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Autore: Cheche    25/07/2013    1 recensioni
Stare a casa era come bruciare il tempo; questo si sa che, una volta trascorso, non torna indietro. Rimane spietatamente lontano, portandoti a rimpiangerlo qualora tu non l’abbia sfruttato, schiacciando le occasioni e gettandole nei meandri della tua memoria, rendendole inutilizzabili.
Un sussurro raggiunse l’orecchio dell’Allenatore.
“Kyohei.” Il suo nome non era mai sembrato più bello, perché Hue aveva deciso di riafferrare il tempo che, negligentemente, era stato gettato via.

[GreySkyShipping & Sorellina di Hue] [Song-fic to Ness; perchè senza di lei non avrei mai avuto questa ispirazione]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hue, Kyouhei
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Qualcuno per cui morire senza lasciar segno

 
 
Le acque rilucevano chiare, tingendosi del riflesso del ragazzo chino su di esse. Con la loro purezza si facevano beffe di un’adolescenza soffocata da spire di rancore. Aveva lo sguardo fisso di un demone, la carnagione candida come l’inverno di Unima, un cespuglio di capelli corvini che si appiattiva al passaggio del liquido rinfrescante.
La pelle non si arrossava, quando l’acqua gelata la faceva rabbrividire e pizzicare. Le labbra raccoglievano avide quegli spruzzi che le raggiungevano, i gesti delle membra erano secchi e sollevavano stille.
Tutte queste caratteristiche, insieme, formavano quell’individuo che era Hue. I suoi erano due dei tantissimi piedi che calcano il suolo terrestre, lui era uno dei molti fuori di testa che viaggiano, di corsa, lungo la vita.
Come tutti coloro che, incapaci di fermarsi a riflettere un istante, partono in tutta fretta verso i propri obbiettivi, il ragazzo aveva alle sue spalle una piccola schiera di affetti e relazioni.
In prima fila sedevano la sorella minore e i Pokémon della sua squadra, oltre a quel Purrloin scomparso il cui ricordo sfumava, sempre più labile. Dietro si erano accomodate svariate figure secondarie. Tra di esse svettava la testa spettinata e castana di Kyohei, che alzava goffamente il viso per eludere con lo sguardo l’ostacolo della visiera e dei presenti seduti davanti. I suoi occhi erano sempre, ostinatamente puntati sull’amico d’infanzia, lo seguivano ovunque con le pupille tremanti di preoccupazione morbosa.
Hue, pur rivolgendo continuamente le iridi verso quella piccola folla di persone care, non notava come Kyohei si dimenava in mezzo agli altri che rimanevano statici come in una foto ricordo.
 

Tighten your tie, boy
You're something to die for
But don't hold your breath now
You're just killing time
Tonight you can dream, boy
Imagine a whisper
If you can keep secrets
Then I'll tell you mine

 
Di notte la pioggia picchiettava sui vetri delle finestre. Kyohei, coricato nel proprio letto caldo, rimirava l’oscurità, vedendo in essa le immagini della stessa persona.
Tutto era scuro come la chioma di lui. I tuoni che lo facevano sussultare assomigliavano alla sua voce alterata, ma mai nei suoi confronti. Udirlo gridare per causa sua era il desiderio più segreto del ragazzo. Non sapeva però cosa significasse quella speranza illogica.
Stare a casa era come bruciare il tempo; questo si sa che, una volta trascorso, non torna indietro. Rimane spietatamente lontano, portandoti a rimpiangerlo qualora tu non l’abbia sfruttato, schiacciando le occasioni e gettandole nei meandri della tua memoria, rendendole inutilizzabili.
Un sussurro raggiunse l’orecchio dell’Allenatore.
Kyohei.” Il suo nome non era mai sembrato più bello, perché Hue aveva deciso di riafferrare il tempo che, negligentemente, era stato gettato via.
Kyohei alzò lo sguardo. I lampi li aveva solo immaginati, la pioggia non precipitava. Era una tiepida notte estiva e la finestra era spalancata per lasciar entrare e uscire la brezza mite.
Era una serata dall’atmosfera morbida e soffusa quando Hue andò a trovarlo, noncurante dell’ora tarda.
Non si chiese perché fu accolto con un sorriso anziché con un’espressione contrariata e assonnata.
“Hue. C’è una cosa che devo dirti.” Mormorò l’altro, impastando le consonanti. Stava per denudarsi del suo involucro protettivo, con tranquillità e dolcezza sul volto pallido, convinto di trovarsi sospeso nel proprio mondo onirico.
“Riguarda il motivo per cui ti seguo sempre…” E, se quello fosse stato un bel sogno, si sarebbe concluso nella maniera più confortante possibile.
 

Remember a promise you couldn't hold on to
Though it brings me to tears now
I need you to know
Look in my eyes, boy
Nothing like yours now
It seems that a lifetime
Is passing us by

 
Erano bambini quando, intrecciando i mignoli corti e paffuti, suggellavano promesse.
Mei fermava il triciclo per ammirare il continuo rafforzarsi dell’amicizia tra i due. Poi Hue si voltava e, spensierato, fingeva furia nel gridare: “Lei è quella che pensa che le femmine sono meglio dei maschi!”
Kyohei non sapeva cosa sostenere e si lasciava andare ad una risata, senza una ragione. Era bello ridere perché si era felici, accarezzati dal sole e da un vento che li sospingeva e mai sembrava pericoloso. Le loro scarpette sull’erba producevano un fruscio diverso, quando i loro piedi erano piccoli e trotterellavano trascinandosi. Era un suono che Kyohei ricordava accostato al viso di Hue, con quei suoi occhi grandi e ricolmi soltanto di infantile gioia.
Dicevano ad Alisopoli che Mei era la più carina tra le bambine. Eppure Kyohei, pur ritrovandosela per qualche motivo sempre accanto, non portava scolpiti nella memoria i suoi lineamenti gradevoli.
Nella sua testa c’era sempre e solo stato posto per il suo migliore amico. Il suo legame era ciò che gli bastava e non esisteva nient’altro al mondo che valesse la pena proteggere.
Aveva promesso che, finché il loro vincolo fosse stato solido, avrebbero trovato un motivo per sorridere. Se qualcosa avesse abbattuto la stabilità di uno, l’altro si sarebbe prodigato per ripristinarla.
Voleva essere, per Hue, simile ad uno scrigno delle meraviglie, un tesoro prezioso la cui luce si sarebbe riflessa per sempre nei suoi occhi.
Procedette tutto come doveva essere nei loro progetti, tra candide risa, finché non scomparve il piccolo compagno Pokémon della sorella minore di Hue.
Da allora ogni sua fonte di luce affogò nel petrolio, rendendo le tenebre invincibili.
Kyohei non veniva più guardato da quegli occhi ormai adombrati dall’astio. Prese così visione, con un duro tonfo contro la superficie della realtà, del fatto di non essere poi così necessario.
 

So open your eyes...

 
Kyohei, fremente di gioia, si appese al collo di un attonito Hue. Emerse dalle coperte per poi artigliarlo, sfiorando con le labbra l’orecchio dell’amico di una vita.
Era felice di essere confinato in un sogno tanto realistico, al punto da sentire la pelle liscia e candida del rivale sotto i polpastrelli avidi.
“Io ti voglio bene. Ti voglio troppo bene.” Ripeté morbidamente, attendendo di assorbire l’audacia che gli sarebbe servita per rivelare il segreto reale.
Hue non se lo sentiva dire molto spesso, eppure lo sapeva. Non lo guardava mai ma era intimamente consapevole del fatto che Kyohei fosse rimasto immobile a quand’erano ancora due innocenti bambini che stipulavano patti surreali. Appoggiò una mano al braccio che gli mozzava il fiato, cercando di guardarlo in viso per quella sola volta, intenzionato a ragionare, ma il suo muso incontrò soltanto i capelli lunghi dell’altro.
L’abbraccio di Kyohei lo seduceva, incoraggiandolo a rimanere immobile e ad abbandonarsi all’impossibilità della scena. Le sue proteste rimasero ferme sulla punta della lingua, incapaci di spiccare il salto che le avrebbe rese tangibili. Socchiuse gli occhi, non presentendo nulla di sbagliato in tutto quell’affetto che l’amico non gli aveva mai donato prima di allora.
“Ehi, Hue…” Una mano si intrufolò tra i capelli corvini, forse intenta in un goffo e vano tentativo di riordinarli affettuosamente.
La risposta di Hue fu solo un debole mugugno soffocato, nel quale Kyohei trovò la rassicurazione necessaria per continuare.      Sospirò e il rivale lo sentì contro il proprio petto, il suo tatto si concentrò sulla pelle del busto, ammaliato dal battito tambureggiante di quel cuore che scoppiava sotto il torace magro. Anche il flusso sanguigno dell’altro seguì l’esempio, seppur contro il volere del suo proprietario. Il presentimento aleggiava ora nel suo pensiero, indefinito e flebile.
“Hue…” Le labbra di Kyohei si schiusero vicine al suo orecchio con un piccolo schiocco molle e umido. “Sai che io…”
Le parole successive furono solo sussurri. Hue capì, apprese, metabolizzò in quell’esatto istante in cui i suoi occhi si allargarono.
 

This is forever but it won't last long
This is a memory that fades away in neverending
In the death of all
That's long been said and done before
We'll wish that we were something more

 
Avrebbe potuto renderlo un sogno indimenticabile.
Ne era cosciente, Hue. Rimpiangeva quel tempo che avrebbe volentieri riavvolto, anche solo per la curiosità di godersi un futuro diverso da quello in cui la sua scelta l’aveva catapultato.
Stava già svanendo la rimembranza del contatto delle labbra morbide di Kyohei con il suo orecchio freddo, di quel tocco che l’aveva reso incandescente. I brividi che aveva provato quella notte si disperdevano ora nell’etere, resi sempre più vacui dall’oblio che si aggira insidioso nella mente delle persone.
Dondolò la testa, mentre la gioia si amalgamava con la sua espressione assorta nel vedere la sorellina trotterellare nella sua stanza. Il sorriso si spense un poco nel constatare che era sola. Liepard non la seguiva, non si lasciava mai toccare, non era più l’ombra che avrebbe dovuto essere per la bimba.
Lei era come un piccolo fiore con la corolla esposta al vento, perché l’erba non cresceva più lì vicino. Una pianticella trapiantata senza logica in un terreno arido e ostile.
Lo guardò con quegli occhi di vetro e Hue, mordendosi le labbra, temette che i petali si fossero strappati.
“Non essere triste.” Dichiarò lei con serietà. La sua voce era resa forte dalla mancanza di qualcosa e dal dolore che le recava  l’attenzione estenuante del fratello.
Non capiva come ogni abbraccio che lui le donava appesantisse il suo stelo sottile. Piegandosi ogni volta di più, avrebbe rischiato di cadere nella polvere.
Anche in quel momento Hue seppellì la fronte nella piccola spalla della bambina, che lo accolse senza indugi, intrecciando le dita nei filamenti corvini come l’abitudine le suggeriva.
“Sai che io…” Ripeté, virtualmente e con una semplice mimica labiale, le stesse parole che Kyohei gli aveva pronunciato, senza avere l’audacia di renderle percettibili.
La quieta presenza della sorellina aveva finito di rimuovere ciò che non aveva più il diritto di tediare il suo animo.
Kyohei era sempre più lontano e perduto. Non avrebbe più desiderato ripescarlo.
 

Stop wasting time, boy
You're late all your life, boy
They won't have the patience
For someone like you
Your memory's fading
I'll love you forever
I'll try to remember
I'll try to hold on

 
Era come se quelle due parole fossero state gettate in un tritarifiuti, calciate via con la stessa noncuranza di chi le ha afferrate di sfuggita, lasciandole uscire da un orecchio.
Era una piccola frase indisciplinata che Hue aveva fatto propria, dimenticando di chi fossero quelle mani che l’avevano cucita sui tessuti del suo cuore, obliando il ricordo di quel corpo che si avvinghiava al suo, rendendola ancora più sincera e sentita.
“Ti amo.”
Se qualcuno gli avesse domandato se quelle paroline gli fossero mai state rivolte, forse Hue avrebbe inconsapevolmente mentito, affermando che nessuno l’aveva mai amato.
Sorrise a Kyohei come se niente fosse mai accaduto. Lui che era convinto di aver vissuto un sogno e che cercava ancora l’audacia di parlare dei propri sentimenti.
Hue irradiava soltanto fredda stima. Il filo della loro amicizia si era attorcigliato, indebolito e riempito di nodi. Gli stessi che Kyohei sentiva in gola quando gli occhi del suo rivale incrociavano i suoi per errore.
Tutto ciò che c’era stato stava svanendo e solo lui aveva il coraggio di stringersi al petto quei sentimenti tristi e ingarbugliati. Con passi che non producevano rumore, continuava a seguirlo.
Non era diverso da un’ombra proiettata sul terreno.
 

You're standing alone, boy
Waiting for dreams, boy
Waiting for something
To make them come true
Don't ever leave, boy
I'd miss you too much, boy
I'll never forget you
As long as I'm here

 
Hue si accorse, un giorno, che sua sorella spariva. Sembrava volatilizzarsi quando lui faceva risuonare i propri passi, seguendo una direzione opposta alle sue orme fangose.
Strinse il pugno una dozzina di volte, impugnando aria e solitudine, immaginando con sussulti quella piccola mano che sfuggiva alla sua presa.
Sorellina, io ho dato tutto per te.
Il suo scopo era sempre stato essere quella presenza irrinunciabile. Era rotolarsi nel fango, nel sudore e nel sangue pur di  poter godere della gioia di lei.
Il liquido cremisi colava da tutte le parti, ora che si era effettivamente ferito. La sua consanguinea non avrebbe mai gettato le corte braccine al suo collo, ricambiando il suo malato amore, perché lui suscitava troppa repulsione. Si era tanto insudiciato, con quello sguardo di chi aveva così pochi scrupoli da saper estirpare la vita dai corpi altrui, pensando fissamente al benessere del proprio piccolo mondo.
Era addirittura temuto, odiato.
Osservò le proprie dita e avvertì freddo. Da quell’istante in poi iniziò ad invaderlo un gelo che insidiava la pelle, irrigidiva i muscoli, penetrava le ossa.
Quel giorno in cui lei partì con Liepard senza un saluto, Hue uscì senza borse e senza nulla, vagabondando, anche lui senza rivolgere alcuna parola ai suoi cari. Era incapace di accettare la crescita, i cambiamenti delle cose.
Era convinto di essersi analizzato alla perfezione, eppure continuava ad escludere la facilità con cui aveva lasciato affogare nell’oblio l’immagine del suo piccolo mignolo che si intrecciava così perfettamente a quello di Kyohei bambino. La loro amicizia era come una vecchia foto caduta in mare, coi colori appannati e non più distinguibili, così insulsa da non essere buona neanche come mangime per i pesci.
Ma Kyohei ne ricordava le gradazioni e, quando seppe che Hue aveva lasciato la sua casa, uscì senza dichiarare una parola. Solo lui considerava ancora importanti quei sentimenti lasciati ad ammuffire insieme a tutte le domande senza risposta troppo poco interessanti per essere riesumate.
Quel giorno, tre piccole vite uscirono di casa per non tornare, forse. I loro sentimenti furono così ostinati e infondati da non meritare di essere seguiti nel loro sviluppo. La narrazione delle loro evoluzioni si interrompe in questo punto. Nessuno sa se morirono, se si ritrovarono, se riuscirono a sorridere ancora.
Unima innevata fu lo squallido teatrino della storia di questi piccoli folli. Si inseguirono imboccando vie sbagliate, cercando ossessivamente corrispondenze ai loro sciocchi amori senza eco. Partirono spediti, correndo in direzioni diverse, simili a piccoli topi in una gabbia sconfinata.
Dal momento che il loro mondo aveva delle pareti, prima o poi avrebbero dovuto ritrovarsi.





Note: Beh, sono stata a lungo perplessa su questa storia, sul pubblicarla o no, sullo stile (perché non sono sempre sicurissima sulle song-fic). Se vi state chiedendo quale canzone io abbia utilizzato, la risposta è "To Die For - The Birthday Massacre". Ho scritto ascoltando la prima versione, quella del 2002 tratta dall'album "Nothing and Nowhere". Dedico questa storiella a Ness per i motivi spiegati nell'introduzione. Infatti ho usato le sue headcanon, perché ormai è così che vedo questi due. Arrivando al finale, mi sono resa conto che assomiglia un pochino a quello della Monochrome "Inseguendo sogni irrealizzabili" della mia cara Akemi_Kaires. Consiglio a tutti la lettura della sua storia e vorrei rivolgerle un ringraziamento speciale. Chissà che inconsciamente anche la sua storia abbia influito sulla stesura di questa fic senza pretese? Mi facevo molte pare sullo stile, ma alla fine rimane semplice e spero che l'abbiate trovato scorrevole. Come sempre, sarei contenta di sapere cosa ne pensate. Grazie di aver letto fin qui! <3
  
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