.

"Ci ho pensato un po', ma alla fine ho pensato di dirtelo."

Kagome guardò con occhi incuriositi la madre che, di punto in bianco, aveva iniziato un discorso a prima vista molto serio.

".. dimmi."

La madre aspettò qualche secondo, cercando di costruire una frase adatta. Poi sospirò e scosse la testa.

"Inuyasha è venuto a casa nostra ieri sera."

Kagome staccò la schiena dai cuscini bianchi che la sorreggevano, incitando la madre a continuare il proprio discorso.

"... ad essere sincera... quel buffo ragazzo è sempre a casa."

Kagome esitò per qualche secondo "... come ti è sembrato?"

"Perché?"

"Bhè... sono tornata a casa senza dirgli niente."

"Era tranquillo... soprattutto sapendo che eri al sicuro."

"Le hai detto del bambino?"

"Lo sapeva già."

"...capisco."

Trascorsero cinque minuti di silenzio, Kagome vide i pugni della madre stringersi fino a rivelare il bianco delle nocche.

"E' lui il padre vero?" La sua tonalità di voce era neutra.

"Sì." Alla risposta di Kagome la donna annuì.

Le mani di Kagome strinsero le lenzuola candide del proprio letto.

"...senti mamma... anch'io dovrei dirti una cosa... cioè, è qualcosa di assurdo... in questo mondo, voglio dire... sai, non..." Kagome si bloccò osservando lo sguardo fermo della donna. Sospirò.

"... io sono immortale."

La borsa che la signora Higurashi teneva sopra le ginocchia cadde a terra. Pochi secondi dopo il tonfo, la donna la raccolse con fare agitato. Kagome la osservò tristemente, mentre la donna stava cercando di recuperare dei rimasugli del proprio autocontrollo. Kagome voltò il capo nella direzione del piccolo comodino ed afferrò il coltello con la quale aveva sbucciato una mela e fece sfiorare la lama con la sua pelle. La madre, accortasi in ritardo del gesto, si alzò di scatto, facendo cadere lo sgabello a terra.

Kagome si portò lo sgraffio alla bocca succhiandone il sangue e poi lo mostrò alla madre. Nel giro di pochi secondi il rossore della pelle era scomparso così come la ferita sul braccio. La signora Higurashi osservò incredula, poi si abbandonò sul letto vuoto adiacente a quello di Kagome.

Kagome non disse niente, non ne ebbe il coraggio.

"... dovrebbe essere una bella cosa, vero?" Domandò la madre.

Kagome la guardò, mentre questa allontanava le lacrime dagli occhi.

"... insomma... esseri immortali.... non morirai mai... è comodo... eppure, non riesco ad essere felice."

Kagome chinò il capo e chiuse gli occhi, lasciando la madre in silenzio. Sapeva il perché non fosse felice. Lo sapeva.

Lei se ne sarebbe andata con Inuyasha. Avrebbe vissuto per sempre la sua vita in un'epoca estranea alla loro.

In quel momento però, sentì il bisogno impellente di dirlo.

 ** 

It was as if my mind was made up from before our eyes met
Even though you were unseen, like the midday moon, I knew

 

Non reagì, stette immobile. A dividerli solo il piccolo spiazzo del suo tempio. Da una parte lei, Kagome, un semplice essere umano che era riuscito a penetrare nel cuore di un demone, dall'altra Inuyasha, il demone che aveva fatto innamorare un essere umano.

Le contraddizioni, a volte, della vita.

Kagome prese a camminare, molto lentamente verso la figura di Inuyasha, che, con le braccia conserte, attendeva la donna vicino al tempio del pozzo Mangia-ossa. Alle sue spalle, la sua famiglia richiuse la porta dell'ingresso, lasciandole la giusta intimità. Kagome fece scivolare lo sguardo lungo i capelli argentei del demone che risplendevano sotto al bagliore fioco della luna; con grande sollievo incontrò i suoi occhi ambrati, privi di rabbia o rancore. Le sembrò tornare indietro, ai suoi quattordici anni, quando per la prima volta vide Inuyasha al Goshinboku. E si sorprese; si dice che nel momento della morte un essere umano rivive gli istanti più belli della sua vita, eppure... tuttò ciò per lei non era morte, ma solo rinascita.

Kagome afferrò delicatamente la mano del demone, e gli sorrise. Il calore della sua mano la rassicurò. Inuyasha non disse niente, rimase in silenzio, osservandola al chiaro di luna; poi il suo sguardo si diresse verso la casa di Kagome, che ancora teneva le luci accese nei piani inferiori.

Kagome notò lo sguardo di Inuyasha e rafforzò la stretta alla sua mano. Il mezzo demone la guardò scuotere la testa.

"E' tutto a posto. Abbiamo chiarito."

"Bene, ne sono contento.... sei sicura?"

Kagome gli sorrise.

Si lo era.

Si toccò leggermente il ventre, e sorrise tra sè e sè.

Da una finestra, la signora Higurashi vide la propria figlia inghiottita dalle tenebre del pozzo. Abbozzò a un sorriso. Ricordò.

In quel momento però, sentì il bisogno impellente di dirlo.

"... ti vedrò invecchiare, e poi morire. Tu, il nonno... Sota. Io sarò sempre Kagome, il mio viso rimarrà sempre lo stesso. Forse, avrai ripugnanza di me... io, che vedrò  mio fratello diventare sempre più vecchio... soffrirò anch'io mamma.... piangerò il giorno che vi saprò morti. Ma questa è la vita che ho scelto, la vita che ho voluto. Il mio destino è con Inuyasha. Capisci? Però voi sarete sempre la mia famiglia, che viviate o meno, voi ci sarete sempre... per me, voi sarete immortali."

Nel mondo vige una legge naturale: i figli non vengono fatti nascere per l'orgoglio personale di un genitore, ma nascono per gli altri. Lei aveva rispettato la regola, avrebbe vissuto senza rimorsi, sapendo sua figlia felice. E questo le bastava.

Socchiuse le tendine e camminò canticchiando verso la cucina.

Quelle parole di Kagome...

... quelle sì, che sarebbero rimaste immortali.

 

I breathe, bathed in
The light that is you
Together, let's search for a place to go
On this spinning star, beneath the rising and setting sun
Look at the gently drifting ocean moon

 

Le mani forti di Inuyasha la issarono fuori dal pozzo. Aveva intravisto la madre a una finestra, ma l'aveva ignorata volutamente. Parlare con lei, l'avrebbe portata alla lacrime. E non voleva piangere. Voleva dimostrare a sua madre che lei era felice e che lo sarebbe sempre stata.

Guardando Inuyasha nella contro luce della luna, si chiese se la sua scelta fosse giusta per tutti.

Ma anche sapendola sbagliata, l'avrebbe seguito comunque.

 

No matter what winds carried others away, let's
Always stay the same, even if it means immature love

Don't pretty things up with words like "consiracy" or "peace"
Just hold me always, since tomorrow might be the last
 

 

Kagome ridacchiò, mentre a fianco di Inuyasha si stava dirigendo alla loro capanna. La risata sommessa della donna incuriosì Inuyasha che volle subito sapere il motivo di quel moto improvviso di gioia. Kagome alzò un poco le spalle "Tanto non capiresti...".

Inuyasha, ritenutosi offesso, imprecò qualcosa e bloccò il cammino alla compagna.

"E sentiamo... cosa non capirei?"

"Niente, niente... lascia perdere."

"No! Ora me lo dici!"

Kagome incrociò gli occhi, esasperata dal comportamento del mezzo demone.

"Stavo solo canticchiando una canzone..."

"Canzone?"

Kagome prese a camminare, le mani incrociate dietro alla schiena, calibrando il proprio passo in piccoli saltelli.

"Si, musica... non hai mai sentito qualcuno cantare Inuyasha?"

Il mezzo demone annuì con il capo.

"Mia madre spesso lo faceva."

Kagome si voltò di nuovo, osservando gli occhi del demone che per un breve secondo avevano rivissuto un ricordo. La donna gli si avvicinò e circondò il collo del demone, affondando le mani nei caldi capelli argentati.

"Scusa, non volevo varti ricordare cose tristi.... Just hold me always, since tomorrow might be the last."

Inuyasha alzò un sopracciglio, non avendo compreso l'ultima frase canticchiata da Kagome.

"Eh?"

 

The light that is you
Help me know myself, with its crazy shining
Let's be carried away by the gently lapping waves of the wide sea
See, there's nothing more I want

Kagome sorrise.

"Abbracciami sempre, ogni giorno, come se domani fosse l'ultimo. Vuol dire questo... o qualcosa del genere." Gli baciò le labbra, sprofondando nel suo kimono nero.

"Feh, noi non moriremo mai... per noi non ci sarà mai l'ultimo giorno."

"Bhè, può darsi." Disse Kagome con tono deluso. Inuyasha, notando l'errore commesso, la strinse forte a sè.

"Ma mi impegnerò comunque."

Kagome contraccambiò l'abbraccio, ma in seguito si afferrò il ventre con una mano.

"Ah!"

 "Che c'è?" Domandò Inuyasha agitato.

 

Here and now
I breathe, bathed in
The light that is you
Together, let's search for a place to go
On this spinning star, beneath the rising and setting sun
Look at the gently drifting ocean moon

 

 

Kagome rimase quasi sconvolta dal repentino cambiamento del demone, prima così calmo.

"Nie-niente... credo che Kaeru si sia mossa."

In realtà le era sembrato di sentire un secondo cuore battere dentro di lei.

Un altro incessante battito che, seppur debolmente, stava combattendo per farsi sentire.

Alzò il capo, le stelle sembravano gareggiare per mostrare la loro luminiscenza, avvolte nel cielo cupo della notte.

Stretta nell'abbraccio di Inuyasha, portò di nuovo una mano all'altezza dell'addome.

Si stava muovendo, lei, la loro bambina...

... la vera Kaeru aveva iniziato finalmente la sua nuova vita.

  
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