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Autore: Kylu    24/07/2013    3 recensioni
Sul fatto che Kathleen Aster fosse una babbana, non c'erano dubbi.
Vita normalissima (per i quanto i suoi continui sogni ad occhi aperti permettessero), famiglia che si distingueva unicamente per la sua eccessiva severità, e nessun aneddoto magico della sua infanzia o prima adolescenza da raccontare. Scuola babbana, vestiti babbani, casa babbana, e – la cosa le provocava un'inimmaginabile repulsione verso se stessa – cervello babbano.
Eppure, c’era qualcosa che distingueva Kathleen Aster da tutti i suoi simili.
Lei credeva.
Le credeva e, in fondo, quel mondo magico di cui tanto si parlava nei libri lo sentiva anche un po' suo.
Era la differenza, si diceva, tra essere trascinati a forza in una bataglia mortale e entrare nell'arena a testa alta. In molti avrebbero pensato che la scelta personale in fondo non c'entrasse nulla, e che non ci fosse poi questa grande differenza, ma lei sapeva -allo stesso identico modo per cui lo aveva saputo Harry Potter, con pensieri quasi identici a questi, tanto tempo prima- che c'era tuttala differenza del mondo.
Perchè "sono le nostre scelte che mostrano chi siamo realmente, molto più delle nostre abilità".
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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(PROLOGO)

La luna piena era alta nel cielo quella notte. Brillava talmente forte da rendere visibile ogni dettaglio di quell’odiosa visione babbana.
Ma almeno quella triste porzione di mondo visibile dalla finestra della sua camera rispecchiava come si sentiva lei in quel momento, e praticamente tutti i giorni della sua monotona vita: babbana e completamente, irrimediabilmente, nel modo più assoluto inutile.
Che poi, il fatto che i due aggettivi - babbana e inutile - fossero dal suo punto di vista così strettamente collegati era un dettaglio non trascurabile.
Kathleen Aster sbuffò, portandosi dietro ad un orecchio una ciocca ribelle che non ne voleva sapere di starsene al suo posto. I suoi capelli: l’ennesima fonte di odio verso se stessa e di autocommiserazione spesso malcelata da sbuffi e nervosismo perpetuo. Eppure, quei boccoli (okay, chiamarli boccoli era giusto un po’ una presa in giro, considerato che disordinati e indomabili sembravano un eufemismo) rossi ramati -rossi ramati un par di pluffe si corresse la ragazza, semmai di un patetico arancione flou che poteva essere usato da semaforo nelle strade babbane- erano l’unica cosa che, in qualche modo, sembrava legarla al mondo cui tanto agognava: il suo era un rosso-Weasley, o comunque ci andava vicino. 
Un mondo che non avrebbe mai avuto niente a che fare con lei, ma al quale lei continuava a pensare, sul quale fantasticava ad occhi aperti ogni dannato giorno della sua dannatissima vita dannatamente babbana.
Perché, che Kathleen fosse babbana, non c’erano dubbi.
Vita normalissima (per quanto i suoi continui sogni ad occhi aperti lo permettessero), famiglia che si distingueva unicamente per la sua eccessiva severità, e nessun aneddoto magico della sua infanzia o prima adolescenza da raccontare. Scuola babbana, vestiti babbani, casa babbana, e – la cosa le provocava una repulsione verso sé stessa inimmaginabile – cervello babbano.
Eppure, c’era qualcosa che distingueva Kathleen Aster da tutti i suoi simili.

Lei credeva.

Perché ormai la vita e le infinite vicissitudini di Harry Potter erano note all’intero mondo non magico, rese di dominio pubblico grazie ad una serie di romanzi che tutti – ma proprio tutti – avevano considerato come un qualunque altro libro fantasy, ben strutturato e ricco di colpi di scena, uno di quei libri esemplari nel suo genere, che non permette di scollare gli occhi dalle pagine, ma pur sempre un qualunque, comunissimo libro babbano abbondantemente farcito della fantasia di una scrittrice un po’ fuori dalla norma.
E invece, a discapito della sua mente altrimenti razionale e di saldi, scientifici principi, Kathleen credeva.
Era cresciuta con quei libri – a parere suo, l’unica sana idea dei suoi genitori nel corso della sua esistenza era stato insegnarle a leggere a quattro anni e averle ficcato un libro di Harry Potter tra le mani fin da piccolissima, aprendole un mondo. Un mondo di sogni e fantasie infantili, che era andato mano a mano a concretizzarsi in convinzioni che solo dopo anni di prese in giro aveva imparato a tacere ad amici, parenti e conoscenti.
Ora, a sedici anni, la giovane Aster appariva come una normalissima ragazza di città, una cittadina relativamente piccola, vicino a Londra.
Non importava che dentro il proprio cuore, sotto gli occhi calcolatrici della gente, celasse un vero cuore da Strega.
Perché se il cervello doveva tenerselo babbano (e ormai a quell’età, senza lettere da Hogwarts in passato o strani avvenimenti capitati attorno a lei, questo era scontato), sentiva che il cuore, almeno, apparteneva all’altro mondo. Quello dove la gente girava con bacchette magiche, gufi in gabbia, lunghi mantelli e strane monete in tasca.
Kathleen soffiò l’ennesimo sbuffo, stavolta misto ad uno sbadiglio. Le quattro di notte. Fortuna che era estate, e la mattina successiva avrebbe potuto dormire… almeno fino a quando la madre non l’avesse buttata giù dal letto per ricordarle le migliaia di incombenze (tutte orrendamente, schifosamente babbane) che avrebbe dovuto sbrigare.
I minuti passavano lenti, e mentre sentiva il sonno decidersi finalmente a prenderla in considerazione, fece per scostarsi dal davanzale a cui era stata appoggiata per un tempo infinitamente lungo e per chiudere la finestra, lanciando un’ultima occhiata sconsolata all’esterno.
E fu in quel momento che li vide.

Scivolavano lenti lungo il marciapiede di fronte, rapidi, silenziosi, strisciando appena i lunghi mantelli grigi sull’asfalto.
La brezza calda di quella notte estiva si estinse immediatamente.
I lampioni sembrarono balbettare un paio di volte prima di spegnersi definitivamente, uno ad uno, come fiori che, senza più radici, appassissero all’istante. Kathleen avvertì un lungo brivido percorrerle la schiena.
Dissennatori.
Quella parola occupò per qualche istante tutto lo spazio della sua mente già offuscata dal terrore.
Dopo qualche attimo realizzò quasi contemporaneamente due fatti ugualmente sconcertanti: in primo luogo che lei, una babbana qualunque, era in grado di vedere i dissennatori (non che la visione fosse molto piacevole) quando in teoria non avrebbe dovuto riuscirci... né tantomeno credere nella loro esistenza. In secondo luogo notò, con un brivido di puro panico e assoluta sorpresa, il fatto che quei due dissennatori si stessero dirigendo… non era possibile, stavano andando verso di lei?
Kathleen chiuse gli occhi e scosse la testa con forza. Possibile che si fosse fatta prendere così tanto da un altro dei suoi stupidi sogni, o incubi, ad occhi aperti? Lei non apparteneva a quel mondo. Era una stupida, stupidissima inutile babbana.
Ma in quel momento arrivò il gelo.
Una coltre di ghiaccio parve ricoprire ogni suo muscolo, ogni osso, impedendole qualsiasi movimento o pensiero. Era un gelo così assoluto che non sembrava neppure sottrarre calore, ma bruciare la sua pelle, la sua carne, fino a raggiungere i nervi ed espandersi con lunghi brividi e sussulti incontrollabili.
La ragazza riaprì gli occhi, lentamente.
Le erano di fronte.
I respiri pesanti e il cappuccio scuro a celarne le orripilanti fattezze, sembravano assaporare il momento, pregustare l’istante in cui le avrebbero tolto tutto, i pensieri felici, i ricordi, l’anima. Lasciandola come un guscio senza nocciola.
E poi a Kathleen parve come avessero iniziato a scavarle dentro, lasciandole sempre maggiori cicatrici, sempre più profonde, mentre violavano la sua mente e il suo cuore, strappando tutto ciò di cui potevano cibarsi.
Che senso aveva lottare, se tutto ciò per cui viveva sembrava essere andato in fumo, letteralmente divorato da quelle creature orribili? Quasi sorrise nel pensare che fino a qualche minuto prima avrebbe pagato tutto l’oro del mondo per avere un qualunque segno del fatto che in fondo non fosse completamente pazza, che il mondo magico esistesse davvero.
A quel pensiero non proprio felice, ma con una sfumatura della suo vecchio sarcasmo, i due incappucciati sembrarono ritrarsi un attimo, come confusi. E allora lei ricordò, in qualche angolino della sua mente annebbiata, che c’era un modo per sconfiggerli, bastava che… ma lei non aveva una bacchetta, e per di più non era una strega… non era nessuno… sarebbe stato meglio morire li, in quello stesso istante…
La giovane Aster capì che i dissennatori avevano ricominciato a prosciugarla di ogni barlume di speranza.
Ma poi notò un’altra cosa. Quelle due… cose, sembravano divertirsi. Divertirsi, si, nel guardare i suoi vani tentativi da babbana di resistere. E questo la fece infuriare. Non era un pensiero allegro, nè un ricordo gioioso, ma era una fiammella abbastanza forte da potervisi aggrappare, nel nulla bianco e lattiginoso dove stava sparendo la sua coscienza.
E un altro pensiero le attraversò la mente: i suoi genitori. I suoi genitori, e il fratello, che dormivano nelle stanze attigue, ignari della tragedia in corso. Non poteva permettere che si avvicinassero a loro. Ma come attirarli fuori da lì? La porta della camera era da escludere, sarebbe servita solo a dare loro ulteriore accesso alla casa. Ma allora…
Realizzò in un attimo quale fosse l’unica soluzione. E si sentì pazza, idiota, poi paurosa, e poi ancora disgustata di avere paura, quando c'era in gioco la salvezza di altre persone...
Il problema non è la caduta, ma il saper atterrare…
Decise in una frazione di secondo. E un attimo prima che il dissennatore più vicino si togliesse il cappuccio per rivelare l’ultima immagine che la ragazza avrebbe ricordato, Kathleen si tuffò in avanti, verso la finestra ancora spalancata, e semplicemente volò, volò per quelle che le parvero lunghe giornate di sole.

E poi arrivò l’impatto. Per una frazione di secondo non sentì nulla, solo il rimbombo dello schianto contro la stretta striscia di giardino sotto la finestra.
Solo dopo arrivò il dolore, così intenso che Kathleen non avrebbe mai potuto immaginarlo. Non era un’esperta di pronto soccorso, ma era sicura di essersi appena rotta la metà delle ossa che aveva in corpo.
Sentendosi la stupida eroina di un film troppo complicato per lei, scacciò nuovamente la paura in fondo alla pancia, per farci i conti una volta che tutto fosse finito, e si tirò su. Non riusciva a stare in piedi dritta, urlava di dolore ogni volta che la gamba destra toccava il terreno, ma cominciò ad avanzare, prima lentamente, poi sempre più velocemente mano a mano che imparava l’arte del non ascoltare le stilettate di dolore del proprio corpo e continuare ad andare avanti.
Presto se li sentì nuovamente alle spalle. Sempre così rapidi, così odiosamente silenziosi, appena un fruscìo di stoffa a tradire la loro presenza.
E poi, quando i dissennatori ormai avevano guadagnato così tanto terreno su di lei da sentirne il fiato sul collo, Kathleen cadde in avanti, le gambe che non potevano più reggere il peso di quel corpo scosso da sussulti di dolore e singulti appena trattenuti.
Due mani viscide e bianche come la morte comparirono di fronte a lei da sotto uno dei mantelli neri, e le serrarono la gola in una morsa di ghiaccio e acciaio. Ormai quell'essere immondo era a pochi centimetri da lei, e la ragazza perse ogni voglia di lottare. Rimase un unico pensiero: “Fa’ che finisca presto”.

E proprio nell’istante in cui vedeva il cappuccio del dissennatore abbassarsi, e il suo volto – se volto si poteva definire - appoggiarsi con esasperante lentezza al suo, nell’ormai semi incoscienza Kathleen scorse un lampo di luce bianca, pura, il grido di un paio di parole che le risultavano familiari, e di colpo la stretta sul suo collo si allentò e poi sparì definitivamente, come sciogliendosi sotto quel caldo bagliore che sembrò restituirle la voglia di vivere.
Dopo di che cadde nel buio e nel silenzio, accogliendone la pace come una manna dal cielo.




ANGOLO AUTRICE
Questa è la mia seconda fanfiction in assoluto, la prima se non si conta la one shot pubblicata quasi come prova un paio di giorni fa. Mi attirava immaginare il mondo magico che conosciamo bene - immutato, come vedrete, dal modo in cui lo ha lasciato la Rowling nelle ultime pagine dei libri - considerato dal punto di vista di una babbana qualunque che continua ad immaginare un mondo dagli altri considerato una mera fantasia. Mi sono rivista molto nel personaggio protagonista e spero di riuscire ad accompagnare Kathleen fino in fondo alla storia.
Per curiosità, come forse avete capito "Kathleen" si chiama così in onore di quello stesso "Kathleen" che precede la firma Rowling.

Un grazie di cuore a chi è arrivato a leggere fin qui!
Alla prossima, Kylu
  
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