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Autore: Dreaming_Archer    25/07/2013    0 recensioni
"A me sembrava invece di vivere in continua stasi, senza mai nessun cambiamento, mentre osservavo il tempo che passava, il vento che scuoteva le fronde, e il sole che bruciava le pietre, ogni giorno allo stesso modo del precedente.
La mattina in attesa del pomeriggio, il pomeriggio in attesa della sera, e la notte, delusa, in attesa di un mattino migliore.
Ad interrompere questa monotonia c’era stato lui, Silvestro, quell’uomo così geniale ed amabile da avermi catturata giorno per giorno, pezzo per pezzo, fino a raggiungere il profondo del mio cuore. Le mattinate in sua presenza sembravano più luminose, le ore passate a suonare il pianoforte per suo piacere erano così deliziose, e i dopopranzo sotto il pergolato estremamente gioiosi."
Ispirata al dipinto "Il pergolato" di Silvestro Lega (1866), e partecipante al concorso Arte di Parole 2013
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Tutta la vita in un istante

Il vento frusciava tra le fronde, insinuandosi in quel labirinto di foglie e rami, arrivando dolce e delicato come una carezza al mio viso.
Il sole stava inabissandosi lentamente all’orizzonte, sprofondando tra mille sfumature dorate dietro le colline. I suoi raggi formavano lunghe ombre affusolate sul lastricato irregolare del giardino, facendolo brillare di una luce abbagliante.
L’aria era calda e profumata, odorava di estate. Portava alle mie orecchie il bisbiglio del vento tra i cipressi in fondo al viale, il caldo respiro della terra dopo la rovente giornata appena trascorsa. Sotto le protettive fronde del pergolato, l’ombra offriva del refrigerio alle nostre membra stanche e accaldate, ma non riusciva ad acquietare la mia mente. Non c’era vento a scuotere le fronde dei miei pensieri, non c’era frescura a calmare i miei brucianti lambiccamenti.
Tutta la quiete e la bellezza intorno a me non facevano altro che accrescere la tortura che erano diventate le mie giornate. Quella monotonia che mi circondava era come la vita che mi costringevano a vivere, piatta e ripetitiva. Non riuscivo a svagarmi come facevano le mie sorelle con la cugina Ludovica, la giovinetta in visita da Roma, poiché trovavo i suoi racconti piuttosto improbabili e i suoi modi, così melodrammatici ed espansivi, inappropriati in una giovane della sua età e della sua posizione. Maria ed Isolina invece erano completamente catturate da lei, era diventata il fulcro di tutto il pomeriggio. Avevano atteso la sua visita frementi, e ora erano felicemente ripagate.
A me sembrava invece di vivere in continua stasi, senza mai nessun cambiamento, mentre osservavo il tempo che passava, il vento che scuoteva le fronde, e il sole che bruciava le pietre, ogni giorno allo stesso modo del precedente.
La mattina in attesa del pomeriggio, il pomeriggio in attesa della sera, e la notte, delusa, in attesa di un mattino migliore.
Ad interrompere questa monotonia c’era stato lui, Silvestro, quell’uomo così geniale ed amabile da avermi catturata giorno per giorno, pezzo per pezzo, fino a raggiungere il profondo del mio cuore. Le mattinate in sua presenza sembravano più luminose, le ore passate a suonare il pianoforte per suo piacere erano così deliziose, e i dopopranzo sotto il pergolato estremamente gioiosi. Erano stati i giorni e le settimane più radiose e felici della mia esistenza, la mia vita fino a quel momento sembrava essersi svolta solo in attesa di quello che stavo vivendo. Tutti i pensieri e  le riflessioni che solitamente mi assillavano sembrano essersi dissolti, ero una persona diversa, poiché l’unica cosa che colmava la mia mente, era lui. Mi sentivo viva e felice, leggera come l’aria e radiosa come il sole.
Ma poi tutto questo era finito, troppo in fretta. Pochi mesi, e lui dovette andare, tornare in città, frequentare nobili signori ed eleganti salotti, guadagnarsi da vivere.
E le mie giornate erano tornate quelle che erano state senza di lui, la monotonia ancora più soffocante. Se avevo atteso tutta la vita per quelle brevissime settimane, allora tanto valeva lasciarmi morire, poiché non sarei riuscita a sopportare un’altra vita così lunga e pedante solo in attesa di momenti e sensazioni come quelle che erano appena trascorse.
Silvestro mi aveva giurato che sarebbe tornato, molto presto aveva detto. Diceva che la campagna intorno alla nostra casa lo aveva impressionato profondamente, che avrebbe potuto passare anche tutta la vita a scoprire questa terra, e a lasciare al mondo testimonianza del suo passaggio.
Mi aveva lasciata così quindi, di nuovo in attesa della felicità.
Da sola, sul muretto, il ventaglio non riusciva a scacciare i pensieri, e il vento che non riusciva a raffreddare il mio ardente struggimento per quella felicità, che avevo avuto così vicina da pensare di poterla quasi afferrare, ma che poi mi era scivolata via. Forse quella era proprio la punizione per non averne approfittato subito, per non aver riconosciuto che ciò che mi scaldava il cuore era così prezioso e splendido. Ma se così doveva essere, ebbene, avevo compreso la punizione, mi ero pentita, non mi ero mai pentita così tanto in vita mia. Volevo tornare alla Virginia che ero quando ero con Silvestro, l’unico che l’avesse mai conosciuta davvero.
Assorbita nella fitta trama delle mie riflessioni, mi accorsi appena del rumore di passi leggeri che si avvicinavano sul lastricato. Mi voltai con i cuore palpitante di aspettativa.
Stava soltanto giungendo la domestica, ci portava il nostro usuale caffè pomeridiano. Tornai a guardare distrattamente sotto il porticato, dove le mie sorelle continuavano ad ascoltare rapite la cugina Ludovica.
Triste e delusa, mi sventolai con il ventaglio, cercando di placare l’emozione che mi era salita al petto e mi aveva fatto avvampare.
Di nuovo la quotidianità che si ripeteva. Ormai quel caffè del pomeriggio aveva perso ogni sapore per me, era diventato solo un modo per scandire il tempo, e capire quante ore ancora mi separavano da una nuova medesima giornata.
La domestica si fermò in controluce sul limitare del porticato. «Il caffè per le signorine.» Annunciò, senza alcuna sfumatura nella voce.
Io nemmeno mi degnai di guardarla, accaldata e disillusa.
La domestica fece qualche passo all’ombra del pergolato, le tazze e le posate sul vassoio tintinnarono quando le scostò con la mano. «E una lettera, per la signorina Virginia.» Disse, sollevando dal vassoio una piccola busta candida.
Io alzai lo sguardo, il bianco abbacinante della carta mi ferì gli occhi. La luce del sole morente sembrava aver improvvisamente ripreso vigore.
«Da parte del signor Silvestro Lega.» Aggiunse, porgendomela con deferenza.
Sentii il cuore battermi prepotentemente nel petto, facendomi quasi male, come se avesse ripreso dopo tanto tempo. Mi sentii avvampare, mentre la mia mano tremante andava a prendere la lettera.
Quando la ebbi in grembo, ritornai a respirare, senza accorgermi di aver trattenuto il fiato, come con il timore che quel sogno si dissolvesse. Riconobbi la calligrafia sottile ed affilata del mio amato Silvestro, era il più bel modo di scrivere il mio nome che avessi mai visto.
Anche senza leggerla potevo immaginarne il contenuto, lo avevo capito da come aveva scritto alcune lettere, tendendo all’insù, veloce, frenetico. Come se non vedesse l’ora di tornare, e volesse che io ne fossi informata al più presto.
Strinsi la lettera al petto, e alzai lo sguardo al cielo dorato che si intravedeva tra le fronde del pergolato. Avevo atteso tutta una vita e anche di più per quella felicità, e adesso non me la sarei lasciata sfuggire per nulla al mondo.

 
  
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