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Autore: Alphesiboei    25/07/2013    10 recensioni
Zayn fugge da Bradford e dal suo passato, non del tutto convinto che quello servirà a cambiare il suo futuro. Non del tutto sicuro che cambiare il suo futuro gli interessi davvero.
[Zarry]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: La casa degli spiriti.

Pairing: Harry/Zayn

Note: Ispirata a un film che mi è stato raccontato, di cui non mi ricordo il titolo e di cui non so la fine né nulla, in realtà, sorry. Sorry anche se non ha senso. Santa Madre, mi sembra di scrivere questo in tutte le note, non credo sia una cosa particolarmente positiva. Il titolo è rubato alla Allende, ma il libro non c’entra nulla nulla nulla con la storia. Il nome del micro paese è inventato! Va beh. Ah sì, la fine. Sorry anche per quella.

Disclaimer: Gli One Direction non mi appartengono bla bla bla.

 

Zayn aprì la porta di quella che era la sua nuova casa.

Si era appena trasferito lì, in quel piccolo paesino, lasciando Bradford e la sua famiglia. Alcuni avrebbero detto che stava scappando, anche se lui preferiva parlare di cambiare vita.

L’appartamento era piccolo, ma per lui e le sue esigenze era più che sufficiente.

Era pulito e confortevole, i muri non presentavano muffe o strani aloni, il bagno era essenziale e funzionale, e la stanza da letto aveva tutto quello che occorreva, e cioè un armadio e vari ripiani su cui poter appoggiare la maggior parte dei suoi libri.

Gli altri, quelli che preferiva, sarebbero andati a far compagnia alle varie suppellettili, in bella mostra nel piccolo soggiorno, dove poteva averli in continuazione sotto mano, prenderli e sfogliarli, e dove a malapena entravano un divano e una libreria. Da nessuna parte c’era una televisione, ma quello era solo un pregio aggiuntivo. Non sopportava tre quarti dei programmi che trasmettevano e al TG preferiva i quotidiani. Era sempre stato un po’ così, fuori dal mondo e dall’ordinario, anche durante i periodi migliori.

Non aveva fame, anche se era ora di cena. Da più di un anno, però, il suo stomaco si era abituato alla sua negligenza nel cibarlo e ormai neanche si lamentava più. Da bravo, c’aveva fatto l’abitudine, come ancora Zayn non era riuscito a fare con molto altro.

Si sdraiò sul divano, perché già sapeva che lì avrebbe dormito. Non toccava un materasso da una vita e il fatto che quello nella stanza accanto non fosse il suo, non avrebbe cambiato nulla. Neanche si ricordava come fosse appoggiare la schiena a qualcosa che fosse più largo di sessanta centimetri e la testa su qualcosa di soffice. Non che gli importasse, in ogni caso.

Prese il libro che aveva iniziato qualche giorno prima; l’aveva conquistato così tanto e fortemente che in poche ore era già arrivato a metà, malgrado la mole. Il giuoco delle perle di vetro; aveva una piccola cotta per Hermann Hesse e per il suo modo di presentare la vita dell’uomo, fatta di spirito e di concretezza. Negli ultimi tempi, i suoi libri l’avevano aiutato spesso, anche se era capitato pure che invece di tranquillizzarlo, aggiungessero angoscia alle sue inquietudini.

Lesse fino a notte fonda. In quello stesso momento, i suoi genitori e le sue sorelle erano di certo addormentati e la strada su cui dava la loro casa, – la casa della sua infanzia – aveva smesso di essere trafficata da una o due ore al massimo. Lì, dal suo piccolo appartamento, ubicato in un piccolo palazzo nella periferia di un paese così piccolo che essa non era neanche distinguibile dal centro, le strade non erano state particolarmente rumorose neanche al suo arrivo. Quello che sentiva, alle due passate, era solamente il vago e sporadico verso di qualche animale notturno.

Quando era bambino e ancor di più durante l’adolescenza, tutti si meravigliavano che, a una partita di calcio tra amici e la prospettiva di infangarsi dalla testa ai piedi, preferisse la solitudine e il silenzio della sua stanza, il conforto dei suoi fumetti, prima, e dei suoi libri, poi, o il leggero frusciare di una matita su un foglio bianco.

Adesso, il silenzio eccessivo lo spaventava. Aveva la capacità terrificante di dare un volume troppo potente alla voce dei suoi pensieri che lui, anche con tutti gli sforzi immaginabili, riusciva poche volte a rinchiudere in qualche anfratto remoto e introvabile della mente.

Quando aveva accettato la proposta della madre e preso la decisione di trasferirsi, non aveva fatto i conti con la tranquillità di un luogo di campagna, sebbene fosse ormai abituato ad abitare da solo.

Forse avrebbe dovuto rivedere l’idea di possedere un televisore.

*

Il mattino seguente si alzò che era da poco sorta l’alba. Era la fine di maggio, l’aria mattutina era ancora fresca, ma quasi in modo piacevole, ormai, e si respirava profumo di fiori dovunque andasse. A Bradford, al massimo, si respirava smog e la nebbia quasi perenne avrebbe inciso sul suo umore, già di per sé scontroso e facilmente irascibile. Little Holmes, invece, sembrava una piccola oasi felice, un’isola beata, forse addirittura troppo.

Non incontrò nessuno, mentre si allontanava da casa sua (ancora gli faceva un po’ strano definirla così); tutto era ancora immerso in un pacifico sopore, mentre lui era riuscito a dormire a malapena alcune ore. Il suo organismo non voleva decidersi ad addormentarsi un po’ prima e svegliarsi un po’ dopo, ma il problema principale – lo sapeva bene – era il cervello che non sembrava voler riposare e lo svegliava di sobbalzo nei momenti più impensati della notte, portando in dono ricordi non voluti.

Camminando poco più di un quarto d’ora arrivò a destinazione. C’era già stato, da bambino, quando con tutta la famiglia aveva fatto visita alla zia che abitava là, ma si ricordava poco e nulla.

Per quanto ne sapesse lui, quel posto poteva essere rimasto invariato nel corso degli anni e avere quella fisionomia da decenni, oppure poteva essere completamente diverso e stravolto rispetto a com’era ai tempi del loro breve viaggio.

La zia, che abitava a Little Holmes da quando era poco più che una giovane donna, era la sorella della madre di sua madre; in parole povere era la sorella di sua nonna. Stando ai racconti che in casa sua erano sempre circolati su di lei, era una donna fantastica, emancipata, avanti rispetto alla società e alla storia. Ma sua madre l’adorava, e il sentimento era reciproco, per cui Zayn non sapeva quanto quei giudizi fossero di parte.

Di poche cose era certo, in realtà: che si chiamasse Linda, che la sua nipote preferita fosse proprio sua madre e che a lei aveva lasciato in eredità il negozio che possedeva.

Era una libreria, e sua madre l’avrebbe venduta, se non fosse stato che rappresentava l’ultimo legame ancora esistente con zia Linda.

Solo che lei di certo non se ne poteva andare da Bradford. E proprio mentre si arrovellava il cervello su come fare e che soluzione trovare, le arrivò la grande idea, il lampo di genio (o almeno così lei lo aveva definito).

Zayn.

Lui sarebbe stato la persona perfetta per gestire una libreria per due motivi fondamentali: il primo, ed essenziale, era che amava i libri come l’aria, il secondo, che, se fosse rimasto a Bradford anche solo un giorno di più, sarebbe morto soffocato.

Zayn sapeva che sua madre aveva ragione, e per quanto non volesse allontanarsi dalla sua famiglia e dalle sue sorelle, sapeva anche che andarsene da lì significava liberarsi di fardelli diventati troppo pesanti. O almeno provare a farlo.

Il negozio si trovava lungo quello che tutti gli abitanti chiamavano il Corso (che poi stava per Corso Principale, che era anche l’Unico). Quest’ultimo non era asfaltato, il che lo rendeva piuttosto pittoresco, ma – sbadato com’era – se non ci avesse prestato abbastanza attenzione sarebbe inciampato tra le pietre non allineate.

La libreria stava più o meno a metà, e tutt’intorno era pieno di negozi vari. Volgendosi da una parte all’altra, Zayn aveva notato un negozio di scarpe, qualcuno di prodotti tipici, una tabaccheria, un fioraio, un’edicola. Accanto al suo, c’erano un’oreficeria e un piccolo negozio d’abbigliamento, mentre di fronte una pasticceria. Be’, almeno sapeva dove fare colazione, se mai si fosse svegliato troppo tardi e non avesse avuto tempo di farla a casa.

Quando arrivò di fronte a quello che stava ufficialmente per diventare una sua proprietà, si fermò per qualche attimo ad ammirarne l’esterno. La vetrina era accattivante e ben decorata, anche se – al contrario di quello che si sarebbe aspettato – non erano esposti le ultime uscite o i libri più venduti. Era strano, una scelta che rischiava di far perdere profitti, qualcosa che anche Zayn sapeva che non andava fatto. Ma, per quanto ne sapesse, gli affari a sua zia andavano a gonfie vele.

E pensare che, secondo lui, anche la sola idea di una libreria in un posto sperduto e dimenticato da Dio come Little Holmes sembrava folle.

Si mise a leggere i titoli: Il Grande Gatsby, On the road, Oliver Twist.

Erano tre dei suoi preferiti, li aveva anche a casa, posti sulla mensola con amore, e la lista continuava e comprendeva altri libri che, in un modo o nell’altro, l’avevano toccato o segnato.

Sembrava troppo magico, per esser vero.

Gli cascò l’occhio sull’insegna: La casa degli spiriti.

Avrebbe quasi riso per l’assurdità di tutte quelle cose che, da sole, erano sciocchezze ma che, prese insieme, gli facevano storcere un po’ il naso.

Poi scrollò le spalle, perché magari sua zia era semplicemente fissata con la Allende, aveva buoni gusti in fatto di letture ed era una maga del commercio.

Spesso la spiegazione esatta era proprio quella più semplice.

*

Per quanto strano fosse, l’esterno era piuttosto semplice.

L’interno, al contrario, era un paradiso.

Zayn si era aspettato una di quelle librerie moderne, fatte di scaffali impersonali, nuovissimi e funzionali, meglio se anti-acaro (anche se probabilmente una cosa del genere neppure esisteva). Era tutto il contrario, invece. Non solo le scaffalature erano in legno, antico quanto pregiato, ma c’era un odore particolare e buonissimo che non avrebbe saputo descrivere, i libri erano molti di più di quelli che si sarebbe aspettato per una libreria di paese, e i soffitti e le pareti erano affrescati, neanche quello fosse stato un palazzo storico.

Diede un’occhiata in giro, specialmente alla disposizione dei tomi, e sorrise della precisione della zia Linda. Anche alla cassa era tutto in ordine, e i fornitori arrivavano di giovedì, se non ricordava male, per cui non aveva altro da fare. Scorse un piccolo stereo che stonava tra tutto il resto perché molto più recente. Accanto ad esso, impilati in fila anche quelli, vi era una serie di CD.

La maggior parte era di musica classica. Ne mise nello stereo uno e in pochi secondi il primo notturno di Chopin prese a risuonare nel negozio.

Erano solo le otto e probabilmente era ancora troppo presto per aprire, ma ormai, tanto che c’era, poteva tranquillamente girare il cartello che diceva chiuso e avvertire Little Holmes che La casa degli spiriti aveva ripreso vita.

*

Stava leggendo il terzo capitolo di Notre-Dame de Paris, quando la porta del negozio si aprì.

Entrò una donna sulla trentina, anno più, anno meno, sorridente e dall’aria piuttosto socievole.

Era bella e giovanile, anche se non esattamente il suo tipo; ma nessuna donna lo era, per cui quello significava poco.

Le sorrise, cortese e un po’ nervoso: era la sua prima cliente e voleva fare buona impressione.

«Buongiorno» le disse, mentre si alzava dallo sgabello sul quale era stato comodamente seduto da quando era arrivato e allontanandosi dalla cassa.

«Ciao» rispose lei, allungando una mano, per presentarsi. «Sono Gemma Styles»

Un po’ attonito, gliela strinse, non sapendo che altro dire se non il proprio nome e non capendo perché la donna avesse sentito il bisogno di presentarsi.

«Stavo per andare da mio fratello, quando ho visto che la libreria di zia Linda era aperta e nulla, volevo solo sapere chi l’avesse comprata» spiegò, stringendosi tra le spalle.

«Oh» emise Zayn. Zia Linda? «Sono suo nipote. O meglio, il figlio di sua nipote» precisò.

Gemma sorrise e si mise a spiegare come Linda fosse stata una persona importante per tutti, al paese (che era talmente minuscolo che ogni abitante conosceva tutti gli altri), e che per lei e suo fratello era stata una specie di zia, visto che la conoscevano da quando neanche camminavano e più e più volte aveva badato a loro e gli aveva regalato libri e offerto caramelle.

Zayn sorrise ai ricordi di Gemma. La zia Linda che la ragazza ricordava era proprio la stessa che lui aveva conosciuto attraverso i racconti della madre e, anche se lui non l’aveva vista che da piccolo, si sentiva misteriosamente legato a quella strana parente, e la libreria in cui aveva passato giusto una manciata di minuti gli era già entrata nelle vene, già scorreva nel suo sangue, preziosa come la linfa stessa della vita.

Non fece troppo caso a quelle sensazioni né al poco tempo che avevano impiegato per nascere in lui, però; tutto, in quel luogo, era piuttosto insensato.

«Sono felice di vedere che la bimba di Linda è in buone mani» concluse Gemma, prima di uscire.

La bimba. Il suono di quelle parole gli piaceva, ma al tempo stesso era odioso, perché risvegliava campanelli che avrebbe preferito restassero in silenzio per sempre, e già sapeva che lui di certo non l’avrebbe mai definita così.

Si limitò ad annuire, anche perché La casa degli spiriti era davvero in buone mani, dedicate e amorevoli; o, almeno, sperava.

Guardò mentre la prima persona con cui aveva davvero fatto conoscenza a Little Holmes usciva dal suo negozio, attraversava il corso ed entrava proprio nella pasticceria dirimpetto alla libreria.

Evidentemente suo fratello lavorava lì. Probabilmente, se era così, l’avrebbe rivista spesso.

*

Chiuse per pranzo.

La mattina era stata piuttosto movimentata, e la cosa aveva piacevolmente stupito Zayn, anche se lui stesso non sapeva dire se tale afflusso fosse dovuto a un reale interesse per la letteratura o a uno per la sua persona. In ogni caso, aveva conosciuto il macellaio e la moglie del meccanico, una giovane dottoressa che pareva piuttosto in gamba e niente di meno che il sindaco stesso.

Sua zia doveva essere più famosa e ben voluta di quanto non sapesse e di quanto avesse immaginato.

Girò il cartello in modo tale che la gente, passando per la strada, avrebbe letto chiuso e spense le luci, senza curarsi di bloccare la porta: era piuttosto convinto che, in quel regno delle favole, nessuno avrebbe fatto irruzione per rubare nulla.

Si era portato un panino da casa, non sapendo bene dove andare a mangiare un boccone e troppo assuefatto alla sua solitudine per mettersi in cerca di compagnia e volti tutti da scoprire. Sapeva che questo andava contro le speranze con cui sua madre l’aveva spedito lì (non che avrebbe potuto farlo davvero, non avesse voluto lui stesso, aveva ventotto anni ed era libero di fare le sue scelte e commettere i suoi errori già da molto, ormai), ma sapeva anche che lui era tipo da affrontare le cose facendo un passo per volta, bevendo le novità a piccoli sorsi.

Verso metà mattinata, in un raro momento di tranquillità, era dovuto correre in bagno. Cercandolo, aveva notato un’altra porta, che non aveva potuto aprire ed esplorare per mancanza di tempo, ma che adesso quasi si sentiva chiamato a perlustrare.

Era strano, proprio come un mucchio di altre cose in quel luogo, ma quella stanza lo attirava, lo incantava come fa il canto delle sirene con i marinai, una fonte di luce con le farfalle notturne. Aveva anche la sensazione, però, che essa fosse tutto, meno che pericolosamente mortifera.

A prima vista, era una stanza del tutto comune. Vi era una finestra alla parete opposta, dalla quale, invece che del corso, poteva ammirare una bella panoramica di metà paese. Le pareti dovevano essere state tinteggiate di recente, forse poco prima del suo arrivo, perché l’odore tipico di vernice fresca ancora un po’ si sentiva; forse la zia aveva predisposto tutto appositamente. Su due lati, c’erano mobili più lunghi che alti, pieni di libri che dovevano essere appartenuti alla zia e di registri su cui la donna nel corso del tempo aveva annotato entrate, uscite, ordini, cifre varie. Un po’ di tutto, insomma.

Al centro della stanza, invece, ben in vista stava un’immancabile scrivania in legno. Zayn avrebbe detto di ciliegio, ma non ne capiva molto. Di certo era un pezzo d’antiquariato, imponente ed elegante, finemente lavorato e, come tutto il resto all’interno del negozio, ben tenuto.

Passò qualche minuto a osservare i vari tomi posti sugli scaffali, prendendo in mano quelli che attiravano maggiormente la sua attenzione e cercando, allo stesso tempo, di non sbriciolare per terra (dove, per fortuna, non c’era nessun tappeto di cattivo gusto).

Finì il pranzo e si sedette alla scrivania. La sedia era comoda, pur essendo anche lei datata, proprio come sembrava a vedersi.

Sopra il ripiano, c’era poco e niente: una lampada, un portapenne con giusto una stilo nera, qualche foglio appoggiato al lato e un libro, al centro.

Iniziò a sfogliarlo, e si accorse che era tutto meno che un libro. Le pagine erano immacolate e non avevano neanche una di quelle pieghe che vengono anche trattandole con attenzione e grazia, al solo girarle. Sembrava fosse lì da sempre e, contemporaneamente, da qualche minuto. Non solo sembrava non essere mai stato toccato, ma aveva anche la copertina più strana che avesse mai visto.

Era nera, completamente. Non una scritta, una sfumatura, un disegno. Nulla. Solo una distesa di quel colore opprimente e soffocante. O forse, oppresso e soffocato. Un po’ come mi sento io. Quel pensiero arrivò veloce quanto indesiderato, ma Zayn non poté negare che il paragone calzava. Distrattamente, proprio come accadeva tutte le volte che ci pensava in modo troppo intenso, la mano destra si posò sopra la sinistra e, con movimenti lenti e quasi affettuosi, iniziò ad accarezzarla.

Smise di fissare quel colore e aprì di nuovo il libro, anche se i ricordi continuavano a vorticargli in testa. Magari non c’aveva fatto caso, e in realtà qualcosa, nascosto tra le pagine iniziali, c’era eccome, o forse aveva preso solo un abbaglio, e in realtà le parole macchiavano il bianco intonso, come in qualsiasi altro volume.

Invece no, non si era sbagliato. Di nuovo, il bianco lo travolse, e proprio mentre se ne accorgeva, accadde l’ennesima stranezza. Anche se, Zayn avrebbe ammesso in seguito, questa le batteva tutte quante.

*

Sbatté gli occhi. Una due tre volte. Si diede un pizzicotto sul braccio e si morse la lingua, perché non era possibile e in realtà stava sognando.

Non si svegliò. Evidentemente non era addormentato. O, forse, lo era troppo profondamente.

Come che fosse, doveva essere un sogno per forza. Non era possibile che, nel giro di un respiro, si fosse ritrovato in quella stessa stanza, ma, allo stesso tempo, in una stanza diversa.

Non aveva senso, lo sapeva anche lui. Quelle parole suonavano assurde anche ripetute all’interno del suo cervello, ma erano la semplice descrizione di quello che aveva di fronte. Forse l’unica.

«Salve» disse la voce, piena di una compostezza d’altri tempi, proveniente dalle labbra della persona che stava seduto alla scrivania dove, fino a qualche attimo prima, era invece posizionato lui.

Appunto, assurdo.

Zayn non riuscì a emettere suono, ancora troppo frastornato dall’inspiegabilità della situazione.

Il signore – che in realtà non era un signore per niente, e che invece doveva avere più o meno la sua età, ma che lo era nondimeno, con la sua aria posata e la sua posizione composta, anche se sul suo volto spuntava un sorriso contornato da fossette – non sembrò aversene a male, per la sua mancanza di saluto.

Zayn sapeva di sembrar maleducato, ma proprio non poteva farci nulla: la gola era secca e la lingua completamente impastata, era proprio fisicamente impossibilitato a parlare.

«Tu devi essere un qualche parente di Linda»

Zayn registrò come quella non fosse una domanda, ma anzi, una semplice constatazione. L’uomo non si aspettava una conferma da lui, ma probabilmente solo che esplicasse l’entità della parentela stessa.

Annuì lentamente. Si schiarì la gola, nel tentativo di riuscire a pronunciare almeno una sillaba.

Fallì una volta in più, e l’uomo gli sorrise bonariamente, come fosse stato un nonno che guarda amorevolmente il proprio nipote.

Quella strana presenza, che magari era uno spirito, gli indicò con un gesto un’altra seggiola, sul lato opposto della scrivania, in modo che – se si fosse seduto – i due si sarebbero trovati l’uno di fronte all’altro.

Zayn accettò di buon grado l’offerta (registrando anche il fatto che quella sedia mancava nella sua stanza, l’originaria. Che forse non era quella originaria. Magari era in un altro universo. Non ci stava capendo più nulla), perché le gambe avevano iniziato a cedergli sotto il peso di tutta quella stranezza, e di certo non voleva svenire di fronte a un estraneo. Anche se quest’ultimo non aveva l’apparenza di essere un serial killer o un trafficante di organi, non voleva davvero rischiare.

Il ragazzo lo fissò un altro po’ e Zayn avrebbe voluto che smettesse, tutto quello scrutinio lo stava mettendo in soggezione e lo stava anche irritando.

Gli occhi verdi dell’altro sembravano due fari nella notte e probabilmente riuscivano pure a leggergli nel pensiero. Anche quello era del tutto assurdo, ma ormai Zayn non sapeva più a cosa credere e forse non sarebbe mai più riuscito a distinguere la realtà dalla fantasia. L’opzione sogno era ancora in piedi, comunque, e restava un’àncora di salvezza alla quale Zayn cercava di appigliarsi con tutto se stesso.

Era bello, decise Zayn. Benché tutto il resto lo inquietasse e lui stesso necessitasse di una spiegazione plausibile al più presto, quello era innegabile, anche se i capelli corti fissati con più gel di quanto ne usasse lui sembravano d’altri tempi, e la stessa cosa poteva dire del suo abbigliamento, fin troppo formale e curato, sia per l’età che per la situazione. In fondo, se non si sbagliava, si trovava ancora all’interno di quella che era la sua libreria.

Oppure quella era una specie di facsimile identico in tutto e per tutto al negozio che conosceva lui. O quasi. C’erano piccole differenze, oltre la presenza di qualcuno che non aveva mai visto in vita sua; la lampada era sparita, i fogli erano molto più numerosi e posti in modo più casuale, gli scaffali erano meno pieni. Ma, soprattutto, mancava il libro nero.

Evidentemente l’espressione di Zayn parlava per lui, perché l’altro gli chiese se stesse cercando qualcosa.

«No» rispose, lapidario. Esultò internamente per il ritrovamento della voce perduta e ritenne quel monosillabo una grande vittoria.

«Se sei qui, stai cercando qualcosa di sicuro» lo contraddisse, come fosse sciocco ritenere possibile il contrario.

Forse poteva davvero leggergli nel pensiero, dopotutto.

Qualcosa nell’altro, però, gli disse che non si stesse riferendo a un qualche oggetto. Zayn aveva come l’impressione che stesse parlando di qualcos’altro, di qualcosa di più.

Ma quello aveva ancora meno senso di ogni altra cosa; Zayn aveva smesso di cercare tutto molto tempo prima, eccezion fatta per le chiavi di casa.

«Non cerco niente» proferì, con assoluta sincerità. Il sorriso che comparse sulle belle labbra dell’altro lo fece quasi arrabbiare: vi lesse un filo sottile d’ironia e la portata di un sapere superiore.

Si stava iniziando a innervosire sul serio. Non era mai stato una persona paziente, in grado di star dietro ai tempi di tutti, e quando proprio non ce la faceva più ad aspettare, cercava di velocizzarli il più possibile.

«Quanti anni hai?» cambiò completamente discorso, come se la sua precedente insistenza non avesse irritato Zayn all’inverosimile.

«Ventotto» rispose, e poi – visto che ormai si era sbloccato – aggiunse «e Linda era mia zia», rispondendo così all’unica domanda che aveva lasciato in sospeso.

«Era?» Zayn notò che lo sconosciuto aveva puntualizzato il tempo da lui usato, più con curiosità che con dispiacere. Gli parse un po’ strano, per qualcuno che non solo si trovava liberamente nello studio della zia, ma che, soprattutto, poco prima l’aveva nominata con un affetto nella voce che, a lui, aveva fatto pensare ad una tenera amicizia.

«È morta qualche giorno fa» si sentì in dovere di informarlo.

L’altro lo fissò con uno strano sorriso, come se nascondesse il segreto dell’immortalità e Zayn, scioccamente, gli stesse parlando del tempo che passa e vola via.

«Qualche giorno fa è un concetto piuttosto relativo»

Sinceramente non capiva bene cosa ci fosse di relativo, in quell’espressione. Qualche giorno fa era qualche giorno fa, punto. Che fossero due o tre o dieci poco cambiava.

«Ragazzo, hai cap» s’interruppe, come se a un pensiero ne fosse subentrato d’improvviso un altro. «Come ti chiami?»

Effettivamente, Zayn pensò che avrebbero dovuto pensarci sin dall’inizio, alle presentazioni; ma, da parte sua, aveva la testa piena di domande pungenti e, per quanto fosse allettante, la sola conoscenza del nome dell’altro uomo stava piuttosto in basso nella lista delle cose da chiedere.

«Zayn Malik»

«Bene, Zayn» riprese, come sollevato dalla nuova consapevolezza. «Io sono Edward Styles»

Il nome non gli diceva nulla, anche se in un certo senso gli suonava vagamente familiare. Ma era piuttosto comune e poteva averlo sentito ovunque, per cui non ci fece troppo caso.

«Hai capito dove ti trovi, Zayn?» chiese, neanche Zayn fosse un bambino di quattro anni, in più un po’ deficiente.

Quasi avrebbe evitato di rispondergli, ma la curiosità, in quel momento, superava qualsiasi altra cosa, per cui annuì, semplicemente.

«E sai anche che giorno è oggi?»

Ok, quella specie di quiz stava diventando pateticamen-. A meno che… Zayn deglutì e prese coscienza del fatto che le sue mani stavano iniziando a sudargli e la gola a seccarsi. Il che non aveva senso, visto che di certo quello Styles non gli stava per dire che…

«Immagino che me lo possa dire lei» disse, con la voce più ferma e sicura che riuscì a trovare.

Edward sorrise.

*

«È uno scherzo?» sbottò, perché dai.

Imperturbato e imperturbabile, l’altro dimostrò di non essere per nulla scandalizzato dalla sua voce salita di qualche decibel, ma anzi, con la sua espressione pacata e rasserenante, forse voleva proprio tranquillizzare Zayn. Che si sarebbe mangiato le unghie per il nervoso e strappato i capelli perché quello di sicuro l’avrebbe fatto risvegliare.

Doveva essere un sogno. O magari una presa in giro, e Edward era pure l’attore più bravo che lui avesse mai avuto l’opportunità di vedere dal vivo.

«Che vuol dire che oggi è il 14 maggio del 1950?» perché, davvero, l’ultima volta che aveva controllato, il calendario portava la data 2013.

Ne era quasi certo al 100%, ma ultimamente aveva vissuto talmente tanto in un mondo tutto suo da accorgersi a malapena di quello che gli accadeva intorno. Era piuttosto sicuro, però, che se avessero scoperto di aver sbagliato qualche conto astronomico e avessero stabilito di dover riportare il mondo indietro di più di sessanta anni, se ne sarebbe accorto.

«Vuol dire che, anche se tu non lo sai o non vuoi accorgertene,» rispose, affabile. «quel libretto che hai trovato ed evidentemente aperto era a conoscenza del tuo bisogno di essere qui, in questo momento. Con me»

«Ma se neanche ti conosco!» sbottò, dando del tu a quella persona che aveva appena incontrato e che, anche se d’aspetto dimostrava meno anni di lui, in realtà era molto più anziano. Proprio non riusciva a usare una deferenza che sarebbe parsa eccessiva anche alle sue orecchie, però; in ogni caso, Edward Styles non si scompose né per il tono né per la scelta delle parole.

«Non è quello l’importante» pronunciò quasi solennemente, come se – le sue – fossero parole sacre e pregne di significati profondi come l’oceano.

A Zayn, invece, quello sembrava vitale. Non vedeva come potesse aver bisogno di qualcuno con cui non aveva mai parlato prima e che viveva in un mondo che non era il suo (in realtà non aveva ben capito come stessero le cose, ma non voleva pensarci troppo), quando stava benissimo da solo, e si era allontanato di proposito da tutte le persone che gli volevano bene proprio perché non aveva bisogno di nessuno.

E, a esser più sincero con se stesso, Zayn magari avrebbe ammesso che quello non era esattamente il motivo, ma anche a quello voleva pensare il meno possibile.

«Cerchi qualcosa, Zayn» ripeté, come fosse una formula magica e, dicendola, improvvisamente Zayn avrebbe ammesso che, sì, cercava qualcosa e l’avrebbe trovata proprio grazie a Edward. Era insensato anche solo pensarlo, lo sapeva benissimo, per cui non si scompose neanche a correggere nuovamente quel giovane vecchio (o vecchio giovane?) che stava seduto di fronte a lui.

«Tutto questo non ha senso» decretò, riferendosi non tanto alle sentenze dell’altro, quanto più alla situazione in generale. Non voleva semplicemente cambiare discorso, anche se tutto quel parlare per frasi criptiche l’aveva messo a disagio; era, più che altro, intenzionato a capire qualcosa di quanto gli stesse succedendo attorno. Pensava sarebbe morto soffocato, in caso contrario.

Edward, purtroppo per Zayn, non sembrava essere del suo stesso avviso, né avere la sua stessa fretta, e questo lo spazientiva ancora di più. Non lo sapeva, ma se esisteva un limite massimo oltre il quale si sarebbe spezzato e sarebbe uscito di senno, probabilmente era a uno sputo dall’oltrepassarlo.

Cercò di fare qualche respiro, tranquillizzare i nervi, rilasciare i pugni chiusi e stretti come morse, che teneva appoggiati sopra alle cosce. Non era la persona più pacifica della terra, come non era neanche violento e aggressivo, ma non molto tempo prima aveva comunque avuto la necessità di imparare a controllare il proprio corpo, a farsi scudo da ogni emozione non voluta, e pensava che quelle conoscenze si sarebbero potute rivelare utili e preziose anche in quel momento.

Aveva ben intuito: sentì una sensazione leggera defluire tra le vene, come il sangue, la rabbia scivolar via assieme a quella specie di coltre che gli annebbiava il cervello e gli diceva di tirare un pugno a quel vecchio che non voleva dargli una spiegazione che spettava lui di diritto.

«Il negozio di tua zia è un posto particolare» esordì il suo interlocutore.

E grazie, quello l’aveva capito da solo. Continuò ad aspettare che l’altro aggiungesse qualcosa di davvero necessario al completamento di quel pazzo puzzle.

Non dovette aspettar troppo.

«Te ne sarai accorto da solo, immagino. Se te lo stai chiedendo, Linda ed io siamo amici sin da quando eravamo molto piccoli. Tua zia è una donna molto intelligente. Ha aperto questa libreria da sola e, seppur motivata, è anche molto giovane. Non credo t’interessi molto l’esegesi di questo luogo o la natura della nostra amicizia, però» si fermò un attimo, come a raccogliere i pensieri, scegliere cosa dire o no. Zayn lo ascoltava rapito, anche se, in effetti, fino a quel momento Edward non aveva detto nulla, solo riferito alcune informazioni che, in seguito e in un’altra circostanza, di sicuro l’avrebbero interessato maggiormente.

«Non è un caso, che tu sia qui. E non lo è nemmeno il fatto che tu abbia aperto il Libro Nero»

Zayn aveva la strana sensazione che l’altro avesse usato le maiuscole, per dire libro nero, neanche fosse qualcosa di sacro e venerabile.

«Qui dove?» lo interruppe, perché la questione pressante era quella.

«Il Libro Nero ti ha portato dove hai bisogno di essere, te l’ho detto»

L’aveva rapito? Oddio, Zayn si sentiva sull’orlo dello svenimento. E poi che voleva dire che l’aveva portato? Con cosa, se non si era mosso dalla sua scrivania? E poi da quando i libri conducevano la gente da un luogo all’altro?

«Il tuo cuore, Zayn, ti conosce meglio di quanto tu non creda»

Certo. Lapalissiano.

«Tua zia ti ha lasciato il Libro affinché tu trovassi le tue risposte» continuò. Solo che Zayn era piuttosto certo di non aver domande, quindi la situazione si complicava alquanto. «ed esso ti ha trasportato attraverso il tempo, fino a me»

Trasportato. Tempo.

Oh, d’accordo. Ora sì che tutto aveva un proprio posto, nel grande schema dell’universo.

«Lo so che non è facile da credere» aggiunse, perché probabilmente aveva notato lo sconcerto disegnato sul suo viso.

Non è che tutto ciò non fosse credibile. Zayn poteva credere di aver viaggiato nel tempo, ovvio. Solo che avrebbe anche dovuto ammettere di essere impazzito improvvisamente, di non essere nel pieno delle sue capacità mentali o di star vivendo in un’illusione.

Nessuna opzione lo attirava particolarmente.

«Dici?» fece retorico e ironico.

L’altro strinse le labbra, comprensivo. «Siamo antiquari appassionati. Abbiamo trovato quel libro unico e magico durante una delle nostre ricerche di oggetti antichi. Non è qualcosa di malevolo, Zayn. Non devi temerlo, te lo prometto. Se l’hai trovato, non è stato un caso; evidentemente tua zia ha voluto così. Forse puoi non capire le sue intenzioni, adesso, ma le capirai. Le capiremo insieme» disse, cercando di essere rassicurante.

Zayn ci stava capendo sempre di meno. Di poche cose era certo: aveva trovato uno stupido libro, aveva viaggiato indietro nel tempo di sessant’anni e conosciuto un vecchio signore che non era vecchio per niente, amico di sua zia, e – evidentemente – era alla ricerca di qualcosa.

Di Nemo, forse.

Bene, il suo cervello formulava battute patetiche. Probabilmente stava cercando di mitigare la sua paura di esser bloccato in quell’epoca per sempre.

Non stava facendo un gran lavoro, in caso.

«Quindi sarei bloccato qui, con te? Per sempre?» era consapevole della crescente nota d’isteria nella sua voce, ma sinceramente non riusciva proprio a costringersi a vergognarsene. Aveva tutto il diritto di dare di matto, se voleva, tanto più che, se fosse stato un incubo (perché, su, chi mai l’avrebbe definito un dolce e innocuo sogno?), si sarebbe svegliato da tempo. E poi nessun mondo onirico era altrettanto limpido e realistico, pensò mentre osservava l’uomo di fronte a lui, che aveva ripreso a sorridere per l’ennesima volta.

E d’accordo che le sue fossette erano adorabili, ma se avesse continuato, gli avrebbe strappato le labbra a morsi. E quella era tutto meno che una minaccia lussuriosa.

«Certo che no. Puoi tornare al tuo tempo, non appena lo desideri. La tua vita è là, non qui. Allo stesso modo, quando ti sentirai pronto o ne avrai necessità, potrai aprire di nuovo il Libro Nero e tornare indietro»

Zayn lasciò andare il respiro, che non si era reso conto di star trattenendo fino a qualche secondo prima.

Se tutto quello era vero (e lui, a dispetto di tutto, qualche dubbio lo aveva ancora), avrebbe salutato educatamente e se ne sarebbe andato al più presto, senza la minima intenzione di rivedere quell’uomo una seconda volta.

Quell’esperienza, nella sua unicità, era stata più che sufficiente.

«Ci vediamo presto» preannunciò Edward, come se fosse ovvio che ci sarebbero stati altri incontri.

Zayn evitò di contraddirlo e, con un sospiro di sollievo e un saluto biascicato sulle labbra, chiuse gli occhi.

Quando li riaprì, Edward non c’era più.

*

Sbatté le palpebre più volte, per assicurarsi di essere di nuovo da solo. Era seduto alla sua scrivania, il libro malefico e apparentemente innocente di fronte.

Guardò l’orologio. Non era del tutto certo, ma aveva come l’impressione che, dal suo ipotetico viaggio nel passato al suo eventuale ritorno al presente, non fosse passata neanche una frazione di secondo.

Inquietante.

Be’, non più inquietante della storia in sé, cercò di consolarsi.

Si passò le mani sulle tempie, per massaggiarsi via il mal di testa incipiente e fare almeno un tentativo di ragionamento.

Quindi, aveva incontrato uno strano individuo, in un mondo che aveva sessanta anni di differita con il suo; costui aveva parlato di qualcosa da cercare e di sua zia Linda che evidentemente voleva proprio che lui trovasse l’aggeggio infernale.

Prese in mano il libricino e senza pensarci due volte lo ficcò in un cassetto della scrivania.

«Addio, Ed» perché davvero l’altro credeva che lui l’avrebbe ricercato? Ma non scherziamo. «A mai più rivederci»

«Ehm, spero che tu non stia parlando con me» fece una voce tentennante ma allo stesso tempo tranquilla.

Zayn si sentì sbiancare. Si forzò a girarsi verso la persona che aveva appena parlato, con la paura che quest’ultima avesse visto qualcosa di quanto successo negli ultimi minuti che si faceva improvvisamente pressante.

Non appena il ragazzo, perché di questo si trattava, entrò nel suo piano visivo, a Zayn prese un colpo, per quella che doveva essere la milionesima volta nel giro di mezzora.

«Ed?» quasi strillò.

Non poteva crederci. Davanti a lui c’era l’uomo che era convinto di aver appena salutato per sempre.

L’altro, che fino a qualche minuto prima stava sorridendo, le fossette ben in mostra, lo guardò vagamente incerto.

«Ehm, no» disse, avanzando lentamente di qualche passo dentro la stanza. «Sono Harry»

Tese una mano che Zayn non si curò di stringere.

Non capiva se quella fosse una presa in giro architettata da tutta Little Holmes, anche se l’idea pareva un po’ improbabile.

Ora che ci faceva caso, affettivamente quell’Harry assomigliava in maniera impressionante a Ed, ma, nondimeno, era tutta un’altra persona. L’abbigliamento, per dirne una, era giovanile e non eccessivamente ricercato, i capelli non erano costretti in un’acconciatura ma erano lasciati liberi, e così bei riccioli incorniciavano un viso sul quale splendevano i medesimi occhi verdi e fossette identiche a quelli dell’uomo di tanti anni prima.

Al contrario di Ed, però, la sola vista di Harry gli contorceva lo stomaco.

Non gli piaceva, decise.

Per quanto Ed e l’incontro con lui l’avessero turbato, il sorriso e la serenità dell’altro l’avessero stupito, non aveva provato, con lui, quella strana voglia di vederlo sparire al più presto.

Tutta l’espressione di Harry, il suo atteggiamento e in generale la sua persona, lo innervosivano, invece. Non perché l’altro avesse fatto o detto qualcosa in particolare; era più una sensazione a pelle.

Forse c’entrava anche quell’assurda somiglianza, ma Zayn era convinto che qualcosa, dentro di lui, gli stesse urlando di allontanarsi dall’altro, di buttar Harry fuori dalla libreria, per tutta un’altra serie di motivi che era poco chiara anche a lui.

«Cosa ci fai qui?» domandò aspramente. L’incertezza nell’altro crebbe un altro po’.

«Io… ecco, era apert-» iniziò a spiegarsi, le mani che passavano forsennatamente tra i capelli e la lingua che andava a bagnare le labbra probabilmente secche.

«Non credo proprio, non hai letto il cartello?» lo accusò, nella speranza che l’altro comprendesse di non essere ben tollerato in quella stanza e in generale nel negozio, e se ne andasse.

«Scusa, ho solo pensato che-»

«Be’, hai pensato male!» lo interruppe, con un tono che risultò odioso anche alle sue stesse orecchie.

Vide l’espressione di Harry mutare una seconda volta. I suoi occhi si indurirono, riflesso di una rabbia che Zayn gli aveva sputato addosso senza un evidente motivo.

«Bene» sibilò a denti stretti. «Non farò questo errore una seconda volta»

E girandosi, senza aspettare una risposta da Zayn e senza voltarsi indietro mai, uscì dalla stanza.

Quando Zayn sentì la porta del negozio chiudersi più delicatamente di quanto avrebbe pensato, capì di essere di nuovo solo.

Finalmente.

*

Cercò di non ripensare a tutto quello che era successo all’ora di pranzo, durante il pomeriggio, che si rivelò indaffarato come la mattinata. Voleva dimenticare entrambi gli incontri e come sempre stare in mezzo ai libri, parlare di libri e odorare libri gli fece perdere la cognizione del tempo e dello spazio, allontanandolo da quella dimensione e proiettandolo in un’altra, dove fortunatamente non esistevano viaggi nel tempo e penetranti occhi verdi.

Erano quasi le cinque, quando la porta della libreria si aprì per l’ennesima volta e, assieme a una folata di vento leggero, entrò la risata rumorosa di due ragazzi. Quando Zayn si fece avanti per accoglierli e salutarli, notò che avevano più o meno la sua età.

«Ciao, abbiamo saputo che c’è un volto nuovo in paese!» scherzò il ragazzo castano, con l’aria gioviale e una mano tesa che Zayn prontamente strinse. Si ritrovò a pensare di non aver fatto altro per tutto il giorno.

«Sono Louis» si presentò, prima ancora che Zayn potesse anche solo pensare di aprir bocca e dir qualcosa. «E lui è Niall» aggiunse, dando una leggera gomitata al ragazzo biondo che gli stava accanto e che mostrava la stessa espressione vitale.

Si presentò brevemente e nel giro di qualche secondo scoprì che nessuno dei due era davvero lì per comprare un libro, ma che erano solo curiosi di fare la sua conoscenza.

«Non c’è mai nulla di nuovo, qui» chiarì Louis, con un tono che diceva come non capisse perché qualcuno di giovane si fosse trasferito in quel paese disperso e dimenticato da Dio.

Ormai Zayn si era abituato a essere guardato come una specie di alieno, dagli abitanti di Little Holmes, quindi l’affermazione di Louis lo fece solo sorridere, invece di indispettirlo come probabilmente avrebbe fatto in qualsiasi altro momento. O forse era proprio il modo di fare di quei due ragazzi a riuscire a farlo sorridere anche per quello studio attento.

«Sicuri di non cercare nessuna lettura?» chiese, non tanto perché non avesse apprezzato la compagnia dei due, quanto più perché entrambi si stavano guardando intorno interessati.

«Uhm, purtroppo di solito riesco a leggere solo copioni» fece Louis.

«Ah, sì? Sei un attore?» la cosa era piuttosto interessante.

Louis scosse la testa e spiegò di essere un regista e uno sceneggiatore teatrale di una piccola compagnia che metteva su spettacoli su scala nazionale. Mentre ne parlava, gli si erano illuminati gli occhi, di un pacifico azzurro, e Zayn si rese conto che di certo l’altro amava davvero, quello che faceva.

«Forse potresti trovare del tempo per Ben Elton. È divertente» disse, passandogli Meltdown, una commedia che, se aveva capito il tipo, avrebbe fatto sbudellare dalle risate Louis.

«Ah, non guardare me» scherzò Niall, quando Zayn spostò l’attenzione su di lui, mettendo le mani avanti come a voler sottolineare la sua affermazione. «Io sono più tipo da pizza e birra»

Louis alzò gli occhi al cielo, e, se avesse avuto più confidenza, probabilmente l’avrebbe fatto anche Zayn: forse lui era esagerato, ma davvero com’era possibile non avere il minimo interesse per la lettura? Interesse, almeno. Che per lui quasi era un insulto.

«A proposito di birra» subentrò Louis. «Stasera noi andiamo con qualche amico al bar che c’è in fondo al corso, ti unisci a noi?»

Il primo impulso di Zayn fu di rifiutare. Era solo metà pomeriggio e lui era stanco morto. E pensava di aver fatto abbastanza conversazione da bastargli per un anno intero. A ben vedere, aveva parlato, con persone che non fossero di famiglia, più in quelle ore che nell’ultimo anno.

E forse fu la consapevolezza che, tornato a casa, ad aspettarlo ci sarebbe stato solo un silenzio assordante e che, se era lì, era proprio per liberarsi di tutto – e quale poteva essere un modo migliore di bere una birra con dei coetanei che di lui non sapevano nulla? – a farlo accettare.

«Perché no?» disse, sorridendo e ascoltando le indicazioni che gli altri due gli diedero.

«Ci vediamo alle dieci, allora!» urlò Niall, salutandolo con la mano, per poi uscire, seguendo Louis e tirandosi dietro la porta.

*

Tornato a casa, aveva fatto una doccia veloce, mangiato un pezzetto di formaggio che sua madre gli aveva incartato apposta per assicurarsi che non morisse di fame e preso Tenera è la notte, che si era auto-comprato quello stesso giorno.

Era così immerso nel suo mondo, che le nove arrivarono e passarono. Mancava un quarto d’ora alle dieci e lui aveva addosso solo i boxer. Quando si accorse di essere in ritardo, mise giù con fatica il libro, quasi intenzionato a dar buca ai due ragazzi, consapevole che in quel piccolo paesino li avrebbe rivisti facilmente, in qualsiasi momento. Ci pensò qualche secondo, poi – proprio come nel pomeriggio – la voce che gli urlava di uscire e liberare la mente (e che assomigliava vagamente a quella di sua madre) prevalse sulle sue flebili obiezioni.

Era già piuttosto tardi e Zayn aveva tutto meno che voglia di sprecare energie e tempo a scegliere qualcosa di decente per uscire. Prese il primo paio di jeans e la prima maglietta puliti che trovò nella valigia che dopo un giorno non aveva ancora sfatto e si infilò il solito paio di scarpe. Si guardò a malapena allo specchio per assicurarsi di non essere sporco, perlomeno, e sorrise un sorriso amaro. Una volta era completamente diverso; l’idea di uscire in condizioni meno che perfette lo orripilava e non era neanche da prendere in considerazione. Era passato molto tempo, però, troppe vicende, troppe giornate vuote, troppo tutto e Zayn era talmente cambiato che qualche volta stentava a riconoscersi.

Scrollò le spalle. In fondo, non gliene importava nulla.

*

Trovare il bar fu facile. Era l’unico posto, fra tutti i negozi del Corso, dal quale provenisse qualche rumore, e, anche se l’indomani sarebbe stato giorno lavorativo, alcuni ragazzi (molti più di quanti lui stesso credeva abitassero lì, almeno) brulicavano intorno al locale, uscivano ed entravano, felici che l’aria fosse tiepida e piacevole.

Entrò e registrò l’atmosfera tenue e confortevole, il saluto gentile che gli rivolse il barista sconosciuto e quelli di un paio di signori, impegnati a seguire una partita di calcio, signori che quella mattina erano venuti a curiosare tra i suoi scaffali, cianciando di nulla, con lui, per qualche minuto.

Si guardò intorno, alla ricerca di Louis e Niall e, proprio quando li ebbe individuati, il ragazzo castano urlò il suo nome, facendogli cenno con la mano di raggiungerli.

Un po’ imbarazzato, si fece tutta la sfilata in mezzo ai vari tavoli e quando fu sufficientemente vicino per osservare chi altro fosse seduto con i suoi nuovi conoscenti, notò un volto sorridente e quasi rassicurante che lo tranquillizzò all’istante.

Non fece neanche in tempo a realizzare quella sensazione positiva, che una voce vagamente familiare lo fece voltare, alla ricerca di una faccia da abbinarle.

«Che ci fa lui qui?» il tono a metà tra l’indignato e lo sconcertato colorava la voce del ragazzo riccio che si era intrufolato nel suo studio senza neanche chiedere il permesso. La strana sensazione che gli aveva arrotolato lo stomaco qualche ora prima tornò con forza addirittura maggiore e Zayn realizzò per la seconda volta che quell’Harry (così aveva detto di chiamarsi, se non sbagliava) proprio non gli piaceva.

Prima che Zayn riuscisse a difendersi, comunque, intervenne Niall in suo favore.

«Io e Louis l’abbiamo conosciuto oggi, quando siamo andati in libreria» spiegò, come inconsapevole che la domanda di Harry, più che ricercare una spiegazione, nascondeva un’accusa.

«Ah, non ci posso credere» sibilò, con la faccia di una persona incredula per davvero. «È lui» sputò, come fosse un insulto.

«Lui chi?» chiese il quarto ragazzo, quello che ancora non gli era stato presentato e che aveva una voce dolce tanto quanto gentile era la sua espressione.

«Lo stronzo di oggi» concluse, lapidario. Zayn si ritrovò a sollevare un sopracciglio, consapevole di non aver fatto una buona impressione a Harry, quando quella mattina l’aveva cacciato a malo modo. Ma riteneva di avere le sue ragioni, e comunque non gliene importava nulla di ciò che quel damerino pensava di lui.

Louis, al contrario, scoppiò in una risata cristallina e realmente divertita e questo fece accigliare Zayn ancora di più, perché, insomma, anche se non gli interessava, non vedeva cosa ci fosse di divertente nell’essere preso a parolacce.

Harry sembrava pensarla allo stesso modo, se il suo sguardo truce era di qualche indicazione.

«Non vedo cosa ci sia di divertente» dichiarò, sprezzante, dando voce anche ai suoi pensieri.

«Oh, Harry, non te la prendere» lo rabbonì, senza tuttavia spiegare nulla. Al contrario, ripeté il gesto fatto poco prima e invitò Zayn ad avvicinarsi ancora di più e sedersi accanto a lui. Tirò un sospiro di sollievo quando si accorse che l’unica seggiola libera si trovava tra Louis e lo sconosciuto. Aveva tutto meno che voglia di sedersi vicino a quel ragazzino impertinente e spostare la sedia, nel caso fosse stata accanto a lui, sarebbe stato davvero brutto.

«Non far caso al nostro Hazza, qui» scherzò Louis, dandogli una leggera pacca sulla spalla, alla quale rispose con un’espressione divertita. Poté sentire distintamente uno sbruffo scocciato uscire dalle ridicole labbra a cuore che il riccio si ritrovava e senza neanche accorgersene il rumore lo indusse a voltarsi verso di lui. Osservandolo da più vicino e con un po’ più di calma, riuscì a notare che la somiglianza con Ed era ben visibile, ma allo stesso tempo evidenti erano le differenze.

In primo luogo, gli occhi di Edward non lanciavano fiamme d’odio.

«Perché l’avresti invitato?» domandò, la rabbia e la frustrazione che crescevano ad ogni sillaba. Zayn iniziava a sentirsi in imbarazzo, anche se non avrebbe mai dato la soddisfazione a Harry di capirlo, e in più gli stava passando la voglia di star lì insieme a quei quattro ragazzi. Quasi quasi gli passava anche la voglia di bersi una birra.

«Te l’avevo detto che veniva» spiegò calmo Louis, come l’altro fosse un bambino di tre anni a cui le cose andavano spiegate mille volte.

«Sì, be’, non pensavo fosse lui» Zayn avrebbe quasi voluto alzare una mano, come a dire ehm, io sarei qui, ma era troppo curioso di vedere dove quella palla al piede sarebbe andato a parare (stava diventando sempre più fantasioso con gli appellativi da dare a Harry. L’intera situazione aveva un suo lato buffo). «Hai presente il tizio maleducato di cui ti stavo raccontan-»

«Ehi, non sono io quello che è entrato senza permesso, quando il negozio era chiuso» l’interruppe, perché lui poteva anche star zitto e buono ad ascoltare, ma a tutto c’era un limite. Harry lo guardò come avesse appena detto che l’alcol era stato tolto dal commercio, la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite.

«Non ci far caso, Hazza vuole che tutti lo amino» rise Louis, e Zayn avrebbe quasi voluto dire qualcosa sulla falsa riga di be’, con me casca male ma non gli pareva il caso di aprire una faida con quel ragazzo quando stava cercando di farsi amici i suoi amici e quando ignorarlo sarebbe stato molto più semplice e salutare.

«Io non ci sto capendo nulla»

«Liam,» disse Louis, rivolgendosi allo sconosciuto che finalmente aveva un nome. «non ti preoccupare» concluse con tono accondiscendente, al quale Liam rispose con una scrollata di spalle. Forse era consapevole che, in fondo, era meglio non confondersi con le questioni mentali di Harry. Probabilmente, si disse Zayn, era abituato ai numeri da circo di quel Tarzan poco più civilizzato dell’originale.

Fortunatamente, la conversazione cambiò binari, dopo l’ultima affermazione di Louis, andando a finire su questioni molto più leggere, come l’ultima vittoria del Manchester e lo spettacolo che Louis stava preparando.

Era Sogno di una notte di mezza estate, un classico, affermò, sorridendo, Louis. Ben presto Zayn si ritrovò invischiato fino alle spalle nel commento alla commedia e, senza troppa sorpresa, notò che Harry era completamente disinteressato ai loro discorsi. Non che l’idea che l’altro potesse avere qualcosa nel cervello, oltre la segatura, gli avesse mai attraversato la mente, ma se Shakespeare non riusciva a ispirarlo, probabilmente la sua prima impressione, quella volta, era più che giusta.

Scoprì anche che Louis era due anni più grande (vecchio non esiste nel mio vocabolario, Zayn, l’aveva ammonito quando aveva osato pronunciare quella parola) di lui, mentre Liam e Niall avevano la sua stessa età. Harry era più piccolo di un anno, non che a lui interessasse, ma Louis l’aveva detto lo stesso.

A un certo punto era venuto fuori che Liam era il suo commercialista; o, meglio, il commercialista di zia Linda, ma Zayn di certo non l’avrebbe cambiato, l’assicurò. C’era qualcosa, in Liam, che gli diceva che sarebbero potuti diventare buoni amici.

Alla realizzazione del pensiero, la solita voce pessimista che l’assillava da troppo gli suggerì che forse quello sarebbe stato vero qualche anno prima, quando lui era ancora in grado di tessere rapporti e coltivarli; la scacciò e la rinchiuse nella parte più remota del proprio cervello, specialmente perché, se era lì, era proprio per confutare quella mezza verità.

Proprio mentre stavano decidendo quando vedersi per sistemare alcune faccende (di cui, Zayn era certo, non avrebbe capito nulla), Harry si alzò, strisciando la sedia per terra e provocando un rumore che era fastidioso quanto la sua presenza.

«È arrivato Anthony, io vado» proclamò, prendendo le sue cose e salutando con un rapido gesto della mano prima di allontanarsi e dirigersi verso un ragazzo che era appena entrato.

Zayn non poteva vederlo in faccia, ma il modo in cui l’ultimo arrivato si era avvicinato a Harry era inequivocabile: quell’Anthony l’aveva appena baciato nel bel mezzo di un bar di un piccolo paesino di campagna. Zayn sentì la sua bocca spalancarsi.

Si voltò verso Louis, con una mezza idea di farsi confermare quanto aveva visto, perché lui a Bradford aveva avuto problemi, i suoi vicini che lo guardavano male, qualche occhiataccia quando passava mano nella mano con-.

Non che quello fosse il punto.

Il punto era che wow, Little Holmes doveva essere un piccolo paradiso davvero.

Il ragazzo più grande ricambiò lo sguardo.

«Qualche problema?» chiese, riferendosi ai due ragazzi che avevano appena lasciato il locale.

Zayn sorrise. «Sarebbe un po’ ipocrita, da parte mia, se ne avessi»

Forse, sua madre aveva fatto sul serio bene a spedirlo in quella landa desolata.

*

La mattina seguente, la sveglia non aveva suonato. O forse aveva suonato e Zayn l’aveva spenta per poi riposizionarsi più comodamente sul divano e riaddormentarsi. Ormai era così abituato a non servirsene più sul serio, ma a svegliarsi nel cuore della notte senza riuscire più a prendere sonno, che neanche registrò il rumore squillante che gli annunciava l’inizio di una nuova giornata.

Così, quando un raggio di sole, filtrato attraverso la tapparella, gli infastidì gli occhi tanto da farglieli aprire, si accorse di essere in ritardo, di avere giusto il tempo di infilarsi due vestiti e di dover correre per mezzo paese se voleva arrivare ad aprire la libreria in tempo.

Ed era solo il secondo giorno. Una specie di record.

*

La mattinata era trascorsa, grosso modo, come quella del giorno precedente, solo che quando era arrivato, davanti alla Casa degli spiriti c’era già qualche cliente fuori, ad attenderlo. Si morse la lingua e si scusò per il ritardo, invitandoli poi a entrare, con un sorriso.

Una ragazza, poco più giovane di lui, arrossì e Zayn si complimentò per essersi fatto perdonare così in fretta quando un signore gli disse di non preoccuparsi, caro.

Le ore erano trascorse velocemente e quella di pranzo era arrivata in un lampo. Aveva fame, erano quasi le due e non aveva fatto colazione. Non era riuscito neanche a portarsi nulla per pranzo, ovviamente, ma anche se secondo sua madre non mangiava nulla (sei così magro che prima o poi scompari, lo rimproverava spesso) e in effetti negli ultimi tempi gli si era talmente ristretto lo stomaco da poter andare avanti con un solo pasto al giorno, l’aria di Little Holmes aveva qualcosa che lo rendeva affamato. O forse era la birra della sera prima che lo infastidiva con la sua fame chimica.

Radunò le cose che si era portato dietro, cioè il portafoglio e il cellulare, che era ancora spento, e si tirò dietro la porta della libreria, ricordandosi di chiuderla, perché l’ultima volta che non l’aveva fatto aveva avuto una spiacevole sorpresa e non ci teneva a ripeterla.

Non aveva voglia di chissà cosa, occhieggiò la pasticceria che era a meno di tre metri dalla Casa e si ricordò di Gemma.

Pensò che, magari, vendevano anche tranci di pizza o che, al limite, si sarebbe accontentato delle rimanenze della mattina, ché aveva tutto meno che voglia di girarsi il corso alla ricerca di qualcosa di commestibile.

Entrò e ringraziò il cielo che non ci fosse nessun altro cliente, la gente che era costretto, per forza e per amore, a vedere in libreria era sufficiente a fargli uscire dalle orecchie socievolezza a eoni.

Ammirò il locale, che aveva un non so che di domestico. Forse era principalmente dovuto alla parete, alla destra dell’entrata, completamente ricoperta di foto ritraenti persone di tutte le età, ma sempre sorridenti, che Zayn immaginò essere familiari dei proprietari. Si avvicinò un po’ di più, attratto come un pesce dall’esca, e notò che, non solo i volti erano più o meno rugosi a seconda degli anni, ma anche che attraversavano più generazioni. Intravide l’immagine di una Gemma più giovane di forse un paio d’anni, e una più piccola, in braccio a quella che doveva essere la nonna, e poco più sotto una foto che gli strappò un’esclamazione stupita. Anche se lì doveva avere almeno il doppio degli anni, di certo la persona immortalata era Edward. Proprio mentre cercava altre foto dell’uomo che aveva incontrato il giorno precedente e che si era ripromesso di non vedere mai più, incappò nell’immagine a colori di quello che, proprio come la prima volta, scambiò per Ed, ma che in realtà era Harry. E, con il cervello occupato a fare due più due, non si accorse che qualcun altro era entrato nella stanza e lo stava guardando con irritazione.

«Ancora tu?» e se lo sguardo non l’aveva strappato dalle sue elucubrazioni, la voce indignata di Harry lo risvegliò, lo costrinse a spostare l’attenzione dalla parete e a girarsi.

Harry aveva addosso un grembiule, tutto ricoperto di macchie, e il naso era leggermente imbianchito a causa di farina in eccesso.

«Non sapevo fossi il fratello di Gemma» disse, e, proprio mentre le parole uscivano dalla sua bocca, si ricordò che proprio da lei aveva già sentito il cognome di Ed.

Harry lo guardò a metà tra lo scettico e il perplesso, come se non capisse che cosa quello c’entrasse, e, in effetti, Zayn dovette ammettere con se stesso che la sua risposta, col caloroso benvenuto di Harry, non c’azzeccava nulla.

«L’ho conosciuta ieri» spiegò, senza farlo davvero. Le sopracciglia alzate dell’altro gli dissero che, a lui, non poteva importarne meno.

«Sei qui per qualcosa in particolare?» chiese Harry, glissando sull’argomento precedente. Zayn si rese conto della fatica che il più piccolo stava facendo per cercare di comportarsi gentilmente con lui. O, almeno, il più gentilmente possibile.

La cosa quasi infastidì Zayn di più che se l’avesse buttato fuori, come aveva fatto lui il giorno prima; si ritrovò con lo stomaco improvvisamente chiuso e la fame magicamente scomparsa.

«No» affermò, e si prese per idiota da solo. Cavolo entri in un negozio se non vuoi nulla? Il volto di Harry gli disse che lui la pensava allo stesso modo. «Ci vediamo in giro» concluse, anche se il suo tono esprimeva quanto sperasse accadesse il contrario.

Lo sbuffo con il quale Harry lo salutò parlava di speranze simili.

*

Rientrò in libreria alquanto seccato che il negozio davanti al suo fosse di quel ragazzino. Quel pensiero svanì in fretta, però, quando si ricordò della foto di Ed affissa alla parete.

Se Harry era fratello di Gemma, faceva anche lui Styles, di cognome. E, fino a lì, non faceva una piega. Del fatto che quello fosse anche il cognome di Edward era certo, e adesso capiva perché quando si fosse presentato, il suo nome gli era sembrato familiare: era pessimo, l’aveva sentito solo qualche ora prima e comunque non se l’era ricordato. Fatto stava, quei tre erano parenti.

Era la fiera del ridicolo. Non poteva credere che l’uomo che si era assurto a suo salvatore e confessore fosse parente con il ragazzino che da subito gli aveva fatto storcere il naso. La coincidenza faceva quasi ridere.

E, quel che era peggiore, l’aveva incuriosito.

Sentì una forza, svincolata dalla sua volontà, trascinargli i piedi. Si ritrovò di fronte alla porta dello studio e poi, in un battito di ciglia, di fronte alla scrivania.

Senza neanche accorgersene, aprì il cassetto che fino a qualche attimo prima era certo non avrebbe riaperto neppure per errore e ne tirò fuori il libro.

Era identico a come l’aveva lasciato, a testimonianza che quanto accaduto era reale come le mani che lo tenevano sollevato. Si accigliò. Era davvero certo di volerlo fare? In fondo, lui sapeva di non volere nulla, da Edward, per quanto l’altro non avesse fatto che guardarlo sicuro di sé e piuttosto compiaciuto. E comunque tutto quello era assurdo e sciocco e insensato. E di certo un folle fantasma del Natale passato non era ciò di cui aveva bisogno, né, tantomeno, ciò che gli avrebbe cambiato la vita. Tanto più che non era neanche sicuro di volerla cambiare.

Ma sua madre glielo diceva spesso, che la sua curiosità intellettuale era una delle sue miglior doti, anche se immaginava che in quel caso la sua intellettualità c’entrasse ben poco.

Chiuse gli occhi e, dopo aver preso un profondo respiro, aprì il libro, incerto su cosa aspettarsi una volta ritornato alla luce.

*

Edward era seduto al solito posto. Indossava un completo del tutto simile a quello della prima volta, pur non essendo il medesimo.

«Ciao, Zayn» lo salutò, per nulla sorpreso di vederselo comparire una seconda volta di fronte. Come se l’idea che Zayn non sarebbe più tornato non gli avesse mai attraversato il cervello. Il che era incomprensibile, pensò Zayn; lui era piuttosto certo di avergli fatto capire che non avrebbe mai appoggiato quegli incontri surreali. Quasi si pentì di quel viaggio.

«Credo di aver conosciuto un tuo parente» esordì, senza neanche ricambiare il saluto cortese.

«Oh, davvero?» si interessò Ed, portando lentamente una mano sotto il mento, cercando una posizione comoda.

«Uhm, un tuo qualche nipote, possibile?» era giunto alla conclusione che Ed potesse essere il nonno o uno zio di Harry.

«È possibile, certo. Ma credo di saperne meno di te» rispose il vecchio.

Zayn alzò un sopracciglio; quello non aveva senso.

«Questo no-» iniziò a controbattere, per poi interrompersi da solo, perché, in effetti, per quanto nella sua testa continuasse ad appellarlo vecchio, non c’era verso che, lì, in quel tempo, Ed avesse un nipote. Cavolo, forse non aveva neppure dei figli.

«Già» disse invece. «immagino tu abbia ragione»

«Adesso sono curioso, però» disse Ed, facendogli, con un gesto della mano, segno di sedersi. «Raccontami un po’ di questo mio parente»

«Ma non è che dopo interferisce con il futuro?» perché, in tutti i film che aveva visto, quello era proprio il rischio preventivato e quello che accadeva ogni volta era proprio qualche sconvolgimento nella dimensione di provenienza dello sfigato protagonista. La sua vita era già abbastanza disastrosa, non pensava che cercarsi guai da solo fosse una mossa molto intelligente.

«No, non davvero» affermò, e forse dovette notare lo sguardo scettico di Zayn, perché continuò. «Non funziona così. È un po’ come se noi esistessimo in due mondi che vivono uno nel futuro dell’altro, ma che tuttavia sono completamente distinti. Per esempio, immagino di essere esistito, nel tuo mondo, e di essere stato amico di Linda, proprio come lo sono nel mio, se tu, suo nipote, sei qui e parli di un mio discendente. Ma, non è detto che ciò avvenga inevitabilmente. Se nel tuo mondo avessi scelto di non sposarmi o di non avere figli o semplicemente fossi morto troppo giovane, il tuo amico non sarebbe mai nato. Mi capisci?»

«Chi ha parlato di un amico?» più o meno aveva capito, anche se qualche dubbio lo aveva ancora. Ma se di una cosa era certo, be’, quella era che lui e Harry erano tutto meno che amici.

«Da come ne parli, sembra che tu e il mio discendente non abbiate avuto un incontro felice» Zayn sbuffò. Quell’uomo parlava per eufemismi, oltre che con espressioni desuete fin dal medioevo.

«Harry. Discendente me lo fa sembrare un nobile o una qualche cazzata del genere» lo corresse. «e ti giuro, Harry è un principino, ma non del tipo che pensi tu» e magari non lo conosceva molto, ma aveva capito il tipo, uno di quelli che se ne va in giro come se il mondo fosse il suo, entrano dove non devono e protestano se altri si permettono di sedersi a un tavolo, neanche lo possedessero. Imbecille.

«Harry» ripeté Ed, assaporando il nome, neanche fosse un pasticcino prelibato. All’idea, gli tornò un po’ di fame.

«Siete molto simili» disse, senza un vero motivo.

«La devo prendere come un’offesa, visto come parli di lui?» chiese Edward, sorridendo.

«Intendo fisicamente» specificò. «La prima volta che l’ho visto, subito dopo aver incontrato te, mi è preso un colpo»

«È un bel giovanotto, allora» dichiarò e Zayn poteva quasi immaginare quelle medesime parole uscire dalla bocca dello Styles del suo mondo.

«Forse siete simili anche caratterialmente» sibilò, provocando una mezza risata nell’uomo seduto davanti a lui.

«Quindi» continuò, riprendendo il filo del discorso precedente, perché di Harry avevano già parlato troppo. Zayn credeva che anche due parole fossero più che sufficienti. «non è detto che in questo mondo io nascerò»

«Non è detto» confermò Ed, senza mostrarsi stupito della deviazione dei suoi pensieri.

Zayn annuì lentamente. Continuava a dirsi che, in ogni caso, non gli importava molto se quelle brevi chiacchierate avrebbero, o meno, influenzato le loro due realtà, anche perché non ne sarebbe seguita una terza. Due erano più che in grado di renderlo pazzo e di fargli questionare la sua stabilità mentale per tutta la vita.

Tanto più che, come aveva sempre sostenuto, tutto ciò era più che inutile. Ciò che non è utile è dannoso. Qualcuno l’aveva detto, anche se al momento non si ricordava chi.

Non era dell’idea che parlare con Edward lo danneggiasse davvero, e non è che gli portasse via tempo prezioso, ma semplicemente non ne sentiva il bisogno e, comunque, la prospettiva di affidarsi a quella specie di psicologo non gli piaceva proprio.

«Tu e mia zia l’avete mai usato? Il libro, intendo» se ne uscì, curioso di sapere se qualcun altro avesse fatto la sua stessa esperienza e ne fosse uscito indenne.

Zayn notò un cambiamento nell’espressione dell’altro. Era come se la domanda l’avesse trasportato mentalmente in un’altra dimensione, mentre il corpo fosse rimasto lì, in una specie di trance.

Tossicchiò, per stemperare l’atmosfera, e Ed parve risvegliarsi dalla momentanea incoscienza.

«Sì. Sì, certo» affermò.

«E com’è stato?» chiese, più curioso che realmente interessato.

«Per ognuno è diverso, immagino» rispose, senza centrare la domanda.

Zayn se ne stette in silenzio, un po’ perché preso da quello studio reciproco, un po’ perché in attesa che Edward aggiungesse altro. Se il viaggio non era il suo e la psiche indagata quella di qualcun altro, allora Zayn poteva anche restar tranquillamente lì, ad ascoltare qualunque cosa Ed avesse voluto raccontargli.

«Direi che per me sia stato… illuminante, quasi»

C’era altro, Zayn poteva vederlo; ma allo stesso tempo, sembrava che il vecchio non ne volesse parlare.

Senza che se ne accorgesse, quelle parole dovevano essergli scivolate dalla bocca, perché Zayn sentì Ed continuare.

«Non adesso. Magari la prossima volta» decise.

Zayn avrebbe voluto chiedere perché, ma poi si fermò, accorgendosi che Edward l’aveva incastrato; e magari lui era un po’ bipolare e volubile e lunatico, ma era anche curioso come un bambino e sapeva che, anche se due minuti prima avrebbe detto, a chiunque gliel’avesse chiesto, che no, con il Libro Nero aveva chiuso per sempre, il suo naturale desiderio di conoscenza avrebbe prevalso, nella sua mente, su tutto quello che gli urlava quanto bislacca fosse l’intera situazione.

E si sarebbe anche dato un pugno, perché aveva sentito la voce dei suoi pensieri utilizzare le maiuscole, per quell’oggetto mortifero (che, a quanto pareva, era più innocuo di una formica), e – quel che era peggiore – Edward sembrava essere giunto alla sua stessa conclusione, se il sorriso soddisfatto e vagamente beffardo, che non faceva nulla per nascondere, era di qualche indizio.

Si afflosciò sulla poltrona, chiedendosi quando gli fosse stato portato via l’ultimo barlume di sanità mentale che ancora conservava.

Come previsto, nessuna risposta arrivò magicamente dall’alto.

*

A metà pomeriggio, in un remake quasi perfetto del giorno precedente, Louis entrò in libreria. Al posto di Niall, ad accompagnarlo c’era una ragazza dal viso gentile e il sorriso aperto.

Si chiamava Eleanor e, con felicità e orgoglio, il ragazzo affermò che entro un paio di mesi sarebbe diventata sua moglie.

A Zayn, Louis piaceva sul serio. Era un ragazzo simpatico e si considerava fortunato per aver conosciuto lui, Niall e Liam. Quindi, cercò con tutto se stesso di nascondere la reazione che gli sorgeva spontanea ogni volta che qualcuno parlava di matrimonio, perché immaginava che, se l’altro avesse visto la sua espressione, probabilmente l’avrebbe scambiata per disgusto, e comunque Louis, per quanto poco lo conoscesse, doveva essere uno di quei tipi che non si vergognano a fare domande neanche quando sono imbarazzanti.

Qualsiasi tipo di domanda era l’ultima cosa che Zayn cercasse.

*

Quella sera, accese il cellulare per la prima volta da quando si era trasferito. Gli arrivarono immediatamente le mille segnalazioni delle chiamate che qualcuno aveva provato a fare in quel lasso di tempo.

Neanche a farlo a posta, lo schermo del telefonino si illuminò dieci secondi dopo.

Era sua madre. Quando rispose, si accorse che forse l’aveva fatta preoccupare, visto che non si era neanche degnato di farle sapere che stava bene, che era arrivato e che mangiava regolarmente, come avrebbe fatto qualsiasi figlio normale.

Si scusò ripetutamente, perché, farla stare in pensiero era l’ultima cosa che volesse.

«Ti trovi bene?» chiese, apprensiva.

«Sì, mamma» rispose, alzando gli occhi al cielo, ché tanto lei non lo poteva vedere

Gli raccontò della serata passata con Louis e gli altri, glissando completamente su Ed, perché probabilmente lei l’avrebbe dichiarato schizofrenico e l’avrebbe fatto internare. Poi si sarebbe strappata i capelli dalla disperazione e dal dolore.

No, grazie.

Trisha si dimostrò quasi più stupita che felice, perché – in effetti – la facilità con cui aveva conosciuto altre persone aveva del miracoloso. Quella doveva essere un’altra delle innumerevoli capacità magiche dell’aria di Little Holmes. Non le rivelò neanche quell’ipotesi, perché non aveva senso.

Dopo altri cinque minuti di chiacchiere, gli passò le sue sorelle che erano felici quanto lui di sentirlo.

Le ragazze gli mancavano quanto l’aria e il sentirle parlare concitate al telefono acuiva quella sensazione che cercò di soffocare con tutto se stesso.

Quando gli ebbero raccontato tutto quello che si era perso in quei due giorni, le salutò con affetto nella voce e un peso nel cuore, e senza neanche cambiarsi si buttò sul divano e chiuse gli occhi.

*

Era venerdì sera e stava frugando nell’armadio, alla ricerca di qualcosa che si addicesse a una festa.

Louis gli aveva detto che ogni anno celebravano l’imminente arrivo dell’estate e che tutta la componente giovanile della città avrebbe partecipato. L’organizzatore era, come sempre e come per ogni evento degno di quel nome, Niall, che pensava a tutto, dal cibo alle decorazioni. Tutti scherzavano dicendo che quella fosse la sua vera vocazione e che, dare party, gli riuscisse meglio che curare animali. Zayn aveva strabuzzato gli occhi quando il biondo gli aveva parlato del suo lavoro, ma evidentemente l’apparenza inganna e quella ne era la prova lampante. Con tutto il suo parlare di cani, quasi gli aveva fatto venir voglia di prendere un cucciolo. Sarebbe stato un po’ complicato, però, visto che viveva in un piccolo appartamento di un condominio; anche se aveva come l’impressione che nessuno avrebbe obiettato nulla, se un giorno fosse tornato a casa con un cagnolino.

Ritirò fuori una camicia non troppo casual né troppo elegante che non ricordava neanche più di avere. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che si era dovuto agghindare per uscire che non si ricordava neppure da dove iniziare a prepararsi.

S’infilò svogliatamente gli indumenti che aveva scelto e poi spostò la sua attenzione ai capelli, che erano il suo punto di forza e il focus di tutte le sue cure da sempre.

Da ragazzino si pavoneggiava con un ciuffo antigravitazionale, che da qualche tempo ormai aveva sostituito con un’acconciatura più tranquilla. I capelli se ne stavano un po’ sparati ovunque, senza un reale senso, e Zayn non fece altro che passarci un paio di volte le mani inumidite per rabbonirli un po’ e poi lasciarli stare così com’erano. Non si lamentava del risultato, però.

Con un sospiro esageratamente pesante, prese chiavi di casa e giacchetto, e uscì.

*

Come con ogni altro locale del paese, anche identificare quello era stato semplice. In realtà non era né un pub né una discoteca. Era, più che altro, una grande sala che sarebbe stata del tutto anonima se non fosse stato per l’intervento di Niall.

Troppo occupato ad ammirare il suo operato e a confrontarlo ironicamente con le stanze nelle quali, nei film adolescenziali, si tengono i balli di fine anno, in un primo momento non notò la presenza di nessuno che conoscesse: per questo quando sentì il suo nome venir urlato, ripetutamente e a volume sempre più alto, da una voce squillante, quasi gli prese un colpo.

«Oh, finalmente» lo accolse Louis, quando Zayn si voltò verso di lui e Liam.

«Ehi» salutò. «Grazie per avermi invitato» disse, poiché gli sembrava la cosa più educata da fare.

Evidentemente non era così, perché entrambi lo guardarono straniti.

«Tu sei strano» disse Louis, e Zayn pensò che quella fosse la cosa più assurda che qualcuno gli avesse mai detto, perché, seriamente, se lui era strano, allora Louis cos’era? L’altro forse gli lesse nel pensiero e sorrise, complice. Liam scrollò le spalle, come se fosse abituato all’insensatezza di Louis, e per la prima volta dopo tanto tempo Zayn si ritrovò a pensare che sarebbe piaciuto pure a lui assuefarsi alla pazzia del più grande, e alla tranquillità di Liam e alla voglia di vivere di Niall.

«Niall dov’è?» chiese a un certo punto, dato che, pur guardandosi intorno, non riusciva a scorgerlo da nessuna parte.

«Qua e là. Non lo puoi mai sapere davvero» Liam prese la parola. «Magari, fra tre secondi ti compare davanti, poi sbatti le ciglia e già non c’è più»

E nemmeno quello fosse stato un incantesimo magico, un braccio si posò sulle sue spalle e l’accento inconfondibile di Niall gli ferì le orecchie. Si voltò a guardarlo e a ricambiare saluto e sorriso, ma poi si rabbuiò, quando notò che assieme al biondo era arrivato anche Harry.

Non che avesse davvero osato sperare che l’altro non fosse lì, ma di certo avrebbe voluto evitarlo il più a lungo possibile.

L’altro lo stava osservando come se condividesse in pieno i suoi pensieri, e la strana sensazione che l’aveva colpito durante il loro primo incontro ricomparve più forte che mai. Almeno, però, questa volta poteva giustificarla.

«Vieni a bere qualcosa» urlò Niall, inconsapevole del suo turbamento.

Zayn si riscosse e annuì, lasciando che Niall lo spingesse fino al tavolo delle bibite, dove si accorse che avrebbe potuto trovare qualsiasi cosa la sua gola desiderasse.

Optò per una birra; ubriacarsi non era proprio nelle sue intenzioni. Aveva scoperto che, per quanto fosse momentaneamente liberatorio, lo stato d’ebbrezza era soprattutto una gran puttana, nascondeva i problemi solo per risputarteli addosso con forza decuplicata, affondandoti in uno stato di miseria e di tristezza superiore al precedente. In più, si sommavano mal di testa e di stomaco vari, e comunque Zayn il giorno dopo doveva lavorare.

*

La musica era assordante e niente affatto il suo tipo.

A un certo punto era quasi andato a sbattere contro Gemma (oppure era lei a essere finita addosso a lui, ma con tutta la gente che c’era e lo comprimeva da parte a parte non avrebbe saputo dirlo). La ragazza lo salutò con calore, neanche fosse stata la sua più grande amica e quello gli disse che Harry non doveva averle raccontato nulla della loro reciproca antipatia. Fece quattro chiacchiere con lei, fino a quando non venne raggiunta da quello che lei gli presentò come il suo compagno e che smise di guardarlo male solo dopo che fu pronunciato il nome di zia Linda. Evidentemente doveva aver pensato che nessun parente della donna potesse essere così terribile da provarci con la sua ragazza.

Gemma lo salutò, allegra, prima di stringere una mano all’uomo e tirarselo dietro fino alla pista da ballo.

Si guardò un po’ intorno, alla ricerca di un posto un po’ isolato, dove avrebbe potuto tranquillamente finire il suo drink. Non aveva davvero voglia di tornarsene a casa, ma in mezzo a tutta quella gente si sentiva un po’ soffocare. Decise che cinque minuti di calma non potevano che fargli bene.

Si appoggiò alla parete più lontana dalla pista e dai tavoli. Era ancora attorniato da un numero sufficiente di gente da non farlo sembrare un completo idiota. Era perfetto.

*

Si accorse della presenza di una spalla contro la sua solo svariati momenti dopo.

Era Liam, silenzioso come una pantera.

«Ehi» disse, poiché evidentemente era diventato il suo modo preferito di salutare.

L’altro sorrise. «Ti scoccia?» chiese, alludendo alla sua presenza.

«No, certo che no» perché in fondo Liam era capace di non intaccare la sua pace, ma anzi di rinvigorirla. Era qualcosa che aveva notato anche la sera in cui si erano conosciuti ed era un effetto che in pochi erano stati in grado di esercitare su di lui.

A essere sinceri, solo Andrew c’era riuscito, prima di lui, e benché la sensazione fosse simile, allo stesso tempo, era completamente diversa.

Andrew ci riusciva perché lo conosceva bene come nessun altro, sapeva come trattarlo e come parlargli, e quello lo riscaldava e gli faceva battere forte il cuore; nel caso di Liam, sembrava quasi un dono, e Zayn aveva come l’impressione che il ragazzo ci riuscisse con tutti.

Come fosse stato un flash, si ricordò di una cosa che Louis aveva detto, la sera del pub, e poi lui non aveva avuto possibilità di approfondire.

«Davvero hai fatto parte della squadra olimpica?» chiese, ché, se non si sbagliava, il più grande aveva commentato la resistenza di Liam (che ovviamente era arrossito, perché non c’era verso che l’altro ne avesse fatto parola in riferimento alla corsa).

«Sì, dovevo partecipare alle Olimpiadi di Pechino, ma poco prima di partire mi sono distrutto un tendine del ginocchio e puff» raccontò, come se quello non fosse qualcosa accaduto a lui e che avesse distrutto ogni suo sogno di gloria. Liam doveva aver notato lo stupore sul suo volto, perché aggiunse: «I primi tempi sono stati duri, ero arrabbiato col mondo, ma soprattutto con me stesso, per non essere stato abbastanza attento. Ma poi ho capito che la corsa non era tutta la mia vita e che, se avessi smesso di piangermi addosso e rimpiangere quello che avevo perso, sarei potuto tornare a essere felice per tutto quello che mi era rimasto. In realtà è tutto merito loro» affermò Liam, indicando con un cenno della testa Louis e Niall che a una decina di metri stavano ridendo a crepapelle. «E di Harry, ovviamente» aggiunse.

Zayn sbuffò, perché l’idea che Harry fosse in grado di risollevare il morale a qualcuno gli pareva la più sciocca delle barzellette.

«Non andate molto d’accordo, eh?» se ne uscì, retorico, Liam.

Zayn scrollò le spalle; in fin dei conti non gliene importava poi molto. Sperava solo che quello non avrebbe inficiato il rapporto che aveva iniziato a istaurare con gli altri tre; per il resto Harry poteva fare e dire e comportarsi come voleva.

«Vado un attimo al bagno» dichiarò. «Torno subito»

*

Si stava asciugando le mani, quando da uno dei cubicoli sbucò fuori proprio Harry.

Che, a dirla tutta, aveva un volto orribile. O, comunque, il più orribile possibile, considerando che, anche se non gli piaceva ammetterlo (neppure solo a se stesso), l’altro fosse uno dei più bei ragazzi che avesse mai visto.

E Zayn non era mai stato insensibile alla bellezza, anche se quella non era una cosa essenziale o che fosse di per sé sufficiente.

Il fatto che, a prescindere da tutto, Zayn trovasse Harry la persona più insopportabile che conoscesse, la diceva lunga.

Harry si fermò, interdetto, quando lo notò. Ricambiò l’occhiataccia che probabilmente era incollata sulla sua faccia e Zayn poté notare che l’altro non solo doveva aver passato le mani tra i suoi capelli così tanto da renderli quasi lisci, ma che aveva anche gli occhi oltremodo arrossati.

«Stai da favola» commentò, un ghigno antipatico che si apriva sul suo volto. Harry strinse gli occhi e aprì la bocca, pronto a ribattere con lo stesso tono. Poi la richiuse, forse pensando che non ne valesse la pena. Senza calcolarlo, lavò le mani e uscì dal bagno, lasciando dietro di sé uno Zayn interdetto.

Non avrebbe saputo dire se per la rabbia o qualcos’altro che proprio non riusciva a catalogare.

Scrollando la testa, decise che doveva essere rabbia per forza, perché nient’altro avrebbe avuto senso, e, seguendo l’esempio del più piccolo, uscì a sua volta.

*

Guardò l’orologio e decise che era abbastanza tardi da potersene andare a casa senza che nessuno protestasse. In realtà, Louis ci aveva provato, ma Zayn era stato così bravo da non lasciarsi convincere.

L’aria fresca gli sferzò il viso, quando lasciò la sala, e, rispetto al caldo e all’aria consumata che si respirava dentro, quello era un piacevole cambiamento.

Frugò nelle tasche alla ricerca del cellulare, nel caso la madre l’avesse cercato, quando i suoi occhi furono catalizzati da due figure appoggiate al muro, a poca distanza da lui.

Non riconobbe l’uomo di spalle, ma l’altro era Harry, i suoi ricci scomposti e le mani tra i capelli di quello che doveva essere Anthony.

Si accorse che li stava fissando, solo quando il più piccolo spalancò gli occhi e lo notò a sua volta. Si sentì quasi arrossire, tanto più che Harry aveva inclinato la testa e adesso il suo ragazzo gli stava probabilmente succhiando la pelle del collo. Harry continuava a fissarlo, e Zayn non sapeva decidere se fosse perché era troppo preso da quello che l’altro gli stava facendo per curarsi di lui o perché era un po’ esibizionista e la sua presenza lì lo eccitava.

Magari gli stava solo lanciando il malocchio e, entro due minuti, sarebbe stato investito da un’auto.

Decise che, se l’altro proprio non voleva smettere di guardarlo, sarebbe stato lui il primo a voltarsi e ad andarsene, ma forse Harry gli aveva letto nel pensiero perché lui non aveva ancora mosso un passo, quando l’altro afferrò il colletto della maglia di Anthony e fece scontrare furiosamente le loro labbra.

Decisamente un esibizionista, pensò Zayn mentre si incamminava verso casa.

*

«Non cerco nulla,» mise le mani avanti «sono solo curioso»

Era vero e si sentiva in dovere di metterlo in chiaro con Ed, che comunque continuava a osservarlo con quell’espressione che avrebbe volentieri strappato dal suo bel viso. Lo innervosiva; forse era qualcosa che i membri della famiglia Styles avevano in comune.

Si mise seduto senza aspettare un invito che, sapeva, sarebbe arrivato lo stesso.

«Curioso di cosa?» chiese, come non fosse abbastanza ovvio di suo.

Zayn avrebbe volentieri alzato gli occhi al cielo. «Be’, non capita tutti i giorni di andare a spasso per il tempo» affermò, invece.

Edward sembrò dargli ragione con uno sguardo.

«Voglio capire meglio come funziona, tutto qui» aggiunse, scrollando le spalle.

«Te l’ho spiegato, come funziona»

Sì, ok. Gli aveva detto due parole in croce a far tanto.

«Sì, ok» disse anche ad alta voce. «Ma voglio vedere se facendo questa cosa ci saranno cambiamenti nel mio mondo» specificò, neanche lui troppo sicuro di cosa volesse sapere davvero. «Che ne so,» aggiunse a mo’ di battuta. «magari il tuo nipotino potrebbe scomparire»

Edward lo guardò come a dire: era una battuta?, tesoro, allora devi applicarti di più, ma Zayn era fuori allenamento e pensava che quella come scusa fosse più che valida.

«Sei nato a Little Holmes?» Edward gli domandò, invece.

Un po’ stupito, spiegò che no, era di Bradford e che si era trasferito lì da poco, da quando sua zia era morta e lui l’aveva sostituita alla libreria.

Quello sembrò lo spunto che l’altro stava aspettando per tartassarlo sulla sua vita, e Zayn rimpianse di essere tornato lì per l’ennesima volta.

«Che facevi a Bradford?»

Zayn scrollò le spalle, senza davvero aver voglia di parlarne. Di parlare di nulla che lo riguardasse, in realtà. Non capiva cosa il passato potesse azzeccarci col suo futuro. Avrebbe preferito parlare della vita di Ed, quello era poco ma sicuro.

Come che fosse, si ritrovò a raccontare di quando aveva scelto di fare Inglese, all’università, e di come i suoi genitori si fossero un po’ preoccupati perché aveva poche possibilità di sbocco lavorativo, in quel campo. Ma lui era sempre stato un po’ testardo e, se c’era una cosa di cui era sicuro nella vita, era che quella e nessun’altra era la sua strada. Non era una persona fatalista, ma almeno quella convinzione si era rivelata veritiera più volte.

Raccontò del suo primo incarico da insegnante; con nostalgia, ricordò di quando in classe nascevano aspri dibattiti su quale tragedia di Shakespeare fosse più romantica, e con divertimento, delle volte in cui aveva trovato bigliettini innamorati nel suo cassetto: erano perlopiù frasi estrapolate da canzoni famose, qualcuna proveniva dritta-dritta da Byron o Keats. Qualche verso non l’aveva mai riconosciuto e probabilmente era stato scritto di proprio pugno da una sua studentessa.

Era qualcosa di infinitamente tenero (anche se un po’ ridere lo faceva davvero), e Andrew l’aveva pensata allo stesso modo.

Con un salto pindarico, finì per parlare delle sue sorelle, di quanto lo sconcertasse che Wahilya sarebbe partita presto per il college, mentre Safaa era quasi una signorina. Doniya gli mancava più di tutte, perché anche se lei era più grande e se ne era andata di casa prima di lui e ormai sarebbe dovuto esser abituato alla sua lontananza, in realtà era sempre stata la sua confidente e lui il suo, si sostenevano a vicenda, e si supportavano sempre. Spesso si sopportavano, anche, perché erano diversi come il sole e la luna.

«E non hai lasciato nessun altro a Bradford? Una fidanzata, magari» s’impicciò il vecchio.

Zayn non sapeva se arrossire o scoppiare a ridere. Optò per l’ultima, perché tutto in Ed era così antiquato da essere al limite del paradossale, e lui sapeva che l’altro non ne aveva colpa e che probabilmente anche lui gli faceva un effetto strano, ma non riuscì davvero a controllarsi.

Cercò di riprendersi in fretta, però, ché l’altro aveva preso a guardarlo come se non capisse cosa ci fosse da ridere e Zayn fosse impazzito.

«No, nessuna ragazza» rispose. «Sono omosessuale» specificò.

E magari adesso Edward l’avrebbe guardato a metà tra l’indignato e l’impaurito perché quello era il 1950 e lui non poteva pretendere di incontrare apertura mentale in quegli anni quando spesso mancava ancora nel suo mondo; ma non nascondeva quella che considerava una parte di sé al pari delle proprie mani da quando aveva sedici anni e, facendosi coraggio, l’aveva detto ai suoi genitori, di certo non avrebbe iniziato a farlo a ventotto con uno sconosciuto da cui non cercava né stima né approvazione.

«Allora,» rispose Ed, senza minimamente scomporsi. «nessun fidanzato?»

Con la bocca mezza spalancata, Zayn non sarebbe stato più sorpreso neanche se gli avessero detto che l’indomani il sole sarebbe sorto a Ovest.

*

Erano passate due settimane dai festeggiamenti fatti per l’arrivo dell’estate. Si erano rivelati propiziatori, perché il caldo li aveva assaliti come fosse stato invocato e Zayn aveva iniziato a dormire con le finestre spalancate.

A Little Holmes non pioveva mai e il paesino sembrava non conoscere la nebbia: Zayn aveva pensato di stilare una lista delle stranezze del posto, ma poi aveva rinunciato, perché quello aveva le connotazioni di un lavoro colossale e lui si era stancato ancor prima di cominciare.

Uscì dalla libreria che ancora non era completamente buio, pur essendo le otto passate.

Se ne sarebbe tornato tranquillamente a casa come sempre, se un pazzo furioso non gli fosse finito contro, rischiando di farlo cadere, mentre se ne fuggiva dalla pasticceria degli Styles. Con uno sguardo fugace, riconobbe la corporatura di Anthony rimpicciolirsi sempre di più e poi uscire dal suo campo visivo.

Si voltò a guardare dentro il locale. Harry se ne stava dietro il bancone, con indosso lo stesso grembiule che aveva quasi un mese prima e le mani tra i capelli, le punte delle dita che massaggiavano lentamente le tempie.

Sebbene lui fosse uscito altre volte con tutto il gruppo, non riusciva proprio a mandar giù l’altro, che, da parte sua, non faceva nulla per farsi piacere. Ma vederlo così abbattuto, l’avrebbe quasi spinto a entrare e provare a confortarlo.

Aveva come l’impressione, però, che l’ultima persona che Harry desiderasse vedere in quel momento fosse proprio lui.

Quando il più giovane alzò gli occhi e li incrociò con i suoi, ebbe conferma di quanto ipotizzato. Harry lo fulminò con lo sguardo e si avvicinò. Proprio quando Zayn era certo che avrebbe spalancato la porta d’ingresso e gli avrebbe urlato contro, Harry spense le luci e tirò giù la saracinesca, escludendosi al suo sguardo.

*

«Harry non viene neanche stasera?» chiese Niall, con la testa infilata dentro il frigorifero, mentre tirava fuori, una dietro l’altra, bottiglie di birra per tutti.

Tutti si voltarono verso Louis, che sembrava sempre sapere cosa facesse, pensasse, dicesse Harry.

«Mi ha detto che stava poco bene» riferì quest’ultimo, ma Zayn avrebbe capito che Louis non ci credeva nemmeno un po’ anche se non avesse assistito a quella mezza scenata, solo un paio di ore prima. E, ok, a pensarci bene, magari non era proprio una bugia, che Harry stesse male.

Aveva una mezza idea di raccontar quanto fosse successo, ma poi ci ripensò: se l’altro avesse voluto farlo sapere, l’avrebbe detto lui stesso. E comunque, non è che lui avesse più che una vaga idea di quanto fosse accaduto davvero.

E, inoltre, anche se nessuno l’aveva mai detto, sembrava che Anthony stesse un po’ sulle palle a tutti. Immaginava che se avessero saputo che nel tardo pomeriggio si era comportato come un pazzo invasato, lasciando Harry ad arrovellarsi in pasticceria, su cosa di preciso non sapeva, Louis avrebbe serrato la mascella, Liam i pugni e Niall avrebbe storto il naso (perché Niall non riusciva a pensar male di nessuno e, per lui, tutto era un arcobaleno).

Non voleva rovinare la serata, tanto più che probabilmente i due avevano già risolto per conto loro, per cui se ne stette buono e muto.

Si alzò per andare in bagno e dette uno sguardo alla casa. Era la prima volta che si vedevano da Niall per quella che gli altri chiamavano una serata tra ragazzi. Di solito la facevano da Louis, ma quella sera Eleanor aveva programmato una pizzata con le amiche, per cui Niall aveva offerto il suo appartamento. Era pieno di foto che ritraevano il biondo con qualche animale: il suo preferito, quello che ricorreva più spesso, era un meraviglioso pastore tedesco, che sembrava innamorato di Niall, quanto l’Irlandese lo era di lui.

Perso tra i pensieri, non si era neanche accorto che gli altri lo stavano aspettando per una partita super agguerrita a Trivial Pursuit. La prima volta che ci avevano giocato, Zayn li aveva guardati male, perché, cavolo, mica avevano più quindici anni. Poi, dopo una sola partita, aveva cambiato completamente opinione. Quell’affare era meraviglioso e ci avrebbe passato sopra le ore.

Una volta, Liam aveva portato Taboo, invece. Avevano urlato così tanto, che la vicina per poco non aveva chiamato i carabinieri.

*

A serata finita, si avviò verso casa. Niall abitava vicino a Louis ed entrambi stavano a un paio di chilometri di distanza da lui. Liam abitava dalla parte opposta del paese, invece.

Il caso, o la sfiga, aveva voluto che Harry abitasse a due palazzi dal suo, ma saperlo gli era poco utile, visto che, di certo, non sarebbe mai andato a citofonargli a casa.

Decise di passare per il minuscolo parco che c’era dietro la schiera di palazzi del quartiere, piuttosto che continuare per la strada asfaltata. Avrebbe allungato un po’, con quella deviazione, ma gli piacevano l’odore degli alberi e il rumore del vento tra le fronde.

A metà, quasi inconsapevolmente, rallentò il passo.

Se il destino c’entrava qualcosa, doveva proprio odiarlo.

Per la seconda volta nello stesso giorno, infatti, si trovò di fronte la figura di Harry, ma quella volta non c’erano vetri a dividerli, e Zayn pensò che magari sarebbe riuscito a oltrepassarlo senza che l’altro si accorgesse di lui: in fondo, sembrava particolarmente intento a fissarsi le scarpe.

Proprio mentre formulava quel pensiero, Harry alzò la testa e posò gli occhi su di lui.

Zayn poteva quasi giurare che l’altro era arrossito, anche se il buio lo nascondeva bene: non avrebbe saputo dire se per imbarazzo o per rabbia.

«Mi segui?» quasi gli ringhiò Harry, senza neanche salutarlo.

Zayn lo guardò come fosse pazzo. «Secondo te?» chiese, retorico.

L’altro scrollò le spalle, come se in realtà non gliene importasse nulla.

Zayn non si era mai sprecato a osservare davvero Harry, non conosceva tutte le sue espressioni come Louis e gli altri, ma, se avesse potuto, avrebbe scommesso che la linea delle spalle, che era talmente curva da creare un semicerchio perfetto, e i capelli, che erano così arruffati che forse Harry non li lavava da troppo tempo, parlavano di tutto, meno che di spensieratezza.

Ma, adesso che ci pensava, anche se gli altri dicevano sempre che Harry era tutto un sorriso, lui l’aveva quasi sempre visto con quell’atteggiamento dimesso o con un’espressione arrabbiata.

Il 99% delle volte, l’ultima era merito suo.

Avanzò fino a trovarselo di fronte. Alla festa aveva il viso distrutto e qualche ora prima non era messo meglio, ma nessuna delle due volte poteva gareggiare con questa.

Sentì di nuovo quella forza estranea che per la seconda volta lo spingeva a volerlo confortare: forse Madre Teresa si era impossessata di lui e nessuno glielo aveva detto.

«Te ne vai?!» sbottò Harry, a metà via tra un ordine e una preghiera.

«Il parco non è mica tuo» affermò, ragionevole, perché in fondo, per quanto non gli piacesse vederlo di quell’umore, non avrebbe di certo perso l’occasione per dargli contro.

«Bene» borbottò a denti stretti l’altro. «Allora, me ne vado io» aggiunse, alzandosi e prendendo la stessa direzione che stava seguendo anche Zayn qualche attimo prima.

Zayn scrollò le spalle; se ne fregava, se Harry non voleva la sua compagnia.

E proprio mentre il suo cervello formulava quel pensiero, vide l’altro franare a terra, una mano tesa a evitare che la sua faccia si sfracellasse al suolo e un grido a spezzare la tranquillità notturna.

*

Quell’imbecille, invece di guardare dove andava, era così preso a piangersi addosso che non si era accorto che stava per mettere un piede in una buca enorme. L’avrebbe vista anche un cieco. Invece Harry c’era cascato come uno scemo. Ancor peggio, si era anche storto una caviglia.

Appena l’aveva visto afflosciarsi come un sacco di patate, Zayn gli era corso dietro, per vedere cosa fosse accaduto. Aveva provato a posargli una mano sulla spalla e l’altro, in un primo momento, preso com’era dal suo dolore non si era nemmeno accorto della sua presenza.

«Che hai fatto?» gli aveva chiesto, preoccupato.

L’altro aveva scosso la massa di capelli ricci, senza rispondergli a voce, ma Zayn aveva notato che si stava tenendo la caviglia. Aveva scansato le sue mani per vedere meglio l’entità del problema e, in effetti, quella si stava gonfiando un po’ ma, anche se non era un esperto, non credeva fosse slogata, né tantomeno rotta. Sarebbe bastato del ghiaccio, quindi tutto quello che dovevano fare era arrivare a casa e frugare nel freezer. Si era maledetto una volta in più per aver scelto di seguire il suo istinto e passare per il parco.

«Dai, ti porto a casa» gli aveva detto, perché di certo l’altro non sarebbe riuscito a camminare.

Harry aveva alzato la testa e Zayn aveva notato che guance e occhi erano tutti arrossati. Il più piccolo l’aveva fissato come se si fosse accorto della sua presenza solo in quel momento.

«Ci vado da solo» aveva rifiutato ostinatamente. Zayn si era ricordato perché l’aveva preso in antipatia.

«Oh, davvero?» l’aveva canzonato.

Harry aveva assottigliato gli occhi, come se stesse inghiottendo un boccone amaro o una scorza di limone, e poi aveva provato ad alzarsi.

Ridicolo, aveva pensato Zayn, assolutamente ridicolo.

Aveva zoppicato per mezzo metro e poi si era dovuto fermare, troppo dolorante per continuare e avanzare di un altro passo. Zayn avrebbe quasi riso di lui, se non gli avesse fatto pena. La sua ostinatezza era quasi tenera.

Stupida. Stupida, non tenera.

Tenero era l’ultimo aggettivo che avrebbe abbinato a Harry. Stupido calzava perfettamente, e il fatto che l’altro avesse preso a saltellare e subito dopo si fosse dovuto appoggiare a un albero per riprendere fiato ne era la prova lampante.

«Ti porto a casa» aveva ripetuto, con quello che sperava fosse un tono più dolce.

L’altro aveva abbassato la testa, in segno di sconfitta, e scrollato le spalle, in uno d’indifferenza. Quel ragazzo era una contraddizione in carne e ossa.

Poi, senza altre parole, l’aveva afferrato per un fianco e aveva fatto passare un braccio di Harry sopra le proprie spalle.

*

Arrivarono a casa di Harry in un tempo relativamente breve, considerando che l’altro era più alto e robusto di Zayn, che doveva sorreggere tutto il suo peso.

Non perse tempo a ficcanasare nei gusti dell’altro ragazzo e lo lasciò sul divano, per poi andare a prendere del ghiaccio.

Prese della carne congelata, perché trovò solo quella, e ritornò in salotto, dove Harry si era steso, la gamba non dolorante piegata e un braccio a coprirgli il volto.

«Ehi» disse, sedendosi accanto ai suoi piedi.

Harry si mise seduto, allungandosi ad alzarsi i jeans, mentre Zayn delicatamente gli toglieva scarpa e calzino.

«Così almeno dovrebbe sgonfiarsi» mormorò, giusto per riempire il silenzio.

Harry annuì impercettibilmente, mentre con una mano si strusciava gli occhi e sistemava i capelli.

«Fa tanto male?» chiese, perché non l’aveva ancora fatto e magari avrebbe dovuto pensarci prima.

«No» rispose Harry, con voce sommessa.

«Hai pianto» affermò Zayn, come se quello inficiasse la dichiarazione dell’altro.

Harry lo guardò stizzito. «Non è vero»

«Hai gli occhi rossi» Zayn si disse che quella era una prova a tutti gli effetti.

«Non ho pianto» si ostinò l’altro, ma era un po’ come dire che il sole l’indomani non sarebbe sorto.

Zayn lo guardò scettico, il viso che esprimeva quello che pensava di Harry in ogni suo piccolo poro.

«Smettila» gli ordinò il più piccolo, ma Zayn non avrebbe saputo dire cosa avrebbe dovuto smettere di fare.

«Di fare che?» s’informò, più per curiosità che per altro.

Harry scrollò le spalle, senza dargli una risposta. Sembrava che avesse preso gusto a farlo.

«Che ci facevi al parco?» cambiò argomento. E, a pensarci, anche il fatto che l’altro se ne stesse tutto solo seduto su una panchina era strano.

«Non sono affari tuoi» rispose, e Zayn pensò che avrebbe dovuto aspettarselo.

Non è che loro due fossero grandi amici o chissà che. Fosse stato al posto di Harry, anche lui gli avrebbe detto la stessa cosa.

Sospirò.

«Va meglio?» s’informò. Harry aggrottò le sopracciglia e lui gli indicò col mento la caviglia.

«Non mi ha fatto tanto male» dichiarò il riccio.

«Ma sei hai pian-»

«Ti ho detto di no!» l’interruppe Harry, le guance che iniziavano a imporporarsi e gli occhi a mandare fiamme in grado di incenerire la pietra. «La caviglia non c’entra nulla» concluse, con tono secco.

«E cosa c’entra?» Zayn guardò lo stupore invadere il volto dell’altro.

«Mi sembra di aver già chiarito che non sono affari tuoi» ribatté lentamente, con una cadenza che provocò un sorriso in Zayn. Harry, al contrario, assottigliò gli occhi. «Mi prendi in giro?» sbottò, stizzito. Zayn si disse che l’altro doveva essere la persona più difensiva del mondo, se si arrabbiava per così poco.

«No, no» si difese. «È come parli» offrì, a mo’ di spiegazione.

L’altro non sembrò capire cosa intendesse e continuò a linciarlo con lo sguardo.

«Sei lentissimo» aggiunse. «È carino» decise. «Un po’ irritante, ma carino»

Vide Harry abbassare gli occhi e le sue guance imporporarsi leggermente, il rossore che spiccava facilmente sulla carnagione chiara del volto.

Non rispose, e Zayn non avrebbe saputo dire se lo facesse perché l’avesse preso davvero come un insulto o perché non sapesse cosa dire. Forse un po’ per entrambi i motivi.

«Perché mi odii?»

Zayn sobbalzò, come fosse stato risvegliato all’improvviso da un sogno profondo. Erano stati in silenzio abbastanza a lungo da fargli dimenticare sia di essere in compagnia, che di avere una lingua.

«Non ti odio» si affrettò a dire. Appena le parole uscirono dalla sua bocca, si accorse che era la verità. Non lo sopportava, Harry si comportava come un bambino sempre in cerca di attenzioni, era fin troppo pieno di sé e superficiale, ma quelle per la maggior parte erano sensazioni e impressioni che lui non si era mai sognato di approfondire. Per quanto a pelle non potesse soffrirlo, però, non lo odiava di certo.

Il viso di Harry passò da un’espressione combattuta e un po’ afflitta a una quasi arrabbiata e irritata.

«Non sono idiota» disse solo.

Zayn alzò un sopracciglio, ironicamente. Harry lo guardò ancora più male. Sembrava sul punto di sputargli addosso del veleno.

Non capiva perché l’altro volesse affrontare quel discorso proprio lì, a quell’ora tarda della notte, con una confezione di carne congelata appollaiata sulla caviglia. In realtà, fosse stato per lui, non l’avrebbero affrontato mai. Non ne vedeva neanche il motivo, a esser sinceri.

«Che ti ho fatto?» incalzò ancora.

Zayn ripensò a quanto Louis avesse detto la prima sera in cui era uscito con loro. Harry davvero voleva piacere sempre a tutti. La cosa lo irritò ancora di più.

«Deve esserci una ragione per forza?» ribatté, desideroso di gustarsi la reazione del più piccolo.

Harry spalancò la bocca, senza dire nulla per qualche secondo, boccheggiando come fosse un pesce fuor d’acqua. Era così abituato a essere amato e benvoluto da tutti, che quel cambiamento di programma doveva proprio sconcertarlo, si disse Zayn.

«Certo che sì» strozzò, quando riuscì a ritrovare la voce. «Non puoi odiare le persone solo perché ne hai voglia e trattarle male solo perché ti girano» lo accusò.

«Tu non sei tutte le persone» specificò, perché, in effetti, quelle reazioni gliele ispirava solo Harry. «E ho detto che non ti odio» concluse con una scrollata di spalle, sperando che la conversazione potesse dirsi conclusa. Sarebbe voluto tornare a casa, lasciare Harry lì, dolorante sul divano, e cercare di dormire. Quella giornata si era prolungata abbastanza.

Ma Harry era petulante e ostinato, si accorse.

«Invece sì» quasi cantilenò, neanche avesse otto anni.

«Ok, sì» confermò, magari così l’avrebbe azzittito.

«Perché, allora?» evidentemente no. Zayn sbuffò; la situazione aveva del ridicolo, soprattutto perché Harry, col suo modo di fare lo stava infastidendo, ma col suo broncio lo stava intenerendo. Era la seconda volta nel giro di un’ora che pensava che l’altro fosse tenero, e la cosa non aveva neanche un po’ di senso.

«Ahhhh» sbottò, sconcertato dalla testardaggine dell’altro, che non dava nessun segno di mollare l’osso. E lui era stanco e voleva dormire, e quello aveva del miracoloso. «Senti» disse, infine. «È una sensazione a pelle, ok?» dirlo ad alta voce lo faceva apparire talmente infantile che si vergognò anche solo ad averlo pensato.

«Hai dieci anni?» lo accusò, infatti, l’altro, spalancando gli occhi. «Non puoi decidere dal nulla che qualcuno non ti piace e trattarlo male solo per una tua impressione. È.. è un pregiudizio bell’e buono, cazzo» imprecò, le guance che si coloravano mano a mano che aumentava la veemenza delle parole. «Non ti ho fatto niente!» quasi strillò per la seconda volta.

«Ma se sei entrat-»

«Lo dici come ti avessi ucciso il gatto» lo interruppe, sempre più sconcertato.

Cercò di calmarsi, notò Zayn.

«Senti,» Zayn sfruttò il momento di tranquilla tensione che si era creato tra di loto. «si è fatto tardi; è meglio se vado» si alzò, stando attento a che il ghiaccio fosse ancora al suo posto.

Harry spalancò la bocca, pronto a dire qualcosa. Ma Zayn era già alla porta, e lui sembrò ripensarci.

Con un ultimo cenno, Zayn uscì da quella casa e si avviò verso la propria.

*

«E tu che fai?»

Aveva scoperto che parlare con Edward l’aiutava a schiarirsi le idee, anche le volte in cui gliele confondeva, per questo, la sera dopo aver incontrato Harry al parco ed essere rimasto con lui per più di mezzo minuto, aveva riaperto il Libro.

Harry gli aveva detto alcune cose che l’avevano fatto riflettere per tutta la notte, tanto che, quella mattina, si era risvegliato con due occhiaie gigantesche. A pensarci a mente lucida, aveva ragione a dire che disprezzare qualcuno per una sensazione era assurdo, ma Zayn non poteva farci nulla se il suo stomaco si contorceva ogni volta che l’altro appariva nel suo raggio visivo. La odiava, era insopportabile, e l’unico modo che conoscesse per farla sparire era evitare l’altro con tutte le sue forze.

Edward era l’esatto opposto: era la tranquillità, la brezza primaverile e il mare placido. Aveva intuito che anche solo raccontargli delle sue giornate aveva un effetto benefico al quale non avrebbe rinunciato molto facilmente.

Gli piaceva anche ascoltarlo. Anzi, preferiva le volte in cui l’altro gli raccontava qualcosa della sua vita: c’era stato l’aneddoto di come avesse conosciuto zia Linda e quello del ritrovamento del Libro, e Zayn si beveva, rapito, ogni sua parola, senza stancarsi mai.

L’ultima volta, Ed gli aveva chiesto che lavoro facesse, prima di trasferirsi lì, e Zayn era curioso di sapere se l’attività dell’Edward di quel mondo corrispondesse a quella del suo.

«Io e mia moglie abbiano una trattoria, proprio qua davanti» rispose, aspettando che Zayn facesse altre domande.

«E si mangia bene?» chiese, più per stuzzicare l’orgoglio dell’amico che per altro. Aveva ormai capito che anche quella doveva essere una caratteristica di famiglia.

«Magari una volta ti ci porto» propose. «Così, dopo non vorrai più tornartene al tuo tempo»

Si disse che quello sarebbe anche potuto essere possibile, visto che nell’ultimo mese era andato avanti con cibi precotti. Almeno, quando stava a Bradford, sua madre lo sorprendeva spesso con qualche visita inaspettata, portando con sé uno stufato o qualche sugo fatto in casa, quindi, anche se poco, almeno mangiava bene.

«E tua moglie?» se ne uscì, pronto ad ascoltarsi un’altra storia sul passato dell’uomo che aveva di fronte.

«Cosa?»

«Come vi siete conosciuti, come fa a sopportarti, cose così, insomma» scherzò, sorridendo, perché anche se l’altro era la persona più aperta che avesse mai conosciuto, non riusciva proprio a capire quando uno stesse facendo ironia oppure no.

Ed sorrise, appoggiò le mani sui braccioli della seggiola, alla ricerca della posizione più comoda, e cominciò a raccontare.

*

Non era stato tutto il giorno a controllare se Harry fosse arrivato o meno, ovviamente.

Quella mattina, era entrato in pasticceria e ad accoglierlo c’era una signora che, pur essendo avanti con gli anni, era ancora bellissima.

Aveva rivisto, nei lineamenti del volto, Gemma, e nel sorriso, Harry.

Non c’era stata possibilità di errore: era la madre, per cui le aveva chiesto se il ragazzo fosse già arrivato. Voleva sapere come stesse la caviglia, sincerarsi che avesse ancora il piede, nulla di più.

«Non è ancora arrivato» le aveva detto, apparendo un po’ preoccupata e dando un’occhiata veloce all’orologio. «Sei un suo amico?» aveva poi cambiato argomento. La sua espressione gli diceva che non l’aveva mai visto in giro, di certo non con suo figlio.

«Uhm» aveva iniziato, perché, in realtà, avrebbe dovuto rispondere no, per nulla, ma si sarebbe preso per pazzo anche lui, l’avesse fatto. «Sì» aveva dunque concluso, aggiungendo un più o meno a voce talmente bassa, che la donna non lo aveva udito.

Ogni tanto, durante il giorno, si era ritrovato a volgere la testa alla strada, guardare i passanti, cercare una chioma riccia dietro il bancone della pasticceria, ma nulla di più.

Per quanto avesse potuto vedere, comunque, Harry non era andato al lavoro e, forse, aveva fatto bene; un giorno di riposo era sempre gradito a tutti. Per questo, quando uscì dalla libreria, si ritrovò a pensare se dovesse o meno fare un salto a vedere di persona come se la passasse.

Magari l’altro era ancora arrabbiato per la sera precedente (anche se Zayn aveva qualche dubbio che fosse proprio quello, il sentimento che Harry aveva provato) e gli avrebbe sbattuto la porta in faccia.

Oppure, non poteva camminare e non avrebbe nemmeno risposto al citofono.

In realtà, quella possibilità suonava assurda anche alle sue orecchie; la caviglia era un po’ gonfia, ma di certo non così tanto da impedirgli di muovere qualche passo. Aveva come l’impressione che Harry avesse semplicemente preso la palla al balzo e usato quella scusa per non andare a lavorare.

Mentre attraversava il corso, vide Anthony venirgli incontro, e quasi gli venne voglia di chiedergli se sapesse qualcosa del ragazzo più giovane.

Poi, però, si accorse che l’uomo non era da solo e che la persona che teneva per mano non assomigliava per nulla a Harry.

La cosa gli parve assurda, perché anche se nessuno gliel’aveva mai detto a chiare lettere, era abbastanza certo che quei due stessero insieme. Perlomeno, si comportavano come una coppia, anche se Zayn li aveva visti insieme poche volte e dunque aveva pochi momenti su cui fondare una valutazione.

Il ragazzino che stava appiccicato al braccio di Anthony e che lo guardava estasiato era quanto di più diverso dal riccio esistesse. Zayn non lo aveva mai visto e di certo non perché non lo avesse notato. Era di una bellezza angelica, di quelle che attirano l’attenzione di tutti, anche se non era propriamente il suo tipo. Ma era poco più che un bambino, davvero, e non credeva possibile che Anthony potesse interessarsi a qualcun altro, quando stava con Harry.

Magari si era stufato del suo carattere, e Zayn non poteva proprio dargli torto.

Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma non era davvero il tipo da fermare qualcuno che nemmeno conosceva per strada, e poi non erano comunque affari suoi. Fosse stato amico di Harry, sarebbe stata un’altra storia.

«Che vuoi, eh?»

I suoi buoni propositi furono mandati all’aria da Anthony stesso che doveva aver notato l’interesse e la curiosità con cui Zayn l’aveva guardato. Il suo tono lo irritò e, pur non avendoci mai parlato fino a quel momento, capì il perché dell’antipatia con cui Louis e gli altri glielo avevano descritto.

Decise che, poiché aveva iniziato l’altro, lui era più che autorizzato a dire ciò che volesse.

«E Harry dove ce l’hai?» chiese, senza rispondere alla domanda dell’altro. Anthony assottigliò gli occhi e il suo viso si aprì in un sorriso strano. Un po’ sinistro e un po’ soddisfatto.

«Magari dovrei chiederlo io a te» disse.

Zayn sollevò un sopracciglio, perché quell’affermazione non aveva per niente senso. E il tono insinuante dell’altro ne aveva ancora meno.

Non sapendo come rispondere a quella sottospecie di accusa, stette semplicemente a guardare mentre Anthony stringeva al proprio fianco il ragazzino e, senza degnarlo di un ulteriore sguardo, passava oltre.

*

Confuso, pensò che – a quel punto – un salto da Harry era quasi d’obbligo.

Arrivò al suo palazzo proprio mentre una vecchiettina stava uscendo. Lo fece passare e, ringraziandola, prese le scale. Quando si trovò di fronte al portone di casa del più piccolo, si morse una guancia, improvvisamente insicuro.

Dandosi dello stupido, si disse che al massimo l’altro l’avrebbe cacciato e lui, di certo, non ne avrebbe sofferto troppo.

Suonò il campanello.

«È aperto» la voce di Harry gli urlò, da qualche parte nell’appartamento e, guardando la maniglia, si accorse che nella serratura erano infilate le chiavi. Era assurdo come, in quel paesino, tutti si fidassero completamente di ogni altro abitante.

Senza perderci il sonno, Zayn scrollò le spalle e aprì la porta.

Harry era nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato, solo che si era evidentemente mosso, dato che indossava il pigiama e intorno a lui c’era tutta una quantità di cibi che avrebbe potuto sfamare Niall.

Quando l’altro si accorse che il visitatore era lui, lo guardò un po’ stupito, e cercò di nascondere come meglio potesse quelle che erano state le sue precedenti occupazioni.

Era talmente arrossito, mentre cercava di togliersi di dosso tutte le briciole che i pacchetti di patatine vuoti dovevano avergli lasciato, che Zayn non poté far altro che considerarlo adorabile.

Il suo stomaco gli diede un calcio, come se non sopportasse pensieri teneri su Harry.

«Ciao» lo salutò, dopo essersi messo seduto.

«Posso entrare?» chiese, per sicurezza, perché magari, quando aveva bussato, l’altro aveva risposto sovrappensiero, e proprio non voleva vederlo.

Harry annuì, cercando subito dopo il telecomando per spengere la televisione. Zayn lanciò uno sguardo al programma: non lo conosceva, ma era talmente tanto che non si sedeva di fronte a una di quelle scatole, che davvero non era una sorpresa.

Si mise seduto sul divano, perché l’alternativa era il pavimento, e si chiese una volta in più perché fosse andato a trovarlo. Avrebbe anche potuto chiedere direttamente Louis. Che scemo.

«Vedo che ti sei dato alla pazza gioia» commentò, prendendolo un po’ in giro.

«È passato Niall» disse l’altro, e quello almeno spiegava la presenza di tutte quelle vivande nel salotto.

«Spero ti abbia anche aiutato a divorare tutta questa roba, se no hai preso cinque chili» scherzò, e l’altro sollevò un sopracciglio, come a dire ehi, stiamo parlando di Niall.

«Tu che dici?» fece, retorico.

Zayn sorrise, iniziando finalmente a rilassarsi, da quando era entrato.

«Come va la caviglia?» s’informò, visto che quello era il motivo principale per cui era andato lì.

«Va bene» Harry alzò leggermente il sotto del pigiama, mettendo in mostra l’articolazione, visibilmente meno gonfia.

«L’hai chiamata tua madre, o l’hai fatta preoccupare per tutto il giorno?»

Harry lo guardò come se non capisse a cosa si riferisse, e allora lui gli raccontò di come avesse conosciuto la donna, sentendosi all’improvviso infinitamente stupido. Anche alle sue orecchie, tutta la preoccupazione che l’aveva spinto, prima a cercarlo al lavoro, poi fino a casa sua, sembrava esagerata. Cercò di scusarsi, dicendosi che probabilmente derivasse dal fatto che, quando l’altro si era fatto male, si trovava con lui. In modo un po’ contorto, forse si sentiva responsabile.

«Comunque, sì. Non sono pessimo come credi tu» gli disse, abbozzando un sorriso.

Zayn annuì pensieroso. Aveva fatto quello che doveva, poteva semplicemente andarsene: l’altro non sarebbe morto, ma, anzi, sarebbe ritornato più insopportabile di prima.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, gli tornò in mente l’immagine di Anthony stretto a qualcuno che non era Harry. Si chiese come fosse stato possibile che se ne fosse dimenticato, ma si disse che con ogni probabilità era colpa della stanchezza. E della fame. Rubò una patatina da uno dei pochi pacchetti ancora pieni.

«Fai pure, eh» lo brontolò Harry, con tono ironico.

«Grazie» bofonchiò Zayn, prendendo per serio l’invito di Harry e appropriandosi di tutto il pacchetto. L’altro sorrise, a vederlo, e Zayn immaginò che non gli avesse dato davvero noia. «Lo faccio per te, che poi ingrassi» commentò, ed era quasi certo che, se fossero stati un po’ più in confidenza, Harry gli avrebbe assestato un pugno su un braccio. Il riccio si limitò a metter su un broncio buffissimo e una volta in più Zayn si chiese cosa avesse visto Anthony in quella piovra, quando Harry aveva quelle due tenere fossette.

«Ehm» iniziò, dopo aver sgranocchiato l’ennesima patatina. «Ho visto Anthony» buttò fuori. Meglio essere rapidi e veloci.

«Che ti ha detto?» s’allarmò l’altro, spalancando gli occhi preoccupati e colorandosi ancor più di prima.

«Ehm» ripeté. «In realtà, quasi nulla» nulla di comprensibile, specificò dentro di sé. «Ma» prese un respiro profondo, perché come fai a dire a qualcuno che il suo compagno se ne va a spasso a braccetto con un altro? «Ecco,» tentò. «era con un altro» disse, osservando la reazione di Harry.

Zayn pensò che il riccio l’avesse presa davvero bene. Poteva quasi giurare di averlo visto emettere un sospiro di sollievo, che però lui non avrebbe proprio saputo motivare.

«Mi dispiace» concluse, incerto, perché a quanto pareva non c’era nulla di cui dispiacersi.

«Ci siamo lasciati,» l’informò Harry, scuotendo le spalle. «era da un po’ che non andava»

Zayn si diede dello stupido, per non essere riuscito a capirlo da solo.

Il giorno precedente, Anthony era uscito dalla pasticceria con talmente tanta velocità, da fargli credere fosse inseguito da Satana in persona, e aveva lasciato dentro un Harry un po’ stravolto; dopo una manciata di ore, poi, aveva incontrato Harry di nuovo, e aveva visto subito che qualcosa non andava. E anche la sera della festa, qualche settimana prima, l’altro non aveva sfoggiato il migliore dei suoi aspetti.

All’inizio non c’aveva fatto caso, ma probabilmente tutte quelle cose erano riconducibili alla brutta piega che stava prendendo la sua storia con l’altro uomo.

E, quando Harry diceva di non aver pianto per la caviglia, non stava mentendo. A pensarci, gli occhi arrossati li aveva già da prima e dovevano essere la conseguenza visibile della rottura con Anthony.

«Mi dispiace» disse di nuovo, senza sapere cosa altro aggiungere per far stare meglio l’altro, un po’ perché non lo conosceva, un po’ perché, in quelle cose, era sempre stato una frana.

«Nah» lo sollevò dalle sue preoccupazioni Harry, scrollando la testa e sorridendo. «Te l’ho detto, andava male da un po’. È meglio così»

Quel ragazzo doveva essere un po’ bipolare, perché solo la sera precedente stava piangendo a fiumi proprio per quel motivo che, adesso, voleva far apparire senza importanza.

«Ma se ieri sera eri uno straccio» lo contraddisse, perché proprio non riusciva a stare senza infastidirlo, e dargli contro era il modo migliore per farlo. Tanto più se aveva ragione.

Il sorriso dell’altro si ammosciò e un leggero rossore gli colorò le orecchie. «Non…» cominciò a dire, insicuro. «Non era solo quello, il motivo» concluse, mordendosi un labbro.

Zayn stava morendo dalla curiosità di chiedere altro, di sapere quale fosse questo fantomatico motivo, ma qualcosa nella posa e nell’espressione dell’altro gli disse che per quel giorno aveva già osato abbastanza e ottenuto troppo.

Decise che era ora di tornare a casa, a finire di leggere le ultime pagine de Il mercante di Venezia.

Tossicchiò, attirando l’attenzione dell’altro che lo guardò di nuovo in viso.

«È meglio se vado» biascicò, alzandosi. «Devo preparare la cena e tutto il resto» inventò. Le patatine erano state più che sufficienti a riempire il suo stomaco, ma era comunque stanco e troppi pensieri gli vorticavano in testa.

«Oh, ok» mormorò Harry.

«Ci vediamo» lo salutò, incamminandosi verso la porta e aprendola. Un po’ incerto su come comportarsi, si voltò un’ultima volta e fece un cenno col capo.

Senza aspettare una risposta, si richiuse il portone alle spalle.

*

Stava comodamente seduto alla cassa, quando la porta della libreria si aprì, distogliendolo dalla sua occupazione e facendogli alzare il naso dalle pagine in cui era affondato.

Sollevò un sopracciglio, non appena si accorse che era entrato Harry.

Non si aspettava di vederlo così presto. Aveva un’aria un po’ incerta e un pacchetto in mano.

«Posso?» domandò. «Sai, l’ultima volta…» lasciò in sospeso, rispondendo alla muta domanda che Zayn aveva stampato in viso alla sua richiesta di entrare, quando quella era una libreria ed era aperta a tutti.

Zayn dovette fare una faccia strana, perché l’altro scoppiò a ridere.

«Se mi prendi per il culo, ti caccio davvero» lo minacciò, e quello fermò la squacquerata, ma non cancellò il sorriso divertito dalla sua faccia.

«Ok» convenne il più piccolo. «La smetto»

Zayn guardò Harry avvicinarsi e camminare senza problemi. Stranamente, averlo lì non gli faceva venir voglia di strozzarlo. Era piuttosto inaspettato, e si stupì che in realtà vederlo gli facesse quasi piacere. Magari non proprio piacere. Diciamo che vederlo tranquillo gli toglieva un peso. Un fastidio, anche se non capiva bene di cosa. Forse era impazzito.

«Ti ho portato… ehm» iniziò lentamente Harry, passandogli poi il fagotto che aveva in mano.

Zayn lo aprì, e dentro vi trovò una pasta guarnita con crema. «Oh, grazie» disse, accennando un sorriso.

«Non sapevo come ti piacesse, allora ho scelto la crema perché di solito piace a tutti. In realtà non so se il dolce ti piace proprio, magari dovevo portarti un panino e-»

«La crema va bene. Prendi fiato, ok?» lo interruppe, sfruttando la situazione per prenderlo in giro lui.

Harry annuì, iniziando a guardarsi intorno.

«A cosa lo devo?»

«Uhm?» fece intelligentemente il riccio. Zayn alzò il cornetto. «Ah, per la caviglia» scrollò le spalle. «Puoi mangiarlo, giuro che non è avvelenato» scherzò.

Zayn in realtà non aveva troppa fame, anche se era metà pomeriggio e a pranzo aveva giusto sbocconcellato un pezzetto di pane, ma pensò che il minimo che potesse fare per non mostrarsi irriconoscente fosse assaggiare il dolcetto che l’altro gli aveva portato.

Ne addentò un pezzo, e il sapore della crema inondò il suo palato. Dopo giorni di cibi precotti, quello era il paradiso.

«È buonissima!» esclamò. «L’hai fatta tu?» chiese. Harry arrossì e annuì. Evidentemente, Zayn si era sbagliato e l’altro non era inutile come avesse pensato all’inizio. Non scherzava, gli piaceva così tanto che, tempo due morsi, l’aveva divorata.

Si pulì alla bene e meglio con un fazzoletto che Harry aveva previdentemente infilato dentro, e poi si mise a seguire con gli occhi l’altro ragazzo che aveva preso a scrutare i libri esposti.

«Cerchi qualcosa di specifico?» s’informò, attirando la sua attenzione. Harry scosse il capo e scrollò le spalle.

«Ti ho disturbato? Ti disturbo se sto qui?» Harry lo guardò come se si fosse dimenticato di qualcosa e Zayn pensò che tutta quell’accortezza non avesse senso.

«No, stavo solo leggendo» rispose comunque, per tranquillizzare l’altro, che aveva cominciato a mangiucchiarsi un labbro.

«Cosa?» si avvicinò, prendendo un po’ più di confidenza e di sicurezza.

Zayn gli porse il libro che aveva appoggiato sul bancone.

«Carmi» lesse il riccio, aggrottando la fronte, in un’espressione che fece sorridere Zayn. «Catullo. Sai il latino?» domandò, sfogliando il volume.

«Neanche una parola» dichiarò, facendo ridacchiare l’altro, che si fermò a una pagina a caso e iniziò a declamare parole che non avevano senso per nessuno dei due.

Zayn scoppiò a ridere dopo il primo verso, e Harry lo guardò divertito. «Che c’è?» chiese, ingenuamente.

«Hai la pronuncia peggiore di sempre» commentò, ridendo un altro po’.

L’altro lo guardò stupito, cercando allo stesso tempo di fulminarlo con lo sguardo; ne uscì fuori un’espressione che non fece che far ridere Zayn un altro po’.

«Ma se hai detto che non lo conosci, come fai a dirlo?» lo sfidò.

«Sì, Harry, ma primùm lo dici solo tu» Harry scrollò le spalle, e Zayn notò che quello era una specie di vizio.

«Fammi sentire un po’ tu, allora» proferì, passandogli il libro.

Zayn sbuffò, perché almeno su una cosa c’aveva visto giusto: Harry era proprio un bambino, anche se – magari, ma ancora non ne era proprio certo – un po’ meno insopportabile di quanto avesse creduto.

«Ok, ma tanto non lo capisci, se leggo bene o no» affermò, aprendo a caso e scegliendo il primo carme che gli finì sotto gli occhi.

«Tu leggi comunque»

«Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, rumoresque senum severiorum omnes unius aestimemus assis» recitò, senza intonazione particolare perché, per lui, era come leggere la lista della spesa.

Alzò gli occhi su di Harry, che lo stava guardando completamente catturato.

«Non c’ho capito nulla» sostenne Harry, dopo essersi ripreso.

Stava per dare un’occhiata alla traduzione, quando la porta si spalancò di nuovo.

Entrò Louis, pimpante come sempre.

«Wow» commentò, non appena li vide. «Com’è che siete nella stessa stanza e nessuno è morto?»

«Ah ah» Harry lo guardò male, beccandosi un colpetto affettuoso sulla schiena dall’altro.

«È da un secolo che non ci vediamo, Zayn!» si lamentò, lasciando perdere il riccio, che continuava a fissarlo torvo.

«Ci siamo visti due giorni fa» gli raffreddò l’entusiasmo.

«Appunto» confermò Louis, per nulla scosso dalla tranquillità dell’altro. «Un secolo, come ho detto io»

Zayn scosse la testa, e si accorse che Harry stava praticamente mimando il suo movimento, guardando l’amico in modo affettuoso.

«Comunque» continuò il più grande, con la sua solita voce squillante. «Sono venuto ufficialmente a invitarti al matrimonio» proclamò, tutto contento, passandogli una busta.

Zayn la aprì e vi trovò l’invito. Mancava poco più di un mese e quel matto si sarebbe sistemato.

«A te niente biglietto, giovane Harry» cantilenò Louis.

«Me l’hai già dato, Lou» gli ricordò il riccio, il tono di voce che esprimeva quanto ritenesse l’amico fuori di testa. Louis agitò una mano di fronte al suo viso, come se quello non c’entrasse nulla.

«Eleanor ha detto che dovevo farlo ufficialmente, anche se credevo fosse già ovvio che tu dovessi venire» disse, rivolgendosi di nuovo a Zayn. Sai, le donne, si lamentò col pensiero.

Era passato qualche anno dall’ultima volta che era stato a un matrimonio e non voleva pensarci.

Gli stavano sulle palle, i matrimoni, ma si rese conto che Louis e gli altri erano le prime persone con cui avesse stretto un qualche rapporto che andasse al di là di un cenno di saluto da troppo, troppo tempo, e che non avrebbe potuto saltare quel giorno così importante neppure volendo.

«Ci sarò» disse, solo, sghignazzando al sorriso dell’altro.

*

«Il Reverendo Green, in cucina, con il candelabro» accusò Niall, sicuro, guardando con aspettativa uno dopo l’altro gli occupanti del tavolo.

Liam, Louis e Harry scossero la testa e Zayn non poteva crederci che Niall avesse vinto di nuovo.

«Ma come fa?» chiese, rivolto a nessuno in particolare.

Niall sghignazzò, andando a controllare le carte appoggiate a faccia in giù sul tavolo da gioco. «Ho guardato tutti i film di Sherlock Holmes e pure la serie della BBC» spiegò.

«Ma questo cosa c’entra?» perché, dai, al massimo era fortuna sfacciata, la sua.

«Infatti» convenne Harry. «Cosa c’entra? Io ho letto tutti i libri della Christie e non avevo ancora capito chi era l’assassino. Che è quello più facile da scoprire, lo sanno tutti» mise su un broncio adorabile e Zayn gli scompigliò i capelli, perché dargli noia era ancora la cosa che preferiva fare.

«Ancora mi fa strano» ripeté Liam per la quinta volta, quella sera, guardando mentre Harry quasi faceva le fusa al tocco di Zayn, che senza accorgersene era passato da arruffargli i ricci a scorrerci le dita in mezzo.

L’osservazione l’avrebbe quasi fatto arrossire, se non fosse stata fatta con assoluta assenza di malizia, ma Zayn ritrasse comunque la mano, perché, beh, un po’ strano faceva anche a lui.

Harry gli parve quasi deluso, ma qualsiasi sua precedente espressione venne cacciata via dalla risata che lo travolse quando Louis prese a tirare pop-corn a Niall, tutto intento a esibirsi in una danza celebrativa.

Che imbecilli, pensò Zayn, prima di unirsi alla risata di gruppo.

Ancora non riusciva a credere che Little Holmes gli stesse offrendo tutto quello: risate invece che pensieri, serate in compagnia, amicizia.

Magari quei quattro erano pure imbecilli, ma si sarebbe quasi arrischiato a dire che erano i suoi imbecilli.

*

«Tuo nipote è meno insopportabile di quanto credessi» esordì.

Edward alzò un sopracciglio e poi stese le labbra in un sorriso sicuro e soddisfatto, come se già avesse saputo che prima o poi avrebbe sentito quelle parole uscire dalla bocca di Zayn, come se fosse ovvio che lui prima o poi si sarebbe ricreduto, per il solo motivo che Harry era uno Styles.

«Oh, ma davvero» chiese, retorico.

Alzò gli occhi al cielo, lo sapeva che avrebbe finito per gongolare come un idiota. Se c’era una cosa che aveva capito dell’altro era proprio che doveva evitare di dargli la possibilità di farlo.

Come la terza o quarta volta che era tornato in quel mondo: l’aveva accolto con un sorriso così saputo che aveva quasi rivoltato. All’inizio si era un po’ stranito, perché rispetto alle volte precedenti sembrava un cambiamento troppo drastico, ma a quanto sembrava Ed era il tipo che all’inizio cerca di essere il più cauto possibile, per poi attirarti nella sua morsa di fiducia e comprensione, e prenderti in giro alla prima occasione.

Zayn ne era piuttosto divertito, in realtà, anche perché Ed aveva lo strano potere di far sentire gli altri davvero importanti per lui e sapeva che dietro a qualsiasi suo atteggiamento c’erano affetto e interesse sinceri, quindi lui poteva sopportare qualsiasi frecciatina l’altro avesse voluto lanciargli.

«E per il resto?»

«Che resto?»

«Come ti trovi a Little Holmes? L’ultima volta mi hai detto che avevi conosciuto persone interessanti, oltre a Harry, che invece non potevi vedere, giusto? Adesso?»

Zayn sorrise.

«Vanno bene» semplificò. «È strano… ma sì» non era mai stato di molte parole.

«Puoi ampliare se vuoi, sai?»

Zayn alzò le spalle, non sapendo che aggiungere.

«Perché è strano?» eccolo che partiva con le domande, si disse Zayn. Di solito glissava, evitava di rispondere e sapeva che, se non avesse voluto, Ed non l’avrebbe forzato a dir nulla, però parlare dei suoi nuovi amici non era come parlare di quanto gli mancasse sua madre, era tutto il contrario: pensare ai ragazzi lo rallegrava e gli faceva credere che forse ce l’avrebbe fatta a lasciarsi tutto alle spalle, presto o tardi. O magari non lasciarselo alle spalle, ché non era neanche qualcosa che volesse davvero, ma almeno imparare a guardare al passato senza volersi strappare gli occhi e ad accettarlo come qualcosa che avrebbe per sempre influenzato la sua persona.

«Perché» disse, consapevole che se avesse iniziato a raccontare poi non avrebbe potuto più fermarsi. «quando ho lasciato Bradford non sapevo neanche più come parlare a qualcuno che non fosse della mia famiglia, e qualche volta passavo giorni senza rivolgere la parola neanche a mia madre. Non so come abbiano fatto a sopportarmi fino ad adesso. E poi, la settimana scorsa, sento i miei per telefono e mia madre dice che sembro diverso, più simile a come ero un tempo, e che neppure si ricordava come fosse la mia voce libera da tutti i pesi del mondo, che poi non sono del mondo, ma solo i miei, ma mi pareva come se lo fossero, no? Troppo pesanti per essere tutti miei. E la cosa peggiore è che in fondo mia madre ha ragione. Non mi riconoscevo più neanche io. Non riconosco lo Zayn che ero prima di arrivare qui, che un po’ sono tutt’ora, credo. Non so se smetterò mai di esserlo del tutto, in realtà. Comunque. È stata mia madre, è sempre lei, a convincermi a venir qua. A cambiare aria. Forse era proprio quello di cui avevo bisogno. Cambiare aria, intendo. O forse è proprio Little Holmes, non lo so. Non credevo avrebbe funzionato. Non so se ha funzionato. Se sta funzionando. Non lo so. Le cose che non so sono troppe, a dirla tutta»

Oddio, forse era diventato analfabeta, perché l’intero discorso era senza senso, completamente.

Edward annuiva, come se – al contrario – avesse infilato ogni parola dietro all’altra in modo perfettamente consequenziale.

«Da cosa vedi se sta funzionando o no?»

«Mi psicoanalizzi?» cercò di stemperare l’atmosfera. Parlare di sé lo agitava sempre un po’.

Ed sorrise per la centesima volta.

«Immagino da… dalle piccole cose, sai? Dal fatto che a metà mattina ogni tanto mi viene un po’ fame, mentre prima arrivavo a cena con solo la colazione nello stomaco e senza sentirne davvero il morso. Dormo un po’ meglio ed esco più volentieri. Stare in mezzo alla gente mi dà meno noia, alla libreria l’afflusso continuo è piuttosto sopportabile, e con i ragazzi la mia testa è libera, giuro, e non lo era da un sacco» scrollò le spalle, non sicuro che quelle fossero le risposte che Ed cercava, ma era come si sentiva, tutto quello che provava.

Ok, non proprio tutto. C’erano cose, sensazioni, che non riusciva a spiegarsi e che non voleva approfondire.

«Le piccole cose, Zayn, sono quelle che trascuriamo sempre di più, ma spesso sono proprio le più importanti. Non puoi aspettarti un cambiamento improvviso, sai? O che ciò che stai cercando, ciò di cui hai bisogno, cada dal cielo, domani, e tutto andrà di nuovo bene. Come per tutte le cose, anche per ritrovare se stessi ci vuole del tempo. Sembra assurdo, perché sei tu e ti conosci da ventotto anni, da tutta la vita, ma invece è solo più difficile. Se perdi te stesso, è come se ti mancasse la terra sotto i piedi, non hai più un sostegno o almeno la certezza che, qualsiasi cosa accada, tu ci sei, sei tutto quello che hai. Tu non sei più tu, o meglio, sei ancora tu, solo rivestito da strati e strati di qualcuno che sei diventato senza davvero accorgertene»

«Come faccio» iniziò Zayn. Quella cosa era assurda, ma forse qualcuno lo aveva mandato da Ed per un motivo e il minimo che poteva fare era darsi una possibilità. «Come faccio a liberarmi di questi strati? Come posso riuscire a pensare a due anni fa senza…» si passò una mano su una tempia; tutto quel parlare di sentimenti iniziava a fargli venire il mal di testa.

«Perché non inizi parlandomi?»

Lo guardò incerto. Non era quello che stava facendo dal momento in cui era arrivato, parlare?

«Di quello che vuoi. Parlare è il primo passo, Zayn»

Zayn fece un respiro profondo e chiuse gli occhi. Si appoggiò allo schienale comodo della sedia, e quando rialzò le palpebre non era convinto che ce l’avrebbe fatta, a raccontare tutto, ma era intenzionato perlomeno a provarci.

*

Zayn non era mai stato un bambino particolarmente socievole, sempre troppo timido e sognatore e perso nel suo mondo, e – crescendo – le cose non erano cambiate poi molto. Non gli piaceva ricordare la sua adolescenza, tantomeno parlarne, perché, quando lo faceva, tutto quello che gli tornava in mente erano i soprannomi che per i corridoi la gente gli affibbiava, o gli spintoni che gli avevano lasciato qualche mora di troppo.

Zayn aveva sempre la pelle troppo scura per qualsiasi scuola in cui i suoi genitori l’avevano mandato; dopo la terza che aveva cambiato, lui stesso si era impuntato: sua madre si era morsa il labbro, preoccupata, e suo padre aveva scosso la testa, sconfitto, e lui non aveva mai visto nessuno dei due guardarlo con tanto timore, negli occhi. Ma era stanco di cambiare professori e doversi abituare a tutto di nuovo. Aveva capito che comunque non sarebbe servito a nulla, per cui non aveva molto senso alimentare le sue speranze di miglioramento, solo per vederle di nuovo deluse.

Poi, a sedici anni, alla seconda lingua che sapeva parlare ma nessuno capiva né voleva capire, si era aggiunta la scoperta di una sessualità che i suoi coetanei non ritenevano naturale, e – se possibile – tutto era pure peggiorato.

Sedici anni era un’età difficile, dicevano tutti, ma lui non l’aveva pienamente compreso fino a quando non si era trovato del tutto solo, abbandonato per due cose che proprio non poteva cambiare.

Era giunto alla conclusione che, anche avesse potuto, non lo avrebbe fatto: lui si accettava per come era, e lo stesso avrebbero dovuto fare gli altri.

Durante l’ultimo anno di liceo aveva raggiunto livelli di misantropia tali che parlava solo quando un professore lo interpellava ed evitava di guardare in faccia chiunque, per quanto potesse.

Così, quando un giorno qualunque di una settimana qualsiasi era andato a sbattere contro qualcuno, non aveva alzato lo sguardo né chiesto scusa, ma se ne era defilato il più in fretta possibile.

Scappare era una cosa che aveva imparato a fare molto bene.

Solo che nessuno l’aveva inseguito, o così aveva creduto fino a quando qualcuno non aveva occupato la sedia che stava dall’altra parte del tavolino in Biblioteca, dove stazionava sempre all’ora di pranzo, in attesa che le lezioni ricominciassero.

Quel qualcuno aveva tossicchiato, per richiamare la sua attenzione, e lui era così preso dal libro che aveva sotto gli occhi, anche se era la quinta volta che lo rileggeva, che all’inizio non se ne era neanche accorto.

Doveva aver continuato a tossicchiare con parecchia insistenza, se il secchione che occupava il tavolo a cinque metri dal suo aveva sibilato uno shhhh infastidito, e quello l’aveva risvegliato e allontanato dal suo mondo perfetto, facendogli alzare gli occhi su un ragazzo che non aveva mai visto prima.

Il che non era poi molto strano, la scuola era abbastanza grande e lui di solito si fissava i piedi, quando camminava.

Ma lo sconosciuto aveva stampato in volto un sorriso gentile, e, ok, quello che era strano.

Forse l’aveva scambiato per qualcun altro, oppure – molto più probabile – quella era una specie di subdola trappola e presto si sarebbero ritrovato rintanato in un angolo, a leccarsi le ferite.

Quando era suonata la campanella, nessuno dei due aveva ancora aperto bocca e Zayn aveva tirato un sospiro di sollievo mentre usciva dalla Biblioteca.

Il giorno dopo se l’era ritrovato davanti di nuovo, e la cosa era andata avanti per un po’, fino a che, se nessuno dei due avesse fatto qualcosa, sarebbe scoppiato.

«Cosa vuoi?» aveva chiesto, nessuna intonazione particolare nella voce.

«Sono Andrew» l’altro aveva risposto, invece, sempre sorridendo.

Zayn aveva scrollato le spalle.

«E tu sei Zayn» aveva aggiunto, e Zayn aveva arricciato le sopracciglia, non sapendo bene come reagire, ma disinteressandosene allo stesso tempo.

Non credeva che tutto quello per cui aveva pregato Dio nell’ultimo anno si sarebbe avverato in un luogo sommerso da libri, ma forse quella era solo una delle varie ragioni per cui li amava così tanto.

Andrew era stato suo amico, prima che suo amante, e fratello, confidente, qualche volta pure padre e Zayn si chiedeva sempre se lui era mai stato almeno la metà di tutte quelle cose, per l’altro.

Andrew si era avvicinato a piccoli passi silenziosi, tanto che a un certo punto Zayn si era accorto che era dentro, dentro il suo sangue, e tutto intorno a lui, e non riusciva a capacitarsi di quando quello fosse accaduto.

Avevano frequentato la stessa università, e mentre lui studiava inglese, Andrew si preparava a diventare un fisioterapista, e Zayn scherzava sempre sul fatto che, se era riuscito a sistemare lui, allora sarebbe diventato il più bravo di tutti.

Non avrebbe mai immaginato che, a soli ventiquattro anni, sarebbe stato alla ricerca di un appartamento in cui vivere con il suo fidanzato, presto sposo, perfettamente contento col mondo.

O che avrebbe trovato un posto di lavoro così presto, a soli quindici minuti di macchina da casa, un lavoro che amava quasi quanto Andrew e lo soddisfaceva e divertiva e qualche volta turbava.

O che, al secondo anniversario di matrimonio, Andrew gli avrebbe chiesto cosa ne pensava se forse magari adottiamo un bambino? E che al solo pensiero di tenere suo figlio in braccio gli venivano le lacrime agli occhi e le mani diventavano di gelatina, perché se non fosse stato abbastanza? Abbastanza bravo e l’avesse fatto cadere, o comprensivo e lui avesse pianto? Andrew aveva sorriso, perché quella era l’unica cosa che riusciva a farlo calmare, e gli aveva dolcemente sussurrato una bimba, Zayn, hai sempre voluto una principessa.

E, quando un giorno si era svegliato, e Andrew era ancora steso accanto a lui, invece che sotto la doccia come ogni altra mattina, i loro odori mischiati insieme che gli riempivano le narici e il volto nascosto ai suoi occhi dai capelli, non poteva credere che non sarebbe riuscito a svegliarlo e che l’ultima volta che l’aveva visto sorridere e sentito parlare non c’aveva pensato, che sarebbe stata l’ultima, perché nessuno gliel’aveva detto, nessuno l’aveva avvertito e se tutto quello era un incubo, allora qualcuno doveva, doveva, svegliarlo.

Nessuno l’aveva fatto.

*

«Sono tornato indietro a quando avevo sedici anni» mormorò, consapevole che non avrebbe dovuto aver senso, solo che ce l’aveva eccome, e lui se n’era accorto perché non era scemo, però fino a quel momento non aveva voluto accettare l’idea che avrebbe potuto evitarlo, e forse ora si era come svegliato, ora che aveva ritrovato un po’ di tranquillità e persone che lo accettavano per chi era, che lo facevano ridere e sorridere e, anche se li conosceva da poco, non lo facevano sentir solo e quello era qualcosa che aveva cercato per una vita intera e trovato solo con Andrew, prima di allora.

Credeva che quello dovesse pur significare qualcosa.

«Vuoi restarci?»

Zayn scosse la testa.

«Non sei bloccato lì. Se non vuoi, non sei bloccato»

Zayn annuì.

*

«Posso?»

Zayn alzò gli occhi al cielo, mentre Harry si affacciava falsamente preoccupato dalla soglia della libreria. Si chiese quando l’avrebbe fatta finita con quella farsa. Probabilmente mai.

«Che fai?»

Smise di scorrere la lista dei libri arrivati quella mattina stessa e alzò lo sguardo sul più piccolo.

«Sistemo gli ultimi arrivi»

Con la coda dell’occhio, vide l’altro farsi vicino e sbirciare da sopra la sua spalla, solo per poi metterglisi seduto accanto, sul pavimento.

«Che fai?» chiese lui, quella volta.

«Ti do una mano» rispose, sicuro.

Zayn lo guardò, scettico, e notò che il sorriso dell’altro si era fatto improvvisamente meno largo e l’iride meno brillante.

«Ok» disse, perché non voleva che Harry credesse di aver fatto qualcosa che l’avesse urtato, non quando il rapporto che c’era tra loro era ancora così incerto. «Tu tieni la lista, mi leggi i titoli e tiri una riga quando li ho trovati, va bene?»

Harry annuì. Sembrava un bambino sotto l’albero di Natale, il che era assurdo visto che non capiva come qualcuno potesse essere felice all’idea di sistemare tomi e tomi. A parte lui, che però non faceva conto.

«Ok» sussurrò tra sé e sé.

*

Vide Harry stirarsi, le braccia alte sopra la testa, la schiena che appariva centimetro dopo centimetro. Harry, che quando l’aveva conosciuto aveva la pelle bianca, nivea, a metà luglio era scuro quasi quanto lui, e Zayn non avrebbe saputo scegliere quale dei due colori gli donasse di più.

«Ho fame» si lamentò l’altro, risvegliandolo dai suoi pensieri, che erano a un soffio da farsi vagamente impudichi. Scacciò l’idea, insensata e non voluta, e si concentrò su quanto stesse dicendo l’ammasso di ricci che aveva accanto.

«Vai a pranzo» consigliò, perché era l’unica cosa che avesse senso.

«Andiamo a pranzo» controbatté Harry, marcando il verbo.

«Non –» cominciò a dire, ma l’altro lo interruppe.

«Daiiii» supplicò, il solito broncio, che probabilmente avrebbe corrotto anche un Santo a rubare caramelle a un bambino, impresso sulle labbra.

Zayn scrollò le spalle; tanto sapeva di non avere né la forza né la voglia di combattere contro l’insistenza di nessuno Styles.

*

«Un’insalata? Zayn»

«Ehi, non dire il mio nome come se fosse un insulto»

«Zayn» ripeté, condendo il tutto con una linguaccia.

 Zayn scrollò la testa. Qualsiasi parola sarebbe stata sprecata, con lui.

«Mi piace, ok?» si difese, visto che l’altro continuava a guardarlo stranito. «E poi fa bene»

«Ma solo quella? Per pranzo?»

«Mi basta» replicò, la voce addolcita per debellare le preoccupazioni di Harry.

Per uno stomaco come il suo, abituato a mangiare aria per pranzo, quello era davvero un pasto più che sufficiente, checché ne dicesse Harry.

«Dai un morso»

Zayn occhieggiò il panino enorme che Harry gli aveva ficcato davanti al naso.

«È il più buono di sempre, giuro, devi provarlo»

Zayn diede un morso, perché così magari l’avrebbe lasciato in pace.

«Buono?»

«È ok» rispose, per non dargli troppa soddisfazione.

Harry lo fissò sconvolto, corredando la scena di una drammatica mano sul cuore.

«Hai preso lezioni da Louis?» scherzò, ricevendo in risposta un’altra linguaccia.

Harry non aggiunse altro, e Zayn lo osservò mentre riprendeva a mangiare dopo aver dato uno sguardo quasi affettuoso al suo stesso panino.

Se fare piccole cose per lui bastava a farlo sorridere in quel modo, Zayn si disse che le avrebbe fatte più spesso solo per poter vedere le fossette che, immancabilmente, ogni volta comparivano sulle sue guance.

*

«Ciao, Malik»

Harry entrò, allegro come sempre era in quell’ultimo periodo.

Zayn lo preferiva di gran lunga in quel modo; anche se era rumoroso e insistente, pensare che un giorno sarebbe entrato in libreria l’Harry dei primi di giugno gli faceva contorcere lo stomaco. Si chiese se magari c’entrasse il fatto che non vedeva in giro Anthony da un po’.

Magari era in vacanza. O magari aveva cambiato continente.

O magari gliel’avrebbe chiesto. Prima o poi.

«Ho portato il pranzo» lo informò, come se il cartone di pizza che teneva in mano di per sé non fosse un’indicazione sufficiente.

«Come ieri e l’altro ieri» lo prese in giro, fintamente infastidito. Alla fine, che Harry si preoccupasse per lui gli faceva quasi piacere. Sei troppo magro, gli aveva spiegato due giorni prima, quando se ne era entrato con due hamburger enormi e due porzioni di patatine che erano immerse nell’olio.

«Hai più sentito Anthony?» chiese di punto in bianco, perché evidentemente non sapeva cosa fosse il tatto, e comunque, meglio prima che poi era il suo motto da sempre.

Harry si morse un labbro. «Perché? L’hai per caso incontrato di recente? Hai parlato con lui?»

«No, Hazza, calmati. Era così, per sapere»

Vide Harry rilassarsi istantaneamente, per poi scuotere il capo.

«No, di solito in questo periodo parte e va al mare. Sud della Francia» spiegò, alzando un sopracciglio che parlava da sé.

«Oh, oh, si tratta bene, il ragazzo»

«Non sai quanto» confermò l’altro, senza una particolare inflessione nella voce.

Zayn sperò di non aver toccato nessun tasto dolente.

«Se vuoi parlarne…» propose, lasciando a metà la frase quando gli venne in mente che, se voleva parlare con qualcuno, di certo sarebbe andato da Louis o da Liam e Niall, non da lui.

«Non c’è molto da dire, in realtà» alzò le spalle. «Non andava da un po’, e immagino sia inutile stare con qualcuno se vuoi qualcun altro»

A Zayn tornò in mente il ragazzino che aveva visto aggrappato a quell’idiota di Anthony, lo stesso giorno in cui si era lasciato con Harry, e come quella volta, si chiese come fosse possibile desiderare qualcun altro, quando Harry era tuo. Ora che aveva avuto la possibilità di conoscerlo meglio, di capire quanto generoso e leale e premuroso (anche se testardo e impertinente e insopportabile) fosse, riusciva a capirlo anche meno.

«Ehi, ma oggi è sabato!» esclamò, come se lo avesse ricordato solo in quel momento.

«Ah-ah» confermò Zayn.

«Dobbiamo andare al cinema, stasera!» il tono di voce eccessivamente alto.

«Dobbiamo?» sollevò un sopracciglio. Non sapeva se ridere perché Harry era eccitato per il cinema, per l’amor del Cielo, oppure perché l’aveva coinvolto come nulla fosse, e quella era una cosa così tanto da Harry che ormai non avrebbe dovuto neanche sorprenderlo più.

«Dobbiamo! Ti prego, Zayn» supplicò, gli occhi spalancati.

«Dimmi almeno che film è»

«Una sorpresa, passo stasera alle nove meno qualcosa, fatti trovare pronto!»

«Ma che orario è, le nove meno qualcosa? Hazza? Ehi?» ma era inutile, il suddetto ragazzo era già uscito saltellando dalla libreria e, con un’ultima sventolata di mano, era entrato in pasticceria.

*

«Che film è, Hazza?» domandò per la quindicesima volta. E per fortuna che da Little Holmes al cinema più vicino ci voleva solo mezzoretta scarsa, se no forse l’altro l’avrebbe lanciato in strada dalla macchina in corsa. Sapeva di essere un po’ annoiante, ma fondamentalmente era solo curiosità.

Harry scosse la testa, come aveva fatto in risposta alle prime quattordici volte. «Siamo quasi arrivati» disse, invece.

*

«Non ci posso credere, Harry. Ti odio»

Via col vento? Harry doveva essere impazzito, per voler vedere un mattone del genere.

L’altro fece finta di non aver sentito e, pop-corn in mano, entrò in sala. Oltre a loro, c’erano solo altre due, tre coppie. La cosa fece fare le capriole al suo stomaco, anche se non lo avrebbe mai ammesso. L’idea che anche loro sarebbero potuti sembrare una coppia gli prosciugò la gola. Non che sarebbero potuti esserlo davvero. Harry probabilmente aveva ancora la testa piena della sua storia con Anthony, anche se l’aveva negato, e lui non sarebbe comunque stato pronto.

In realtà non si sentiva così bene da troppo tempo, e finalmente aveva l’impressione di aver ripreso a muoversi, a vivere senza che la sua vita gli passasse di fronte come un treno in corsa, ma, anche se ogni volta che vedeva Harry non poteva evitare di sentire un’ondata d’affetto invaderlo, quello non voleva dire nulla.

Era affetto, appunto. La stessa cosa che provava per Liam e Louis e Niall. Erano amici, e quello era il giusto sentimento da provare.

Annuì tra sé e sé, per convincersi che sì, aveva ragione, e beccò Harry che lo osservava come fosse mezzo pazzo. Forse aveva borbottato qualcosa e non se ne era reso conto.

Scrollando le spalle, seguì l’amico e si sedette in una delle innumerevoli poltroncine vuote.

Sarebbe stata una lunga serata.

*

«–yn… –ayn? Zayn!»

Una mano scrollò con forza la sua spalla e lui si risvegliò di soprassalto, quasi cacciando uno strillo poco mascolino.

«Che c’è?» chiese.

«È finito» disse Harry, sorridendo.

«Uhm? Ah» ci mise qualche secondo per focalizzare.

Cinema. Via col vento. Doveva essersi addormentato dopo pochi minuti.

L’ultima cosa che ricordava era la manciata enorme di pop-corn che aveva ficcato in bocca e il profilo di Harry mentre fissava il grande schermo.

Gli si strinse lo stomaco al ricordo di come le fossette fossero rimaste ben visibili per i primi dieci buoni minuti. Quel ragazzo era adorabile come un cucciolo.

Si morse la guancia per bloccare il sorriso che gli stava spuntando, al pensiero.

«Se non la smetti di farmi mangiare robbaccia, mi uccidi» disse allora, indicando il cartone vuoto che conteneva gli ultimi rimasugli di pop-corn.

«Pfff» lo prese in giro l’altro. «Io è una vita che mangio schifezze e guarda qua» esclamò, indicandosi in modo sommario.

Zayn sollevò un sopracciglio, ironicamente. Non c’era verso che gli desse ragione. Non su quello, perlomeno, e non senza procurarsi imbarazzo.

«Ok, ok. Vorrà dire che una di queste sere mi rifaccio e ti cucino qualcosa che si adatti di più al tuo stomaco delicato, va bene?» continuò con lo stesso tono di prima.

Zayn lo guardò male. Se l’era cercata, si disse. Gli aveva dato confidenza e adesso quell’idiota non avrebbe mai smesso di stuzzicarlo e girargli intorno e sorridergli con gli occhi, con gli occhi.

Se proprio doveva essere sincero, non era sicuro che ci fosse qualcosa di negativo, in quello.

*

Non si era vestito con più cura del solito. Era solo una cena a casa di Harry, che era un amico, anche piuttosto fastidioso, quindi no, non doveva far colpo su nessuno.

Harry l’aveva chiamato, di mattina, informandolo che quella sera era impegnato: con lui. Gli avrebbe preparato quella cena promessa, così non si sarebbe più lamentato.

E ok. Tanto Zayn non aveva da fare nulla.

Suonò il campanello con la mano che non sorreggeva la bottiglia di vino che aveva portato. Non era un grande esperto e aveva scelto un po’ a caso, ringraziando il cielo che anche in quel posto il minimarket rimaneva aperto di domenica mattina, d’estate.

«Ehi» lo salutò il riccio, quando lo sentì entrare. Era così indaffarato ai fornelli che neanche l’aveva guardato. Zayn scacciò il moto di delusione che aveva improvvisamente provato senza neanche capire perché. O, forse, senza volerlo capire.

«Tieni» disse, porgendogli il vino, perché già si era stufato di tenerlo in mano e tutto quello che voleva fare era stendersi sul divano, visto che in cucina lui era proprio un disastro.

«Oh, grazie»

Zayn scrollò le spalle e si voltò verso il salotto, con la strana sensazione che gli occhi dell’altro fossero puntati sulla sua schiena.

«Mettiti pure comodo, eh» ironizzò il più piccolo, quando ormai lui si era steso e aveva impugnato il telecomando, nel tentativo di ricordare come quell’aggeggio funzionasse.

«Grazie, tesoro» lo scimmiottò, senza pensarci troppo. Si arrischiò a lanciare un’occhiata a Harry, che si era già rivoltato verso pentole e padelle e, anche se non poteva guardarlo in viso, il piede che batteva ritmicamente sul pavimento e la mano che passava troppo spesso tra i capelli gli parlava di imbarazzo.

Si chiese se fosse dovuto al tesoro scherzoso con cui l’aveva chiamato. L’idea lo fece sorridere di piacere, ma era molto più probabile che avesse fatto un disastro con la cena e fosse in preda a un attacco di nervosismo per quello.

«Ti devo aiutare?» chiese, giusto per cortesia, anche se, be’, era un po’ tardi, e perché vederlo in difficoltà lo infastidiva.

«Eh? No, no, non preoccuparti» scacciò con la mano la sua proposta.

Con un sospiro, tornò a guardare il programma che stavano trasmettendo in televisione. Era di una tale noia che gli occhi gli si stavano chiudendo e chiudendo, e lui non aveva la minima forza per opporsi.

*

«Ehi, Biancaneve»

Sbatté gli occhi.

Doveva essere un vizio, il suo. «Ogni volta che sono con te, mi addormento» borbottò, ancora mezzo rintontito.

«Ehiiii! Mi stai dando del noioso?» s’imbronciò Harry.

«Forse» replicò, ammirando il volto dell’altro da quella breve distanza. Erano così vicini che, giusto un paio di centimetri, un movimento brusco e– no, no, no, che pensieri gli venivano in mente? Era Harry, Harry, per grazia divina. E poi mica voleva beccarsi un pugno dall’altro. Non sembrava, ma alla sua faccia ci teneva.

«Si cena?» chiese, sviando il discorso e scacciando le voci assurde che gli stavano riempendo il cervello con urla acute.

Harry annuì, finalmente allontanandosi e permettendogli di nuovo di respirare come un normale essere umano. Grazie.

Era così affamato che avrebbe mangiato un elefante intero, e tutto quello che c’era sul tavolo aveva un aspetto e un odore così invitanti che probabilmente sarebbe tornato a casa con cinque chili in più. Almeno quello avrebbe reso felice sua madre.

Quando ebbe messo in bocca il primo boccone, alzò gli occhi e vide Harry fissarlo apprensivo.

Il sapore della pasta si diffuse per tutto il palato ed era così tanto che non assaggiava qualcosa di così buono che avrebbe potuto piangere.

«Oh mio Dio, sposami» scherzò, e magari avrebbe dovuto evitare di dirlo, perché Harry era arrossito furiosamente e lui aveva fatto un tuffo nel passato e, come sempre, i ricordi brutti avevano sommerso i belli e forse Zayn era un po’ masochista, perché se l’era cercata e non c’era proprio bisogno di rovinare quella tranquilla serata che era partita così bene.

Cercò di ritornare con la testa al presente. Al presente in cui Harry sorrideva felice e gli versava vino e cianciava dell’ultimo disastro combinato da Louis.

Se qualcuno glielo avesse chiesto, non avrebbe saputo dare una risposta, ma senza accorgersene, in qualche arcano modo, nel bel mezzo del resoconto della partita a FIFA a cui Harry aveva giocato quella mattina, le sue spalle si erano rilassate e la nube che gli avvolgeva la testa se ne era andata e, tra tutto, era rimasto solo HarryHarryHarry.

*

«Sei più silenzioso del solito»

Quel lunedì mattina, appena era arrivato in libreria, non si era neanche degnato d’aprire, ma si era subito fiondato sul libretto perché sì. Perché se non avesse parlato con qualcuno, sarebbe scoppiato ed Edward era il qualcuno più indicato. Aveva preso in mano il Libro e quello gli aveva procurato una strana sensazione, come se ci fosse stato qualcosa di differente dal solito, ma l’aveva scacciata, troppo sconvolto per pensare a qualcosa che non fosse la notte appena trascorsa.

Aveva sognato.  

Dopo due anni di notti insonni e di incubi, aveva sognato Harry. Era uno scherzo crudele, quello.

Non poteva sognare Harry.

Di baciarlo e toccarlo e spogliarlo.

Se lo avesse incontrato, con che coraggio l’avrebbe guardato?

E poi lui da quando sognava uomini? Little Holmes l’aveva corrotto e lo stava psicologicamente distruggendo.

Voleva davvero parlare con Ed, chiarirsi le idee, capire qualcosa di quel giallo intricato che erano diventati i suoi sentimenti, ma-

Ma quando si era ritrovato davanti quel volto così simile a quello che non voleva proprio saperne di lasciare la sua testa, si era ritrovato senza parole.

Non sapeva da che parte incominciare a spiegarsi.

«Qui,» riprese Edward. «hai tutto il tempo di cui hai bisogno»

Tempo. Zayn non aveva bisogno di tempo. Sapeva quello che doveva fare: scappare da quel paesino che neanche le carte geografiche si degnavano di segnalare e non tornare mai più.

Probabilmente sarebbe stata la scelta più sicura, quella che gli avrebbe permesso di continuare a vivere la sua esistenza priva di sconvolgimenti, ma anche quella più stupida.

Quindi no, non era vero che sapeva quello che era meglio fare. E sì, forse aveva pure bisogno di tempo. E magari che Edward facesse una delle sue magie e gli servisse la risposta che cercava su un vassoio d’argento.

Gli serviva tempo per lasciare andare tutto quello che era stato; per lasciare andare se stesso e spalancare le porte a qualcosa di nuovo, qualcuno di nuovo. Per accettare che era pronto, perché forse se aveva così tanti dubbi non lo era, giusto? Oppure era solo così tanto impaurito da non riuscire a muovere neanche un passo da formica in avanti.

Non sapeva neppure come si sentiva, ma solo che sentiva: qualcosa di diverso dal dolore sordo dei primi tempi e del vuoto assoluto che lo circondava da quando suo marito era morto accanto a lui, senza che lui se ne accorgesse, su di un letto che avevano condiviso per anni e che lui non riusciva più neanche a guardare.

Immaginava che quello fosse già abbastanza. Per lui, era abbastanza.

Ma per qualcun altro? Sarebbe stato sufficiente? Zayn a malapena sapeva trascinarsi attraverso le giornate, quanto era sbagliato pretendere che altri, che Harry, mettessero le mani in quel casino, senza neanche una sicurezza da parte sua?

«Quando ho visto Harry per la prima volta… è strano e non ha senso, che per un posto come questo è come dire che è normale, ma ho provato come la sensazione di non riuscire a sopportarne neanche la vista. Come una sensazione a pelle, solo più forte. Ho pensato fosse antipatia. Magari era la sua faccia, sai, con tutti quei ricci e quel naso strano. Ma se… e se fosse per questo, perché il mio stomaco prima ancora del mio cervello aveva capito che Harry avrebbe creato questa terza guerra mondiale, nella mia testa. Un avvertimento. Ha senso?»

«Sei preoccupato, Zayn?»

«No. Sì» Preoccupato era un eufemismo. «Anche»

«Perché ti piace un uomo che non è Andrew?»

«Anche, sì. È tutto nuovo, e diverso e- e non so se…»

«Se sei pronto»

«Che scemo che sono. Due anni e ancora mi piango addosso»

«Non direi, no» lo contraddisse. «C’è chi non riesce a sentirsi pronto mai. Trovare un’altra persona da amare può essere la spinta decisiva. Quella che fa la differenza tra passato e futuro. E se tu riesci a farcela, non giudicare meno grande il sentimento che provi per Andrew. Non vuol dire che non lo amavi abbastanza, se provi a ripartire da zero»

Amare. Era quello che provava per Harry, amore?

Aveva una tale confusione in testa che non riusciva neanche più a distinguere tra quello che provava il suo cuore e quello che voleva provare, come poteva esserne sicuro?

«Sai, quando avevo diciassette anni, ero completamente e profondamente innamorato di una ragazza che abitava due case più in là della mia. Era di un anno più piccola, ma eravamo cresciuti insieme. Da bambinetta con le ginocchia sporche di terra, si è trasformata in una fanciulla piena di vita e gentile e senza neanche accorgermene tutto quello che volevo era stare con lei. Ogni momento della giornata; volevo parlarle e farla ridere. Vedere i suoi occhi nocciola illuminarsi grazie a me, o perché una farfalla si era posata sulla sua gamba. Amava le farfalle. Si chiamava Jenny e credevo che l’avrei sposata e che avremmo avuto dei figli e saremmo vissuti per sempre felici e contenti. Come in una meravigliosa favola. Poi, un giorno, è svenuta e i suoi genitori hanno dovuto portarla all’ospedale. Otto anni fa la medicina immagino fosse molto meno sviluppata di quanto non lo sia al tuo tempo, e i dottori non sapevano davvero cosa fare»

Zayn ascoltò rapito. Come ogni altra volta in cui Ed si apriva a lui, Zayn si ritrovò immerso nelle parole dell’amico.

«È morta poco dopo. L’anno successivo, io e tua zia abbiamo trovato il Libro. L’unico luogo in cui io abbia mai viaggiato è questa stessa città, al mio stesso tempo. Solo che io non ero mai nato. Ma c’era Jenny, e la possibilità di stare con lei era così desiderata che quasi dimenticai che il mio posto era nel mio mondo, un mondo in cui Jenny non c’era più, un mondo nel quale io non avrei voluto abitare, ma al quale appartenevo. Pensavo che ciò di cui avessi bisogno fosse proprio questo, stare con lei lì, perché altrove non ne avevo la possibilità. E la tentazione di abbandonare tutto e vivere in quella realtà era così forte che alla fine dissi a tua zia di tenersi il Libro Nero, perché io non potevo più utilizzarlo. Capisci, Zayn? Volevo, ma non potevo» Ed lo fissò intensamente.

«E poi che è successo?» chiese Zayn, dopo qualche minuto di silenzio totale.

«Ho ripreso a vivere qui, anche se è stata la cosa più difficile che abbia mai dovuto fare, perché non c’era Jenny e in più sapevo che esisteva un modo per stare con lei. Ma poi, tre anni fa ho incontrato Sabrina, mia moglie. Ti ho parlato di lei» disse, le parole pronunciate delicatamente come fossero state petali. «E, proprio come te, non credevo che nessuna donna avrebbe mai potuto significare tanto quanto Jenny, per me. Invece mi sono innamorato di Sabrina, e la parte del mio cuore che è morta con Jenny non tornerà mai più indietro, ma questo non vuol dire che non ci sia anche spazio per qualcun altro»

Zayn annuì, sperando che anche il suo, di cuore, avesse abbastanza posto e non fosse del tutto rotto.

*

Zayn guardò Louis ed Eleanor al tavolo degli sposi; non aveva ma visto un sorriso tanto aperto colorare i tratti dell’amico, e quello doveva pur dire qualcosa.

La cerimonia era stata piuttosto veloce e il ricevimento, cibo decorazioni musica, era aggraziato quanto la sposa e stravagante quanto lo sposo.

Zayn si era ritrovato a fare un paragone con il suo, prima che potesse fermarsi, ma poi le chiacchiere degli altri ragazzi al tavolo l’avevano bloccato, evitando che si perdesse completamente.

Erano arrivati al dolce, finalmente, ma aveva come la strana impressione che finita la cena ci sarebbe stato dell’altro e che Louis non gli avrebbe permesso di andarsene.

Sentì la risata di Harry trapanargli un orecchio, cosa che lo costrinse a voltarsi verso il più piccolo, curioso di capire cosa l’avesse tanto divertito.

Apparentemente Niall, forse con una delle sue solite pazze storie, che però lui non aveva seguito per nulla.

«Ehi» disse Harry, quando si accorse che l’attenzione di Zayn era tutta rivolta a lui (Zayn era quasi arrossito al pensiero di essere stato beccato in flagrante). «Tutto ok?» chiese, un sorriso rassicurante tutto per lui. Zayn avrebbe voluto strapparglielo e rubarlo, afferrarlo con una mano e non lasciarlo andare mai più, magari tenerlo nella tasca dei jeans o nel portafoglio, così da poterlo tirar fuori ogni volta che aveva bisogno di essere calmato. Harry lo calmava ancora più di Ed, e allo stesso tempo lo agitava. Lo agitava così tanto che il suo cuore sembrava correre i duecento metri, e le sue mani prendevano a sudare così tanto da far concorrenza a un lottatore di sumo e la gola, la gola diventava arida quanto il terriccio di una piantina lasciata per troppo tempo sotto il sole estivo, senza neanche una goccia d’acqua.

Si ricordò che doveva ancora rispondere a Harry, e stava per farlo, ma Eleanor si era alzata ed era salita sul piccolo palco allestito per l’occasione, da dove una band aveva suonato musica soft per tutta la serata.

«Bene, spero che tutti abbiate gradito il cibo» cominciò, e Zayn avrebbe giurato che lo sguardo della ragazza fosse caduto brevemente su Niall. «Ma è il momento di andare a dormire. Buona notte»

Un mormorio falsamente indispettito si alzò per la stanza, interrotto solo dai concitati ok, ok, della ragazza. «D’accordo, visto che proprio non volete andarvene,» riprese. «che abbiano inizio le danze!»

Zayn emise un lamento. Lui a ballare faceva schifo, schifo assoluto. Proprio pietà.

Voleva dire che avrebbe fatto a meno di unirsi alla marmaglia di gente che si stava radunando in pista, e che si sarebbe accontentato del ruolo di mero spettatore.

«Vieni?»

Zayn alzò il volto verso Harry, che lo fissava con aspettativa.

«No, no, non ballo»

Credette che un velo di delusione si fosse posato sulle belle labbra dell’altro, ma forse se l’era immaginato, perché dopo aver brevemente scrollato le spalle, Harry aveva seguito Niall e Liam in pista.

Guardò i suoi amici scatenarsi al ritmo di Jailhouse Rock. Harry si muoveva cercando di imitare i passi di una ragazza che gli stava accanto, ma le sue gambe proprio non volevano saperne di girare al tempo giusto e Zayn poteva scommettere che un paio di volte era anche inciampato, e per miracolo non era caduto. Ogni volta Harry rideva un po’ di più, come se proprio non potesse farne a meno, come se quello fosse il momento più divertente della sua intera vita, e Zayn si ritrovò a ricercare nella sua memoria momenti in cui l’altro aveva riso in quel modo per qualcosa che aveva fatto lui.

Non ne trovò nessuno, ma la cosa non lo stupì affatto. Era sempre di umore cupo e Harry era così solare che forse neanche i miglioramenti che Zayn era convinto di aver fatto erano sufficienti, per farsi volere da lui.

E, forse, allora sì, Harry gli piaceva, gli piaceva tanto che lo voleva per sé. Voleva per sé quella risata e quelle gambe scoordinate e i capelli che gli si attaccavano alla fronte.

Voleva che Harry entrasse in libreria ogni mattina, e che invece di porgergli il pranzo gli desse un bacio, e voleva sapere che sapore avessero i baci di Harry, e la sua pelle e che odore avessero il suo collo e tutto il suo corpo, e voleva che Harry sussurrasse al suo orecchio sconcezze e poi parole dolci e poi ancora sconcezze.

Voleva che Harry gli raccontasse tutto, tutto, di com’era da bambino e di quello che sognava da adolescente e di quello che sperava per il futuro. Voleva che Harry si aprisse a lui come un fiore al sole di primavera, e anche lui voleva aprirsi all’altro, e la realizzazione che sì, voleva fargli conoscere tutti i suoi anfratti e le sue nicchie ben nascoste, lo colpì più del desiderio di volersi svegliare con lui ogni mattina.

E voleva alzarsi, magari dirglielo, prenderlo per mano e trascinarlo via dalla pista, e dirglielo, dirglielo, dirglielo, ma quando lo identificò tra la folla, fu come ricevere un calcio alla bocca dello stomaco, senza alcun preavviso.

Neanche si era accorto che la musica era completamente cambiata, perso com’era nel suo sogno ad occhi aperti, ma il rock ‘n’ roll non la faceva più da padrone e al suo posto era subentrata una musica lenta, da amanti e innamorati, ed Eleanor con il suo enorme vestito bianco spiccava come nessun altro, solo che Zayn riusciva a vedere, davvero vedere, solo Harry.

Harry che teneva le sue grandi mani sulla schiena di un uomo che non era lui e sorrideva, con le fossette profonde come il Grand Canyon, e che era stretto a sua volta da qualcuno che Zayn vagamente riconosceva come uno dei testimoni di Louis.

«Oh, Stan» sentì Niall dire accanto a lui.

Si voltò, come a chiedere una spiegazione, non troppo convinto di volerla davvero sentire.

«Ha una cotta per Harry da secoli»

Vide Liam annuire, quasi solennemente.

«E Harry?» chiese, incapace di zittire le sue parole prima che uscissero dalle labbra.

«Non l’ha mai sopportato, in realtà»

Non si direbbe, avrebbe voluto commentare lui, ma aveva come l’impressione che sarebbe suonato eccessivo, detto da lui, che su Harry non aveva alcuna pretesa.

«Vado a fumarmi una sigaretta» informò gli altri.

«Fumi?» chiese Niall, stupito.

«Ogni tanto» scrollò le spalle, sentendosi vagamente in colpa per la bugia. Non fumava da una vita, non aveva un pacchetto in tasca da secoli, ormai, ma quella era l’unica scusa decente che gli era venuta in mente per uscire da lì senza creare domande imbarazzanti.

Una volta fuori, si sedette sulla panchina più vicina, incurante che il vestito elegante gli si sporcasse, e prese un respiro profondo.

Non lo calmò per niente.

*

Orsa maggiore, Cassiopea, Lira… aveva perso il tocco, non riusciva neanche più a identificare la Stella Polare. In una cosa, almeno, Little Holmes era uguale a Bradford: l’inquinamento luminoso non permetteva nemmeno lì di vedere per bene le stelle.

Una volta, da ragazzino, sua madre l’aveva spedito in campeggio con tanti altri orribili coetanei e la luce più vicina era così lontana che la notte era davvero notte e le stelle visibili erano centuplicate. Ognuna era un piccolo, luminoso diamante e Zayn credeva che quell’immagine fosse una delle poche che non avrebbe mai potuto dimenticare.

«Ehi»

Zayn si riscosse dai suoi pensieri e si voltò, trovandosi davanti l’alta figura di Liam. «Posso?»

«Hai una bottiglia di vino in mano, come potrei dirti di no?» replicò, spostandosi un po’ per far spazio all’amico.

«Si sta bene qui fuori» commentò, passandogli la bottiglia.

Zayn non rispose, ma prese un lungo sorso. Non pensava di essere rimasto fuori così a lungo da preoccupare o almeno insospettire qualcuno.

«Harry ha detto che Stan si è fidanzato» lo informò.

Zayn prese un altro sorso, insicuro di cosa dire.

«A quanto pare ha smesso di provarci. Harry dice che, adesso, è quasi diventato sopportabile. Quasi» continuò.

«Meglio per lui» rispose, provando a dissimulare il suo interesse. La consapevolezza che quello Stan non ci stesse provando metteva a tacere quella specie di leone che era sorto da non sapeva bene dove, al vederli ballare insieme. Ma era ancora lì, in agguato, pronto ad attaccare. Zayn poteva sentirlo fare le fusa. Fusa leonine. La cosa un po’ lo preoccupava, sperava di non ritrovarsi mai davanti al testimone di Louis, c’era sempre il rischio di squartarlo.

«Per chi? Harry o Stan?»

Non sapeva proprio dove Liam volesse arrivare. Gli tese la bottiglia, ma l’altro negò con la testa. Poco male, era una festa, era legittimato a divertirsi un po’, e Liam era stato così gentile a portargli da bere, magari si sarebbe disteso e tranquillizzato, e non avrebbe più sentito tutta quella tensione alle spalle e alle gambe. Prese l’ennesimo sorso. Era arrivato a metà senza neanche accorgersene, e iniziava anche ad avere un po’ di sonno. Avrebbe volentieri dormito su quella panchina, ma, anche se il giorno dopo la libreria era chiusa, non poteva permettersi di stare a casa perché si era ammalato, dormendo all’addiaccio. E ok, era estate, ma la notte era pur sempre freddo abbastanza da congelargli il naso e lui non si ricordava più quello di cui stava parlando con Liam.

«Zayn?»

«Uhm?» mormorò.

«Ti piace Harry, vero? Dovresti dirglielo, perché Harry è buono come il pane, ma non ci arriva da solo, se non glielo dici, ok?»

Zayn avrebbe voluto negare, negare e ancora negare. Ma non ne vedeva il punto, con la lingua rallentata che di certo si ritrovava e il sonno che gli calava sulle palpebre. E poi, poi era vero. Harry gli piaceva.

«Dovresti dirglielo, io lo conosco… Zayn?»

Zayn neanche se ne era accorto, di essersi appoggiato alla spalla di Liam, la bottiglia quasi completamente vuota abbandonata per terra e la tempia che collideva con l’osso per nulla morbido dell’altro.

Aveva come l’impressione che Liam avesse ripreso a parlargli, una mano che gli accarezzava i capelli teneramente, ma Zayn non sentiva nulla. Era in un mondo ovattato, dove la sua testa riposava sul grembo di Harry che blaterava e blaterava come al solito; anche nel sonno, quello non mancava di farlo sorridere.

«Liam?» stava chiedendo l’Harry del suo sogno. «Sta bene?»

E quando sentì la voce di Liam rispondere che sì, più o meno, stava bene, Zayn si accorse che non era l’Harry onirico ad aver parlato, ma quello reale, che evidentemente era uscito, abbandonando quello scemo con cui stava ballando come non ci fosse un domani. Il pensiero sembrò sciocco anche alla sua testa inebriata, ma non gliene poteva importare di meno.

«Uhm» biascicò, cercando di riaprire gli occhi e focalizzare la vista.

«Forse è meglio se qualcuno lo riporta a casa, non credo sarà in grado di guidare troppo presto…»

Zayn avrebbe voluto ribattere, ma non riuscì a trovarne in sé la forza.

Percepì, ancor prima di vedere, Harry abbassarsi sulle ginocchia di fronte a lui, una mano sulla sua coscia.

Un calore tenue – che più ci pensava, più si rafforzava – si diffuse a partire dal punto in cui il palmo di Harry entrava in contatto con la sua gamba fasciata dai pantaloni eleganti. Provò a non pensarci, ma quando alzò lo sguardo sul volto dell’altro, riuscirci divenne dieci volte più difficile.

«Che ne dici se ti porto a casa?»

Zayn deglutì e poi, semplicemente, annuì.

«Ok» asserì Harry, alzandosi e aiutando Zayn a fare lo stesso.

Sentì vagamente Liam assicurarsi che Harry ce la facesse o che quello non gli procurasse fastidio, e i capelli di Harry gli solleticarono il collo quando quest’ultimo scosse la testa. La spalla di Harry era più comoda di quella di Liam, decise. Quella di Liam era confortevole, davvero. Adorabile, ma Zayn sapeva che, se avesse potuto, avrebbe scelto di passare la vita sempre in quella posizione, o anche sopra Harry, o sotto. E il pensiero stava iniziando a eccitarlo, ma era ubriaco e quella era davvero un’ottima scusante.

Non capiva cosa stessero aspettando, poi si sentì appoggiare alle spalle una giacca – la sua. Harry gli strinse il polso, facendogli strada dopo aver salutato Liam.

Arrivarono alla macchina di Harry e Zayn a malapena si accorse che l’altro gli aveva aperto lo sportello, fino a quando non sentì le dita del più piccolo lasciare la presa e la sua pelle bruciare come olio bollente.

E poi si ritrovò seduto, con Harry che armeggiava con la cintura di sicurezza, i capelli davanti al suo volto, tanto che sarebbe bastato spingersi leggermente in avanti per affondarci in mezzo il naso e respirare e respirare fino a perdersi per sempre.

«Tutto ok?»

Zayn annuì e chiuse gli occhi.

Mentre era a un passo dall’addormentarsi di nuovo, non avrebbe potuto giurarlo, ma era quasi sicuro di aver percepito le labbra dell’altro accarezzargli delicatamente la fronte, in un bacio appena accennato.

*

Quando aprì gli occhi era mattina, il flebile raggio di sole che entrava dalla persiana accarezzava tutta la stanza che Zayn si accorse di non saper riconoscere.

Sbatté le palpebre più volte, ma la visuale rimaneva sempre la stessa e quello di certo non era il suo salotto.

Si girò di centottanta gradi, ritrovandosi a fianco il corpo immobile di Harry.

Fu come se, in un secondo, gli avessero tolto l’aria dai polmoni e dalla stanza e in tutta la città non ci fosse rimasto più un solo atomo di ossigeno. Le sue mani iniziarono a sudargli, ma non gliene poteva interessare di meno, quando tutto quello che sentiva era il battito accelerato del suo cuore pulsargli nelle orecchie e il suo stomaco ribellarsi, in procinto di dichiarare guerra civile al suo esofago che cercava di ricacciare indietro il bisogno di vomitare.

A niente servì ripetersi che non era accaduto nulla, che Harry stava semplicemente dormendo e che lui non avrebbe perso per la seconda volta una persona importante, qualcuno che amava, in quel modo, perché il suo corpo proprio non voleva saperne di dar retta alla parte ancora razionale del suo cervello.

Cercò di mettersi seduto, i piedi appoggiati a terra e la testa tra le ginocchia, perché quella non era la prima volta che gli succedeva, non era il primo attacco di panico che lo sorprendeva, da quando Andrew era morto e lui aveva capito che stendersi su un materasso era off-limits, ma la sensazione di vertigine non accennava a passare, così come i battiti del cuore non volevano rallentare.

Percepì distante un movimento che non riuscì a identificare, e poi un corpo vicino al suo e una voce concitata dire qualcosa d’incomprensibile per il suo udito ovattato. E poi una mano accarezzargli la schiena e, al contatto, Zayn sentì il suo respiro tornare e normalizzarsi lentamente, fino a far scomparire del tutto la sensazione di soffocamento che gli stava uccidendo le vie aeree.

«Zayn, tesoro, Zayn?» sentì, finalmente, la voce spaventata di Harry, e in lui il sollievo di poter di nuovo sentire quello che gli accadeva attorno si mischiò al turbamento per l’attacco che l’aveva appena preso, tanto che il nomignolo affettuoso col quale l’altro l’aveva chiamato quasi si perse nell’aria.

Ancora troppo sconvolto, Zayn decise di non pensarci, di non pensare a quanto avrebbe voluto che l’altro lo chiamasse sempre in quel modo, perché, se no, si sarebbe solo nuovamente agitato.

Raddrizzò lentamente la schiena e subito sentì le braccia forti di Harry stringerlo e, anche se lui varie volte aveva pensato a come sarebbe stato trovarsi in quella posizione, nessuna fantasia avrebbe mai superato l’intensità con la quale il più piccolo si stava tenendo a lui, lo stava afferrando, e Zayn non si era mai sentito tanto al sicuro come in quel momento.

Senza pensarci, alzò le braccia per ricambiare l’abbraccio, la fronte affondata sul petto dell’altro, e respirò l’odore confortevole che emanava il corpo mezzo nudo di Harry.

«Mi hai fatto prendere un colpo, Zayn» mormorò, la voce attutita dai suoi capelli. «Non farlo mai più, ok? Zayn. Zayn, ti prego» continuò, come se neanche lui sapesse per cosa lo stesse pregando. «Dovresti sdraiarti, ok?»

Zayn si strinse ancora di più al corpo di Harry, non appena sentì l’altro cercare di svincolarsi dall’abbraccio. Provò a negare col capo, ma il movimento era privato d’incisività dall’attrito provocato dal petto di Harry, dal quale Zayn proprio non voleva staccarsi.

Sembrava passata un’eternità dall’ultima volta in cui aveva avuto un tale contatto fisico con qualcuno, e Zayn si rese conto che era proprio così, e solo in quel momento si accorse di averne bisogno come dell’aria e che era un miracolo che fosse riuscito a sopravvivere senza per tutto quel tempo.

O, forse, non aveva bisogno di un generico contatto, ma solo di Harry, e della sua pelle, della sua voce e delle sue mani che lo equilibravano quando stava per impazzire.

«Zayn, per favore» tentò ancora.

La preoccupazione, nel tono di Harry, gli traforò i timpani, ma Zayn proprio non poteva stendersi sul letto. Non capiva neanche come ci fosse finito. Sapeva solo che non poteva.

«Non…» aveva la gola secca. Cercò di deglutire, senza ottenere grandi risultati. «Non posso» riuscì solo a dire.

«Shhh» sussurrò Harry, e mentre lo faceva, si accorse che aveva preso a cullarlo e a lasciargli soffici baci tra i capelli, e Zayn si sentì un bambino stupido, ma incapace – allo stesso tempo – di vergognarsene.

«Ci sono io con te» mormorò.  «Non ti lascio, ok?»

Zayn provò ad annuire, intensificando ancora un po’ di più la stretta. Sarebbero morti soffocati, ma non gliene importava niente.

Dopo quella che doveva essere stata una manciata di minuti, ma che a Zayn sembrò un’infinità di ore, Harry riprese a lasciargli una seconda serie di baci, ma sulle tempie, e lui avrebbe voluto guardarlo negli occhi, vedere la sua espressione, ma proprio non ne aveva il coraggio.

«Stai con me, ok?» Harry disse a due centimetri dal suo orecchio, così piano che se non fosse stato per la vicinanza non l’avrebbe sentito. «Stendiamoci un po’. Non ti lascio» ripeté.

Zayn sentì il suo respiro farsi pesante di nuovo e le mani riprendere a sudare.

«Fidati di me, Zayn»

E Zayn non sapeva se era stato per le parole in sé o per il tono usato o semplicemente perché era Harry, ma lasciò che l’altro lo facesse sdraiare di nuovo sul materasso, e se anche per un attimo aveva avuto la sicurezza di non potercela fare, non appena Harry riprese a stringerlo come se ne andasse della sua stessa vita e lui poté affondare il volto nell’incavo del suo collo, si chiese di cosa avesse avuto paura.

Si chiese di cosa avesse avuto paura, con Harry lì accanto.

*

«Zayn? Zayn, dormi?»

«No» borbottò, anche se avrebbe preferito mentire. Non era certo di voler sentire quali sarebbero state le domande successive di Harry.

«Ieri ti sei dimenticato di dirmi che le chiavi di casa le avevi lasciate in macchina»

«Uhm?»

«Ieri ti sei dim-»

«Ieri?» lo interruppe perché aveva sentito, ma non sapeva a cosa si stesse riferendo. La sua testa era tutta un palloncino.

«Al matrimonio. Non eri propriamente nelle condizioni di guidare» gli ricordò. «Ti ho portato a casa, e quando ti sei messo a cercare le chiavi ti sei ricordato di averle lasciate in macchina. Quindi siamo venuti da me» concluse.

Zayn allontanò la testa dalla spalla dell’altro e la appoggiò sul cuscino. Cercò gli occhi di Harry per la prima volta da quando si erano svegliati e quando li trovò si chiese come avesse fatto a resistere così a lungo senza avere il bisogno fisico di annegarci dentro.

«Mi dispiace» sussurrò, sperando che l’altro capisse che si stava riferendo non solo alla sera precedente e a quella mattina, ma un po’ a tutto. A come l’aveva trattato all’inizio, per essere stato uno stronzo colossale con lui senza motivo apparente, per averlo fatto sentire odiato; non si era mai scusato e Harry se la meritava tutta, la sua contrizione.

«Shhh» mormorò Harry, sorridendo solo per lui. E Zayn l’avrebbe baciato, se solo ne fosse stato un po’ più degno, l’avrebbe fatto. Ma Harry meritava così tanto di più che anche solo il fatto di essergli amico doveva bastare. Doveva.

«Come stai, adesso?»

«Meglio» abbozzò un sorriso.

«Se vuoi parlarne… puoi dirmi tutto, lo sai» disse, tentennante.

«Lo so» perché lo sapeva davvero. Si conoscevano da poco, ma Harry era la prima persona per cui provasse amore, dopo Andrew, per cui sì, lo sapeva.

Amore. Doveva essere amore, se non faceva altro che pensare a lui e non poteva lasciarlo andare e voleva sentire la sua voce tutto il giorno.

Deglutì.

«Mi sono svegliato» sussurrò. «E ho pensato che tu… che tu» non sapeva come dirlo, senza suonare pazzo.

«Che io?» lo incitò.

«Fossi morto»

Vide un’ombra di confusione passare sul volto dell’altro, che però si limitò ad annuire, aspettando che fosse lui ad aggiungere altro.

«Lo sapevo che non lo eri, ma… stavi immobile, sdraiato e il mio cervello ha smesso di funzionare»

Harry gli accarezzò i capelli, che era qualcosa che non sapeva di amare, fino a quel momento. «Sono qui»

«Lo so. Lo so, ma non riuscivo a respirare e a calmarmi perché Andrew… Andrew» non sapeva come continuare, senza spezzarsi, sapeva solo che voleva dirglielo. Voleva che Harry sapesse.

«Chi è Andrew?»

Zayn sospirò, e, dopo un momento di pausa, «Mio marito» disse.

Sentì il corpo dell’altro tendersi, e la mano che si muoveva tra i suoi capelli fermarsi. Nei suoi occhi era passata la luce di un’emozione che non era riuscito a identificare, ma almeno Harry non si era allontanato da lui. Non credeva che sarebbe riuscito a parlarne, altrimenti.

«I dottori hanno detto che è stato un aneurisma. Hanno detto che può capitare anche a persone giovani. Che quando mi sono svegliato e l’ho trovato steso accanto a me era morto già da qualche ora. E quando ti ho visto… lo so che non ha senso» non gli riuscì di continuare, la voce gli si era strozzata in gola.

Harry non fece altre domande. Nonostante l’incongruenza del suo discorso, sembrò capire sia la sua incapacità di continuare a parlare, sia tutti i suoi non detti.

Lo strinse solamente, e quello valeva più di tutti i mi dispiace del mondo.

*

«Harry?»

«Sì?»

«Non senti caldo?»

«Vuoi che apra la finestra?»

Zayn esitò un attimo a rispondere. «No» decise, infine.

*

«Ehi, tu non hai fame?»

«Un po’. Tu?»

«Un po’»

«Posso prepararti i pancake o un po’ di bacon»

«No, no»

«Non devi restare qui per forza, puoi venire in cucina con me, se vuoi»

«No. Voglio…»

«Vuoi?» ripeté Harry.

«Sei ancora innamorato di Anthony?» buttò fuori, prima che la vergogna vincesse sulla curiosità. Sperava non fosse trasparita solo la cocente gelosia che stava provando in quel momento, al pensiero che la risposta fosse affermativa, piuttosto.

«Vuoi che io sia ancora innamorato di lui?» provò a scherzare, senza grandi risultati.

«No, io – Lo sei?» doveva saperlo.

«No, te l’ho detto, era da un po’ che non funzionava»

«Questo non significa che tu non ne sia ancora innamorato» insistette, perché ovviamente era masochista.

«Davvero, Zayn. Le cose non funzionavano già da prima che tu arrivassi. E poi» si bloccò, come riconsiderando l’idea di proseguire.

«Ti tradiva?»

«Uhm? Non che io sappia, no»

«E allora quel ragazzino con cui l’ho visto il giorno dopo che vi siete lasciati? Ha fatto un po’ presto a consolarsi» commentò, per poi mordersi il labbro. Che scemo, il suo intento non era certamente quello di affondare il dito nella piaga e far soffrire Harry ancora di più.

«Credo fosse il tentativo di ripagarmi con la mia stessa moneta» mormorò Harry.

«Lo tradivi tu?» quasi incespicò tra le parole.

«No. Ma era un po’ come se lo facessi»

Zayn aggrottò le sopracciglia, non capendo cosa Harry stesse insinuando.

«Che vuoi dire?»

«Zayn… non credo. Rovinerebbe tutto, ok? È meglio se ti dimentichi che l’abbia detto» sorrise, a metà via tra lo speranzoso e il mesto.

«Eri un prostituto, Harry?» cercò di alleggerire la tensione.

Harry sorrise, negando col capo.

«Uhm. Non vedo come potresti rovinare tutto, Harry» lo rassicurò.

Harry abbassò lo sguardo, e Zayn prese tanto coraggio da accarezzargli i ricci, proprio come l’altro fino a poco prima aveva fatto con lui.

«Perché vi siete lasciati?» tentò. Giurò a se stesso che, se Harry non avesse voluto rispondere neanche quella volta, non avrebbe insistito più. «Oltre ai problemi, perché?»

«Perché io» pausa. «Io mi sono innamorato di un’altra persona» ammise, sottovoce.

Oh. Sentì un peso cadergli sullo stomaco e prendergli a calci il fegato.

«E questa persona?»

«Non lo sa, ovviamente» rispose Harry, come se non potesse essere altrimenti. «Ma Anthony l’ha capito. L’ha capito prima che lo capissi io. Quando me l’ha rinfacciato, gli ho dato del pazzo, perché con quest’altra persona non ci avevo neanche mai parlato, in pratica. Ha detto che poteva vederlo. Da come lo guardavo e come ne parlavo. Ha detto che non ho mai dimostrato la stessa passione, per lui. Credo avesse ragione»

«Credo» iniziò, odiandosi per quello che stava per dire, ma convinto che fosse comunque l’unica cosa che potesse fare. «Credo che dovresti dirglielo. A questa persona. Sarebbe anche meglio avesse un nome, mi sento idiota a chiamarlo questa persona»

«Non posso»

«Harry. Devi dirglielo. Chi mai potrebbe non volerti?» domandò, retorico, consapevole che quella era l’assoluta verità.

Harry ridacchiò, ma Zayn poteva sentire che non c’era allegria alcuna, in quel suono.

Lo vide corrugare la fronte, come se stesse pensando intensamente, e poi bagnarsi le labbra, un’espressione determinata in viso, come avesse preso una decisione.

«Tu» sospirò, guardandolo negli occhi. «Tu non mi vorresti» continuò, iniziando ad allontanarsi. «E adesso non mi vorrai neanche più come amico» decretò, tirandosi su, a sedere, e passandosi una mano sulla fronte.

Zayn lo fissò, a bocca spalancata, sapendo cosa dire e fare, ma senza riuscire a mettere insieme le parole o a costringere il suo corpo a muoversi.

«Mi dispiace, Zayn, io-»

Ma prima che potesse terminare quelle scuse di cui Zayn non aveva affatto bisogno, che non avevano affatto ragione di esistere, gli prese la mano che stava tormentando il lenzuolo e la strinse tra la sua.

«Sono io?» chiese, perché aveva davvero bisogno di una conferma, prima di esporsi completamente. E lo sapeva che era un pensiero egoista, visto che Harry l’aveva fatto, gliel’aveva detto, ma non credeva che avrebbe sopportato di essere rifiutato dall’altro. «Sono davvero io quella persona?»

Harry si morsicchiò il labbro, inconsapevole del tumulto che il gesto stava suscitando in Zayn. Ma poi annuì, e Zayn si dimenticò di tutto il resto.

Lentamente, come se Harry fosse un animale pericoloso che lui dovesse ammansire e addestrare, si avvicinò, fino ad appoggiare la sua fronte su quella dell’altro.

«Bene» sussurrò, sorridendo.

Vide gli occhi del più piccolo allargarsi a dismisura e le sue guance colorarsi di un adorabile rosa.

«Sì?» fece, speranzoso.

«Sì» mormorò sulle labbra dell’altro, e senza dargli tempo di dire altro le sfiorò per la prima volta, con reverenza e circospezione, quasi avesse timore che tutto quello fosse irreale e che da un momento all’altro scomparisse come una bolla di sapone.

Ma, invece che evaporare, il calore di Harry si fece ancora più intenso e le labbra dell’altro più concrete, e un momento dopo stava rispondendo al bacio con tutto se stesso, come se neanche lui ci credesse, e – allo stesso tempo – volesse non finisse mai.

Ma poi terminò, e Zayn si disse che non voleva dire nulla, che ce ne sarebbero stati altri mille, altri diecimila, perché Harry era innamorato di lui e non stava così bene da secoli e tutto era perfetto. Perfetto.

Aprì gli occhi, e lo sguardo di Harry era tutto meno che perfetto e Zayn non capiva cosa fosse andato storto.

«Harry?» disse solamente, perché non credeva di riuscire a formulare altro.

«Io… tu-»

«Tu cosa?» non voleva mettergli fretta, ma voleva. Voleva, altrimenti sarebbe impazzito.  

«Io ti amo. Ma tu… tu ami ancora Andrew ed è giusto così. È giusto, ma io… io» deglutì, nervoso.

«Sto per dire la cosa più sdolcinata di sempre e mi dispiace, ok?» si scusò. «Io amo Andrew» convenne, perché era vero. «Credo che lo amerò per sempre. Harry, guardami» disse, posando una mano su una sua guancia e alzandogli il volto. «Lo amerò per sempre. Amerò per sempre anche mia madre e le mie sorelle. Sono parti della mia vita. Ma sono innamorato di te, d’accordo? Sono innamorato di te» non diceva da così tanto quelle parole che sentire la sua voce pronunciarle sembrava strano anche alle sue orecchie, ma andava bene comunque, perché non era mai stato così sincero e Harry sorrideva, sorrideva di nuovo e quello, quello era perfetto.

*

Guardò l’oggetto che aveva tra e mani.

Era lunedì e si era svegliato tra le coperte di Harry per il secondo giorno di seguito, ma si era dovuto alzare perché la libreria era magica, ma non fino al punto di aprirsi da sola.

Harry l’aveva svegliato con un lungo bacio e l’aveva salutato sul portone con uno ancora più lungo.

Aveva fatto la via che portava al centro camminando su una nuvola, il sorriso sulle labbra.

Come era arrivato si era fiondato nello studio. Doveva parlare con Ed, ringraziarlo, perché – davvero – era tutto merito suo.

Era merito suo se aveva trovato la forza per non farsi incatenare dal passato e lo spirito per cambiare il presente e la fiducia per vivere al meglio il futuro.

Ma, guardando il Libro si accorse di non riconoscerlo. Sapeva che era lo stesso, emanava la stessa energia e le pagine erano intonse come sempre.

La copertina, invece.

La copertina era bianca, completamente. L’esatto opposto di com’era stata fino al giorno prima.

No, non il giorno prima. Anche se si sforzava, non riusciva a ricordarsi l’ultima volta che l’aveva visto davvero nero. Non gli aveva dato troppo peso, preso com’era dai suoi sentimenti impazziti, ma il Libro Nero aveva iniziato a scolorirsi già da tempo. Forse dalla prima volta in cui aveva parlato a Ed dei ragazzi. O di quanto gli piacesse il suo nuovo lavoro. Non sapeva dirlo con sicurezza.

Si mise seduto.

Non sapeva cosa quel colore volesse significare, ma aveva una brutta sensazione.

Aprì il libro a caso, come faceva sempre, e chiuse gli occhi, aspettano quei tre secondi necessari perché avvenisse l’incredibile.

Quando dischiuse le palpebre, però, non si trovò di fronte a Edward. Si accorse, anzi, di non essersi mosso affatto.

Agitato, riprovò. Una, due, tre quattro cinque volte.

Zayn si lasciò andare contro lo schienale della seggiola.

La consapevolezza che non avrebbe più incontrato l’amico si abbatté su di lui.

Poi, si ricordò del loro primo incontro, di come Ed gli avesse detto che stava cercando qualcosa e che per quello era lì.

Evidentemente, la ricerca era finita e il Libro Nero aveva svolto il suo compito.

Mentre teorizzava quell’ipotesi, il volto sorridente appena sveglio di Harry gli invase i pensieri, e Zayn si disse che sì, aveva trovato quello che neanche sapeva di cercare.

*

Staccò un po’ prima del solito, perché per una volta voleva essere lui ad andare a trovare Harry all’ora di pranzo.

Quando entrò in pasticceria, lo trovò che armeggiava dietro al bancone, raggiante come non lo aveva mai visto.

«Ehi» lo salutò, non appena si accorse di lui.

Doveva aspettare giusto cinque minuti, per cui si mise a sedere a uno dei tavoli che stavano nel locale, uno di quelli vicini alla parete con le foto. Lanciò un’occhiata a Harry, che in quel momento era impegnato a controllare qualcosa al cellulare; lo vide arrossire fino alle clavicole, e si chiese cosa mai avesse provocato una reazione tanto esagerata. Quando l’altro alzò lo sguardo e lo puntò su di lui, arrossì ancora di più: Zayn non credeva fosse possibile.

Lo guardò entrare in cucina e poi uscire dopo due secondi e dirigersi al suo tavolo.

Zayn alzò un sopracciglio, interrogativo.

«Quell’imbecille di Louis. Anche durante la luna di miele rompe le scatole»

«Che ti ha scritto?»

«Liam gli ha raccontato di quello che è successo al matrimonio e Louis si è lamentato perché non l’ho informato subito dei ‘progressi’» spiegò, facendo in aria il segno delle virgolette.

«E Liam come faceva a sapere dei progressi?» fino a prova contraria l’unica cosa che Liam sapeva era che Harry l’avrebbe portato a casa.

«Loro sapevano della mia piccola, ehm, cotta» scrollò le spalle, arrossendo come pochi minuti prima. «Avranno fatto due più due. Il problema è che Louis mi manda messaggi porno. Non capisco che problemi abbia quel ragazzo»

Zayn ridacchiò.

«Vado a darmi una pulita e poi andiamo a pranzo?»

Zayn annuì, stringendo Harry per un polso, spingendolo ad abbassarsi per lasciargli un casto bacio sulle labbra. «Così tutti in città sapranno che sei preso nel giro di trenta secondi» sussurrò al suo orecchio.

Harry gli fece l’occhiolino e scomparve di nuovo in cucina.

Non fece in tempo a vedere la porta chiudersi, che una tosse insistente richiamò la sua attenzione.

Si voltò, mezzo convinto di ritrovarsi di fronte Liam o Niall.

Strabuzzò gli occhi quando si accorse che l’uomo, che si era accomodato al suo stesso tavolo, era sicuramente il nonno di Harry. Si chiese se si chiamasse Edward anche in quel mondo.

«Tu sei il giovanotto di cui mio nipote parla sempre, immagino. Zayn, giusto?»

Zayn sorrise.

Forse non avrebbe mai più rivisto il suo Edward, ma il nonno del suo Harry gli assomigliava in maniera sconvolgente.

Mentre Harry usciva di nuovo, senza farina sulle guance e grembiule al petto, e salutava suo nonno e glielo presentava, Zayn si ritrovò a pensare che la vita sa essere la nemica più infida, capace di toglierti tutto e colpirti laddove sei più debole, ma anche l’amica più devota, donatrice di gioie e piccole vittorie, in un equilibrio continuo.

Edward gli aveva insegnato a non arrendersi al lato stronzo di quest’ultima e Harry, Harry gli aveva mostrato che, dopotutto, c’era sempre qualcuno con cui valesse la pena continuare a viverla, e viverla fino in fondo.

Ma, soprattutto, mentre uscivano dalla pasticceria e Harry faceva scivolare la mano nella sua, si ritrovò a pensare che avrebbe dovuto mandare dei fiori di ringraziamento a sua madre.

 

 

Fine.

 

Note:
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino in fondo (che coraggio, gente!)
Un grazie ancora più grande a chi dovesse lasciare un segno del proprio passaggio ;)
  
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