Titolo: La
casa degli spiriti.
Pairing:
Harry/Zayn
Note: Ispirata
a un film che mi è stato raccontato, di cui non mi ricordo
il titolo e di cui
non so la fine né nulla, in realtà, sorry. Sorry
anche se non ha senso. Santa Madre,
mi sembra di scrivere questo in tutte le note, non credo sia una cosa
particolarmente positiva. Il titolo è rubato alla Allende,
ma il libro non c’entra
nulla nulla nulla con la storia. Il nome del micro
paese è inventato!
Va beh. Ah sì, la fine.
Sorry anche per
quella.
Disclaimer: Gli
One Direction non mi appartengono bla bla bla.
Zayn aprì la porta di
quella che era la sua nuova casa.
Si era appena trasferito
lì, in quel piccolo paesino, lasciando
Bradford e la sua famiglia. Alcuni avrebbero detto che stava scappando,
anche
se lui preferiva parlare di cambiare
vita.
L’appartamento era piccolo,
ma per lui e le sue esigenze era
più che sufficiente.
Era pulito e confortevole, i muri non
presentavano muffe o
strani aloni, il bagno era essenziale e funzionale, e la stanza da
letto aveva
tutto quello che occorreva, e cioè un armadio e vari ripiani
su cui poter appoggiare
la maggior parte dei suoi libri.
Gli altri, quelli che preferiva,
sarebbero andati a far
compagnia alle varie suppellettili, in bella mostra nel piccolo
soggiorno, dove
poteva averli in continuazione sotto mano, prenderli e sfogliarli, e
dove a
malapena entravano un divano e una libreria. Da nessuna parte
c’era una
televisione, ma quello era solo un pregio aggiuntivo. Non sopportava
tre quarti
dei programmi che trasmettevano e al TG preferiva i quotidiani. Era
sempre
stato un po’ così, fuori dal mondo e
dall’ordinario, anche durante i periodi
migliori.
Non aveva fame, anche se era ora di
cena. Da più di un anno,
però, il suo stomaco si era abituato alla sua negligenza nel
cibarlo e ormai
neanche si lamentava più. Da bravo, c’aveva fatto
l’abitudine, come ancora Zayn
non era riuscito a fare con molto altro.
Si sdraiò sul divano,
perché già sapeva che lì avrebbe
dormito. Non toccava un materasso da una vita e il fatto che quello
nella
stanza accanto non fosse il suo, non avrebbe cambiato nulla. Neanche si
ricordava come fosse appoggiare la schiena a qualcosa che fosse
più largo di sessanta
centimetri e la testa su qualcosa di soffice. Non che gli importasse,
in ogni
caso.
Prese il libro che aveva iniziato
qualche giorno prima;
l’aveva conquistato così tanto e fortemente che in
poche ore era già arrivato a
metà, malgrado la mole. Il giuoco
delle
perle di vetro; aveva una piccola cotta per Hermann Hesse e
per il suo modo
di presentare la vita dell’uomo, fatta di spirito e di
concretezza. Negli
ultimi tempi, i suoi libri l’avevano aiutato spesso, anche se
era capitato pure
che invece di tranquillizzarlo, aggiungessero angoscia alle sue
inquietudini.
Lesse fino a notte fonda. In quello
stesso momento, i suoi
genitori e le sue sorelle erano di certo addormentati e la strada su
cui dava
la loro casa, – la casa della sua infanzia – aveva
smesso di essere trafficata
da una o due ore al massimo. Lì, dal suo piccolo
appartamento, ubicato in un
piccolo palazzo nella periferia di un paese così piccolo che
essa non era
neanche distinguibile dal centro, le strade non erano state
particolarmente
rumorose neanche al suo arrivo. Quello che sentiva, alle due passate,
era solamente
il vago e sporadico verso di qualche animale notturno.
Quando era bambino e ancor di
più durante l’adolescenza,
tutti si meravigliavano che, a una partita di calcio tra amici e la
prospettiva
di infangarsi dalla testa ai piedi, preferisse la solitudine e il
silenzio
della sua stanza, il conforto dei suoi fumetti, prima, e dei suoi
libri, poi, o
il leggero frusciare di una matita su un foglio bianco.
Adesso, il silenzio eccessivo lo
spaventava. Aveva la
capacità terrificante di dare un volume troppo potente alla
voce dei suoi
pensieri che lui, anche con tutti gli sforzi immaginabili, riusciva
poche volte
a rinchiudere in qualche anfratto remoto e introvabile della mente.
Quando aveva accettato la proposta
della madre e preso la
decisione di trasferirsi, non aveva fatto i conti con la
tranquillità di un
luogo di campagna, sebbene fosse ormai abituato ad abitare da solo.
Forse avrebbe dovuto rivedere
l’idea di possedere un
televisore.
*
Il mattino seguente si
alzò che era da poco sorta l’alba.
Era la fine di maggio, l’aria mattutina era ancora fresca, ma
quasi in modo
piacevole, ormai, e si respirava profumo di fiori dovunque andasse. A
Bradford,
al massimo, si respirava smog e la nebbia quasi perenne avrebbe inciso
sul suo
umore, già di per sé scontroso e facilmente
irascibile. Little Holmes, invece,
sembrava una piccola oasi felice, un’isola beata, forse
addirittura troppo.
Non incontrò nessuno,
mentre si allontanava da casa sua
(ancora gli faceva un po’ strano definirla così);
tutto era ancora immerso in
un pacifico sopore, mentre lui era riuscito a dormire a malapena alcune
ore. Il
suo organismo non voleva decidersi ad addormentarsi un po’
prima e svegliarsi un
po’ dopo, ma il problema principale – lo sapeva
bene – era il cervello che non
sembrava voler riposare e lo svegliava di sobbalzo nei momenti
più impensati
della notte, portando in dono ricordi non voluti.
Camminando poco più di un
quarto d’ora arrivò a
destinazione. C’era già stato, da bambino, quando
con tutta la famiglia aveva
fatto visita alla zia che abitava là, ma si ricordava poco e
nulla.
Per quanto ne sapesse lui, quel posto
poteva essere rimasto
invariato nel corso degli anni e avere quella fisionomia da decenni,
oppure
poteva essere completamente diverso e stravolto rispetto a
com’era ai tempi del
loro breve viaggio.
La zia, che abitava a Little Holmes
da quando era poco più
che una giovane donna, era la sorella della madre di sua
madre; in parole povere era la sorella di sua nonna. Stando
ai
racconti che in casa sua erano sempre circolati su di lei, era una
donna
fantastica, emancipata, avanti rispetto alla società e alla
storia. Ma sua
madre l’adorava, e il sentimento era reciproco, per cui Zayn
non sapeva quanto
quei giudizi fossero di parte.
Di poche cose era certo, in
realtà: che si chiamasse Linda,
che la sua nipote preferita fosse proprio sua madre e che a lei aveva
lasciato
in eredità il negozio che possedeva.
Era una libreria, e sua madre
l’avrebbe venduta, se non fosse
stato che rappresentava l’ultimo legame ancora esistente con
zia Linda.
Solo che lei di certo non se ne
poteva andare da Bradford. E
proprio mentre si arrovellava il cervello su come fare e che soluzione
trovare,
le arrivò la grande idea, il lampo di genio (o almeno
così lei lo aveva
definito).
Zayn.
Lui sarebbe stato la persona perfetta
per gestire una
libreria per due motivi fondamentali: il primo, ed essenziale, era che
amava i
libri come l’aria, il secondo, che, se fosse rimasto a
Bradford anche solo un
giorno di più, sarebbe morto soffocato.
Zayn sapeva che sua madre aveva
ragione, e per quanto non
volesse allontanarsi dalla sua famiglia e dalle sue sorelle, sapeva
anche che
andarsene da lì significava liberarsi di fardelli diventati
troppo pesanti. O almeno
provare a farlo.
Il negozio si trovava lungo quello
che tutti gli abitanti
chiamavano il Corso (che poi stava per Corso Principale, che era anche
l’Unico). Quest’ultimo non era asfaltato, il che lo
rendeva piuttosto
pittoresco, ma – sbadato com’era – se non
ci avesse prestato abbastanza
attenzione sarebbe inciampato tra le pietre non allineate.
La libreria stava più o
meno a metà, e tutt’intorno era
pieno di negozi vari. Volgendosi da una parte all’altra, Zayn
aveva notato un
negozio di scarpe, qualcuno di prodotti tipici, una tabaccheria, un
fioraio,
un’edicola. Accanto al suo, c’erano
un’oreficeria e un piccolo negozio
d’abbigliamento, mentre di fronte una pasticceria.
Be’, almeno sapeva dove fare
colazione, se mai si fosse svegliato troppo tardi e non avesse avuto
tempo di
farla a casa.
Quando arrivò di fronte a
quello che stava ufficialmente per
diventare una sua proprietà, si fermò per qualche
attimo ad ammirarne
l’esterno. La vetrina era accattivante e ben decorata, anche
se – al contrario
di quello che si sarebbe aspettato – non erano esposti le
ultime uscite o i
libri più venduti. Era strano, una scelta che rischiava di
far perdere
profitti, qualcosa che anche Zayn sapeva che non andava fatto. Ma, per
quanto
ne sapesse, gli affari a sua zia andavano a gonfie vele.
E pensare che, secondo lui, anche la
sola idea di una
libreria in un posto sperduto e dimenticato da Dio come Little Holmes
sembrava
folle.
Si mise a leggere i titoli: Il Grande Gatsby, On the road, Oliver Twist.
Erano tre dei suoi preferiti, li
aveva anche a casa, posti
sulla mensola con amore, e la lista continuava e comprendeva altri
libri che,
in un modo o nell’altro, l’avevano toccato o
segnato.
Sembrava troppo magico, per esser
vero.
Gli cascò
l’occhio sull’insegna: La
casa degli spiriti.
Avrebbe quasi riso per
l’assurdità di tutte quelle cose che,
da sole, erano sciocchezze ma che, prese insieme, gli facevano storcere
un po’
il naso.
Poi scrollò le spalle,
perché magari sua zia era
semplicemente fissata con la Allende, aveva buoni gusti in fatto di
letture ed
era una maga del commercio.
Spesso la spiegazione esatta era
proprio quella più
semplice.
*
Per quanto strano fosse,
l’esterno era piuttosto semplice.
L’interno, al contrario,
era un paradiso.
Zayn si era aspettato una di quelle
librerie moderne, fatte
di scaffali impersonali, nuovissimi e funzionali, meglio se anti-acaro
(anche
se probabilmente una cosa del genere neppure esisteva). Era tutto il
contrario,
invece. Non solo le scaffalature erano in legno, antico quanto
pregiato, ma
c’era un odore particolare e buonissimo che non avrebbe
saputo descrivere, i
libri erano molti di più di quelli che si sarebbe aspettato
per una libreria di
paese, e i soffitti e le pareti erano affrescati, neanche quello fosse
stato un
palazzo storico.
Diede un’occhiata in giro,
specialmente alla disposizione
dei tomi, e sorrise della precisione della zia Linda. Anche alla cassa
era
tutto in ordine, e i fornitori arrivavano di giovedì, se non
ricordava male,
per cui non aveva altro da fare. Scorse un piccolo stereo che stonava
tra tutto
il resto perché molto più recente. Accanto ad
esso, impilati in fila anche
quelli, vi era una serie di CD.
La maggior parte era di musica
classica. Ne mise nello
stereo uno e in pochi secondi il primo notturno di Chopin prese a
risuonare nel
negozio.
Erano solo le otto e probabilmente
era ancora troppo presto
per aprire, ma ormai, tanto che c’era, poteva tranquillamente
girare il
cartello che diceva chiuso e avvertire Little Holmes che La
casa degli spiriti aveva ripreso vita.
*
Stava leggendo il terzo capitolo di Notre-Dame de Paris, quando la porta del
negozio si aprì.
Entrò una donna sulla
trentina, anno più, anno meno,
sorridente e dall’aria piuttosto socievole.
Era bella e giovanile, anche se non
esattamente il suo tipo;
ma nessuna donna lo era, per cui quello significava poco.
Le sorrise, cortese e un
po’ nervoso: era la sua prima
cliente e voleva fare buona impressione.
«Buongiorno» le
disse, mentre si alzava dallo sgabello sul
quale era stato comodamente seduto da quando era arrivato e
allontanandosi
dalla cassa.
«Ciao» rispose
lei, allungando una mano, per presentarsi.
«Sono Gemma Styles»
Un po’ attonito, gliela
strinse, non sapendo che altro dire
se non il proprio nome e non capendo perché la donna avesse
sentito il bisogno
di presentarsi.
«Stavo per andare da mio
fratello, quando ho visto che la
libreria di zia Linda era aperta e nulla, volevo solo sapere chi
l’avesse
comprata» spiegò, stringendosi tra le spalle.
«Oh» emise Zayn. Zia
Linda? «Sono suo nipote. O meglio, il figlio di
sua nipote» precisò.
Gemma sorrise e si mise a spiegare
come Linda fosse stata
una persona importante per tutti, al paese (che era talmente minuscolo
che ogni
abitante conosceva tutti gli altri), e che per lei e suo fratello era
stata una
specie di zia, visto che la conoscevano da quando neanche camminavano e
più e
più volte aveva badato a loro e gli aveva regalato libri e
offerto caramelle.
Zayn sorrise ai ricordi di Gemma. La
zia Linda che la
ragazza ricordava era proprio la stessa che lui aveva conosciuto
attraverso i
racconti della madre e, anche se lui non l’aveva vista che da
piccolo, si
sentiva misteriosamente legato a quella strana parente, e la libreria
in cui
aveva passato giusto una manciata di minuti gli era già
entrata nelle vene, già
scorreva nel suo sangue, preziosa come la linfa stessa della vita.
Non fece troppo caso a quelle
sensazioni né al poco tempo
che avevano impiegato per nascere in lui, però; tutto, in
quel luogo, era
piuttosto insensato.
«Sono felice di vedere che
la bimba di Linda è in buone
mani» concluse Gemma, prima di uscire.
La bimba.
Il suono
di quelle parole gli piaceva, ma al tempo stesso era odioso,
perché risvegliava
campanelli che avrebbe preferito restassero in silenzio per sempre, e
già
sapeva che lui di certo non l’avrebbe mai definita
così.
Si limitò ad annuire,
anche perché La casa degli spiriti
era davvero in buone mani, dedicate e
amorevoli; o, almeno, sperava.
Guardò mentre la prima
persona con cui aveva davvero fatto
conoscenza a Little Holmes usciva dal suo negozio, attraversava il
corso ed
entrava proprio nella pasticceria dirimpetto alla libreria.
Evidentemente suo fratello lavorava
lì. Probabilmente, se
era così, l’avrebbe rivista spesso.
*
Chiuse per pranzo.
La mattina era stata piuttosto
movimentata, e la cosa aveva
piacevolmente stupito Zayn, anche se lui stesso non sapeva dire se tale
afflusso fosse dovuto a un reale interesse per la letteratura o a uno
per la
sua persona. In ogni caso, aveva conosciuto il macellaio e la moglie
del meccanico,
una giovane dottoressa che pareva piuttosto in gamba e niente di meno
che il
sindaco stesso.
Sua zia doveva essere più
famosa e ben voluta di quanto non
sapesse e di quanto avesse immaginato.
Girò il cartello in modo
tale che la gente, passando per la
strada, avrebbe letto chiuso e
spense
le luci, senza curarsi di bloccare la porta: era piuttosto convinto
che, in
quel regno delle favole, nessuno avrebbe fatto irruzione per rubare
nulla.
Si era portato un panino da casa, non
sapendo bene dove
andare a mangiare un boccone e troppo assuefatto alla sua solitudine
per mettersi
in cerca di compagnia e volti tutti da scoprire. Sapeva che questo
andava
contro le speranze con cui sua madre l’aveva spedito
lì (non che avrebbe potuto
farlo davvero, non avesse voluto lui stesso, aveva ventotto anni ed era
libero
di fare le sue scelte e commettere i suoi errori già da
molto, ormai), ma
sapeva anche che lui era tipo da affrontare le cose facendo un passo
per volta,
bevendo le novità a piccoli sorsi.
Verso metà mattinata, in
un raro momento di tranquillità,
era dovuto correre in bagno. Cercandolo, aveva notato
un’altra porta, che non
aveva potuto aprire ed esplorare per mancanza di tempo, ma che adesso
quasi si
sentiva chiamato a perlustrare.
Era strano, proprio come un mucchio
di altre cose in quel
luogo, ma quella stanza lo attirava, lo incantava come fa il canto
delle sirene
con i marinai, una fonte di luce con le farfalle notturne. Aveva anche
la
sensazione, però, che essa fosse tutto, meno che
pericolosamente mortifera.
A prima vista, era una stanza del
tutto comune. Vi era una
finestra alla parete opposta, dalla quale, invece che del corso, poteva
ammirare una bella panoramica di metà paese. Le pareti
dovevano essere state
tinteggiate di recente, forse poco prima del suo arrivo,
perché l’odore tipico
di vernice fresca ancora un po’ si sentiva; forse la zia
aveva predisposto
tutto appositamente. Su due lati, c’erano mobili
più lunghi che alti, pieni di
libri che dovevano essere appartenuti alla zia e di registri su cui la
donna
nel corso del tempo aveva annotato entrate, uscite, ordini, cifre
varie. Un po’
di tutto, insomma.
Al centro della stanza, invece, ben
in vista stava
un’immancabile scrivania in legno. Zayn avrebbe detto di
ciliegio, ma non ne
capiva molto. Di certo era un pezzo d’antiquariato, imponente
ed elegante,
finemente lavorato e, come tutto il resto all’interno del
negozio, ben tenuto.
Passò qualche minuto a
osservare i vari tomi posti sugli
scaffali, prendendo in mano quelli che attiravano maggiormente la sua
attenzione e cercando, allo stesso tempo, di non sbriciolare per terra
(dove,
per fortuna, non c’era nessun tappeto di cattivo gusto).
Finì il pranzo e si
sedette alla scrivania. La sedia era
comoda, pur essendo anche lei datata, proprio come sembrava a vedersi.
Sopra il ripiano, c’era
poco e niente: una lampada, un
portapenne con giusto una stilo nera, qualche foglio appoggiato al lato
e un
libro, al centro.
Iniziò a sfogliarlo, e si
accorse che era tutto meno che un
libro. Le pagine erano immacolate e non avevano neanche una di quelle
pieghe
che vengono anche trattandole con attenzione e grazia, al solo girarle.
Sembrava fosse lì da sempre e, contemporaneamente, da
qualche minuto. Non solo
sembrava non essere mai stato toccato, ma aveva anche la copertina
più strana
che avesse mai visto.
Era nera, completamente. Non una
scritta, una sfumatura, un
disegno. Nulla. Solo una distesa di quel colore opprimente e
soffocante. O
forse, oppresso e soffocato. Un po’
come
mi sento io. Quel pensiero arrivò veloce quanto
indesiderato, ma Zayn non
poté negare che il paragone calzava. Distrattamente, proprio
come accadeva
tutte le volte che ci pensava in modo troppo intenso, la mano destra si
posò
sopra la sinistra e, con movimenti lenti e quasi affettuosi,
iniziò ad
accarezzarla.
Smise di fissare quel colore e
aprì di nuovo il libro, anche
se i ricordi continuavano a vorticargli in testa. Magari non
c’aveva fatto
caso, e in realtà qualcosa, nascosto tra le pagine iniziali,
c’era eccome, o
forse aveva preso solo un abbaglio, e in realtà le parole
macchiavano il bianco
intonso, come in qualsiasi altro volume.
Invece no, non si era sbagliato. Di
nuovo, il bianco lo
travolse, e proprio mentre se ne accorgeva, accadde
l’ennesima stranezza. Anche
se, Zayn avrebbe ammesso in seguito, questa le batteva tutte quante.
*
Sbatté gli occhi. Una due
tre volte. Si diede un pizzicotto
sul braccio e si morse la lingua, perché non era possibile e
in realtà stava
sognando.
Non si svegliò.
Evidentemente non era addormentato. O,
forse, lo era troppo profondamente.
Come che fosse, doveva essere un
sogno per forza. Non era
possibile che, nel giro di un respiro, si fosse ritrovato in quella
stessa
stanza, ma, allo stesso tempo, in una stanza diversa.
Non aveva senso, lo sapeva anche lui.
Quelle parole
suonavano assurde anche ripetute all’interno del suo
cervello, ma erano la
semplice descrizione di quello che aveva di fronte. Forse
l’unica.
«Salve» disse la
voce, piena di una compostezza d’altri
tempi, proveniente dalle labbra della persona che stava seduto alla
scrivania
dove, fino a qualche attimo prima, era invece posizionato lui.
Appunto, assurdo.
Zayn non riuscì a emettere
suono, ancora troppo frastornato
dall’inspiegabilità della situazione.
Il signore – che in
realtà non era un signore per niente, e
che invece doveva avere più o meno la sua età, ma
che lo era nondimeno, con la
sua aria posata e la sua posizione composta, anche se sul suo volto
spuntava un
sorriso contornato da fossette – non sembrò
aversene a male, per la sua
mancanza di saluto.
Zayn sapeva di sembrar maleducato, ma
proprio non poteva
farci nulla: la gola era secca e la lingua completamente impastata, era
proprio
fisicamente impossibilitato a parlare.
«Tu devi essere un qualche
parente di Linda»
Zayn registrò come quella
non fosse una domanda, ma anzi,
una semplice constatazione. L’uomo non si aspettava una
conferma da lui, ma
probabilmente solo che esplicasse l’entità della
parentela stessa.
Annuì lentamente. Si
schiarì la gola, nel tentativo di
riuscire a pronunciare almeno una sillaba.
Fallì una volta in
più, e l’uomo gli sorrise bonariamente,
come fosse stato un nonno che guarda amorevolmente il proprio nipote.
Quella strana presenza, che magari
era uno spirito, gli
indicò con un gesto un’altra seggiola, sul lato
opposto della scrivania, in
modo che – se si fosse seduto – i due si sarebbero
trovati l’uno di fronte
all’altro.
Zayn accettò di buon grado
l’offerta (registrando anche il
fatto che quella sedia mancava nella sua stanza,
l’originaria. Che forse non
era quella originaria. Magari era in un altro universo. Non ci stava
capendo
più nulla), perché le gambe avevano iniziato a
cedergli sotto il peso di tutta
quella stranezza, e di certo non voleva svenire di fronte a un
estraneo. Anche
se quest’ultimo non aveva l’apparenza di essere un
serial killer o un
trafficante di organi, non voleva davvero rischiare.
Il ragazzo lo fissò un
altro po’ e Zayn avrebbe voluto che
smettesse, tutto quello scrutinio lo stava mettendo in soggezione e lo
stava
anche irritando.
Gli occhi verdi dell’altro
sembravano due fari nella notte e
probabilmente riuscivano pure a leggergli nel pensiero. Anche quello
era del
tutto assurdo, ma ormai Zayn non sapeva più a cosa credere e
forse non sarebbe
mai più riuscito a distinguere la realtà dalla
fantasia. L’opzione sogno
era ancora in piedi, comunque, e
restava un’àncora di salvezza alla quale Zayn
cercava di appigliarsi con tutto
se stesso.
Era bello, decise Zayn.
Benché tutto il resto lo inquietasse
e lui stesso necessitasse di una spiegazione plausibile al
più presto, quello
era innegabile, anche se i capelli corti fissati con più gel
di quanto ne
usasse lui sembravano d’altri tempi, e la stessa cosa poteva
dire del suo
abbigliamento, fin troppo formale e curato, sia per
l’età che per la
situazione. In fondo, se non si sbagliava, si trovava ancora
all’interno di
quella che era la sua libreria.
Oppure quella era una specie di
facsimile identico in tutto
e per tutto al negozio che conosceva lui. O quasi. C’erano
piccole differenze,
oltre la presenza di qualcuno che non aveva mai visto in vita sua; la
lampada
era sparita, i fogli erano molto più numerosi e posti in
modo più casuale, gli
scaffali erano meno pieni. Ma, soprattutto, mancava il libro nero.
Evidentemente l’espressione
di Zayn parlava per lui, perché
l’altro gli chiese se stesse cercando qualcosa.
«No» rispose,
lapidario. Esultò internamente per il
ritrovamento della voce perduta e ritenne quel monosillabo una grande
vittoria.
«Se sei qui, stai cercando
qualcosa di sicuro» lo
contraddisse, come fosse sciocco ritenere possibile il contrario.
Forse poteva davvero leggergli nel
pensiero, dopotutto.
Qualcosa nell’altro,
però, gli disse che non si stesse
riferendo a un qualche oggetto. Zayn aveva come l’impressione
che stesse
parlando di qualcos’altro, di qualcosa di
più.
Ma quello aveva ancora meno senso di
ogni altra cosa; Zayn
aveva smesso di cercare tutto molto tempo prima, eccezion fatta per le
chiavi
di casa.
«Non cerco
niente» proferì, con assoluta
sincerità. Il
sorriso che comparse sulle belle labbra dell’altro lo fece
quasi arrabbiare: vi
lesse un filo sottile d’ironia e la portata di un sapere
superiore.
Si stava iniziando a innervosire sul
serio. Non era mai
stato una persona paziente, in grado di star dietro ai tempi di tutti,
e quando
proprio non ce la faceva più ad aspettare, cercava di
velocizzarli il più
possibile.
«Quanti anni
hai?» cambiò completamente discorso, come se la
sua precedente insistenza non avesse irritato Zayn
all’inverosimile.
«Ventotto»
rispose, e poi – visto che ormai si era sbloccato
– aggiunse «e Linda era mia zia»,
rispondendo così all’unica domanda che aveva
lasciato in sospeso.
«Era?» Zayn
notò che lo sconosciuto aveva puntualizzato il
tempo da lui usato, più con curiosità che con
dispiacere. Gli parse un po’
strano, per qualcuno che non solo si trovava liberamente nello studio
della
zia, ma che, soprattutto, poco prima l’aveva nominata con un
affetto nella voce
che, a lui, aveva fatto pensare ad una tenera amicizia.
«È morta qualche
giorno fa» si sentì in dovere di informarlo.
L’altro lo fissò
con uno strano sorriso, come se nascondesse
il segreto dell’immortalità e Zayn, scioccamente,
gli stesse parlando del tempo
che passa e vola via.
«Qualche
giorno fa
è un concetto piuttosto relativo»
Sinceramente non capiva bene cosa ci
fosse di relativo, in
quell’espressione. Qualche giorno fa era qualche giorno fa,
punto. Che fossero
due o tre o dieci poco cambiava.
«Ragazzo, hai
cap» s’interruppe, come se a un pensiero ne
fosse subentrato d’improvviso un altro. «Come ti
chiami?»
Effettivamente, Zayn pensò
che avrebbero dovuto pensarci sin
dall’inizio, alle presentazioni; ma, da parte sua, aveva la
testa piena di
domande pungenti e, per quanto fosse allettante, la sola conoscenza del
nome
dell’altro uomo stava piuttosto in basso nella lista delle
cose da chiedere.
«Zayn Malik»
«Bene, Zayn»
riprese, come sollevato dalla nuova
consapevolezza. «Io sono Edward Styles»
Il nome non gli diceva nulla, anche
se in un certo senso gli
suonava vagamente familiare. Ma era piuttosto comune e poteva averlo
sentito
ovunque, per cui non ci fece troppo caso.
«Hai capito dove ti trovi,
Zayn?» chiese, neanche Zayn fosse
un bambino di quattro anni, in più un po’
deficiente.
Quasi avrebbe evitato di
rispondergli, ma la curiosità, in
quel momento, superava qualsiasi altra cosa, per cui annuì,
semplicemente.
«E sai anche che giorno
è oggi?»
Ok, quella specie di quiz stava
diventando pateticamen-. A
meno che… Zayn deglutì e prese coscienza del
fatto che le sue mani stavano
iniziando a sudargli e la gola a seccarsi. Il che non aveva senso,
visto che di
certo quello Styles non gli stava per dire che…
«Immagino che me lo possa
dire lei» disse, con la voce più ferma
e sicura che riuscì a trovare.
Edward sorrise.
*
«È uno
scherzo?» sbottò, perché dai.
Imperturbato e imperturbabile,
l’altro dimostrò di non
essere per nulla scandalizzato dalla sua voce salita di qualche
decibel, ma
anzi, con la sua espressione pacata e rasserenante, forse voleva
proprio
tranquillizzare Zayn. Che si sarebbe mangiato le unghie per il nervoso
e
strappato i capelli perché quello di sicuro
l’avrebbe fatto risvegliare.
Doveva essere
un
sogno. O magari una presa in giro, e Edward era pure l’attore
più bravo che lui
avesse mai avuto l’opportunità di vedere dal vivo.
«Che vuol dire che oggi
è il 14 maggio del 1950?» perché,
davvero, l’ultima volta che aveva controllato, il calendario
portava la data
2013.
Ne era quasi certo al 100%, ma
ultimamente aveva vissuto
talmente tanto in un mondo tutto suo da accorgersi a malapena di quello
che gli
accadeva intorno. Era piuttosto sicuro, però, che se
avessero scoperto di aver
sbagliato qualche conto astronomico e avessero stabilito di dover
riportare il
mondo indietro di più di sessanta anni, se ne sarebbe
accorto.
«Vuol dire che, anche se tu
non lo sai o non vuoi
accorgertene,» rispose, affabile. «quel libretto
che hai trovato ed
evidentemente aperto era a conoscenza del tuo bisogno di essere qui, in
questo
momento. Con me»
«Ma se neanche ti
conosco!» sbottò, dando del tu a quella
persona che aveva appena incontrato e che, anche se d’aspetto
dimostrava meno
anni di lui, in realtà era molto più anziano.
Proprio non riusciva a usare una
deferenza che sarebbe parsa eccessiva anche alle sue orecchie,
però; in ogni
caso, Edward Styles non si scompose né per il tono
né per la scelta delle
parole.
«Non è quello
l’importante» pronunciò quasi
solennemente,
come se – le sue – fossero parole sacre e pregne di
significati profondi come
l’oceano.
A Zayn, invece, quello sembrava
vitale. Non vedeva come
potesse aver bisogno di qualcuno con cui non aveva mai parlato prima e
che
viveva in un mondo che non era il suo (in realtà non aveva
ben capito come
stessero le cose, ma non voleva pensarci troppo), quando stava
benissimo da
solo, e si era allontanato di proposito da tutte le persone che gli
volevano
bene proprio perché non aveva bisogno
di
nessuno.
E, a esser più sincero con
se stesso, Zayn magari avrebbe
ammesso che quello non era esattamente il
motivo, ma anche a quello voleva pensare il meno possibile.
«Cerchi qualcosa,
Zayn» ripeté, come fosse una formula
magica e, dicendola, improvvisamente Zayn avrebbe ammesso che,
sì, cercava
qualcosa e l’avrebbe trovata proprio grazie a Edward. Era
insensato anche solo
pensarlo, lo sapeva benissimo, per cui non si scompose neanche a
correggere
nuovamente quel giovane vecchio (o vecchio giovane?) che stava seduto
di fronte
a lui.
«Tutto questo non ha
senso» decretò, riferendosi non tanto
alle sentenze dell’altro, quanto più alla
situazione in generale. Non voleva
semplicemente cambiare discorso, anche se tutto quel parlare per frasi
criptiche l’aveva messo a disagio; era, più che
altro, intenzionato a capire
qualcosa di quanto gli stesse succedendo attorno. Pensava sarebbe morto
soffocato, in caso contrario.
Edward, purtroppo per Zayn, non
sembrava essere del suo
stesso avviso, né avere la sua stessa fretta, e questo lo
spazientiva ancora di
più. Non lo sapeva, ma se esisteva un limite massimo oltre
il quale si sarebbe
spezzato e sarebbe uscito di senno, probabilmente era a uno sputo
dall’oltrepassarlo.
Cercò di fare qualche
respiro, tranquillizzare i nervi,
rilasciare i pugni chiusi e stretti come morse, che teneva appoggiati
sopra
alle cosce. Non era la persona più pacifica della terra,
come non era neanche
violento e aggressivo, ma non molto tempo prima aveva comunque avuto la
necessità di imparare a controllare il proprio corpo, a
farsi scudo da ogni
emozione non voluta, e pensava che quelle conoscenze si sarebbero
potute
rivelare utili e preziose anche in quel momento.
Aveva ben intuito: sentì
una sensazione leggera defluire tra
le vene, come il sangue, la rabbia scivolar via assieme a quella specie
di
coltre che gli annebbiava il cervello e gli diceva di tirare un pugno a
quel
vecchio che non voleva dargli una spiegazione che spettava lui di
diritto.
«Il negozio di tua zia
è un posto particolare» esordì il suo
interlocutore.
E grazie, quello l’aveva
capito da solo. Continuò ad
aspettare che l’altro aggiungesse qualcosa di davvero
necessario al
completamento di quel pazzo puzzle.
Non dovette aspettar troppo.
«Te ne sarai accorto da
solo, immagino. Se te lo stai
chiedendo, Linda ed io siamo amici sin da quando eravamo molto piccoli.
Tua zia
è una donna molto intelligente. Ha aperto questa libreria da
sola e, seppur
motivata, è anche molto giovane. Non credo
t’interessi molto l’esegesi di
questo luogo o la natura della nostra amicizia,
però» si fermò un attimo, come
a raccogliere i pensieri, scegliere cosa dire o no. Zayn lo ascoltava
rapito,
anche se, in effetti, fino a quel momento Edward non aveva detto nulla,
solo
riferito alcune informazioni che, in seguito e in un’altra
circostanza, di
sicuro l’avrebbero interessato maggiormente.
«Non è un caso,
che tu sia qui. E non lo è nemmeno il fatto
che tu abbia aperto il Libro Nero»
Zayn aveva la strana sensazione che
l’altro avesse usato le
maiuscole, per dire libro nero,
neanche fosse qualcosa di sacro e venerabile.
«Qui dove?» lo
interruppe, perché la questione pressante era
quella.
«Il Libro Nero ti ha
portato dove hai bisogno di essere, te
l’ho detto»
L’aveva rapito? Oddio, Zayn
si sentiva sull’orlo dello
svenimento. E poi che voleva dire che l’aveva
portato? Con cosa, se non si era mosso dalla sua scrivania? E
poi da quando
i libri conducevano la gente da un luogo all’altro?
«Il tuo cuore, Zayn, ti
conosce meglio di quanto tu non
creda»
Certo. Lapalissiano.
«Tua zia ti ha lasciato il
Libro affinché tu trovassi le tue
risposte» continuò. Solo che Zayn era piuttosto
certo di non aver domande,
quindi la situazione si complicava alquanto. «ed esso ti ha
trasportato
attraverso il tempo, fino a me»
Trasportato. Tempo.
Oh, d’accordo. Ora
sì che tutto aveva un proprio posto, nel
grande schema dell’universo.
«Lo so che non è
facile da credere» aggiunse, perché
probabilmente aveva notato lo sconcerto disegnato sul suo viso.
Non è che tutto
ciò non fosse credibile. Zayn poteva credere
di aver viaggiato nel tempo, ovvio. Solo che avrebbe anche dovuto
ammettere di
essere impazzito improvvisamente, di non essere nel pieno delle sue
capacità
mentali o di star vivendo in un’illusione.
Nessuna opzione lo attirava
particolarmente.
«Dici?» fece
retorico e ironico.
L’altro strinse le labbra,
comprensivo. «Siamo antiquari
appassionati. Abbiamo trovato quel libro unico e magico durante una
delle
nostre ricerche di oggetti antichi. Non è qualcosa di
malevolo, Zayn. Non devi
temerlo, te lo prometto. Se l’hai trovato, non è
stato un caso; evidentemente
tua zia ha voluto così. Forse puoi non capire le sue
intenzioni, adesso, ma le
capirai. Le capiremo insieme» disse, cercando di essere
rassicurante.
Zayn ci stava capendo sempre di meno.
Di poche cose era
certo: aveva trovato uno stupido libro, aveva viaggiato indietro nel
tempo di
sessant’anni e conosciuto un vecchio signore che non era
vecchio per niente,
amico di sua zia, e – evidentemente – era alla
ricerca di qualcosa.
Di Nemo, forse.
Bene, il suo cervello formulava
battute patetiche.
Probabilmente stava cercando di mitigare la sua paura di esser bloccato
in
quell’epoca per sempre.
Non stava facendo un gran lavoro, in
caso.
«Quindi sarei bloccato qui,
con te? Per sempre?» era
consapevole della crescente nota d’isteria nella sua voce, ma
sinceramente non
riusciva proprio a costringersi a vergognarsene. Aveva tutto il diritto
di dare
di matto, se voleva, tanto più che, se fosse stato un incubo
(perché, su, chi
mai l’avrebbe definito un dolce e innocuo sogno?), si sarebbe
svegliato da
tempo. E poi nessun mondo onirico era altrettanto limpido e realistico,
pensò
mentre osservava l’uomo di fronte a lui, che aveva ripreso a
sorridere per
l’ennesima volta.
E d’accordo che le sue
fossette erano adorabili, ma se
avesse continuato, gli avrebbe strappato le labbra a morsi. E quella
era tutto
meno che una minaccia lussuriosa.
«Certo che no. Puoi tornare
al tuo tempo, non appena lo
desideri. La tua vita è là, non qui. Allo stesso
modo, quando ti sentirai
pronto o ne avrai necessità, potrai aprire di nuovo il Libro
Nero e tornare
indietro»
Zayn lasciò andare il
respiro, che non si era reso conto di
star trattenendo fino a qualche secondo prima.
Se tutto quello era vero (e lui, a
dispetto di tutto,
qualche dubbio lo aveva ancora), avrebbe salutato educatamente e se ne
sarebbe
andato al più presto, senza la minima intenzione di rivedere
quell’uomo una
seconda volta.
Quell’esperienza, nella sua
unicità, era stata più che
sufficiente.
«Ci vediamo
presto» preannunciò Edward, come se fosse ovvio
che ci sarebbero stati altri incontri.
Zayn evitò di contraddirlo
e, con un sospiro di sollievo e
un saluto biascicato sulle labbra, chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, Edward
non c’era più.
*
Sbatté le palpebre
più volte, per assicurarsi di essere di
nuovo da solo. Era seduto alla sua scrivania, il libro malefico e
apparentemente innocente di fronte.
Guardò
l’orologio. Non era del tutto certo, ma aveva come
l’impressione che, dal suo ipotetico viaggio nel passato al
suo eventuale
ritorno al presente, non fosse passata neanche una frazione di secondo.
Inquietante.
Be’,
non più
inquietante della storia in sé, cercò
di consolarsi.
Si passò le mani sulle
tempie, per massaggiarsi via il mal
di testa incipiente e fare almeno un tentativo di ragionamento.
Quindi, aveva incontrato uno strano
individuo, in un mondo
che aveva sessanta anni di differita con il suo; costui aveva parlato
di
qualcosa da cercare e di sua zia Linda che evidentemente voleva proprio
che lui
trovasse l’aggeggio infernale.
Prese in mano il libricino e senza
pensarci due volte lo
ficcò in un cassetto della scrivania.
«Addio, Ed»
perché davvero l’altro credeva che lui
l’avrebbe
ricercato? Ma non scherziamo. «A mai più
rivederci»
«Ehm, spero che tu non stia
parlando con me» fece una voce
tentennante ma allo stesso tempo tranquilla.
Zayn si sentì sbiancare.
Si forzò a girarsi verso la persona
che aveva appena parlato, con la paura che quest’ultima
avesse visto qualcosa
di quanto successo negli ultimi minuti che si faceva improvvisamente
pressante.
Non appena il ragazzo,
perché di questo si trattava, entrò
nel suo piano visivo, a Zayn prese un colpo, per quella che doveva
essere la
milionesima volta nel giro di mezzora.
«Ed?» quasi
strillò.
Non poteva crederci. Davanti a lui
c’era l’uomo che era
convinto di aver appena salutato per sempre.
L’altro, che fino a qualche
minuto prima stava sorridendo,
le fossette ben in mostra, lo guardò vagamente incerto.
«Ehm, no» disse,
avanzando lentamente di qualche passo
dentro la stanza. «Sono Harry»
Tese una mano che Zayn non si
curò di stringere.
Non capiva se quella fosse una presa
in giro architettata da
tutta Little Holmes, anche se l’idea pareva un po’
improbabile.
Ora che ci faceva caso,
affettivamente quell’Harry
assomigliava in maniera impressionante a Ed, ma, nondimeno, era tutta
un’altra
persona. L’abbigliamento, per dirne una, era giovanile e non
eccessivamente
ricercato, i capelli non erano costretti in un’acconciatura
ma erano lasciati
liberi, e così bei riccioli incorniciavano un viso sul quale
splendevano i
medesimi occhi verdi e fossette identiche a quelli dell’uomo
di tanti anni
prima.
Al contrario di Ed, però,
la sola vista di Harry gli contorceva
lo stomaco.
Non gli piaceva, decise.
Per quanto Ed e l’incontro
con lui l’avessero turbato, il
sorriso e la serenità dell’altro
l’avessero stupito, non aveva provato, con
lui, quella strana voglia di vederlo sparire al più presto.
Tutta l’espressione di
Harry, il suo atteggiamento e in
generale la sua persona, lo innervosivano, invece. Non
perché l’altro avesse
fatto o detto qualcosa in particolare; era più una
sensazione a pelle.
Forse c’entrava anche
quell’assurda somiglianza, ma Zayn era
convinto che qualcosa, dentro di lui, gli stesse urlando di
allontanarsi
dall’altro, di buttar Harry fuori dalla libreria, per tutta
un’altra serie di
motivi che era poco chiara anche a lui.
«Cosa ci fai
qui?» domandò aspramente. L’incertezza
nell’altro crebbe un altro po’.
«Io… ecco, era
apert-» iniziò a spiegarsi, le mani che
passavano forsennatamente tra i capelli e la lingua che andava a
bagnare le
labbra probabilmente secche.
«Non credo proprio, non hai
letto il cartello?» lo accusò,
nella speranza che l’altro comprendesse di non essere ben
tollerato in quella
stanza e in generale nel negozio, e se ne andasse.
«Scusa, ho solo pensato
che-»
«Be’, hai pensato
male!» lo interruppe, con un tono che
risultò odioso anche alle sue stesse orecchie.
Vide l’espressione di Harry
mutare una seconda volta. I suoi
occhi si indurirono, riflesso di una rabbia che Zayn gli aveva sputato
addosso
senza un evidente motivo.
«Bene»
sibilò a denti stretti. «Non farò
questo errore una
seconda volta»
E girandosi, senza aspettare una
risposta da Zayn e senza
voltarsi indietro mai, uscì dalla stanza.
Quando Zayn sentì la porta
del negozio chiudersi più
delicatamente di quanto avrebbe pensato, capì di essere di
nuovo solo.
Finalmente.
*
Cercò di non ripensare a
tutto quello che era successo all’ora
di pranzo, durante il pomeriggio, che si rivelò indaffarato
come la mattinata.
Voleva dimenticare entrambi gli incontri e come sempre stare in mezzo
ai libri,
parlare di libri e odorare libri gli fece perdere la cognizione del
tempo e
dello spazio, allontanandolo da quella dimensione e proiettandolo in
un’altra,
dove fortunatamente non esistevano viaggi nel tempo e penetranti occhi
verdi.
Erano quasi le cinque, quando la
porta della libreria si
aprì per l’ennesima volta e, assieme a una folata
di vento leggero, entrò la
risata rumorosa di due ragazzi. Quando Zayn si fece avanti per
accoglierli e salutarli,
notò che avevano più o meno la sua età.
«Ciao, abbiamo saputo che
c’è un volto nuovo in paese!»
scherzò il ragazzo castano, con l’aria gioviale e
una mano tesa che Zayn
prontamente strinse. Si ritrovò a pensare di non aver fatto
altro per tutto il
giorno.
«Sono Louis» si
presentò, prima ancora che Zayn potesse
anche solo pensare di aprir bocca e dir qualcosa. «E lui
è Niall» aggiunse,
dando una leggera gomitata al ragazzo biondo che gli stava accanto e
che
mostrava la stessa espressione vitale.
Si presentò brevemente e
nel giro di qualche secondo scoprì
che nessuno dei due era davvero lì per comprare un libro, ma
che erano solo
curiosi di fare la sua conoscenza.
«Non
c’è mai nulla di nuovo, qui»
chiarì Louis, con un tono
che diceva come non capisse perché qualcuno di giovane si
fosse trasferito in
quel paese disperso e dimenticato da Dio.
Ormai Zayn si era abituato a essere
guardato come una specie
di alieno, dagli abitanti di Little Holmes, quindi
l’affermazione di Louis lo
fece solo sorridere, invece di indispettirlo come probabilmente avrebbe
fatto
in qualsiasi altro momento. O forse era proprio il modo di fare di quei
due
ragazzi a riuscire a farlo sorridere anche per quello studio attento.
«Sicuri di non cercare
nessuna lettura?» chiese, non tanto
perché non avesse apprezzato la compagnia dei due, quanto
più perché entrambi
si stavano guardando intorno interessati.
«Uhm, purtroppo di solito
riesco a leggere solo copioni»
fece Louis.
«Ah, sì? Sei un
attore?» la cosa era piuttosto interessante.
Louis scosse la testa e
spiegò di essere un regista e uno
sceneggiatore teatrale di una piccola compagnia che metteva su
spettacoli su
scala nazionale. Mentre ne parlava, gli si erano illuminati gli occhi,
di un
pacifico azzurro, e Zayn si rese conto che di certo l’altro
amava davvero,
quello che faceva.
«Forse potresti trovare del
tempo per Ben Elton. È divertente»
disse, passandogli Meltdown, una
commedia che, se aveva capito il tipo, avrebbe fatto sbudellare dalle
risate
Louis.
«Ah, non guardare
me» scherzò Niall, quando Zayn spostò
l’attenzione su di lui, mettendo le mani avanti come a voler
sottolineare la
sua affermazione. «Io sono più tipo da pizza e
birra»
Louis alzò gli occhi al
cielo, e, se avesse avuto più
confidenza, probabilmente l’avrebbe fatto anche Zayn: forse
lui era esagerato,
ma davvero com’era
possibile non
avere il minimo interesse per la lettura? Interesse, almeno. Che per
lui quasi
era un insulto.
«A proposito di
birra» subentrò Louis. «Stasera noi
andiamo
con qualche amico al bar che c’è in fondo al
corso, ti unisci a noi?»
Il primo impulso di Zayn fu di
rifiutare. Era solo metà
pomeriggio e lui era stanco morto. E pensava di aver fatto abbastanza
conversazione da bastargli per un anno intero. A ben vedere, aveva
parlato, con
persone che non fossero di famiglia, più in quelle ore che
nell’ultimo anno.
E forse fu la consapevolezza che,
tornato a casa, ad
aspettarlo ci sarebbe stato solo un silenzio assordante e che, se era
lì, era
proprio per liberarsi di tutto – e quale poteva essere un
modo migliore di bere
una birra con dei coetanei che di lui non sapevano nulla? – a
farlo accettare.
«Perché
no?» disse, sorridendo e ascoltando le indicazioni
che gli altri due gli diedero.
«Ci vediamo alle dieci,
allora!» urlò Niall, salutandolo con
la mano, per poi uscire, seguendo Louis e tirandosi dietro la porta.
*
Tornato a casa, aveva fatto una
doccia veloce, mangiato un
pezzetto di formaggio che sua madre gli aveva incartato apposta per
assicurarsi
che non morisse di fame e preso Tenera
è
la notte, che si era auto-comprato quello stesso giorno.
Era così immerso nel suo
mondo, che le nove arrivarono e
passarono. Mancava un quarto d’ora alle dieci e lui aveva
addosso solo i boxer.
Quando si accorse di essere in ritardo, mise giù con fatica
il libro, quasi
intenzionato a dar buca ai due ragazzi, consapevole che in quel piccolo
paesino
li avrebbe rivisti facilmente, in qualsiasi momento. Ci
pensò qualche secondo,
poi – proprio come nel pomeriggio – la voce che gli
urlava di uscire e liberare
la mente (e che assomigliava vagamente a quella di sua madre) prevalse
sulle
sue flebili obiezioni.
Era già piuttosto tardi e
Zayn aveva tutto meno che voglia
di sprecare energie e tempo a scegliere qualcosa di decente per uscire.
Prese
il primo paio di jeans e la prima maglietta puliti che trovò
nella valigia che
dopo un giorno non aveva ancora sfatto e si infilò il solito
paio di scarpe. Si
guardò a malapena allo specchio per assicurarsi di non
essere sporco,
perlomeno, e sorrise un sorriso amaro. Una volta era completamente
diverso;
l’idea di uscire in condizioni meno che perfette lo
orripilava e non era
neanche da prendere in considerazione. Era passato molto tempo,
però, troppe
vicende, troppe giornate vuote, troppo tutto e Zayn era talmente
cambiato che
qualche volta stentava a riconoscersi.
Scrollò le spalle. In
fondo, non gliene importava nulla.
*
Trovare il bar fu facile. Era
l’unico posto, fra tutti i
negozi del Corso, dal quale provenisse qualche rumore, e, anche se
l’indomani
sarebbe stato giorno lavorativo, alcuni ragazzi (molti più
di quanti lui stesso
credeva abitassero lì, almeno) brulicavano intorno al
locale, uscivano ed
entravano, felici che l’aria fosse tiepida e piacevole.
Entrò e
registrò l’atmosfera tenue e confortevole, il
saluto
gentile che gli rivolse il barista sconosciuto e quelli di un paio di
signori,
impegnati a seguire una partita di calcio, signori che quella mattina
erano
venuti a curiosare tra i suoi scaffali, cianciando di nulla, con lui,
per
qualche minuto.
Si guardò intorno, alla
ricerca di Louis e Niall e, proprio
quando li ebbe individuati, il ragazzo castano urlò il suo
nome, facendogli
cenno con la mano di raggiungerli.
Un po’ imbarazzato, si fece
tutta la sfilata in mezzo ai
vari tavoli e quando fu sufficientemente vicino per osservare chi altro
fosse
seduto con i suoi nuovi conoscenti, notò un volto sorridente
e quasi
rassicurante che lo tranquillizzò all’istante.
Non fece neanche in tempo a
realizzare quella sensazione
positiva, che una voce vagamente familiare lo fece voltare, alla
ricerca di una
faccia da abbinarle.
«Che ci fa lui
qui?» il tono a metà tra l’indignato e
lo
sconcertato colorava la voce del ragazzo riccio che si era intrufolato
nel suo
studio senza neanche chiedere il permesso. La strana sensazione che gli
aveva
arrotolato lo stomaco qualche ora prima tornò con forza
addirittura maggiore e
Zayn realizzò per la seconda volta che quell’Harry
(così aveva detto di
chiamarsi, se non sbagliava) proprio non gli piaceva.
Prima che Zayn riuscisse a
difendersi, comunque, intervenne
Niall in suo favore.
«Io e Louis
l’abbiamo conosciuto oggi, quando siamo andati
in libreria» spiegò, come inconsapevole che la
domanda di Harry, più che
ricercare una spiegazione, nascondeva un’accusa.
«Ah, non ci posso
credere» sibilò, con la faccia di una
persona incredula per davvero. «È lui»
sputò, come fosse un insulto.
«Lui chi?» chiese
il quarto ragazzo, quello che ancora non
gli era stato presentato e che aveva una voce dolce tanto quanto
gentile era la
sua espressione.
«Lo stronzo di
oggi» concluse, lapidario. Zayn si ritrovò a
sollevare un sopracciglio, consapevole di non aver fatto una buona
impressione
a Harry, quando quella mattina l’aveva cacciato a malo modo.
Ma riteneva di
avere le sue ragioni, e comunque non gliene importava nulla di
ciò che quel
damerino pensava di lui.
Louis, al contrario,
scoppiò in una risata cristallina e
realmente divertita e questo fece accigliare Zayn ancora di
più, perché,
insomma, anche se non gli interessava, non vedeva cosa ci fosse di
divertente
nell’essere preso a parolacce.
Harry sembrava pensarla allo stesso
modo, se il suo sguardo
truce era di qualche indicazione.
«Non vedo cosa ci sia di
divertente» dichiarò, sprezzante,
dando voce anche ai suoi pensieri.
«Oh, Harry, non te la
prendere» lo rabbonì, senza tuttavia
spiegare nulla. Al contrario, ripeté il gesto fatto poco
prima e invitò Zayn ad
avvicinarsi ancora di più e sedersi accanto a lui.
Tirò un sospiro di sollievo
quando si accorse che l’unica seggiola libera si trovava tra
Louis e lo
sconosciuto. Aveva tutto meno che voglia di sedersi vicino a quel
ragazzino
impertinente e spostare la sedia, nel caso fosse stata accanto a lui,
sarebbe
stato davvero brutto.
«Non far caso al nostro
Hazza, qui» scherzò Louis, dandogli
una leggera pacca sulla spalla, alla quale rispose con
un’espressione
divertita. Poté sentire distintamente uno sbruffo scocciato
uscire dalle
ridicole labbra a cuore che il riccio si ritrovava e senza neanche
accorgersene
il rumore lo indusse a voltarsi verso di lui. Osservandolo da
più vicino e con
un po’ più di calma, riuscì a notare
che la somiglianza con Ed era ben
visibile, ma allo stesso tempo evidenti erano le differenze.
In primo luogo, gli occhi di Edward
non lanciavano fiamme
d’odio.
«Perché
l’avresti invitato?» domandò, la rabbia
e la
frustrazione che crescevano ad ogni sillaba. Zayn iniziava a sentirsi
in
imbarazzo, anche se non avrebbe mai dato la soddisfazione a Harry di
capirlo, e
in più gli stava passando la voglia di star lì
insieme a quei quattro ragazzi.
Quasi quasi gli passava anche la voglia di bersi una birra.
«Te l’avevo detto
che veniva» spiegò calmo Louis, come
l’altro fosse un bambino di tre anni a cui le cose andavano
spiegate mille
volte.
«Sì,
be’, non pensavo fosse lui» Zayn avrebbe quasi
voluto
alzare una mano, come a dire ehm, io
sarei qui, ma era troppo curioso di vedere dove quella palla
al piede
sarebbe andato a parare (stava diventando sempre più
fantasioso con gli
appellativi da dare a Harry. L’intera situazione aveva un suo
lato buffo). «Hai
presente il tizio maleducato di cui ti stavo raccontan-»
«Ehi, non sono io quello
che è entrato senza permesso,
quando il negozio era chiuso» l’interruppe,
perché lui poteva anche star zitto
e buono ad ascoltare, ma a tutto c’era un limite. Harry lo
guardò come avesse
appena detto che l’alcol era stato tolto dal commercio, la
bocca spalancata e
gli occhi fuori dalle orbite.
«Non ci far caso, Hazza
vuole che tutti lo amino» rise
Louis, e Zayn avrebbe quasi voluto dire qualcosa sulla falsa riga di be’, con me casca male ma non
gli pareva
il caso di aprire una faida con quel ragazzo quando stava cercando di
farsi
amici i suoi amici e quando
ignorarlo
sarebbe stato molto più semplice e salutare.
«Io non ci sto capendo
nulla»
«Liam,» disse
Louis, rivolgendosi allo sconosciuto che
finalmente aveva un nome. «non ti preoccupare»
concluse con tono
accondiscendente, al quale Liam rispose con una scrollata di spalle.
Forse era
consapevole che, in fondo, era meglio non confondersi con le questioni
mentali
di Harry. Probabilmente, si disse Zayn, era abituato ai numeri da circo
di quel
Tarzan poco più civilizzato dell’originale.
Fortunatamente, la conversazione
cambiò binari, dopo l’ultima
affermazione di Louis, andando a finire su questioni molto
più leggere, come
l’ultima vittoria del Manchester e lo spettacolo che Louis
stava preparando.
Era Sogno
di una notte
di mezza estate, un classico, affermò, sorridendo,
Louis. Ben presto Zayn
si ritrovò invischiato fino alle spalle nel commento alla
commedia e, senza
troppa sorpresa, notò che Harry era completamente
disinteressato ai loro
discorsi. Non che l’idea che l’altro potesse avere
qualcosa nel cervello, oltre
la segatura, gli avesse mai attraversato la mente, ma se Shakespeare
non
riusciva a ispirarlo, probabilmente la sua prima impressione, quella
volta, era
più che giusta.
Scoprì anche che Louis era
due anni più grande (vecchio non
esiste nel mio vocabolario,
Zayn, l’aveva ammonito quando aveva osato
pronunciare quella parola) di
lui, mentre Liam e Niall avevano la sua stessa età. Harry
era più piccolo di un
anno, non che a lui interessasse, ma Louis l’aveva detto lo
stesso.
A un certo punto era venuto fuori che
Liam era il suo
commercialista; o, meglio, il commercialista di zia Linda, ma Zayn di
certo non
l’avrebbe cambiato, l’assicurò.
C’era qualcosa, in Liam, che gli diceva che
sarebbero potuti diventare buoni amici.
Alla realizzazione del pensiero, la
solita voce pessimista
che l’assillava da troppo gli suggerì che forse
quello sarebbe stato vero
qualche anno prima, quando lui era ancora in grado di tessere rapporti
e
coltivarli; la scacciò e la rinchiuse nella parte
più remota del proprio
cervello, specialmente perché, se era lì, era
proprio per confutare quella
mezza verità.
Proprio mentre stavano decidendo
quando vedersi per
sistemare alcune faccende (di cui, Zayn era certo, non avrebbe capito
nulla),
Harry si alzò, strisciando la sedia per terra e provocando
un rumore che era
fastidioso quanto la sua presenza.
«È arrivato
Anthony, io vado» proclamò, prendendo le sue
cose e salutando con un rapido gesto della mano prima di allontanarsi e
dirigersi verso un ragazzo che era appena entrato.
Zayn non poteva vederlo in faccia, ma
il modo in cui
l’ultimo arrivato si era avvicinato a Harry era
inequivocabile: quell’Anthony
l’aveva appena baciato nel bel mezzo di un bar di un piccolo
paesino di
campagna. Zayn sentì la sua bocca spalancarsi.
Si voltò verso Louis, con
una mezza idea di farsi confermare
quanto aveva visto, perché lui a Bradford aveva avuto
problemi, i suoi vicini
che lo guardavano male, qualche occhiataccia quando passava mano nella
mano
con-.
Non che quello fosse il punto.
Il punto era che wow,
Little Holmes doveva essere un piccolo paradiso davvero.
Il ragazzo più grande
ricambiò lo sguardo.
«Qualche
problema?» chiese, riferendosi ai due ragazzi che
avevano appena lasciato il locale.
Zayn sorrise. «Sarebbe un
po’ ipocrita, da parte mia, se ne
avessi»
Forse, sua madre aveva fatto sul
serio bene a spedirlo in
quella landa desolata.
*
La mattina seguente, la sveglia non
aveva suonato. O forse
aveva suonato e Zayn l’aveva spenta per poi riposizionarsi
più comodamente sul
divano e riaddormentarsi. Ormai era così abituato a non
servirsene più sul
serio, ma a svegliarsi nel cuore della notte senza riuscire
più a prendere
sonno, che neanche registrò il rumore squillante che gli
annunciava l’inizio di
una nuova giornata.
Così, quando un raggio di
sole, filtrato attraverso la
tapparella, gli infastidì gli occhi tanto da farglieli
aprire, si accorse di
essere in ritardo, di avere giusto il tempo di infilarsi due vestiti e
di dover
correre per mezzo paese se voleva arrivare ad aprire la libreria in
tempo.
Ed era solo il secondo giorno. Una
specie di record.
*
La mattinata era trascorsa, grosso
modo, come quella del
giorno precedente, solo che quando era arrivato, davanti alla Casa degli spiriti c’era
già qualche
cliente fuori, ad attenderlo. Si morse la lingua e si scusò
per il ritardo,
invitandoli poi a entrare, con un sorriso.
Una ragazza, poco più
giovane di lui, arrossì e Zayn si
complimentò per essersi fatto perdonare così in
fretta quando un signore gli
disse di non preoccuparsi, caro.
Le ore erano trascorse velocemente e
quella di pranzo era
arrivata in un lampo. Aveva fame, erano quasi le due e non aveva fatto
colazione. Non era riuscito neanche a portarsi nulla per pranzo,
ovviamente, ma
anche se secondo sua madre non mangiava nulla (sei
così magro che prima o poi scompari, lo
rimproverava spesso) e
in effetti negli ultimi tempi gli si era talmente ristretto lo stomaco
da poter
andare avanti con un solo pasto al giorno, l’aria di Little
Holmes aveva
qualcosa che lo rendeva affamato. O forse era la birra della sera prima
che lo
infastidiva con la sua fame chimica.
Radunò le cose che si era
portato dietro, cioè il
portafoglio e il cellulare, che era ancora spento, e si tirò
dietro la porta
della libreria, ricordandosi di chiuderla, perché
l’ultima volta che non
l’aveva fatto aveva avuto una spiacevole sorpresa e non ci
teneva a ripeterla.
Non aveva voglia di chissà
cosa, occhieggiò la pasticceria
che era a meno di tre metri dalla Casa
e si ricordò di Gemma.
Pensò che, magari,
vendevano anche tranci di pizza o che, al
limite, si sarebbe accontentato delle rimanenze della mattina,
ché aveva tutto
meno che voglia di girarsi il corso alla ricerca di qualcosa di
commestibile.
Entrò e
ringraziò il cielo che non ci fosse nessun altro
cliente, la gente che era costretto, per forza e per amore, a vedere in
libreria era sufficiente a fargli uscire dalle orecchie socievolezza a
eoni.
Ammirò il locale, che
aveva un non so che di domestico.
Forse era principalmente dovuto alla parete, alla destra
dell’entrata,
completamente ricoperta di foto ritraenti persone di tutte le
età, ma sempre
sorridenti, che Zayn immaginò essere familiari dei
proprietari. Si avvicinò un
po’ di più, attratto come un pesce
dall’esca, e notò che, non solo i volti
erano più o meno rugosi a seconda degli anni, ma anche che
attraversavano più
generazioni. Intravide l’immagine di una Gemma più
giovane di forse un paio
d’anni, e una più piccola, in braccio a quella che
doveva essere la nonna, e
poco più sotto una foto che gli strappò
un’esclamazione stupita. Anche se lì
doveva avere almeno il doppio degli anni, di certo la persona
immortalata era
Edward. Proprio mentre cercava altre foto dell’uomo che aveva
incontrato il
giorno precedente e che si era ripromesso di non vedere mai
più, incappò
nell’immagine a colori di quello che, proprio come la prima
volta, scambiò per
Ed, ma che in realtà era Harry. E, con il cervello occupato
a fare due più due,
non si accorse che qualcun altro era entrato nella stanza e lo stava
guardando
con irritazione.
«Ancora tu?» e se
lo sguardo non l’aveva strappato dalle sue
elucubrazioni, la voce indignata di Harry lo risvegliò, lo
costrinse a spostare
l’attenzione dalla parete e a girarsi.
Harry aveva addosso un grembiule,
tutto ricoperto di
macchie, e il naso era leggermente imbianchito a causa di farina in
eccesso.
«Non sapevo fossi il
fratello di Gemma» disse, e, proprio
mentre le parole uscivano dalla sua bocca, si ricordò che
proprio da lei aveva
già sentito il cognome di Ed.
Harry lo guardò a
metà tra lo scettico e il perplesso, come
se non capisse che cosa quello c’entrasse, e, in effetti,
Zayn dovette
ammettere con se stesso che la sua risposta, col caloroso
benvenuto di Harry, non c’azzeccava nulla.
«L’ho conosciuta
ieri» spiegò, senza farlo davvero. Le
sopracciglia alzate dell’altro gli dissero che, a lui, non
poteva importarne
meno.
«Sei qui per qualcosa in
particolare?» chiese Harry,
glissando sull’argomento precedente. Zayn si rese conto della
fatica che il più
piccolo stava facendo per cercare di comportarsi gentilmente con lui.
O,
almeno, il più gentilmente possibile.
La cosa quasi infastidì
Zayn di più che se l’avesse buttato
fuori, come aveva fatto lui il giorno prima; si ritrovò con
lo stomaco
improvvisamente chiuso e la fame magicamente scomparsa.
«No»
affermò, e si prese per idiota da solo. Cavolo entri in
un negozio se non vuoi nulla? Il volto di Harry gli disse che lui la
pensava
allo stesso modo. «Ci vediamo in giro» concluse,
anche se il suo tono esprimeva
quanto sperasse accadesse il contrario.
Lo sbuffo con il quale Harry lo
salutò parlava di speranze
simili.
*
Rientrò in libreria
alquanto seccato che il negozio davanti
al suo fosse di quel ragazzino. Quel pensiero svanì in
fretta, però, quando si
ricordò della foto di Ed affissa alla parete.
Se Harry era fratello di Gemma,
faceva anche lui Styles, di
cognome. E, fino a lì, non faceva una piega. Del fatto che
quello fosse anche
il cognome di Edward era certo, e adesso capiva perché
quando si fosse
presentato, il suo nome gli era sembrato familiare: era pessimo,
l’aveva
sentito solo qualche ora prima e comunque non se l’era
ricordato. Fatto stava,
quei tre erano parenti.
Era la fiera del ridicolo. Non poteva
credere che l’uomo che
si era assurto a suo salvatore e confessore fosse parente con il
ragazzino che
da subito gli aveva fatto storcere il naso. La coincidenza faceva quasi
ridere.
E, quel che era peggiore,
l’aveva incuriosito.
Sentì una forza,
svincolata dalla sua volontà, trascinargli
i piedi. Si ritrovò di fronte alla porta dello studio e poi,
in un battito di
ciglia, di fronte alla scrivania.
Senza neanche accorgersene,
aprì il cassetto che fino a
qualche attimo prima era certo non avrebbe riaperto neppure per errore
e ne
tirò fuori il libro.
Era identico a come l’aveva
lasciato, a testimonianza che
quanto accaduto era reale come le mani che lo tenevano sollevato. Si
accigliò.
Era davvero certo di volerlo fare? In fondo, lui sapeva di non volere
nulla, da
Edward, per quanto l’altro non avesse fatto che guardarlo
sicuro di sé e
piuttosto compiaciuto. E comunque tutto quello era assurdo e sciocco e
insensato. E di certo un folle fantasma del Natale passato non era
ciò di cui
aveva bisogno, né, tantomeno, ciò che gli avrebbe
cambiato la vita. Tanto più
che non era neanche sicuro di volerla cambiare.
Ma sua madre glielo diceva spesso,
che la sua curiosità
intellettuale era una delle sue miglior doti, anche se immaginava che
in quel
caso la sua intellettualità c’entrasse ben poco.
Chiuse gli occhi e, dopo aver preso
un profondo respiro,
aprì il libro, incerto su cosa aspettarsi una volta
ritornato alla luce.
*
Edward era seduto al solito posto.
Indossava un completo del
tutto simile a quello della prima volta, pur non essendo il medesimo.
«Ciao, Zayn» lo
salutò, per nulla sorpreso di vederselo
comparire una seconda volta di fronte. Come se l’idea che
Zayn non sarebbe più
tornato non gli avesse mai attraversato il cervello. Il che era
incomprensibile, pensò Zayn; lui era piuttosto certo di
avergli fatto capire
che non avrebbe mai appoggiato quegli incontri surreali. Quasi si
pentì di quel
viaggio.
«Credo di aver conosciuto
un tuo parente» esordì, senza
neanche ricambiare il saluto cortese.
«Oh, davvero?» si
interessò Ed, portando lentamente una mano
sotto il mento, cercando una posizione comoda.
«Uhm, un tuo qualche
nipote, possibile?» era giunto alla
conclusione che Ed potesse essere il nonno o uno zio di Harry.
«È possibile,
certo. Ma credo di saperne meno di te» rispose
il vecchio.
Zayn alzò un sopracciglio;
quello non aveva senso.
«Questo no-»
iniziò a controbattere, per poi interrompersi
da solo, perché, in effetti, per quanto nella sua testa
continuasse ad
appellarlo vecchio, non
c’era verso
che, lì, in quel tempo, Ed avesse un nipote. Cavolo, forse
non aveva neppure
dei figli.
«Già»
disse invece. «immagino tu abbia ragione»
«Adesso sono curioso,
però» disse Ed, facendogli, con un
gesto della mano, segno di sedersi. «Raccontami un
po’ di questo mio parente»
«Ma non è che
dopo interferisce con il futuro?» perché, in
tutti i film che aveva visto, quello era proprio il rischio
preventivato e
quello che accadeva ogni volta era proprio qualche sconvolgimento nella
dimensione di provenienza dello sfigato protagonista. La sua vita era
già
abbastanza disastrosa, non pensava che cercarsi guai da solo fosse una
mossa
molto intelligente.
«No, non davvero»
affermò, e forse dovette notare lo sguardo
scettico di Zayn, perché continuò. «Non
funziona così. È un po’ come se noi
esistessimo
in due mondi che vivono uno nel futuro dell’altro, ma che
tuttavia sono
completamente distinti. Per esempio, immagino di essere esistito, nel
tuo
mondo, e di essere stato amico di Linda, proprio come lo sono nel mio,
se tu,
suo nipote, sei qui e parli di un mio discendente. Ma, non è
detto che ciò
avvenga inevitabilmente. Se nel tuo mondo avessi scelto di non sposarmi
o di
non avere figli o semplicemente fossi morto troppo giovane, il tuo
amico non
sarebbe mai nato. Mi capisci?»
«Chi ha parlato di un
amico?» più o meno aveva capito, anche
se qualche dubbio lo aveva ancora. Ma se di una cosa era certo,
be’, quella era
che lui e Harry erano tutto meno che amici.
«Da come ne parli, sembra
che tu e il mio discendente non
abbiate avuto un incontro felice» Zayn sbuffò.
Quell’uomo parlava per
eufemismi, oltre che con espressioni desuete fin dal medioevo.
«Harry. Discendente me lo
fa sembrare un nobile o una
qualche cazzata del genere» lo corresse. «e ti
giuro, Harry è un principino, ma
non del tipo che pensi tu» e magari non lo conosceva molto,
ma aveva capito il
tipo, uno di quelli che se ne va in giro come se il mondo fosse il suo,
entrano
dove non devono e protestano se altri si permettono di sedersi a un
tavolo,
neanche lo possedessero. Imbecille.
«Harry»
ripeté Ed, assaporando il nome, neanche fosse un
pasticcino prelibato. All’idea, gli tornò un
po’ di fame.
«Siete molto
simili» disse, senza un vero motivo.
«La devo prendere come
un’offesa, visto come parli di lui?»
chiese Edward, sorridendo.
«Intendo
fisicamente» specificò. «La prima volta
che l’ho
visto, subito dopo aver incontrato te, mi è preso un
colpo»
«È un bel
giovanotto, allora» dichiarò e Zayn poteva quasi
immaginare quelle medesime parole uscire dalla bocca dello Styles del
suo
mondo.
«Forse siete simili anche
caratterialmente» sibilò,
provocando una mezza risata nell’uomo seduto davanti a lui.
«Quindi»
continuò, riprendendo il filo del discorso
precedente, perché di Harry avevano già parlato
troppo. Zayn credeva che anche
due parole fossero più che sufficienti. «non
è detto che in questo mondo io
nascerò»
«Non è
detto» confermò Ed, senza mostrarsi stupito della
deviazione dei suoi pensieri.
Zayn annuì lentamente.
Continuava a dirsi che, in ogni caso,
non gli importava molto se quelle brevi chiacchierate avrebbero, o
meno,
influenzato le loro due realtà, anche perché non
ne sarebbe seguita una terza.
Due erano più che in grado di renderlo pazzo e di fargli
questionare la sua
stabilità mentale per tutta la vita.
Tanto più che, come aveva
sempre sostenuto, tutto ciò era
più che inutile. Ciò che non è utile
è dannoso. Qualcuno l’aveva detto, anche
se al momento non si ricordava chi.
Non era dell’idea che
parlare con Edward lo danneggiasse
davvero, e non è che gli portasse via tempo prezioso, ma
semplicemente non ne
sentiva il bisogno e, comunque, la prospettiva di affidarsi a quella
specie di
psicologo non gli piaceva proprio.
«Tu e mia zia
l’avete mai usato? Il libro, intendo» se ne
uscì, curioso di sapere se qualcun altro avesse fatto la sua
stessa esperienza
e ne fosse uscito indenne.
Zayn notò un cambiamento
nell’espressione dell’altro. Era
come se la domanda l’avesse trasportato mentalmente in
un’altra dimensione,
mentre il corpo fosse rimasto lì, in una specie di trance.
Tossicchiò, per stemperare
l’atmosfera, e Ed parve
risvegliarsi dalla momentanea incoscienza.
«Sì.
Sì, certo» affermò.
«E
com’è stato?» chiese, più
curioso che realmente
interessato.
«Per ognuno è
diverso, immagino» rispose, senza centrare la
domanda.
Zayn se ne stette in silenzio, un
po’ perché preso da quello
studio reciproco, un po’ perché in attesa che
Edward aggiungesse altro. Se il
viaggio non era il suo e la psiche indagata quella di qualcun altro,
allora
Zayn poteva anche restar tranquillamente lì, ad ascoltare
qualunque cosa Ed
avesse voluto raccontargli.
«Direi che per me sia
stato… illuminante, quasi»
C’era altro, Zayn poteva
vederlo; ma allo stesso tempo,
sembrava che il vecchio non ne volesse parlare.
Senza che se ne accorgesse, quelle
parole dovevano essergli
scivolate dalla bocca, perché Zayn sentì Ed
continuare.
«Non adesso. Magari la
prossima volta» decise.
Zayn avrebbe voluto chiedere perché, ma poi si
fermò, accorgendosi che Edward l’aveva
incastrato; e magari lui era un po’ bipolare e volubile e
lunatico, ma era
anche curioso come un bambino e sapeva che, anche se due minuti prima
avrebbe
detto, a chiunque gliel’avesse chiesto, che no, con il Libro
Nero aveva chiuso
per sempre, il suo naturale desiderio di conoscenza avrebbe prevalso,
nella sua
mente, su tutto quello che gli urlava quanto bislacca fosse
l’intera
situazione.
E si sarebbe anche dato un pugno,
perché aveva sentito la
voce dei suoi pensieri utilizzare le maiuscole, per
quell’oggetto mortifero
(che, a quanto pareva, era più innocuo di una formica), e
– quel che era peggiore
– Edward sembrava essere giunto alla sua stessa conclusione,
se il sorriso
soddisfatto e vagamente beffardo, che non faceva nulla per nascondere,
era di
qualche indizio.
Si afflosciò sulla
poltrona, chiedendosi quando gli fosse
stato portato via l’ultimo barlume di sanità
mentale che ancora conservava.
Come previsto, nessuna risposta
arrivò magicamente
dall’alto.
*
A metà pomeriggio, in un
remake quasi perfetto del giorno
precedente, Louis entrò in libreria. Al posto di Niall, ad
accompagnarlo c’era
una ragazza dal viso gentile e il sorriso aperto.
Si chiamava Eleanor e, con
felicità e orgoglio, il ragazzo
affermò che entro un paio di mesi sarebbe diventata sua
moglie.
A Zayn, Louis piaceva sul serio. Era
un ragazzo simpatico e
si considerava fortunato per aver conosciuto lui, Niall e Liam. Quindi,
cercò
con tutto se stesso di nascondere la reazione che gli sorgeva spontanea
ogni
volta che qualcuno parlava di matrimonio, perché immaginava
che, se l’altro
avesse visto la sua espressione, probabilmente l’avrebbe
scambiata per
disgusto, e comunque Louis, per quanto poco lo conoscesse, doveva
essere uno di
quei tipi che non si vergognano a fare domande neanche quando sono
imbarazzanti.
Qualsiasi tipo di domanda era
l’ultima cosa che Zayn cercasse.
*
Quella sera, accese il cellulare per
la prima volta da
quando si era trasferito. Gli arrivarono immediatamente le mille
segnalazioni
delle chiamate che qualcuno aveva provato a fare in quel lasso di tempo.
Neanche a farlo a posta, lo schermo
del telefonino si
illuminò dieci secondi dopo.
Era sua madre. Quando rispose, si
accorse che forse l’aveva
fatta preoccupare, visto che non si era neanche degnato di farle sapere
che
stava bene, che era arrivato e che mangiava regolarmente, come avrebbe
fatto
qualsiasi figlio normale.
Si scusò ripetutamente,
perché, farla stare in pensiero era
l’ultima cosa che volesse.
«Ti trovi bene?»
chiese, apprensiva.
«Sì,
mamma» rispose, alzando gli occhi al cielo, ché
tanto
lei non lo poteva vedere
Gli raccontò della serata
passata con Louis e gli altri,
glissando completamente su Ed, perché probabilmente lei
l’avrebbe dichiarato
schizofrenico e l’avrebbe fatto internare. Poi si sarebbe
strappata i capelli
dalla disperazione e dal dolore.
No, grazie.
Trisha si dimostrò quasi
più stupita che felice, perché – in
effetti – la facilità con cui aveva conosciuto
altre persone aveva del
miracoloso. Quella doveva essere un’altra delle innumerevoli
capacità magiche
dell’aria di Little Holmes. Non le rivelò neanche
quell’ipotesi, perché non
aveva senso.
Dopo altri cinque minuti di
chiacchiere, gli passò le sue
sorelle che erano felici quanto lui di sentirlo.
Le ragazze gli mancavano quanto
l’aria e il sentirle parlare
concitate al telefono acuiva quella sensazione che cercò di
soffocare con tutto
se stesso.
Quando gli ebbero raccontato tutto
quello che si era perso
in quei due giorni, le salutò con affetto nella voce e un
peso nel cuore, e
senza neanche cambiarsi si buttò sul divano e chiuse gli
occhi.
*
Era venerdì sera e stava
frugando nell’armadio, alla ricerca
di qualcosa che si addicesse a una festa.
Louis gli aveva detto che ogni anno
celebravano l’imminente
arrivo dell’estate e che tutta la componente giovanile della
città avrebbe
partecipato. L’organizzatore era, come sempre e come per ogni
evento degno di
quel nome, Niall, che pensava a tutto, dal cibo alle decorazioni. Tutti
scherzavano dicendo che quella fosse la sua vera vocazione e che, dare
party,
gli riuscisse meglio che curare animali. Zayn aveva strabuzzato gli
occhi
quando il biondo gli aveva parlato del suo lavoro, ma evidentemente
l’apparenza
inganna e quella ne era la prova lampante. Con tutto il suo parlare di
cani,
quasi gli aveva fatto venir voglia di prendere un cucciolo. Sarebbe
stato un
po’ complicato, però, visto che viveva in un
piccolo appartamento di un
condominio; anche se aveva come l’impressione che nessuno
avrebbe obiettato
nulla, se un giorno fosse tornato a casa con un cagnolino.
Ritirò fuori una camicia
non troppo casual né troppo
elegante che non ricordava neanche più di avere. Era passato
così tanto tempo
dall’ultima volta che si era dovuto agghindare per uscire che
non si ricordava
neppure da dove iniziare a prepararsi.
S’infilò
svogliatamente gli indumenti che aveva scelto e poi
spostò la sua attenzione ai capelli, che erano il suo punto
di forza e il focus
di tutte le sue cure da sempre.
Da ragazzino si pavoneggiava con un
ciuffo
antigravitazionale, che da qualche tempo ormai aveva sostituito con
un’acconciatura più tranquilla. I capelli se ne
stavano un po’ sparati ovunque,
senza un reale senso, e Zayn non fece altro che passarci un paio di
volte le
mani inumidite per rabbonirli un po’ e poi lasciarli stare
così com’erano. Non
si lamentava del risultato, però.
Con un sospiro esageratamente
pesante, prese chiavi di casa
e giacchetto, e uscì.
*
Come con ogni altro locale del paese,
anche identificare
quello era stato semplice. In realtà non era né
un pub né una discoteca. Era,
più che altro, una grande sala che sarebbe stata del tutto
anonima se non fosse
stato per l’intervento di Niall.
Troppo occupato ad ammirare il suo
operato e a confrontarlo
ironicamente con le stanze nelle quali, nei film adolescenziali, si
tengono i
balli di fine anno, in un primo momento non notò la presenza
di nessuno che
conoscesse: per questo quando sentì il suo nome venir
urlato, ripetutamente e a
volume sempre più alto, da una voce squillante, quasi gli
prese un colpo.
«Oh, finalmente»
lo accolse Louis, quando Zayn si voltò
verso di lui e Liam.
«Ehi»
salutò. «Grazie per avermi invitato»
disse, poiché gli
sembrava la cosa più educata da fare.
Evidentemente non era
così, perché entrambi lo guardarono straniti.
«Tu sei strano»
disse Louis, e Zayn pensò che quella fosse
la cosa più assurda che qualcuno gli avesse mai detto,
perché, seriamente, se
lui era strano, allora Louis cos’era? L’altro forse
gli lesse nel pensiero e
sorrise, complice. Liam scrollò le spalle, come se fosse
abituato
all’insensatezza di Louis, e per la prima volta dopo tanto
tempo Zayn si
ritrovò a pensare che sarebbe piaciuto pure a lui assuefarsi
alla pazzia del
più grande, e alla tranquillità di Liam e alla
voglia di vivere di Niall.
«Niall
dov’è?» chiese a un certo punto, dato
che, pur
guardandosi intorno, non riusciva a scorgerlo da nessuna parte.
«Qua e là. Non
lo puoi mai sapere davvero» Liam prese la
parola. «Magari, fra tre secondi ti compare davanti, poi
sbatti le ciglia e già
non c’è più»
E nemmeno quello fosse stato un
incantesimo magico, un
braccio si posò sulle sue spalle e l’accento
inconfondibile di Niall gli ferì
le orecchie. Si voltò a guardarlo e a ricambiare saluto e
sorriso, ma poi si
rabbuiò, quando notò che assieme al biondo era
arrivato anche Harry.
Non che avesse davvero osato sperare
che l’altro non fosse
lì, ma di certo avrebbe voluto evitarlo il più a
lungo possibile.
L’altro lo stava osservando
come se condividesse in pieno i
suoi pensieri, e la strana sensazione che l’aveva colpito
durante il loro primo
incontro ricomparve più forte che mai. Almeno,
però, questa volta poteva
giustificarla.
«Vieni a bere
qualcosa» urlò Niall, inconsapevole del suo
turbamento.
Zayn si riscosse e annuì,
lasciando che Niall lo spingesse
fino al tavolo delle bibite, dove si accorse che avrebbe potuto trovare
qualsiasi cosa la sua gola desiderasse.
Optò per una birra;
ubriacarsi non era proprio nelle sue
intenzioni. Aveva scoperto che, per quanto fosse momentaneamente
liberatorio,
lo stato d’ebbrezza era soprattutto una gran puttana,
nascondeva i problemi
solo per risputarteli addosso con forza decuplicata, affondandoti in
uno stato
di miseria e di tristezza superiore al precedente. In più,
si sommavano mal di
testa e di stomaco vari, e comunque Zayn il giorno dopo doveva lavorare.
*
La musica era assordante e niente
affatto il suo tipo.
A un certo punto era quasi andato a
sbattere contro Gemma
(oppure era lei a essere finita addosso a lui, ma con tutta la gente
che c’era
e lo comprimeva da parte a parte non avrebbe saputo dirlo). La ragazza
lo
salutò con calore, neanche fosse stata la sua più
grande amica e quello gli
disse che Harry non doveva averle raccontato nulla della loro reciproca
antipatia. Fece quattro chiacchiere con lei, fino a quando non venne
raggiunta
da quello che lei gli presentò come il suo compagno e che
smise di guardarlo
male solo dopo che fu pronunciato il nome di zia Linda. Evidentemente
doveva
aver pensato che nessun parente della donna potesse essere
così terribile da
provarci con la sua ragazza.
Gemma lo salutò, allegra,
prima di stringere una mano
all’uomo e tirarselo dietro fino alla pista da ballo.
Si guardò un po’
intorno, alla ricerca di un posto un po’
isolato, dove avrebbe potuto tranquillamente finire il suo drink. Non
aveva
davvero voglia di tornarsene a casa, ma in mezzo a tutta quella gente
si
sentiva un po’ soffocare. Decise che cinque minuti di calma
non potevano che
fargli bene.
Si appoggiò alla parete
più lontana dalla pista e dai
tavoli. Era ancora attorniato da un numero sufficiente di gente da non
farlo
sembrare un completo idiota. Era perfetto.
*
Si accorse della presenza di una
spalla contro la sua solo
svariati momenti dopo.
Era Liam, silenzioso come una pantera.
«Ehi» disse,
poiché evidentemente era diventato il suo modo
preferito di salutare.
L’altro sorrise.
«Ti scoccia?» chiese, alludendo alla sua
presenza.
«No, certo che
no» perché in fondo Liam era capace di non
intaccare la sua pace, ma anzi di rinvigorirla. Era qualcosa che aveva
notato
anche la sera in cui si erano conosciuti ed era un effetto che in pochi
erano
stati in grado di esercitare su di lui.
A essere sinceri, solo Andrew
c’era riuscito, prima di lui,
e benché la sensazione fosse simile, allo stesso tempo, era
completamente diversa.
Andrew ci riusciva perché
lo conosceva bene come nessun
altro, sapeva come trattarlo e come parlargli, e quello lo riscaldava e
gli
faceva battere forte il cuore; nel caso di Liam, sembrava quasi un
dono, e Zayn
aveva come l’impressione che il ragazzo ci riuscisse con
tutti.
Come fosse stato un flash, si
ricordò di una cosa che Louis
aveva detto, la sera del pub, e poi lui non aveva avuto
possibilità di
approfondire.
«Davvero hai fatto parte
della squadra olimpica?» chiese,
ché, se non si sbagliava, il più grande aveva
commentato la resistenza di Liam
(che ovviamente era arrossito, perché non c’era
verso che l’altro ne avesse
fatto parola in riferimento alla corsa).
«Sì, dovevo
partecipare alle Olimpiadi di Pechino, ma poco
prima di partire mi sono distrutto un tendine del ginocchio e
puff» raccontò,
come se quello non fosse qualcosa accaduto a lui e che avesse distrutto
ogni suo
sogno di gloria. Liam doveva aver notato lo stupore sul suo volto,
perché
aggiunse: «I primi tempi sono stati duri, ero arrabbiato col
mondo, ma
soprattutto con me stesso, per non essere stato abbastanza attento. Ma
poi ho
capito che la corsa non era tutta la mia vita e che, se avessi smesso
di
piangermi addosso e rimpiangere quello che avevo perso, sarei potuto
tornare a
essere felice per tutto quello che mi era rimasto. In realtà
è tutto merito
loro» affermò Liam, indicando con un cenno della
testa Louis e Niall che a una
decina di metri stavano ridendo a crepapelle. «E di Harry,
ovviamente»
aggiunse.
Zayn sbuffò,
perché l’idea che Harry fosse in grado di
risollevare il morale a qualcuno gli pareva la più sciocca
delle barzellette.
«Non andate molto
d’accordo, eh?» se ne uscì, retorico,
Liam.
Zayn scrollò le spalle; in
fin dei conti non gliene
importava poi molto. Sperava solo che quello non avrebbe inficiato il
rapporto
che aveva iniziato a istaurare con gli altri tre; per il resto Harry
poteva
fare e dire e comportarsi come voleva.
«Vado un attimo al
bagno» dichiarò. «Torno subito»
*
Si stava asciugando le mani, quando
da uno dei cubicoli
sbucò fuori proprio Harry.
Che, a dirla tutta, aveva un volto
orribile. O, comunque, il
più orribile possibile, considerando che, anche se non gli
piaceva ammetterlo
(neppure solo a se stesso), l’altro fosse uno dei
più bei ragazzi che avesse mai
visto.
E Zayn non era mai stato insensibile
alla bellezza, anche se
quella non era una cosa essenziale o che fosse di per sé
sufficiente.
Il fatto che, a prescindere da tutto,
Zayn trovasse Harry la
persona più insopportabile che conoscesse, la diceva lunga.
Harry si fermò,
interdetto, quando lo notò. Ricambiò
l’occhiataccia che probabilmente era incollata sulla sua
faccia e Zayn poté
notare che l’altro non solo doveva aver passato le mani tra i
suoi capelli così
tanto da renderli quasi lisci, ma che aveva anche gli occhi oltremodo
arrossati.
«Stai da favola»
commentò, un ghigno antipatico che si
apriva sul suo volto. Harry strinse gli occhi e aprì la
bocca, pronto a
ribattere con lo stesso tono. Poi la richiuse, forse pensando che non
ne
valesse la pena. Senza calcolarlo, lavò le mani e
uscì dal bagno, lasciando
dietro di sé uno Zayn interdetto.
Non avrebbe saputo dire se per la
rabbia o qualcos’altro che
proprio non riusciva a catalogare.
Scrollando la testa, decise che
doveva essere rabbia per
forza, perché nient’altro avrebbe avuto senso, e,
seguendo l’esempio del più
piccolo, uscì a sua volta.
*
Guardò
l’orologio e decise che era abbastanza tardi da
potersene andare a casa senza che nessuno protestasse. In
realtà, Louis ci
aveva provato, ma Zayn era stato così bravo da non lasciarsi
convincere.
L’aria fresca gli
sferzò il viso, quando lasciò la sala, e,
rispetto al caldo e all’aria consumata che si respirava
dentro, quello era un
piacevole cambiamento.
Frugò nelle tasche alla
ricerca del cellulare, nel caso la
madre l’avesse cercato, quando i suoi occhi furono
catalizzati da due figure
appoggiate al muro, a poca distanza da lui.
Non riconobbe l’uomo di
spalle, ma l’altro era Harry, i suoi
ricci scomposti e le mani tra i capelli di quello che doveva essere
Anthony.
Si accorse che li stava fissando,
solo quando il più piccolo
spalancò gli occhi e lo notò a sua volta. Si
sentì quasi arrossire, tanto più
che Harry aveva inclinato la testa e adesso il suo ragazzo gli stava
probabilmente succhiando la pelle del collo. Harry continuava a
fissarlo, e
Zayn non sapeva decidere se fosse perché era troppo preso da
quello che l’altro
gli stava facendo per curarsi di lui o perché era un
po’ esibizionista e la sua
presenza lì lo eccitava.
Magari gli stava solo lanciando il
malocchio e, entro due
minuti, sarebbe stato investito da un’auto.
Decise che, se l’altro
proprio non voleva smettere di
guardarlo, sarebbe stato lui il primo a voltarsi e ad andarsene, ma
forse Harry
gli aveva letto nel pensiero perché lui non aveva ancora
mosso un passo, quando
l’altro afferrò il colletto della maglia di
Anthony e fece scontrare
furiosamente le loro labbra.
Decisamente un esibizionista,
pensò Zayn mentre si
incamminava verso casa.
*
«Non cerco
nulla,» mise le mani avanti «sono solo
curioso»
Era vero e si sentiva in dovere di
metterlo in chiaro con
Ed, che comunque continuava a osservarlo con
quell’espressione che avrebbe
volentieri strappato dal suo bel viso. Lo innervosiva; forse era
qualcosa che i
membri della famiglia Styles avevano in comune.
Si mise seduto senza aspettare un
invito che, sapeva, sarebbe
arrivato lo stesso.
«Curioso di
cosa?» chiese, come non fosse abbastanza ovvio
di suo.
Zayn avrebbe volentieri alzato gli
occhi al cielo. «Be’, non
capita tutti i giorni di andare a spasso per il tempo»
affermò, invece.
Edward sembrò dargli
ragione con uno sguardo.
«Voglio capire meglio come
funziona, tutto qui» aggiunse,
scrollando le spalle.
«Te l’ho
spiegato, come funziona»
Sì, ok. Gli aveva detto
due parole in croce a far tanto.
«Sì,
ok» disse anche ad alta voce. «Ma voglio vedere se
facendo questa cosa ci saranno
cambiamenti nel mio mondo» specificò, neanche lui
troppo sicuro di cosa volesse
sapere davvero. «Che ne so,» aggiunse a
mo’ di battuta. «magari il tuo nipotino
potrebbe scomparire»
Edward lo guardò come a
dire: era una battuta?, tesoro, allora devi
applicarti di più, ma Zayn
era fuori allenamento e pensava che quella come scusa fosse
più che valida.
«Sei nato a Little
Holmes?» Edward gli domandò, invece.
Un po’ stupito,
spiegò che no, era di Bradford e che si era
trasferito lì da poco, da quando sua zia era morta e lui
l’aveva sostituita
alla libreria.
Quello sembrò lo spunto
che l’altro stava aspettando per
tartassarlo sulla sua vita, e Zayn rimpianse di essere tornato
lì per
l’ennesima volta.
«Che facevi a
Bradford?»
Zayn scrollò le spalle,
senza davvero aver voglia di
parlarne. Di parlare di nulla che lo riguardasse, in realtà.
Non capiva cosa il
passato potesse azzeccarci col suo futuro. Avrebbe preferito parlare
della vita
di Ed, quello era poco ma sicuro.
Come che fosse, si ritrovò
a raccontare di quando aveva
scelto di fare Inglese, all’università, e di come
i suoi genitori si fossero un
po’ preoccupati perché aveva poche
possibilità di sbocco lavorativo, in quel campo.
Ma lui era sempre stato un po’ testardo e, se c’era
una cosa di cui era sicuro
nella vita, era che quella e nessun’altra era la sua strada.
Non era una
persona fatalista, ma almeno quella convinzione si era rivelata
veritiera più
volte.
Raccontò del suo primo
incarico da insegnante; con
nostalgia, ricordò di quando in classe nascevano aspri
dibattiti su quale
tragedia di Shakespeare fosse più romantica, e con
divertimento, delle volte in
cui aveva trovato bigliettini innamorati nel suo cassetto: erano
perlopiù frasi
estrapolate da canzoni famose, qualcuna proveniva dritta-dritta da
Byron o
Keats. Qualche verso non l’aveva mai riconosciuto e
probabilmente era stato
scritto di proprio pugno da una sua studentessa.
Era qualcosa di infinitamente tenero
(anche se un po’ ridere
lo faceva davvero), e Andrew l’aveva pensata allo stesso modo.
Con un salto pindarico,
finì per parlare delle sue sorelle,
di quanto lo sconcertasse che Wahilya sarebbe partita presto per il
college,
mentre Safaa era quasi una signorina. Doniya gli mancava più
di tutte, perché
anche se lei era più grande e se ne era andata di casa prima
di lui e ormai
sarebbe dovuto esser abituato alla sua lontananza, in realtà
era sempre stata
la sua confidente e lui il suo, si sostenevano a vicenda, e si
supportavano
sempre. Spesso si sopportavano,
anche, perché erano diversi come il sole e la luna.
«E non hai lasciato nessun
altro a Bradford? Una fidanzata,
magari» s’impicciò il vecchio.
Zayn non sapeva se arrossire o
scoppiare a ridere. Optò per
l’ultima, perché tutto in Ed era così
antiquato da essere al limite del
paradossale, e lui sapeva che l’altro non ne aveva colpa e
che probabilmente
anche lui gli faceva un effetto strano, ma non riuscì
davvero a controllarsi.
Cercò di riprendersi in
fretta, però, ché l’altro aveva
preso a guardarlo come se non capisse cosa ci fosse da ridere e Zayn
fosse
impazzito.
«No, nessuna
ragazza» rispose. «Sono omosessuale»
specificò.
E magari adesso Edward
l’avrebbe guardato a metà tra
l’indignato e l’impaurito perché quello
era il 1950 e lui non poteva pretendere
di incontrare apertura mentale in quegli anni quando spesso mancava
ancora nel
suo mondo; ma non nascondeva quella che considerava una parte di
sé al pari
delle proprie mani da quando aveva sedici anni e, facendosi coraggio,
l’aveva
detto ai suoi genitori, di certo non avrebbe iniziato a farlo a
ventotto con
uno sconosciuto da cui non cercava né stima né
approvazione.
«Allora,» rispose
Ed, senza minimamente scomporsi. «nessun
fidanzato?»
Con la bocca mezza spalancata, Zayn
non sarebbe stato più
sorpreso neanche se gli avessero detto che l’indomani il sole
sarebbe sorto a
Ovest.
*
Erano passate due settimane dai
festeggiamenti fatti per
l’arrivo dell’estate. Si erano rivelati
propiziatori, perché il caldo li aveva
assaliti come fosse stato invocato e Zayn aveva iniziato a dormire con
le
finestre spalancate.
A Little Holmes non pioveva mai e il
paesino sembrava non
conoscere la nebbia: Zayn aveva pensato di stilare una lista delle
stranezze
del posto, ma poi aveva rinunciato, perché quello aveva le
connotazioni di un
lavoro colossale e lui si era stancato ancor prima di cominciare.
Uscì dalla libreria che
ancora non era completamente buio,
pur essendo le otto passate.
Se ne sarebbe tornato tranquillamente
a casa come sempre, se
un pazzo furioso non gli fosse finito contro, rischiando di farlo
cadere,
mentre se ne fuggiva dalla pasticceria degli Styles. Con uno sguardo
fugace,
riconobbe la corporatura di Anthony rimpicciolirsi sempre di
più e poi uscire
dal suo campo visivo.
Si voltò a guardare dentro
il locale. Harry se ne stava
dietro il bancone, con indosso lo stesso grembiule che aveva quasi un
mese
prima e le mani tra i capelli, le punte delle dita che massaggiavano
lentamente
le tempie.
Sebbene lui fosse uscito altre volte
con tutto il gruppo,
non riusciva proprio a mandar giù l’altro, che, da
parte sua, non faceva nulla
per farsi piacere. Ma vederlo così abbattuto,
l’avrebbe quasi spinto a entrare
e provare a confortarlo.
Aveva come l’impressione,
però, che l’ultima persona che Harry
desiderasse vedere in quel momento fosse proprio lui.
Quando il più giovane
alzò gli occhi e li incrociò con i
suoi, ebbe conferma di quanto ipotizzato. Harry lo fulminò
con lo sguardo e si
avvicinò. Proprio quando Zayn era certo che avrebbe
spalancato la porta
d’ingresso e gli avrebbe urlato contro, Harry spense le luci
e tirò giù la
saracinesca, escludendosi al suo sguardo.
*
«Harry non viene neanche
stasera?» chiese Niall, con la
testa infilata dentro il frigorifero, mentre tirava fuori, una dietro
l’altra,
bottiglie di birra per tutti.
Tutti si voltarono verso Louis, che
sembrava sempre sapere
cosa facesse, pensasse, dicesse Harry.
«Mi ha detto che stava poco
bene» riferì quest’ultimo, ma
Zayn avrebbe capito che Louis non ci credeva nemmeno un po’
anche se non avesse
assistito a quella mezza scenata, solo un paio di ore prima. E, ok, a
pensarci
bene, magari non era proprio una bugia, che Harry stesse male.
Aveva una mezza idea di raccontar
quanto fosse successo, ma
poi ci ripensò: se l’altro avesse voluto farlo
sapere, l’avrebbe detto lui
stesso. E comunque, non è che lui avesse più che
una vaga idea di quanto fosse
accaduto davvero.
E, inoltre, anche se nessuno
l’aveva mai detto, sembrava che
Anthony stesse un po’ sulle palle a tutti. Immaginava che se
avessero saputo
che nel tardo pomeriggio si era comportato come un pazzo invasato,
lasciando
Harry ad arrovellarsi in pasticceria, su cosa di preciso non sapeva,
Louis
avrebbe serrato la mascella, Liam i pugni e Niall avrebbe storto il
naso
(perché Niall non riusciva a pensar male di nessuno e, per
lui, tutto era un
arcobaleno).
Non voleva rovinare la serata, tanto
più che probabilmente i
due avevano già risolto per conto loro, per cui se ne stette
buono e muto.
Si alzò per andare in
bagno e dette uno sguardo alla casa.
Era la prima volta che si vedevano da Niall per quella che gli altri
chiamavano
una serata tra ragazzi. Di solito la
facevano da Louis, ma quella sera Eleanor aveva programmato una pizzata
con le
amiche, per cui Niall aveva offerto il suo appartamento. Era pieno di
foto che
ritraevano il biondo con qualche animale: il suo preferito, quello che
ricorreva più spesso, era un meraviglioso pastore tedesco,
che sembrava
innamorato di Niall, quanto l’Irlandese lo era di lui.
Perso tra i pensieri, non si era
neanche accorto che gli
altri lo stavano aspettando per una partita super agguerrita a Trivial
Pursuit.
La prima volta che ci avevano giocato, Zayn li aveva guardati male,
perché,
cavolo, mica avevano più quindici anni. Poi, dopo una sola
partita, aveva
cambiato completamente opinione. Quell’affare era
meraviglioso e ci avrebbe
passato sopra le ore.
Una volta, Liam aveva portato Taboo,
invece. Avevano urlato
così tanto, che la vicina per poco non aveva chiamato i
carabinieri.
*
A serata finita, si avviò
verso casa. Niall abitava vicino a
Louis ed entrambi stavano a un paio di chilometri di distanza da lui.
Liam
abitava dalla parte opposta del paese, invece.
Il caso, o la sfiga, aveva voluto che
Harry abitasse a due
palazzi dal suo, ma saperlo gli era poco utile, visto che, di certo,
non
sarebbe mai andato a citofonargli a casa.
Decise di passare per il minuscolo
parco che c’era dietro la
schiera di palazzi del quartiere, piuttosto che continuare per la
strada
asfaltata. Avrebbe allungato un po’, con quella deviazione,
ma gli piacevano
l’odore degli alberi e il rumore del vento tra le fronde.
A metà, quasi
inconsapevolmente, rallentò il passo.
Se il destino c’entrava
qualcosa, doveva proprio odiarlo.
Per la seconda volta nello stesso
giorno, infatti, si trovò
di fronte la figura di Harry, ma quella volta non c’erano
vetri a dividerli, e
Zayn pensò che magari sarebbe riuscito a oltrepassarlo senza
che l’altro si
accorgesse di lui: in fondo, sembrava particolarmente intento a
fissarsi le
scarpe.
Proprio mentre formulava quel
pensiero, Harry alzò la testa
e posò gli occhi su di lui.
Zayn poteva quasi giurare che
l’altro era arrossito, anche
se il buio lo nascondeva bene: non avrebbe saputo dire se per imbarazzo
o per
rabbia.
«Mi segui?» quasi
gli ringhiò Harry, senza neanche
salutarlo.
Zayn lo guardò come fosse
pazzo. «Secondo te?» chiese,
retorico.
L’altro scrollò
le spalle, come se in realtà non gliene
importasse nulla.
Zayn non si era mai sprecato a
osservare davvero Harry, non
conosceva tutte le sue espressioni come Louis e gli altri, ma, se
avesse
potuto, avrebbe scommesso che la linea delle spalle, che era talmente
curva da
creare un semicerchio perfetto, e i capelli, che erano così
arruffati che forse
Harry non li lavava da troppo tempo, parlavano di tutto, meno che di
spensieratezza.
Ma, adesso che ci pensava, anche se
gli altri dicevano
sempre che Harry era tutto un sorriso, lui l’aveva quasi
sempre visto con
quell’atteggiamento dimesso o con un’espressione
arrabbiata.
Il 99% delle volte,
l’ultima era merito suo.
Avanzò fino a trovarselo
di fronte. Alla festa aveva il viso
distrutto e qualche ora prima non era messo meglio, ma nessuna delle
due volte
poteva gareggiare con questa.
Sentì di nuovo quella
forza estranea che per la seconda
volta lo spingeva a volerlo confortare: forse Madre Teresa si era
impossessata
di lui e nessuno glielo aveva detto.
«Te ne vai?!»
sbottò Harry, a metà via tra un ordine e una
preghiera.
«Il parco non è
mica tuo» affermò, ragionevole, perché
in
fondo, per quanto non gli piacesse vederlo di quell’umore,
non avrebbe di certo
perso l’occasione per dargli contro.
«Bene»
borbottò a denti stretti l’altro.
«Allora, me ne vado
io» aggiunse, alzandosi e prendendo la stessa direzione che
stava seguendo
anche Zayn qualche attimo prima.
Zayn scrollò le spalle; se
ne fregava, se Harry non voleva
la sua compagnia.
E proprio mentre il suo cervello
formulava quel pensiero,
vide l’altro franare a terra, una mano tesa a evitare che la
sua faccia si
sfracellasse al suolo e un grido a spezzare la tranquillità
notturna.
*
Quell’imbecille, invece di
guardare dove andava, era così
preso a piangersi addosso che non si era accorto che stava per mettere
un piede
in una buca enorme. L’avrebbe vista anche un cieco. Invece
Harry c’era cascato
come uno scemo. Ancor peggio, si era anche storto una caviglia.
Appena l’aveva visto
afflosciarsi come un sacco di patate,
Zayn gli era corso dietro, per vedere cosa fosse accaduto. Aveva
provato a
posargli una mano sulla spalla e l’altro, in un primo
momento, preso com’era
dal suo dolore non si era nemmeno accorto della sua presenza.
«Che hai fatto?»
gli aveva chiesto, preoccupato.
L’altro aveva scosso la
massa di capelli ricci, senza
rispondergli a voce, ma Zayn aveva notato che si stava tenendo la
caviglia.
Aveva scansato le sue mani per vedere meglio
l’entità del problema e, in
effetti, quella si stava gonfiando un po’ ma, anche se non
era un esperto, non
credeva fosse slogata, né tantomeno rotta. Sarebbe bastato
del ghiaccio, quindi
tutto quello che dovevano fare era arrivare a casa e frugare nel
freezer. Si
era maledetto una volta in più per aver scelto di seguire il
suo istinto e
passare per il parco.
«Dai, ti porto a
casa» gli aveva detto, perché di certo
l’altro non sarebbe riuscito a camminare.
Harry aveva alzato la testa e Zayn
aveva notato che guance e
occhi erano tutti arrossati. Il più piccolo
l’aveva fissato come se si fosse
accorto della sua presenza solo in quel momento.
«Ci vado da solo»
aveva rifiutato ostinatamente. Zayn si era
ricordato perché l’aveva preso in antipatia.
«Oh, davvero?»
l’aveva canzonato.
Harry aveva assottigliato gli occhi,
come se stesse
inghiottendo un boccone amaro o una scorza di limone, e poi aveva
provato ad
alzarsi.
Ridicolo, aveva pensato Zayn, assolutamente ridicolo.
Aveva zoppicato per mezzo metro e poi
si era dovuto fermare,
troppo dolorante per continuare e avanzare di un altro passo. Zayn
avrebbe
quasi riso di lui, se non gli avesse fatto pena. La sua ostinatezza era
quasi
tenera.
Stupida. Stupida, non tenera.
Tenero era l’ultimo
aggettivo che avrebbe abbinato a Harry.
Stupido calzava perfettamente, e il fatto che l’altro avesse
preso a saltellare
e subito dopo si fosse dovuto appoggiare a un albero per riprendere
fiato ne
era la prova lampante.
«Ti porto a casa»
aveva ripetuto, con quello che sperava
fosse un tono più dolce.
L’altro aveva abbassato la
testa, in segno di sconfitta, e
scrollato le spalle, in uno d’indifferenza. Quel ragazzo era
una contraddizione
in carne e ossa.
Poi, senza altre parole,
l’aveva afferrato per un fianco e aveva
fatto passare un braccio di Harry sopra le proprie spalle.
*
Arrivarono a casa di Harry in un
tempo relativamente breve,
considerando che l’altro era più alto e robusto di
Zayn, che doveva sorreggere
tutto il suo peso.
Non perse tempo a ficcanasare nei
gusti dell’altro ragazzo e
lo lasciò sul divano, per poi andare a prendere del ghiaccio.
Prese della carne congelata,
perché trovò solo quella, e
ritornò in salotto, dove Harry si era steso, la gamba non
dolorante piegata e
un braccio a coprirgli il volto.
«Ehi» disse,
sedendosi accanto ai suoi piedi.
Harry si mise seduto, allungandosi ad
alzarsi i jeans,
mentre Zayn delicatamente gli toglieva scarpa e calzino.
«Così almeno
dovrebbe sgonfiarsi» mormorò, giusto per riempire
il silenzio.
Harry annuì
impercettibilmente, mentre con una mano si
strusciava gli occhi e sistemava i capelli.
«Fa tanto male?»
chiese, perché non l’aveva ancora fatto e
magari avrebbe dovuto pensarci prima.
«No» rispose
Harry, con voce sommessa.
«Hai pianto»
affermò Zayn, come se quello inficiasse la
dichiarazione dell’altro.
Harry lo guardò stizzito.
«Non è vero»
«Hai gli occhi
rossi» Zayn si disse che quella era una prova
a tutti gli effetti.
«Non ho pianto»
si ostinò l’altro, ma era un po’ come
dire
che il sole l’indomani non sarebbe sorto.
Zayn lo guardò scettico,
il viso che esprimeva quello che
pensava di Harry in ogni suo piccolo poro.
«Smettila» gli
ordinò il più piccolo, ma Zayn non avrebbe
saputo dire cosa avrebbe dovuto smettere di fare.
«Di fare che?»
s’informò, più per curiosità
che per altro.
Harry scrollò le spalle,
senza dargli una risposta. Sembrava
che avesse preso gusto a farlo.
«Che ci facevi al
parco?» cambiò argomento. E, a pensarci,
anche il fatto che l’altro se ne stesse tutto solo seduto su
una panchina era
strano.
«Non sono affari
tuoi» rispose, e Zayn pensò che avrebbe
dovuto aspettarselo.
Non è che loro due fossero
grandi amici o chissà che. Fosse
stato al posto di Harry, anche lui gli avrebbe detto la stessa cosa.
Sospirò.
«Va meglio?»
s’informò. Harry aggrottò le
sopracciglia e lui
gli indicò col mento la caviglia.
«Non mi ha fatto tanto
male» dichiarò il riccio.
«Ma sei hai pian-»
«Ti ho detto di
no!» l’interruppe Harry, le guance che
iniziavano a imporporarsi e gli occhi a mandare fiamme in grado di
incenerire
la pietra. «La caviglia non c’entra
nulla» concluse, con tono secco.
«E cosa
c’entra?» Zayn guardò lo stupore
invadere il volto
dell’altro.
«Mi sembra di aver
già chiarito che non sono affari tuoi»
ribatté lentamente, con una cadenza che provocò
un sorriso in Zayn. Harry, al
contrario, assottigliò gli occhi. «Mi prendi in
giro?» sbottò, stizzito. Zayn
si disse che l’altro doveva essere la persona più
difensiva del mondo, se si
arrabbiava per così poco.
«No, no» si
difese. «È come parli» offrì,
a mo’ di
spiegazione.
L’altro non
sembrò capire cosa intendesse e continuò a
linciarlo con lo sguardo.
«Sei lentissimo»
aggiunse. «È carino» decise.
«Un po’
irritante, ma carino»
Vide Harry abbassare gli occhi e le
sue guance imporporarsi
leggermente, il rossore che spiccava facilmente sulla carnagione chiara
del
volto.
Non rispose, e Zayn non avrebbe
saputo dire se lo facesse
perché l’avesse preso davvero come un insulto o
perché non sapesse cosa dire.
Forse un po’ per entrambi i motivi.
«Perché mi
odii?»
Zayn sobbalzò, come fosse
stato risvegliato all’improvviso
da un sogno profondo. Erano stati in silenzio abbastanza a lungo da
fargli
dimenticare sia di essere in compagnia, che di avere una lingua.
«Non ti odio» si
affrettò a dire. Appena le parole uscirono
dalla sua bocca, si accorse che era la verità. Non lo
sopportava, Harry si
comportava come un bambino sempre in cerca di attenzioni, era fin
troppo pieno
di sé e superficiale, ma quelle per la maggior parte erano
sensazioni e
impressioni che lui non si era mai sognato di approfondire. Per quanto
a pelle
non potesse soffrirlo, però, non lo odiava di certo.
Il viso di Harry passò da
un’espressione combattuta e un po’
afflitta a una quasi arrabbiata e irritata.
«Non sono idiota»
disse solo.
Zayn alzò un sopracciglio,
ironicamente. Harry lo guardò
ancora più male. Sembrava sul punto di sputargli addosso del
veleno.
Non capiva perché
l’altro volesse affrontare quel discorso
proprio lì, a quell’ora tarda della notte, con una
confezione di carne
congelata appollaiata sulla caviglia. In realtà, fosse stato
per lui, non
l’avrebbero affrontato mai. Non ne vedeva neanche il motivo,
a esser sinceri.
«Che ti ho
fatto?» incalzò ancora.
Zayn ripensò a quanto
Louis avesse detto la prima sera in
cui era uscito con loro. Harry davvero voleva piacere sempre a tutti.
La cosa
lo irritò ancora di più.
«Deve esserci una ragione
per forza?» ribatté, desideroso di
gustarsi la reazione del più piccolo.
Harry spalancò la bocca,
senza dire nulla per qualche
secondo, boccheggiando come fosse un pesce fuor d’acqua. Era
così abituato a
essere amato e benvoluto da tutti, che quel cambiamento di programma
doveva
proprio sconcertarlo, si disse Zayn.
«Certo che
sì» strozzò, quando riuscì a
ritrovare la voce.
«Non puoi odiare le persone solo perché ne hai
voglia e trattarle male solo
perché ti girano» lo accusò.
«Tu non sei tutte le
persone» specificò, perché, in effetti,
quelle reazioni gliele ispirava solo Harry. «E ho detto che
non ti odio»
concluse con una scrollata di spalle, sperando che la conversazione
potesse
dirsi conclusa. Sarebbe voluto tornare a casa, lasciare Harry
lì, dolorante sul
divano, e cercare di dormire. Quella giornata si era prolungata
abbastanza.
Ma Harry era petulante e ostinato, si
accorse.
«Invece
sì» quasi cantilenò, neanche avesse
otto anni.
«Ok,
sì» confermò, magari così
l’avrebbe azzittito.
«Perché,
allora?» evidentemente no. Zayn sbuffò; la
situazione aveva del ridicolo, soprattutto perché Harry, col
suo modo di fare
lo stava infastidendo, ma col suo broncio lo stava intenerendo. Era la
seconda
volta nel giro di un’ora che pensava che l’altro
fosse tenero, e la cosa non
aveva neanche un po’ di senso.
«Ahhhh»
sbottò, sconcertato dalla testardaggine
dell’altro,
che non dava nessun segno di mollare l’osso. E lui era stanco
e voleva dormire,
e quello aveva del miracoloso. «Senti» disse,
infine. «È una sensazione a
pelle, ok?» dirlo ad alta voce lo faceva apparire talmente
infantile che si
vergognò anche solo ad averlo pensato.
«Hai dieci anni?»
lo accusò, infatti, l’altro, spalancando
gli occhi. «Non puoi decidere dal nulla che qualcuno non ti
piace e trattarlo
male solo per una tua impressione. È.. è un
pregiudizio bell’e buono, cazzo»
imprecò, le guance che si coloravano mano a mano che
aumentava la veemenza
delle parole. «Non ti ho fatto niente!» quasi
strillò per la seconda volta.
«Ma se sei
entrat-»
«Lo dici come ti avessi
ucciso il gatto» lo interruppe,
sempre più sconcertato.
Cercò di calmarsi,
notò Zayn.
«Senti,» Zayn
sfruttò il momento di tranquilla tensione che
si era creato tra di loto. «si è fatto tardi;
è meglio se vado» si alzò, stando
attento a che il ghiaccio fosse ancora al suo posto.
Harry spalancò la bocca,
pronto a dire qualcosa. Ma Zayn era
già alla porta, e lui sembrò ripensarci.
Con un ultimo cenno, Zayn
uscì da quella casa e si avviò
verso la propria.
*
«E tu che fai?»
Aveva scoperto che parlare con Edward
l’aiutava a schiarirsi
le idee, anche le volte in cui gliele confondeva, per questo, la sera
dopo aver
incontrato Harry al parco ed essere rimasto con lui per più
di mezzo minuto,
aveva riaperto il Libro.
Harry gli aveva detto alcune cose che
l’avevano fatto
riflettere per tutta la notte, tanto che, quella mattina, si era
risvegliato
con due occhiaie gigantesche. A pensarci a mente lucida, aveva ragione
a dire
che disprezzare qualcuno per una sensazione era assurdo, ma Zayn non
poteva
farci nulla se il suo stomaco si contorceva ogni volta che
l’altro appariva nel
suo raggio visivo. La odiava, era insopportabile, e l’unico
modo che conoscesse
per farla sparire era evitare l’altro con tutte le sue forze.
Edward era l’esatto
opposto: era la tranquillità, la brezza
primaverile e il mare placido. Aveva intuito che anche solo
raccontargli delle
sue giornate aveva un effetto benefico al quale non avrebbe rinunciato
molto
facilmente.
Gli piaceva anche ascoltarlo. Anzi,
preferiva le volte in
cui l’altro gli raccontava qualcosa della sua vita:
c’era stato l’aneddoto di
come avesse conosciuto zia Linda e quello del ritrovamento del Libro, e
Zayn si
beveva, rapito, ogni sua parola, senza stancarsi mai.
L’ultima volta, Ed gli
aveva chiesto che lavoro facesse,
prima di trasferirsi lì, e Zayn era curioso di sapere se
l’attività dell’Edward
di quel mondo corrispondesse a quella del suo.
«Io e mia moglie abbiano
una trattoria, proprio qua davanti»
rispose, aspettando che Zayn facesse altre domande.
«E si mangia
bene?» chiese, più per stuzzicare
l’orgoglio
dell’amico che per altro. Aveva ormai capito che anche quella
doveva essere una
caratteristica di famiglia.
«Magari una volta ti ci
porto» propose. «Così, dopo non
vorrai più tornartene al tuo tempo»
Si disse che quello sarebbe anche
potuto essere possibile,
visto che nell’ultimo mese era andato avanti con cibi
precotti. Almeno, quando
stava a Bradford, sua madre lo sorprendeva spesso con qualche visita
inaspettata, portando con sé uno stufato o qualche sugo
fatto in casa, quindi,
anche se poco, almeno mangiava bene.
«E tua moglie?»
se ne uscì, pronto ad ascoltarsi un’altra
storia sul passato dell’uomo che aveva di fronte.
«Cosa?»
«Come vi siete conosciuti,
come fa a sopportarti, cose così,
insomma» scherzò, sorridendo, perché
anche se l’altro era la persona più aperta
che avesse mai conosciuto, non riusciva proprio a capire quando uno
stesse
facendo ironia oppure no.
Ed sorrise, appoggiò le
mani sui braccioli della seggiola,
alla ricerca della posizione più comoda, e
cominciò a raccontare.
*
Non era stato tutto il giorno a
controllare se Harry fosse
arrivato o meno, ovviamente.
Quella mattina, era entrato in
pasticceria e ad accoglierlo
c’era una signora che, pur essendo avanti con gli anni, era
ancora bellissima.
Aveva rivisto, nei lineamenti del
volto, Gemma, e nel
sorriso, Harry.
Non c’era stata
possibilità di errore: era la madre, per cui
le aveva chiesto se il ragazzo fosse già arrivato. Voleva
sapere come stesse la
caviglia, sincerarsi che avesse ancora il piede, nulla di
più.
«Non è ancora
arrivato» le aveva detto, apparendo un po’
preoccupata e dando un’occhiata veloce
all’orologio. «Sei un suo amico?» aveva
poi cambiato argomento. La sua espressione gli diceva che non
l’aveva mai visto
in giro, di certo non con suo figlio.
«Uhm» aveva
iniziato, perché, in realtà, avrebbe dovuto
rispondere no, per nulla, ma si
sarebbe preso per pazzo anche lui, l’avesse fatto.
«Sì» aveva dunque concluso,
aggiungendo un più o meno
a voce
talmente bassa, che la donna non lo aveva udito.
Ogni tanto, durante il giorno, si era
ritrovato a volgere la
testa alla strada, guardare i passanti, cercare una chioma riccia
dietro il
bancone della pasticceria, ma nulla di più.
Per quanto avesse potuto vedere,
comunque, Harry non era
andato al lavoro e, forse, aveva fatto bene; un giorno di riposo era
sempre
gradito a tutti. Per questo, quando uscì dalla libreria, si
ritrovò a pensare
se dovesse o meno fare un salto a vedere di persona come se la passasse.
Magari l’altro era ancora
arrabbiato per la sera precedente
(anche se Zayn aveva qualche dubbio che fosse proprio quello, il
sentimento che
Harry aveva provato) e gli avrebbe sbattuto la porta in faccia.
Oppure, non poteva camminare e non
avrebbe nemmeno risposto
al citofono.
In realtà, quella
possibilità suonava assurda anche alle sue
orecchie; la caviglia era un po’ gonfia, ma di certo non
così tanto da
impedirgli di muovere qualche passo. Aveva come l’impressione
che Harry avesse semplicemente
preso la palla al balzo e usato quella scusa per non andare a lavorare.
Mentre attraversava il corso, vide
Anthony venirgli incontro,
e quasi gli venne voglia di chiedergli se sapesse qualcosa del ragazzo
più
giovane.
Poi, però, si accorse che
l’uomo non era da solo e che la
persona che teneva per mano non assomigliava per nulla a Harry.
La cosa gli parve assurda,
perché anche se nessuno
gliel’aveva mai detto a chiare lettere, era abbastanza certo
che quei due
stessero insieme. Perlomeno, si comportavano come una coppia, anche se
Zayn li
aveva visti insieme poche volte e dunque aveva pochi momenti su cui
fondare una
valutazione.
Il ragazzino che stava appiccicato al
braccio di Anthony e
che lo guardava estasiato era quanto di più diverso dal
riccio esistesse. Zayn
non lo aveva mai visto e di certo non perché non lo avesse
notato. Era di una
bellezza angelica, di quelle che attirano l’attenzione di
tutti, anche se non
era propriamente il suo tipo. Ma era poco più che un
bambino, davvero, e non
credeva possibile che Anthony potesse interessarsi a qualcun altro,
quando
stava con Harry.
Magari si era stufato del suo
carattere, e Zayn non poteva
proprio dargli torto.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma
non era davvero il tipo
da fermare qualcuno che nemmeno conosceva per strada, e poi non erano
comunque
affari suoi. Fosse stato amico di Harry, sarebbe stata
un’altra storia.
«Che vuoi, eh?»
I suoi buoni propositi furono mandati
all’aria da Anthony
stesso che doveva aver notato l’interesse e la
curiosità con cui Zayn l’aveva
guardato. Il suo tono lo irritò e, pur non avendoci mai
parlato fino a quel
momento, capì il perché dell’antipatia
con cui Louis e gli altri glielo avevano
descritto.
Decise che, poiché aveva
iniziato l’altro, lui era più che
autorizzato a dire ciò che volesse.
«E Harry dove ce
l’hai?» chiese, senza rispondere alla
domanda dell’altro. Anthony assottigliò gli occhi
e il suo viso si aprì in un
sorriso strano. Un po’ sinistro e un po’
soddisfatto.
«Magari dovrei chiederlo io
a te» disse.
Zayn sollevò un
sopracciglio, perché quell’affermazione non
aveva per niente senso. E il tono insinuante dell’altro ne
aveva ancora meno.
Non sapendo come rispondere a quella
sottospecie di accusa,
stette semplicemente a guardare mentre Anthony stringeva al proprio
fianco il
ragazzino e, senza degnarlo di un ulteriore sguardo, passava oltre.
*
Confuso, pensò che
– a quel punto – un salto da Harry era
quasi d’obbligo.
Arrivò al suo palazzo
proprio mentre una vecchiettina stava
uscendo. Lo fece passare e, ringraziandola, prese le scale. Quando si
trovò di
fronte al portone di casa del più piccolo, si morse una
guancia,
improvvisamente insicuro.
Dandosi dello stupido, si disse che
al massimo l’altro
l’avrebbe cacciato e lui, di certo, non ne avrebbe sofferto
troppo.
Suonò il campanello.
«È
aperto» la voce di Harry gli urlò, da qualche
parte
nell’appartamento e, guardando la maniglia, si accorse che
nella serratura
erano infilate le chiavi. Era assurdo come, in quel paesino, tutti si
fidassero
completamente di ogni altro abitante.
Senza perderci il sonno, Zayn
scrollò le spalle e aprì la
porta.
Harry era nella stessa posizione in
cui lo aveva lasciato,
solo che si era evidentemente mosso, dato che indossava il pigiama e
intorno a
lui c’era tutta una quantità di cibi che avrebbe
potuto sfamare Niall.
Quando l’altro si accorse
che il visitatore era lui, lo
guardò un po’ stupito, e cercò di
nascondere come meglio potesse quelle che
erano state le sue precedenti occupazioni.
Era talmente arrossito, mentre
cercava di togliersi di dosso
tutte le briciole che i pacchetti di patatine vuoti dovevano avergli
lasciato,
che Zayn non poté far altro che considerarlo adorabile.
Il suo stomaco gli diede un calcio,
come se non sopportasse
pensieri teneri su Harry.
«Ciao» lo
salutò, dopo essersi messo seduto.
«Posso entrare?»
chiese, per sicurezza, perché magari,
quando aveva bussato, l’altro aveva risposto sovrappensiero,
e proprio non
voleva vederlo.
Harry annuì, cercando
subito dopo il telecomando per
spengere la televisione. Zayn lanciò uno sguardo al
programma: non lo
conosceva, ma era talmente tanto che non si sedeva di fronte a una di
quelle
scatole, che davvero non era una sorpresa.
Si mise seduto sul divano,
perché l’alternativa era il
pavimento, e si chiese una volta in più perché
fosse andato a trovarlo. Avrebbe
anche potuto chiedere direttamente Louis. Che scemo.
«Vedo che ti sei dato alla
pazza gioia» commentò,
prendendolo un po’ in giro.
«È passato
Niall» disse l’altro, e quello almeno spiegava la
presenza di tutte quelle vivande nel salotto.
«Spero ti abbia anche
aiutato a divorare tutta questa roba,
se no hai preso cinque chili» scherzò, e
l’altro sollevò un sopracciglio, come
a dire ehi, stiamo parlando di Niall.
«Tu che dici?»
fece, retorico.
Zayn sorrise, iniziando finalmente a
rilassarsi, da quando
era entrato.
«Come va la
caviglia?» s’informò, visto che quello
era il
motivo principale per cui era andato lì.
«Va bene» Harry
alzò leggermente il sotto del pigiama,
mettendo in mostra l’articolazione, visibilmente meno gonfia.
«L’hai chiamata
tua madre, o l’hai fatta preoccupare per
tutto il giorno?»
Harry lo guardò come se
non capisse a cosa si riferisse, e
allora lui gli raccontò di come avesse conosciuto la donna,
sentendosi
all’improvviso infinitamente stupido. Anche alle sue
orecchie, tutta la
preoccupazione che l’aveva spinto, prima a cercarlo al
lavoro, poi fino a casa sua,
sembrava esagerata. Cercò di scusarsi, dicendosi che
probabilmente derivasse
dal fatto che, quando l’altro si era fatto male, si trovava
con lui. In modo un
po’ contorto, forse si sentiva responsabile.
«Comunque, sì.
Non sono pessimo come credi tu» gli disse,
abbozzando un sorriso.
Zayn annuì pensieroso.
Aveva fatto quello che doveva, poteva
semplicemente andarsene: l’altro non sarebbe morto, ma, anzi,
sarebbe ritornato
più insopportabile di prima.
Poi, come un fulmine a ciel sereno,
gli tornò in mente
l’immagine di Anthony stretto a qualcuno che non era Harry.
Si chiese come fosse
stato possibile che se ne fosse dimenticato, ma si disse che con ogni
probabilità era colpa della stanchezza. E della fame.
Rubò una patatina da uno
dei pochi pacchetti ancora pieni.
«Fai pure, eh» lo
brontolò Harry, con tono ironico.
«Grazie»
bofonchiò Zayn, prendendo per serio l’invito di
Harry e appropriandosi di tutto il pacchetto. L’altro
sorrise, a vederlo, e
Zayn immaginò che non gli avesse dato davvero noia.
«Lo faccio per te, che poi
ingrassi» commentò, ed era quasi certo che, se
fossero stati un po’ più in
confidenza, Harry gli avrebbe assestato un pugno su un braccio. Il
riccio si
limitò a metter su un broncio buffissimo e una volta in
più Zayn si chiese cosa
avesse visto Anthony in quella piovra, quando Harry aveva quelle due
tenere
fossette.
«Ehm»
iniziò, dopo aver sgranocchiato l’ennesima
patatina.
«Ho visto Anthony» buttò fuori. Meglio
essere rapidi e veloci.
«Che ti ha
detto?» s’allarmò l’altro,
spalancando gli occhi
preoccupati e colorandosi ancor più di prima.
«Ehm»
ripeté. «In realtà, quasi
nulla» nulla di comprensibile,
specificò dentro di sé. «Ma»
prese un
respiro profondo, perché come fai a dire a qualcuno che il
suo compagno se ne
va a spasso a braccetto con un altro? «Ecco,»
tentò. «era con un altro» disse,
osservando la reazione di Harry.
Zayn pensò che il riccio
l’avesse presa davvero bene. Poteva
quasi giurare di averlo visto emettere un sospiro di sollievo, che
però lui non
avrebbe proprio saputo motivare.
«Mi dispiace»
concluse, incerto, perché a quanto pareva non
c’era nulla di cui dispiacersi.
«Ci siamo
lasciati,» l’informò Harry, scuotendo le
spalle. «era
da un po’ che non andava»
Zayn si diede dello stupido, per non
essere riuscito a
capirlo da solo.
Il giorno precedente, Anthony era
uscito dalla pasticceria
con talmente tanta velocità, da fargli credere fosse
inseguito da Satana in
persona, e aveva lasciato dentro un Harry un po’ stravolto;
dopo una manciata
di ore, poi, aveva incontrato Harry di nuovo, e aveva visto subito che
qualcosa
non andava. E anche la sera della festa, qualche settimana prima,
l’altro non
aveva sfoggiato il migliore dei suoi aspetti.
All’inizio non
c’aveva fatto caso, ma probabilmente tutte
quelle cose erano riconducibili alla brutta piega che stava prendendo
la sua
storia con l’altro uomo.
E, quando Harry diceva di non aver
pianto per la caviglia,
non stava mentendo. A pensarci, gli occhi arrossati li aveva
già da prima e
dovevano essere la conseguenza visibile della rottura con Anthony.
«Mi dispiace»
disse di nuovo, senza sapere cosa altro
aggiungere per far stare meglio l’altro, un po’
perché non lo conosceva, un po’
perché, in quelle cose, era sempre stato una frana.
«Nah» lo
sollevò dalle sue preoccupazioni Harry, scrollando
la testa e sorridendo. «Te l’ho detto, andava male
da un po’. È meglio così»
Quel ragazzo doveva essere un
po’ bipolare, perché solo la
sera precedente stava piangendo a fiumi proprio per quel motivo che,
adesso,
voleva far apparire senza importanza.
«Ma se ieri sera eri uno
straccio» lo contraddisse, perché
proprio non riusciva a stare senza infastidirlo, e dargli contro era il
modo
migliore per farlo. Tanto più se aveva ragione.
Il sorriso dell’altro si
ammosciò e un leggero rossore gli
colorò le orecchie. «Non…»
cominciò a dire, insicuro. «Non era solo quello,
il
motivo» concluse, mordendosi un labbro.
Zayn stava morendo dalla
curiosità di chiedere altro, di
sapere quale fosse questo fantomatico motivo, ma qualcosa nella posa e
nell’espressione dell’altro gli disse che per quel
giorno aveva già osato
abbastanza e ottenuto troppo.
Decise che era ora di tornare a casa,
a finire di leggere le
ultime pagine de Il mercante di Venezia.
Tossicchiò, attirando
l’attenzione dell’altro che lo guardò
di nuovo in viso.
«È meglio se
vado» biascicò, alzandosi. «Devo
preparare la
cena e tutto il resto» inventò. Le patatine erano
state più che sufficienti a
riempire il suo stomaco, ma era comunque stanco e troppi pensieri gli
vorticavano in testa.
«Oh, ok»
mormorò Harry.
«Ci vediamo» lo
salutò, incamminandosi verso la porta e
aprendola. Un po’ incerto su come comportarsi, si
voltò un’ultima volta e fece
un cenno col capo.
Senza aspettare una risposta, si
richiuse il portone alle
spalle.
*
Stava comodamente seduto alla cassa,
quando la porta della
libreria si aprì, distogliendolo dalla sua occupazione e
facendogli alzare il
naso dalle pagine in cui era affondato.
Sollevò un sopracciglio,
non appena si accorse che era
entrato Harry.
Non si aspettava di vederlo
così presto. Aveva un’aria un
po’ incerta e un pacchetto in mano.
«Posso?»
domandò. «Sai, l’ultima
volta…» lasciò in sospeso,
rispondendo alla muta domanda che Zayn aveva stampato in viso alla sua
richiesta di entrare, quando quella era una libreria ed era aperta a
tutti.
Zayn dovette fare una faccia strana,
perché l’altro scoppiò
a ridere.
«Se mi prendi per il culo,
ti caccio davvero» lo minacciò, e
quello fermò la squacquerata, ma non cancellò il
sorriso divertito dalla sua
faccia.
«Ok» convenne il
più piccolo. «La smetto»
Zayn guardò Harry
avvicinarsi e camminare senza problemi.
Stranamente, averlo lì non gli faceva venir voglia di
strozzarlo. Era piuttosto
inaspettato, e si stupì che in realtà vederlo gli
facesse quasi piacere. Magari
non proprio piacere. Diciamo che vederlo tranquillo gli toglieva un
peso. Un
fastidio, anche se non capiva bene di cosa. Forse era impazzito.
«Ti ho portato…
ehm» iniziò lentamente Harry, passandogli
poi il fagotto che aveva in mano.
Zayn lo aprì, e dentro vi
trovò una pasta guarnita con
crema. «Oh, grazie» disse, accennando un sorriso.
«Non sapevo come ti
piacesse, allora ho scelto la crema
perché di solito piace a tutti. In realtà non so
se il dolce ti piace proprio,
magari dovevo portarti un panino e-»
«La crema va bene. Prendi
fiato, ok?» lo interruppe,
sfruttando la situazione per prenderlo in giro lui.
Harry annuì, iniziando a
guardarsi intorno.
«A cosa lo devo?»
«Uhm?» fece
intelligentemente il riccio. Zayn alzò il
cornetto. «Ah, per la caviglia» scrollò
le spalle. «Puoi mangiarlo, giuro che
non è avvelenato» scherzò.
Zayn in realtà non aveva
troppa fame, anche se era metà
pomeriggio e a pranzo aveva giusto sbocconcellato un pezzetto di pane,
ma pensò
che il minimo che potesse fare per non mostrarsi irriconoscente fosse
assaggiare il dolcetto che l’altro gli aveva portato.
Ne addentò un pezzo, e il
sapore della crema inondò il suo
palato. Dopo giorni di cibi precotti, quello era il paradiso.
«È
buonissima!» esclamò. «L’hai
fatta tu?» chiese. Harry
arrossì e annuì. Evidentemente, Zayn si era
sbagliato e l’altro non era inutile
come avesse pensato all’inizio. Non scherzava, gli piaceva
così tanto che,
tempo due morsi, l’aveva divorata.
Si pulì alla bene e meglio
con un fazzoletto che Harry aveva
previdentemente infilato dentro, e poi si mise a seguire con gli occhi
l’altro
ragazzo che aveva preso a scrutare i libri esposti.
«Cerchi qualcosa di
specifico?» s’informò, attirando la sua
attenzione. Harry scosse il capo e scrollò le spalle.
«Ti ho disturbato? Ti
disturbo se sto qui?» Harry lo guardò
come se si fosse dimenticato di qualcosa e Zayn pensò che
tutta quell’accortezza
non avesse senso.
«No, stavo solo
leggendo» rispose comunque, per
tranquillizzare l’altro, che aveva cominciato a
mangiucchiarsi un labbro.
«Cosa?» si
avvicinò, prendendo un po’ più di
confidenza e di
sicurezza.
Zayn gli porse il libro che aveva
appoggiato sul bancone.
«Carmi» lesse il
riccio, aggrottando la fronte, in
un’espressione che fece sorridere Zayn. «Catullo.
Sai il latino?» domandò,
sfogliando il volume.
«Neanche una
parola» dichiarò, facendo ridacchiare
l’altro,
che si fermò a una pagina a caso e iniziò a
declamare parole che non avevano
senso per nessuno dei due.
Zayn scoppiò a ridere dopo
il primo verso, e Harry lo guardò
divertito. «Che c’è?» chiese,
ingenuamente.
«Hai la pronuncia peggiore
di sempre» commentò, ridendo un
altro po’.
L’altro lo
guardò stupito, cercando allo stesso tempo di
fulminarlo con lo sguardo; ne uscì fuori
un’espressione che non fece che far
ridere Zayn un altro po’.
«Ma se hai detto che non lo
conosci, come fai a dirlo?» lo
sfidò.
«Sì, Harry, ma primùm
lo dici solo tu» Harry scrollò le spalle, e Zayn
notò che quello era una specie
di vizio.
«Fammi sentire un
po’ tu, allora» proferì, passandogli il
libro.
Zayn sbuffò,
perché almeno su una cosa c’aveva visto giusto:
Harry era proprio un bambino, anche se – magari, ma ancora
non ne era proprio
certo – un po’ meno insopportabile di quanto avesse
creduto.
«Ok, ma tanto non lo
capisci, se leggo bene o no» affermò,
aprendo a caso e scegliendo il primo carme che gli finì
sotto gli occhi.
«Tu leggi
comunque»
«Vivamus, mea Lesbia,
atque amemus, rumoresque senum severiorum omnes unius aestimemus
assis»
recitò, senza intonazione particolare perché, per
lui, era come leggere la
lista della spesa.
Alzò gli occhi su di
Harry, che lo stava guardando
completamente catturato.
«Non c’ho capito
nulla» sostenne Harry, dopo essersi ripreso.
Stava per dare un’occhiata
alla traduzione, quando la porta
si spalancò di nuovo.
Entrò Louis, pimpante come
sempre.
«Wow»
commentò, non appena li vide.
«Com’è che siete nella
stessa stanza e nessuno è morto?»
«Ah ah» Harry lo
guardò male, beccandosi un colpetto
affettuoso sulla schiena dall’altro.
«È da un secolo
che non ci vediamo, Zayn!» si lamentò,
lasciando perdere il riccio, che continuava a fissarlo torvo.
«Ci siamo visti due giorni
fa» gli raffreddò l’entusiasmo.
«Appunto»
confermò Louis, per nulla scosso dalla
tranquillità dell’altro. «Un secolo,
come ho detto io»
Zayn scosse la testa, e si accorse
che Harry stava
praticamente mimando il suo movimento, guardando l’amico in
modo affettuoso.
«Comunque»
continuò il più grande, con la sua solita voce
squillante. «Sono venuto ufficialmente a invitarti al
matrimonio» proclamò,
tutto contento, passandogli una busta.
Zayn la aprì e vi
trovò l’invito. Mancava poco più di un
mese e quel matto si sarebbe sistemato.
«A te niente biglietto,
giovane Harry» cantilenò Louis.
«Me l’hai
già dato, Lou» gli ricordò il riccio,
il tono di
voce che esprimeva quanto ritenesse l’amico fuori di testa.
Louis agitò una
mano di fronte al suo viso, come se quello non c’entrasse
nulla.
«Eleanor ha detto che
dovevo farlo ufficialmente, anche se
credevo fosse già ovvio che tu dovessi venire»
disse, rivolgendosi di nuovo a
Zayn. Sai, le donne, si
lamentò col
pensiero.
Era passato qualche anno
dall’ultima volta che era stato a
un matrimonio e non voleva pensarci.
Gli stavano sulle palle, i matrimoni,
ma si rese conto che
Louis e gli altri erano le prime persone con cui avesse stretto un
qualche
rapporto che andasse al di là di un cenno di saluto da
troppo, troppo tempo, e
che non avrebbe potuto saltare quel giorno così importante
neppure volendo.
«Ci
sarò» disse, solo, sghignazzando al sorriso
dell’altro.
*
«Il Reverendo Green, in
cucina, con il candelabro» accusò
Niall, sicuro, guardando con aspettativa uno dopo l’altro gli
occupanti del
tavolo.
Liam, Louis e Harry scossero la testa
e Zayn non poteva
crederci che Niall avesse vinto di nuovo.
«Ma come fa?»
chiese, rivolto a nessuno in particolare.
Niall sghignazzò, andando
a controllare le carte appoggiate
a faccia in giù sul tavolo da gioco. «Ho guardato
tutti i film di Sherlock
Holmes e pure la serie della BBC» spiegò.
«Ma questo cosa
c’entra?» perché, dai, al massimo era
fortuna sfacciata, la sua.
«Infatti»
convenne Harry. «Cosa c’entra? Io ho letto tutti i
libri della Christie e non avevo ancora capito chi era
l’assassino. Che è
quello più facile da scoprire, lo sanno tutti»
mise su un broncio adorabile e
Zayn gli scompigliò i capelli, perché dargli noia
era ancora la cosa che
preferiva fare.
«Ancora mi fa
strano» ripeté Liam per la quinta volta,
quella sera, guardando mentre Harry quasi faceva le fusa al tocco di
Zayn, che
senza accorgersene era passato da arruffargli i ricci a scorrerci le
dita in
mezzo.
L’osservazione
l’avrebbe quasi fatto arrossire, se non fosse
stata fatta con assoluta assenza di malizia, ma Zayn ritrasse comunque
la mano,
perché, beh, un po’ strano faceva anche a lui.
Harry gli parve quasi deluso, ma
qualsiasi sua precedente
espressione venne cacciata via dalla risata che lo travolse quando
Louis prese a
tirare pop-corn a Niall, tutto intento a esibirsi in una danza
celebrativa.
Che imbecilli, pensò Zayn,
prima di unirsi alla risata di
gruppo.
Ancora non riusciva a credere che
Little Holmes gli stesse
offrendo tutto quello: risate invece che pensieri, serate in compagnia,
amicizia.
Magari quei quattro erano pure
imbecilli, ma si sarebbe quasi
arrischiato a dire che erano i suoi
imbecilli.
*
«Tuo nipote è
meno insopportabile di quanto credessi»
esordì.
Edward alzò un
sopracciglio e poi stese le labbra in un
sorriso sicuro e soddisfatto, come se già avesse saputo che
prima o poi avrebbe
sentito quelle parole uscire dalla bocca di Zayn, come se fosse ovvio
che lui
prima o poi si sarebbe ricreduto, per il solo motivo che Harry era uno
Styles.
«Oh, ma davvero»
chiese, retorico.
Alzò gli occhi al cielo,
lo sapeva che avrebbe finito per
gongolare come un idiota. Se c’era una cosa che aveva capito
dell’altro era
proprio che doveva evitare di dargli la possibilità di farlo.
Come la terza o quarta volta che era
tornato in quel mondo:
l’aveva accolto con un sorriso così saputo che
aveva quasi rivoltato.
All’inizio si era un po’ stranito,
perché rispetto alle volte precedenti
sembrava un cambiamento troppo drastico, ma a quanto sembrava Ed era il
tipo
che all’inizio cerca di essere il più cauto
possibile, per poi attirarti nella
sua morsa di fiducia e comprensione, e prenderti in giro alla prima
occasione.
Zayn ne era piuttosto divertito, in
realtà, anche perché Ed
aveva lo strano potere di far sentire gli altri davvero importanti per
lui e
sapeva che dietro a qualsiasi suo atteggiamento c’erano
affetto e interesse
sinceri, quindi lui poteva sopportare qualsiasi frecciatina
l’altro avesse
voluto lanciargli.
«E per il resto?»
«Che resto?»
«Come ti trovi a Little
Holmes? L’ultima volta mi hai detto
che avevi conosciuto persone interessanti, oltre a Harry, che invece
non potevi
vedere, giusto? Adesso?»
Zayn sorrise.
«Vanno bene»
semplificò. «È strano… ma
sì» non era mai stato
di molte parole.
«Puoi ampliare se vuoi,
sai?»
Zayn alzò le spalle, non
sapendo che aggiungere.
«Perché
è strano?» eccolo che partiva con le domande, si
disse Zayn. Di solito glissava, evitava di rispondere e sapeva che, se
non
avesse voluto, Ed non l’avrebbe forzato a dir nulla,
però parlare dei suoi
nuovi amici non era come parlare di quanto gli mancasse sua madre, era
tutto il
contrario: pensare ai ragazzi lo rallegrava e gli faceva credere che
forse ce
l’avrebbe fatta a lasciarsi tutto alle spalle, presto o
tardi. O magari non
lasciarselo alle spalle, ché non era neanche qualcosa che
volesse davvero, ma
almeno imparare a guardare al passato senza volersi strappare gli occhi
e ad
accettarlo come qualcosa che avrebbe per sempre influenzato la sua
persona.
«Perché»
disse, consapevole che se avesse iniziato a raccontare
poi non avrebbe potuto più fermarsi. «quando ho
lasciato Bradford non sapevo
neanche più come parlare a qualcuno che non fosse della mia
famiglia, e qualche
volta passavo giorni senza rivolgere la parola neanche a mia madre. Non
so come
abbiano fatto a sopportarmi fino ad adesso. E poi, la settimana scorsa,
sento i
miei per telefono e mia madre dice che sembro diverso, più
simile a come ero un
tempo, e che neppure si ricordava come fosse la mia voce libera da
tutti i pesi
del mondo, che poi non sono del mondo, ma solo i miei, ma mi pareva
come se lo
fossero, no? Troppo pesanti per essere tutti miei. E la cosa peggiore
è che in
fondo mia madre ha ragione. Non mi riconoscevo più neanche
io. Non riconosco lo
Zayn che ero prima di arrivare qui, che un po’ sono
tutt’ora, credo. Non so se
smetterò mai di esserlo del tutto, in realtà.
Comunque. È stata mia madre, è
sempre lei, a convincermi a venir qua. A cambiare aria. Forse era
proprio
quello di cui avevo bisogno. Cambiare aria, intendo. O forse
è proprio Little
Holmes, non lo so. Non credevo avrebbe funzionato. Non so se ha
funzionato. Se
sta funzionando. Non lo so. Le cose che non so sono troppe, a dirla
tutta»
Oddio, forse era diventato
analfabeta, perché l’intero
discorso era senza senso, completamente.
Edward annuiva, come se –
al contrario – avesse infilato
ogni parola dietro all’altra in modo perfettamente
consequenziale.
«Da cosa vedi se sta
funzionando o no?»
«Mi
psicoanalizzi?» cercò di stemperare
l’atmosfera. Parlare
di sé lo agitava sempre un po’.
Ed sorrise per la centesima volta.
«Immagino da…
dalle piccole cose, sai? Dal fatto che a metà
mattina ogni tanto mi viene un po’ fame, mentre prima
arrivavo a cena con solo
la colazione nello stomaco e senza sentirne davvero il morso. Dormo un
po’ meglio
ed esco più volentieri. Stare in mezzo alla gente mi
dà meno noia, alla
libreria l’afflusso continuo è piuttosto
sopportabile, e con i ragazzi la mia
testa è libera, giuro, e non lo era da un sacco»
scrollò le spalle, non sicuro
che quelle fossero le risposte che Ed cercava, ma era come si sentiva,
tutto
quello che provava.
Ok, non proprio tutto.
C’erano cose, sensazioni, che non
riusciva a spiegarsi e che non voleva approfondire.
«Le piccole cose, Zayn,
sono quelle che trascuriamo sempre
di più, ma spesso sono proprio le più importanti.
Non puoi aspettarti un
cambiamento improvviso, sai? O che ciò che stai cercando,
ciò di cui hai
bisogno, cada dal cielo, domani, e tutto andrà di nuovo
bene. Come per tutte le
cose, anche per ritrovare se stessi ci vuole del tempo. Sembra assurdo,
perché
sei tu e ti conosci da ventotto anni, da tutta la vita, ma invece
è solo più
difficile. Se perdi te stesso, è come se ti mancasse la
terra sotto i piedi,
non hai più un sostegno o almeno la certezza che, qualsiasi
cosa accada, tu ci
sei, sei tutto quello che hai. Tu non sei più tu, o meglio,
sei ancora tu, solo
rivestito da strati e strati di qualcuno che sei diventato senza
davvero
accorgertene»
«Come faccio»
iniziò Zayn. Quella cosa era assurda, ma forse
qualcuno lo aveva mandato da Ed per un motivo e il minimo che poteva
fare era
darsi una possibilità. «Come faccio a liberarmi di
questi strati? Come posso
riuscire a pensare a due anni fa senza…» si
passò una mano su una tempia; tutto
quel parlare di sentimenti iniziava a fargli venire il mal di testa.
«Perché non
inizi parlandomi?»
Lo guardò incerto. Non era
quello che stava facendo dal
momento in cui era arrivato, parlare?
«Di quello che vuoi.
Parlare è il primo passo, Zayn»
Zayn fece un respiro profondo e
chiuse gli occhi. Si
appoggiò allo schienale comodo della sedia, e quando
rialzò le palpebre non era
convinto che ce l’avrebbe fatta, a raccontare tutto, ma era
intenzionato
perlomeno a provarci.
*
Zayn non era mai stato un bambino
particolarmente socievole,
sempre troppo timido e sognatore e perso nel suo mondo, e –
crescendo – le cose
non erano cambiate poi molto. Non gli piaceva ricordare la sua
adolescenza,
tantomeno parlarne, perché, quando lo faceva, tutto quello
che gli tornava in
mente erano i soprannomi che per i corridoi la gente gli affibbiava, o
gli
spintoni che gli avevano lasciato qualche mora di troppo.
Zayn aveva sempre la pelle troppo
scura per qualsiasi scuola
in cui i suoi genitori l’avevano mandato; dopo la terza che
aveva cambiato, lui
stesso si era impuntato: sua madre si era morsa il labbro, preoccupata,
e suo
padre aveva scosso la testa, sconfitto, e lui non aveva mai visto
nessuno dei
due guardarlo con tanto timore, negli occhi. Ma era stanco di cambiare
professori e doversi abituare a tutto di nuovo. Aveva capito che
comunque non
sarebbe servito a nulla, per cui non aveva molto senso alimentare le
sue
speranze di miglioramento, solo per vederle di nuovo deluse.
Poi, a sedici anni, alla seconda
lingua che sapeva parlare
ma nessuno capiva né voleva capire, si era aggiunta la
scoperta di una
sessualità che i suoi coetanei non ritenevano naturale, e
– se possibile –
tutto era pure peggiorato.
Sedici anni era
un’età difficile, dicevano tutti, ma lui non
l’aveva pienamente compreso fino a quando non si era trovato
del tutto solo,
abbandonato per due cose che proprio non poteva cambiare.
Era giunto alla conclusione che,
anche avesse potuto, non lo
avrebbe fatto: lui si accettava per come era, e lo stesso avrebbero
dovuto fare
gli altri.
Durante l’ultimo anno di
liceo aveva raggiunto livelli di
misantropia tali che parlava solo quando un professore lo interpellava
ed
evitava di guardare in faccia chiunque, per quanto potesse.
Così, quando un giorno
qualunque di una settimana qualsiasi
era andato a sbattere contro qualcuno, non aveva alzato lo sguardo
né chiesto
scusa, ma se ne era defilato il più in fretta possibile.
Scappare era una cosa che aveva
imparato a fare molto bene.
Solo che nessuno l’aveva
inseguito, o così aveva creduto
fino a quando qualcuno non aveva occupato la sedia che stava
dall’altra parte
del tavolino in Biblioteca, dove stazionava sempre all’ora di
pranzo, in attesa
che le lezioni ricominciassero.
Quel qualcuno aveva tossicchiato, per
richiamare la sua
attenzione, e lui era così preso dal libro che aveva sotto
gli occhi, anche se
era la quinta volta che lo rileggeva, che all’inizio non se
ne era neanche
accorto.
Doveva aver continuato a tossicchiare
con parecchia
insistenza, se il secchione che occupava il tavolo a cinque metri dal
suo aveva
sibilato uno shhhh infastidito, e
quello l’aveva risvegliato e allontanato dal suo mondo
perfetto, facendogli
alzare gli occhi su un ragazzo che non aveva mai visto prima.
Il che non era poi molto strano, la
scuola era abbastanza
grande e lui di solito si fissava i piedi, quando camminava.
Ma lo sconosciuto aveva stampato in
volto un sorriso
gentile, e, ok, quello sì
che era
strano.
Forse l’aveva scambiato per
qualcun altro, oppure – molto
più probabile – quella era una specie di subdola
trappola e presto si sarebbero
ritrovato rintanato in un angolo, a leccarsi le ferite.
Quando era suonata la campanella,
nessuno dei due aveva
ancora aperto bocca e Zayn aveva tirato un sospiro di sollievo mentre
usciva
dalla Biblioteca.
Il giorno dopo se l’era
ritrovato davanti di nuovo, e la
cosa era andata avanti per un po’, fino a che, se nessuno dei
due avesse fatto
qualcosa, sarebbe scoppiato.
«Cosa vuoi?»
aveva chiesto, nessuna intonazione particolare
nella voce.
«Sono Andrew»
l’altro aveva risposto, invece, sempre
sorridendo.
Zayn aveva scrollato le spalle.
«E tu sei Zayn»
aveva aggiunto, e Zayn aveva arricciato le
sopracciglia, non sapendo bene come reagire, ma disinteressandosene
allo stesso
tempo.
Non credeva che tutto quello per cui
aveva pregato Dio
nell’ultimo anno si sarebbe avverato in un luogo sommerso da
libri, ma forse
quella era solo una delle varie ragioni per cui li amava
così tanto.
Andrew era stato suo amico, prima che
suo amante, e
fratello, confidente, qualche volta pure padre e Zayn si chiedeva
sempre se lui
era mai stato almeno la metà di tutte quelle cose, per
l’altro.
Andrew si era avvicinato a piccoli
passi silenziosi, tanto
che a un certo punto Zayn si era accorto che era dentro, dentro il suo
sangue,
e tutto intorno a lui, e non riusciva a capacitarsi di quando quello
fosse
accaduto.
Avevano frequentato la stessa
università, e mentre lui
studiava inglese, Andrew si preparava a diventare un fisioterapista, e
Zayn
scherzava sempre sul fatto che, se era riuscito a sistemare lui, allora
sarebbe
diventato il più bravo di tutti.
Non avrebbe mai immaginato che, a
soli ventiquattro anni,
sarebbe stato alla ricerca di un appartamento in cui vivere con il suo
fidanzato, presto sposo, perfettamente contento col mondo.
O che avrebbe trovato un posto di
lavoro così presto, a soli
quindici minuti di macchina da casa, un lavoro che amava quasi quanto
Andrew e
lo soddisfaceva e divertiva e qualche volta turbava.
O che, al secondo anniversario di
matrimonio, Andrew gli
avrebbe chiesto cosa ne pensava se forse
magari adottiamo un bambino? E che al solo pensiero di tenere
suo figlio in
braccio gli venivano le lacrime agli occhi e le mani diventavano di
gelatina,
perché se non fosse stato abbastanza? Abbastanza bravo e
l’avesse fatto cadere,
o comprensivo e lui avesse pianto? Andrew aveva sorriso,
perché quella era
l’unica cosa che riusciva a farlo calmare, e gli aveva
dolcemente sussurrato una bimba, Zayn, hai
sempre voluto una
principessa.
E, quando un giorno si era svegliato,
e Andrew era ancora
steso accanto a lui, invece che sotto la doccia come ogni altra
mattina, i loro
odori mischiati insieme che gli riempivano le narici e il volto
nascosto ai
suoi occhi dai capelli, non poteva credere che non sarebbe riuscito a
svegliarlo e che l’ultima volta che l’aveva visto
sorridere e sentito parlare
non c’aveva pensato, che sarebbe stata l’ultima,
perché nessuno gliel’aveva detto, nessuno
l’aveva avvertito e se tutto quello
era un incubo, allora qualcuno doveva, doveva,
svegliarlo.
Nessuno l’aveva fatto.
*
«Sono tornato indietro a
quando avevo sedici anni» mormorò,
consapevole che non avrebbe dovuto aver senso, solo che ce
l’aveva eccome, e
lui se n’era accorto perché non era scemo,
però fino a quel momento non aveva
voluto accettare l’idea che avrebbe potuto evitarlo, e forse
ora si era come
svegliato, ora che aveva ritrovato un po’ di
tranquillità e persone che lo
accettavano per chi era, che lo facevano ridere e sorridere
e, anche se li conosceva da poco, non lo facevano sentir
solo e quello era qualcosa che aveva cercato per una vita intera e
trovato solo
con Andrew, prima di allora.
Credeva che quello dovesse pur
significare qualcosa.
«Vuoi restarci?»
Zayn scosse la testa.
«Non sei bloccato
lì. Se non vuoi, non sei bloccato»
Zayn annuì.
*
«Posso?»
Zayn alzò gli occhi al
cielo, mentre Harry si affacciava
falsamente preoccupato dalla soglia della libreria. Si chiese quando
l’avrebbe
fatta finita con quella farsa. Probabilmente mai.
«Che fai?»
Smise di scorrere la lista dei libri
arrivati quella mattina
stessa e alzò lo sguardo sul più piccolo.
«Sistemo gli ultimi
arrivi»
Con la coda dell’occhio,
vide l’altro farsi vicino e
sbirciare da sopra la sua spalla, solo per poi metterglisi seduto
accanto, sul
pavimento.
«Che fai?» chiese
lui, quella volta.
«Ti do una mano»
rispose, sicuro.
Zayn lo guardò, scettico,
e notò che il sorriso dell’altro
si era fatto improvvisamente meno largo e l’iride meno
brillante.
«Ok» disse,
perché non voleva che Harry credesse di aver
fatto qualcosa che l’avesse urtato, non quando il rapporto
che c’era tra loro
era ancora così incerto. «Tu tieni la lista, mi
leggi i titoli e tiri una riga
quando li ho trovati, va bene?»
Harry annuì. Sembrava un
bambino sotto l’albero di Natale,
il che era assurdo visto che non capiva come qualcuno potesse essere
felice
all’idea di sistemare tomi e tomi. A parte lui, che
però non faceva conto.
«Ok»
sussurrò tra sé e sé.
*
Vide Harry stirarsi, le braccia alte
sopra la testa, la
schiena che appariva centimetro dopo centimetro. Harry, che quando
l’aveva
conosciuto aveva la pelle bianca, nivea, a metà luglio era
scuro quasi quanto
lui, e Zayn non avrebbe saputo scegliere quale dei due colori gli
donasse di
più.
«Ho fame» si
lamentò l’altro, risvegliandolo dai suoi
pensieri, che erano a un soffio da farsi vagamente impudichi.
Scacciò l’idea,
insensata e non voluta, e si concentrò su quanto stesse
dicendo l’ammasso di
ricci che aveva accanto.
«Vai a pranzo»
consigliò, perché era l’unica cosa che
avesse
senso.
«Andiamo a
pranzo» controbatté Harry, marcando il verbo.
«Non –»
cominciò a dire, ma l’altro lo interruppe.
«Daiiii»
supplicò, il solito broncio, che probabilmente
avrebbe corrotto anche un Santo a rubare caramelle a un bambino,
impresso sulle
labbra.
Zayn scrollò le spalle;
tanto sapeva di non avere né la
forza né la voglia di combattere contro
l’insistenza di nessuno Styles.
*
«Un’insalata?
Zayn»
«Ehi, non dire il mio nome
come se fosse un insulto»
«Zayn»
ripeté, condendo il tutto con una linguaccia.
Zayn
scrollò la
testa. Qualsiasi parola sarebbe stata sprecata, con lui.
«Mi piace, ok?»
si difese, visto che l’altro continuava a
guardarlo stranito. «E poi fa bene»
«Ma solo quella? Per
pranzo?»
«Mi basta»
replicò, la voce addolcita per debellare le
preoccupazioni di Harry.
Per uno stomaco come il suo, abituato
a mangiare aria per
pranzo, quello era davvero un pasto più che sufficiente,
checché ne dicesse
Harry.
«Dai un morso»
Zayn occhieggiò il panino
enorme che Harry gli aveva ficcato
davanti al naso.
«È il
più buono di sempre, giuro, devi provarlo»
Zayn diede un morso,
perché così magari l’avrebbe lasciato
in pace.
«Buono?»
«È ok»
rispose, per non dargli troppa soddisfazione.
Harry lo fissò sconvolto,
corredando la scena di una
drammatica mano sul cuore.
«Hai preso lezioni da
Louis?» scherzò, ricevendo in risposta
un’altra linguaccia.
Harry non aggiunse altro, e Zayn lo
osservò mentre
riprendeva a mangiare dopo aver dato uno sguardo quasi affettuoso al
suo stesso
panino.
Se fare piccole cose per lui bastava
a farlo sorridere in
quel modo, Zayn si disse che le avrebbe fatte più spesso
solo per poter vedere
le fossette che, immancabilmente, ogni volta comparivano sulle sue
guance.
*
«Ciao, Malik»
Harry entrò, allegro come
sempre era in quell’ultimo
periodo.
Zayn lo preferiva di gran lunga in
quel modo; anche se era
rumoroso e insistente, pensare che un giorno sarebbe entrato in
libreria
l’Harry dei primi di giugno gli faceva contorcere lo stomaco.
Si chiese se
magari c’entrasse il fatto che non vedeva in giro Anthony da
un po’.
Magari era in vacanza. O magari aveva
cambiato continente.
O magari gliel’avrebbe
chiesto. Prima o poi.
«Ho portato il
pranzo» lo informò, come se il cartone di
pizza che teneva in mano di per sé non fosse
un’indicazione sufficiente.
«Come ieri e
l’altro ieri» lo prese in giro, fintamente
infastidito. Alla fine, che Harry si preoccupasse per lui gli faceva
quasi
piacere. Sei troppo magro, gli
aveva
spiegato due giorni prima, quando se ne era entrato con due hamburger
enormi e
due porzioni di patatine che erano immerse nell’olio.
«Hai più sentito
Anthony?» chiese di punto in bianco, perché
evidentemente non sapeva cosa fosse il tatto, e comunque, meglio prima
che poi
era il suo motto da sempre.
Harry si morse un labbro.
«Perché? L’hai per caso incontrato
di recente? Hai parlato con lui?»
«No, Hazza, calmati. Era
così, per sapere»
Vide Harry rilassarsi
istantaneamente, per poi scuotere il
capo.
«No, di solito in questo
periodo parte e va al mare. Sud
della Francia» spiegò, alzando un sopracciglio che
parlava da sé.
«Oh, oh, si tratta bene, il
ragazzo»
«Non sai quanto»
confermò l’altro, senza una particolare
inflessione nella voce.
Zayn sperò di non aver
toccato nessun tasto dolente.
«Se vuoi
parlarne…» propose, lasciando a metà la
frase
quando gli venne in mente che, se voleva parlare con qualcuno, di certo
sarebbe
andato da Louis o da Liam e Niall, non da lui.
«Non
c’è molto da dire, in realtà»
alzò le spalle. «Non
andava da un po’, e immagino sia inutile stare con qualcuno
se vuoi qualcun
altro»
A Zayn tornò in mente il
ragazzino che aveva visto aggrappato
a quell’idiota di Anthony, lo stesso giorno in cui si era
lasciato con Harry, e
come quella volta, si chiese come fosse possibile desiderare qualcun
altro,
quando Harry era tuo. Ora che aveva avuto la possibilità di
conoscerlo meglio,
di capire quanto generoso e leale e premuroso (anche se testardo e
impertinente
e insopportabile) fosse, riusciva a capirlo anche meno.
«Ehi, ma oggi è
sabato!» esclamò, come se lo avesse
ricordato solo in quel momento.
«Ah-ah»
confermò Zayn.
«Dobbiamo andare al cinema,
stasera!» il tono di voce
eccessivamente alto.
«Dobbiamo?»
sollevò un sopracciglio. Non sapeva se ridere
perché Harry era eccitato per il cinema, per
l’amor del Cielo, oppure perché
l’aveva coinvolto come nulla fosse, e quella era una cosa
così tanto da Harry che
ormai non avrebbe dovuto
neanche sorprenderlo più.
«Dobbiamo! Ti prego,
Zayn» supplicò, gli occhi spalancati.
«Dimmi almeno che film
è»
«Una sorpresa, passo
stasera alle nove meno qualcosa, fatti
trovare pronto!»
«Ma che orario
è, le nove meno qualcosa? Hazza? Ehi?» ma era
inutile, il suddetto ragazzo era già uscito saltellando
dalla libreria e, con
un’ultima sventolata di mano, era entrato in pasticceria.
*
«Che film è,
Hazza?» domandò per la quindicesima volta. E per
fortuna che da Little Holmes al cinema più vicino ci voleva
solo mezzoretta
scarsa, se no forse l’altro l’avrebbe lanciato in
strada dalla macchina in
corsa. Sapeva di essere un po’ annoiante, ma fondamentalmente
era solo
curiosità.
Harry scosse la testa, come aveva
fatto in risposta alle
prime quattordici volte. «Siamo quasi arrivati»
disse, invece.
*
«Non ci posso credere,
Harry. Ti odio»
Via col vento?
Harry doveva essere impazzito, per voler vedere un mattone del genere.
L’altro fece finta di non
aver sentito e, pop-corn in mano,
entrò in sala. Oltre a loro, c’erano solo altre
due, tre coppie. La cosa fece
fare le capriole al suo stomaco, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
L’idea
che anche loro sarebbero potuti sembrare una coppia gli
prosciugò la gola. Non
che sarebbero potuti esserlo davvero. Harry probabilmente aveva ancora
la testa
piena della sua storia con Anthony, anche se l’aveva negato,
e lui non sarebbe
comunque stato pronto.
In realtà non si sentiva
così bene da troppo tempo, e
finalmente aveva l’impressione di aver ripreso a muoversi, a
vivere senza che
la sua vita gli passasse di fronte come un treno in corsa, ma, anche se
ogni
volta che vedeva Harry non poteva evitare di sentire
un’ondata d’affetto
invaderlo, quello non voleva dire nulla.
Era affetto, appunto. La stessa cosa
che provava per Liam e
Louis e Niall. Erano amici, e quello era il giusto sentimento da
provare.
Annuì tra sé e
sé, per convincersi che sì, aveva ragione, e
beccò Harry che lo osservava come fosse mezzo pazzo. Forse
aveva borbottato
qualcosa e non se ne era reso conto.
Scrollando le spalle,
seguì l’amico e si sedette in una
delle innumerevoli poltroncine vuote.
Sarebbe stata una lunga serata.
*
«–yn…
–ayn? Zayn!»
Una mano scrollò con forza
la sua spalla e lui si risvegliò
di soprassalto, quasi cacciando uno strillo poco mascolino.
«Che
c’è?» chiese.
«È
finito» disse Harry, sorridendo.
«Uhm? Ah» ci mise
qualche secondo per focalizzare.
Cinema. Via col vento. Doveva essersi
addormentato dopo
pochi minuti.
L’ultima cosa che ricordava
era la manciata enorme di pop-corn
che aveva ficcato in bocca e il profilo di Harry mentre fissava il
grande
schermo.
Gli si strinse lo stomaco al ricordo
di come le fossette
fossero rimaste ben visibili per i primi dieci buoni minuti. Quel
ragazzo era
adorabile come un cucciolo.
Si morse la guancia per bloccare il
sorriso che gli stava
spuntando, al pensiero.
«Se non la smetti di farmi
mangiare robbaccia, mi uccidi»
disse allora, indicando il cartone vuoto che conteneva gli ultimi
rimasugli di
pop-corn.
«Pfff» lo prese
in giro l’altro. «Io è una vita che
mangio
schifezze e guarda qua» esclamò, indicandosi in
modo sommario.
Zayn sollevò un
sopracciglio, ironicamente. Non c’era verso
che gli desse ragione. Non su quello, perlomeno, e non senza procurarsi
imbarazzo.
«Ok, ok. Vorrà
dire che una di queste sere mi rifaccio e ti
cucino qualcosa che si adatti di più al tuo stomaco
delicato, va bene?»
continuò con lo stesso tono di prima.
Zayn lo guardò male. Se
l’era cercata, si disse. Gli aveva
dato confidenza e adesso quell’idiota non avrebbe mai smesso
di stuzzicarlo e
girargli intorno e sorridergli con gli occhi, con
gli occhi.
Se proprio doveva essere sincero, non
era sicuro che ci
fosse qualcosa di negativo, in quello.
*
Non si era vestito con più
cura del solito. Era solo una
cena a casa di Harry, che era un amico, anche piuttosto fastidioso,
quindi no,
non doveva far colpo su nessuno.
Harry l’aveva chiamato, di
mattina, informandolo che quella
sera era impegnato: con lui. Gli avrebbe preparato quella cena
promessa, così
non si sarebbe più lamentato.
E ok. Tanto Zayn non aveva da fare
nulla.
Suonò il campanello con la
mano che non sorreggeva la
bottiglia di vino che aveva portato. Non era un grande esperto e aveva
scelto
un po’ a caso, ringraziando il cielo che anche in quel posto
il minimarket
rimaneva aperto di domenica mattina, d’estate.
«Ehi» lo
salutò il riccio, quando lo sentì entrare. Era
così
indaffarato ai fornelli che neanche l’aveva guardato. Zayn
scacciò il moto di
delusione che aveva improvvisamente provato senza neanche capire
perché. O,
forse, senza volerlo capire.
«Tieni» disse,
porgendogli il vino, perché già si era
stufato di tenerlo in mano e tutto quello che voleva fare era stendersi
sul
divano, visto che in cucina lui era proprio un disastro.
«Oh, grazie»
Zayn scrollò le spalle e
si voltò verso il salotto, con la
strana sensazione che gli occhi dell’altro fossero puntati
sulla sua schiena.
«Mettiti pure comodo,
eh» ironizzò il più piccolo, quando
ormai lui si era steso e aveva impugnato il telecomando, nel tentativo
di
ricordare come quell’aggeggio funzionasse.
«Grazie, tesoro»
lo scimmiottò, senza pensarci troppo. Si
arrischiò a lanciare un’occhiata a Harry, che si
era già rivoltato verso
pentole e padelle e, anche se non poteva guardarlo in viso, il piede
che batteva
ritmicamente sul pavimento e la mano che passava troppo spesso tra i
capelli
gli parlava di imbarazzo.
Si chiese se fosse dovuto al tesoro scherzoso con cui
l’aveva chiamato. L’idea lo fece sorridere
di piacere, ma era molto più probabile che avesse fatto un
disastro con la cena
e fosse in preda a un attacco di nervosismo per quello.
«Ti devo
aiutare?» chiese, giusto per cortesia, anche se,
be’, era un po’ tardi, e perché vederlo
in difficoltà lo infastidiva.
«Eh? No, no, non
preoccuparti» scacciò con la mano la sua
proposta.
Con un sospiro, tornò a
guardare il programma che stavano
trasmettendo in televisione. Era di una tale noia che gli occhi gli si
stavano
chiudendo e chiudendo, e lui non aveva la minima forza per opporsi.
*
«Ehi, Biancaneve»
Sbatté gli occhi.
Doveva essere un vizio, il suo.
«Ogni volta che sono con te,
mi addormento» borbottò, ancora mezzo rintontito.
«Ehiiii! Mi stai dando del
noioso?» s’imbronciò Harry.
«Forse»
replicò, ammirando il volto dell’altro da quella
breve distanza. Erano così vicini che, giusto un paio di
centimetri, un
movimento brusco e– no, no, no, che pensieri gli venivano in
mente? Era Harry, Harry, per grazia
divina. E poi
mica voleva beccarsi un pugno dall’altro. Non sembrava, ma
alla sua faccia ci
teneva.
«Si cena?»
chiese, sviando il discorso e scacciando le voci
assurde che gli stavano riempendo il cervello con urla acute.
Harry annuì, finalmente
allontanandosi e permettendogli di
nuovo di respirare come un normale essere umano. Grazie.
Era così affamato che
avrebbe mangiato un elefante intero, e
tutto quello che c’era sul tavolo aveva un aspetto e un odore
così invitanti
che probabilmente sarebbe tornato a casa con cinque chili in
più. Almeno quello
avrebbe reso felice sua madre.
Quando ebbe messo in bocca il primo
boccone, alzò gli occhi
e vide Harry fissarlo apprensivo.
Il sapore della pasta si diffuse per
tutto il palato ed era
così tanto che non assaggiava qualcosa di così
buono che avrebbe potuto
piangere.
«Oh mio Dio,
sposami» scherzò, e magari avrebbe dovuto
evitare di dirlo, perché Harry era arrossito furiosamente e
lui aveva fatto un
tuffo nel passato e, come sempre, i ricordi brutti avevano sommerso i
belli e
forse Zayn era un po’ masochista, perché se
l’era cercata e non c’era proprio
bisogno di rovinare quella tranquilla serata che era partita
così bene.
Cercò di ritornare con la
testa al presente. Al presente in
cui Harry sorrideva felice e gli versava vino e cianciava
dell’ultimo disastro
combinato da Louis.
Se qualcuno glielo avesse chiesto,
non avrebbe saputo dare
una risposta, ma senza accorgersene, in qualche arcano modo, nel bel
mezzo del
resoconto della partita a FIFA a cui Harry aveva giocato quella
mattina, le sue
spalle si erano rilassate e la nube che gli avvolgeva la testa se ne
era andata
e, tra tutto, era rimasto solo HarryHarryHarry.
*
«Sei più
silenzioso del solito»
Quel lunedì mattina,
appena era arrivato in libreria, non si
era neanche degnato d’aprire, ma si era subito fiondato sul
libretto perché sì.
Perché se non avesse parlato con qualcuno, sarebbe scoppiato
ed Edward era il
qualcuno più indicato. Aveva preso in mano il Libro e quello
gli aveva
procurato una strana sensazione, come se ci fosse stato qualcosa di
differente
dal solito, ma l’aveva scacciata, troppo sconvolto per
pensare a qualcosa che
non fosse la notte appena trascorsa.
Aveva sognato.
Dopo due anni di notti insonni e di
incubi, aveva sognato
Harry. Era uno scherzo crudele, quello.
Non poteva sognare Harry.
Di baciarlo e toccarlo e spogliarlo.
Se lo avesse incontrato, con che
coraggio l’avrebbe
guardato?
E poi lui da quando sognava uomini?
Little Holmes l’aveva
corrotto e lo stava psicologicamente distruggendo.
Voleva davvero parlare con Ed,
chiarirsi le idee, capire
qualcosa di quel giallo intricato che erano diventati i suoi
sentimenti, ma-
Ma quando si era ritrovato davanti
quel volto così simile a
quello che non voleva proprio saperne di lasciare la sua testa, si era
ritrovato senza parole.
Non sapeva da che parte incominciare
a spiegarsi.
«Qui,» riprese
Edward. «hai tutto il tempo di cui hai
bisogno»
Tempo.
Zayn non
aveva bisogno di tempo. Sapeva quello che doveva fare: scappare da quel
paesino
che neanche le carte geografiche si degnavano di segnalare e non
tornare mai
più.
Probabilmente sarebbe stata la scelta
più sicura, quella che
gli avrebbe permesso di continuare a vivere la sua esistenza priva di
sconvolgimenti, ma anche quella più stupida.
Quindi no, non era vero che sapeva
quello che era meglio
fare. E sì, forse aveva pure bisogno di tempo. E magari che
Edward facesse una
delle sue magie e gli servisse la risposta che cercava su un vassoio
d’argento.
Gli serviva tempo per lasciare andare
tutto quello che era
stato; per lasciare andare se stesso e spalancare le porte a qualcosa
di nuovo,
qualcuno di nuovo. Per accettare che era pronto, perché
forse se aveva così
tanti dubbi non lo era, giusto? Oppure era solo così tanto
impaurito da non
riuscire a muovere neanche un passo da formica in avanti.
Non sapeva neppure come si sentiva,
ma solo che sentiva: qualcosa di
diverso dal dolore
sordo dei primi tempi e del vuoto assoluto che lo circondava da quando
suo
marito era morto accanto a lui, senza che lui se ne accorgesse, su di
un letto
che avevano condiviso per anni e che lui non riusciva più
neanche a guardare.
Immaginava che quello fosse
già abbastanza. Per lui, era
abbastanza.
Ma per qualcun altro?
Sarebbe
stato sufficiente? Zayn a malapena sapeva trascinarsi attraverso le
giornate,
quanto era sbagliato pretendere che altri, che Harry,
mettessero le mani in quel casino, senza neanche una
sicurezza da parte sua?
«Quando ho visto Harry per
la prima volta… è strano e non ha
senso, che per un posto come questo è come dire che
è normale, ma ho provato come
la sensazione di non riuscire a sopportarne neanche la vista. Come una
sensazione a pelle, solo più forte. Ho pensato fosse
antipatia. Magari era la
sua faccia, sai, con tutti quei ricci e quel naso strano. Ma
se… e se fosse per
questo, perché il mio stomaco prima ancora del mio cervello
aveva capito che
Harry avrebbe creato questa terza guerra mondiale, nella mia testa. Un
avvertimento. Ha senso?»
«Sei preoccupato,
Zayn?»
«No.
Sì» Preoccupato era un eufemismo.
«Anche»
«Perché ti piace
un uomo che non è Andrew?»
«Anche, sì.
È tutto nuovo, e diverso e- e non so
se…»
«Se sei pronto»
«Che scemo che sono. Due
anni e ancora mi piango addosso»
«Non direi, no»
lo contraddisse. «C’è chi non riesce a
sentirsi pronto mai. Trovare un’altra persona da amare
può essere la spinta
decisiva. Quella che fa la differenza tra passato e futuro. E se tu
riesci a
farcela, non giudicare meno grande il sentimento che provi per Andrew.
Non vuol
dire che non lo amavi abbastanza, se provi a ripartire da
zero»
Amare. Era quello che provava per
Harry, amore?
Aveva una tale confusione in testa
che non riusciva neanche
più a distinguere tra quello che provava il suo cuore e
quello che voleva
provare, come poteva esserne sicuro?
«Sai, quando avevo
diciassette anni, ero completamente e
profondamente innamorato di una ragazza che abitava due case
più in là della
mia. Era di un anno più piccola, ma eravamo cresciuti
insieme. Da bambinetta
con le ginocchia sporche di terra, si è trasformata in una
fanciulla piena di
vita e gentile e senza neanche accorgermene tutto quello che volevo era
stare
con lei. Ogni momento della giornata; volevo parlarle e farla ridere.
Vedere i
suoi occhi nocciola illuminarsi grazie a me, o perché una
farfalla si era
posata sulla sua gamba. Amava le farfalle. Si chiamava Jenny e credevo
che
l’avrei sposata e che avremmo avuto dei figli e saremmo
vissuti per sempre
felici e contenti. Come in una meravigliosa favola. Poi, un giorno,
è svenuta e
i suoi genitori hanno dovuto portarla all’ospedale. Otto anni
fa la medicina
immagino fosse molto meno sviluppata di quanto non lo sia al tuo tempo,
e i
dottori non sapevano davvero cosa fare»
Zayn ascoltò rapito. Come
ogni altra volta in cui Ed si
apriva a lui, Zayn si ritrovò immerso nelle parole
dell’amico.
«È morta poco
dopo. L’anno successivo, io e tua zia abbiamo
trovato il Libro. L’unico luogo in cui io abbia mai viaggiato
è questa stessa
città, al mio stesso tempo. Solo che io non ero mai nato. Ma
c’era Jenny, e la
possibilità di stare con lei era così desiderata
che quasi dimenticai che il
mio posto era nel mio mondo, un mondo in cui Jenny non c’era
più, un mondo nel
quale io non avrei voluto abitare, ma al quale appartenevo. Pensavo che
ciò di
cui avessi bisogno fosse proprio questo, stare con lei lì,
perché altrove non
ne avevo la possibilità. E la tentazione di abbandonare
tutto e vivere in
quella realtà era così forte che alla fine dissi
a tua zia di tenersi il Libro
Nero, perché io non potevo più utilizzarlo.
Capisci, Zayn? Volevo, ma non
potevo» Ed lo fissò intensamente.
«E poi che è
successo?» chiese Zayn, dopo qualche minuto di
silenzio totale.
«Ho ripreso a vivere qui,
anche se è stata la cosa più
difficile che abbia mai dovuto fare, perché non
c’era Jenny e in più sapevo che
esisteva un modo per stare con lei. Ma poi, tre anni fa ho incontrato
Sabrina,
mia moglie. Ti ho parlato di lei» disse, le parole
pronunciate delicatamente
come fossero state petali. «E, proprio come te, non credevo
che nessuna donna
avrebbe mai potuto significare tanto quanto Jenny, per me. Invece mi
sono
innamorato di Sabrina, e la parte del mio cuore che è morta
con Jenny non
tornerà mai più indietro, ma questo non vuol dire
che non ci sia anche spazio
per qualcun altro»
Zayn annuì, sperando che
anche il suo, di cuore, avesse
abbastanza posto e non fosse del tutto rotto.
*
Zayn guardò Louis ed
Eleanor al tavolo degli sposi; non
aveva ma visto un sorriso tanto aperto colorare i tratti
dell’amico, e quello
doveva pur dire qualcosa.
La cerimonia era stata piuttosto
veloce e il ricevimento,
cibo decorazioni musica, era aggraziato quanto la sposa e stravagante
quanto lo
sposo.
Zayn si era ritrovato a fare un
paragone con il suo, prima
che potesse fermarsi, ma poi le chiacchiere degli altri ragazzi al
tavolo
l’avevano bloccato, evitando che si perdesse completamente.
Erano arrivati al dolce, finalmente,
ma aveva come la strana impressione che finita la cena ci sarebbe stato
dell’altro e che Louis non gli avrebbe permesso di andarsene.
Sentì la risata di Harry
trapanargli un orecchio, cosa che
lo costrinse a voltarsi verso il più piccolo, curioso di
capire cosa l’avesse
tanto divertito.
Apparentemente Niall, forse con una
delle sue solite pazze
storie, che però lui non aveva seguito per nulla.
«Ehi» disse
Harry, quando si accorse che l’attenzione di
Zayn era tutta rivolta a lui (Zayn era quasi arrossito al pensiero di
essere
stato beccato in flagrante). «Tutto ok?» chiese, un
sorriso rassicurante tutto
per lui. Zayn avrebbe voluto strapparglielo e rubarlo, afferrarlo con
una mano
e non lasciarlo andare mai più, magari tenerlo nella tasca
dei jeans o nel
portafoglio, così da poterlo tirar fuori ogni volta che
aveva bisogno di essere
calmato. Harry lo calmava ancora più di Ed, e allo stesso
tempo lo agitava. Lo
agitava così tanto che il suo cuore sembrava correre i
duecento metri, e le sue
mani prendevano a sudare così tanto da far concorrenza a un
lottatore di sumo e
la gola, la gola diventava arida quanto il terriccio di una piantina
lasciata
per troppo tempo sotto il sole estivo, senza neanche una goccia
d’acqua.
Si ricordò che doveva
ancora rispondere a Harry, e stava per
farlo, ma Eleanor si era alzata ed era salita sul piccolo palco
allestito per
l’occasione, da dove una band aveva suonato musica soft per
tutta la serata.
«Bene, spero che tutti
abbiate gradito il cibo» cominciò, e
Zayn avrebbe giurato che lo sguardo della ragazza fosse caduto
brevemente su
Niall. «Ma è il momento di andare a dormire. Buona
notte»
Un mormorio falsamente indispettito
si alzò per la stanza,
interrotto solo dai concitati ok, ok,
della ragazza. «D’accordo, visto che proprio non
volete andarvene,» riprese. «che
abbiano inizio le danze!»
Zayn emise un lamento. Lui a ballare
faceva schifo, schifo
assoluto. Proprio pietà.
Voleva dire che avrebbe fatto a meno
di unirsi alla
marmaglia di gente che si stava radunando in pista, e che si sarebbe
accontentato del ruolo di mero spettatore.
«Vieni?»
Zayn alzò il volto verso
Harry, che lo fissava con
aspettativa.
«No, no, non
ballo»
Credette che un velo di delusione si
fosse posato sulle
belle labbra dell’altro, ma forse se l’era
immaginato, perché dopo aver brevemente
scrollato le spalle, Harry aveva seguito Niall e Liam in pista.
Guardò i suoi amici
scatenarsi al ritmo di Jailhouse Rock.
Harry si muoveva
cercando di imitare i passi di una ragazza che gli stava accanto, ma le
sue
gambe proprio non volevano saperne di girare al tempo giusto e Zayn
poteva
scommettere che un paio di volte era anche inciampato, e per miracolo
non era
caduto. Ogni volta Harry rideva un po’ di più,
come se proprio non potesse
farne a meno, come se quello fosse il momento più divertente
della sua intera
vita, e Zayn si ritrovò a ricercare nella sua memoria
momenti in cui l’altro
aveva riso in quel modo per qualcosa che aveva fatto lui.
Non ne trovò nessuno, ma
la cosa non lo stupì affatto. Era
sempre di umore cupo e Harry era così solare che forse
neanche i miglioramenti
che Zayn era convinto di aver fatto erano sufficienti, per farsi volere
da lui.
E, forse, allora sì, Harry
gli piaceva, gli piaceva tanto
che lo voleva per sé. Voleva per sé quella risata
e quelle gambe scoordinate e
i capelli che gli si attaccavano alla fronte.
Voleva che Harry entrasse in libreria
ogni mattina, e che
invece di porgergli il pranzo gli desse un bacio, e voleva sapere che
sapore
avessero i baci di Harry, e la sua pelle e che odore avessero il suo
collo e
tutto il suo corpo, e voleva che Harry sussurrasse al suo orecchio
sconcezze e
poi parole dolci e poi ancora sconcezze.
Voleva che Harry gli raccontasse
tutto, tutto, di com’era da
bambino e di quello che sognava da adolescente e di quello che sperava
per il futuro.
Voleva che Harry si aprisse a lui come un fiore al sole di primavera, e
anche
lui voleva aprirsi all’altro, e la realizzazione che
sì, voleva fargli
conoscere tutti i suoi anfratti e le sue nicchie ben nascoste, lo
colpì più del
desiderio di volersi svegliare con lui ogni mattina.
E voleva alzarsi, magari dirglielo,
prenderlo per mano e
trascinarlo via dalla pista, e dirglielo, dirglielo, dirglielo, ma
quando lo
identificò tra la folla, fu come ricevere un calcio alla
bocca dello stomaco,
senza alcun preavviso.
Neanche si era accorto che la musica
era completamente
cambiata, perso com’era nel suo sogno ad occhi aperti, ma il
rock ‘n’ roll non
la faceva più da padrone e al suo posto era subentrata una
musica lenta, da
amanti e innamorati, ed Eleanor con il suo enorme vestito bianco
spiccava come
nessun altro, solo che Zayn riusciva a vedere, davvero vedere, solo
Harry.
Harry che teneva le sue grandi mani
sulla schiena di un uomo
che non era lui e sorrideva, con le fossette profonde come il Grand
Canyon, e
che era stretto a sua volta da qualcuno che Zayn vagamente riconosceva
come uno
dei testimoni di Louis.
«Oh, Stan»
sentì Niall dire accanto a lui.
Si voltò, come a chiedere
una spiegazione, non troppo
convinto di volerla davvero sentire.
«Ha una cotta per Harry da
secoli»
Vide Liam annuire, quasi solennemente.
«E Harry?»
chiese, incapace di zittire le sue parole prima
che uscissero dalle labbra.
«Non l’ha mai
sopportato, in realtà»
Non si
direbbe,
avrebbe voluto commentare lui, ma aveva come l’impressione
che sarebbe suonato
eccessivo, detto da lui, che su Harry non aveva alcuna pretesa.
«Vado a fumarmi una
sigaretta» informò gli altri.
«Fumi?» chiese
Niall, stupito.
«Ogni tanto»
scrollò le spalle, sentendosi vagamente in
colpa per la bugia. Non fumava da una vita, non aveva un pacchetto in
tasca da
secoli, ormai, ma quella era l’unica scusa decente che gli
era venuta in mente
per uscire da lì senza creare domande imbarazzanti.
Una volta fuori, si sedette sulla
panchina più vicina,
incurante che il vestito elegante gli si sporcasse, e prese un respiro
profondo.
Non lo calmò per niente.
*
Orsa
maggiore,
Cassiopea, Lira… aveva perso il tocco, non
riusciva neanche più a
identificare la Stella Polare. In una cosa, almeno, Little Holmes era
uguale a
Bradford: l’inquinamento luminoso non permetteva nemmeno
lì di vedere per bene
le stelle.
Una volta, da ragazzino, sua madre
l’aveva spedito in
campeggio con tanti altri orribili coetanei e la luce più
vicina era così
lontana che la notte era davvero notte
e le stelle visibili erano centuplicate. Ognuna era un piccolo,
luminoso
diamante e Zayn credeva che quell’immagine fosse una delle
poche che non
avrebbe mai potuto dimenticare.
«Ehi»
Zayn si riscosse dai suoi pensieri e
si voltò, trovandosi
davanti l’alta figura di Liam. «Posso?»
«Hai una bottiglia di vino
in mano, come potrei dirti di
no?» replicò, spostandosi un po’ per far
spazio all’amico.
«Si sta bene qui
fuori» commentò, passandogli la bottiglia.
Zayn non rispose, ma prese un lungo
sorso. Non pensava di
essere rimasto fuori così a lungo da preoccupare o almeno
insospettire
qualcuno.
«Harry ha detto che Stan si
è fidanzato» lo informò.
Zayn prese un altro sorso, insicuro
di cosa dire.
«A quanto pare ha smesso di
provarci. Harry dice che,
adesso, è quasi diventato sopportabile. Quasi»
continuò.
«Meglio per lui»
rispose, provando a dissimulare il suo
interesse. La consapevolezza che quello Stan non ci stesse provando
metteva a
tacere quella specie di leone che era sorto da non sapeva bene dove, al
vederli
ballare insieme. Ma era ancora lì, in agguato, pronto ad
attaccare. Zayn poteva
sentirlo fare le fusa. Fusa leonine. La cosa un po’ lo
preoccupava, sperava di
non ritrovarsi mai davanti al testimone di Louis, c’era
sempre il rischio di
squartarlo.
«Per chi? Harry o
Stan?»
Non sapeva proprio dove Liam volesse
arrivare. Gli tese la
bottiglia, ma l’altro negò con la testa. Poco
male, era una festa, era
legittimato a divertirsi un po’, e Liam era stato
così gentile a portargli da
bere, magari si sarebbe disteso e tranquillizzato, e non avrebbe
più sentito
tutta quella tensione alle spalle e alle gambe. Prese
l’ennesimo sorso. Era
arrivato a metà senza neanche accorgersene, e iniziava anche
ad avere un po’ di
sonno. Avrebbe volentieri dormito su quella panchina, ma, anche se il
giorno
dopo la libreria era chiusa, non poteva permettersi di stare a casa
perché si
era ammalato, dormendo all’addiaccio. E ok, era estate, ma la
notte era pur
sempre freddo abbastanza da congelargli il naso e lui non si ricordava
più
quello di cui stava parlando con Liam.
«Zayn?»
«Uhm?»
mormorò.
«Ti piace Harry, vero?
Dovresti dirglielo, perché Harry è
buono come il pane, ma non ci arriva da solo, se non glielo dici,
ok?»
Zayn avrebbe voluto negare, negare e
ancora negare. Ma non
ne vedeva il punto, con la lingua rallentata che di certo si ritrovava
e il
sonno che gli calava sulle palpebre. E poi, poi era vero. Harry gli
piaceva.
«Dovresti dirglielo, io lo
conosco… Zayn?»
Zayn neanche se ne era accorto, di
essersi appoggiato alla
spalla di Liam, la bottiglia quasi completamente vuota abbandonata per
terra e
la tempia che collideva con l’osso per nulla morbido
dell’altro.
Aveva come l’impressione
che Liam avesse ripreso a
parlargli, una mano che gli accarezzava i capelli teneramente, ma Zayn
non sentiva
nulla. Era in un mondo ovattato, dove la sua testa riposava sul grembo
di Harry
che blaterava e blaterava come al solito; anche nel sonno, quello non
mancava
di farlo sorridere.
«Liam?» stava
chiedendo l’Harry del suo sogno. «Sta
bene?»
E quando sentì la voce di
Liam rispondere che sì,
più o meno, stava bene, Zayn si
accorse che non era l’Harry onirico ad aver parlato, ma
quello reale, che
evidentemente era uscito, abbandonando quello scemo con cui stava
ballando come
non ci fosse un domani. Il pensiero sembrò sciocco anche
alla sua testa
inebriata, ma non gliene poteva importare di meno.
«Uhm»
biascicò, cercando di riaprire gli occhi e focalizzare
la vista.
«Forse è meglio
se qualcuno lo riporta a casa, non credo
sarà in grado di guidare troppo presto…»
Zayn avrebbe voluto ribattere, ma non
riuscì a trovarne in
sé la forza.
Percepì, ancor prima di
vedere, Harry abbassarsi sulle
ginocchia di fronte a lui, una mano sulla sua coscia.
Un calore tenue – che
più ci pensava, più si rafforzava – si
diffuse a partire dal punto in cui il palmo di Harry entrava in
contatto con la
sua gamba fasciata dai pantaloni eleganti. Provò a non
pensarci, ma quando alzò
lo sguardo sul volto dell’altro, riuscirci divenne dieci
volte più difficile.
«Che ne dici se ti porto a
casa?»
Zayn deglutì e poi,
semplicemente, annuì.
«Ok»
asserì Harry, alzandosi e aiutando Zayn a fare lo
stesso.
Sentì vagamente Liam
assicurarsi che Harry ce la facesse o
che quello non gli procurasse fastidio, e i capelli di Harry gli
solleticarono
il collo quando quest’ultimo scosse la testa. La spalla di
Harry era più comoda
di quella di Liam, decise. Quella di Liam era confortevole, davvero.
Adorabile,
ma Zayn sapeva che, se avesse potuto, avrebbe scelto di passare la vita
sempre
in quella posizione, o anche sopra Harry, o sotto. E il pensiero stava
iniziando a eccitarlo, ma era ubriaco e quella era davvero
un’ottima scusante.
Non capiva cosa stessero aspettando,
poi si sentì appoggiare
alle spalle una giacca – la sua. Harry gli strinse il polso,
facendogli strada
dopo aver salutato Liam.
Arrivarono alla macchina di Harry e
Zayn a malapena si
accorse che l’altro gli aveva aperto lo sportello, fino a
quando non sentì le
dita del più piccolo lasciare la presa e la sua pelle
bruciare come olio bollente.
E poi si ritrovò seduto,
con Harry che armeggiava con la
cintura di sicurezza, i capelli davanti al suo volto, tanto che sarebbe
bastato
spingersi leggermente in avanti per affondarci in mezzo il naso e
respirare e
respirare fino a perdersi per sempre.
«Tutto ok?»
Zayn annuì e chiuse gli
occhi.
Mentre era a un passo
dall’addormentarsi di nuovo, non
avrebbe potuto giurarlo, ma era quasi sicuro di aver percepito le
labbra
dell’altro accarezzargli delicatamente la fronte, in un bacio
appena accennato.
*
Quando aprì gli occhi era
mattina, il flebile raggio di sole
che entrava dalla persiana accarezzava tutta la stanza che Zayn si
accorse di
non saper riconoscere.
Sbatté le palpebre
più volte, ma la visuale rimaneva sempre
la stessa e quello di certo non era il suo salotto.
Si girò di centottanta
gradi, ritrovandosi a fianco il corpo
immobile di Harry.
Fu come se, in un secondo, gli
avessero tolto l’aria dai
polmoni e dalla stanza e in tutta la città non ci fosse
rimasto più un solo atomo
di ossigeno. Le sue mani iniziarono a sudargli, ma non gliene poteva
interessare di meno, quando tutto quello che sentiva era il battito
accelerato
del suo cuore pulsargli nelle orecchie e il suo stomaco ribellarsi, in
procinto
di dichiarare guerra civile al suo esofago che cercava di ricacciare
indietro
il bisogno di vomitare.
A niente servì ripetersi
che non era accaduto nulla, che Harry
stava semplicemente dormendo e che lui non avrebbe perso per la seconda
volta
una persona importante, qualcuno che amava, in quel modo,
perché il suo corpo
proprio non voleva saperne di dar retta alla parte ancora razionale del
suo
cervello.
Cercò di mettersi seduto,
i piedi appoggiati a terra e la
testa tra le ginocchia, perché quella non era la prima volta
che gli succedeva,
non era il primo attacco di panico che lo sorprendeva, da quando Andrew
era
morto e lui aveva capito che stendersi su un materasso era off-limits,
ma la
sensazione di vertigine non accennava a passare, così come i
battiti del cuore
non volevano rallentare.
Percepì distante un
movimento che non riuscì a identificare,
e poi un corpo vicino al suo e una voce concitata dire qualcosa
d’incomprensibile
per il suo udito ovattato. E poi una mano accarezzargli la schiena e,
al
contatto, Zayn sentì il suo respiro tornare e normalizzarsi
lentamente, fino a
far scomparire del tutto la sensazione di soffocamento che gli stava
uccidendo
le vie aeree.
«Zayn, tesoro,
Zayn?» sentì, finalmente, la voce spaventata
di Harry, e in lui il sollievo di poter di nuovo sentire quello che gli
accadeva
attorno si mischiò al turbamento per l’attacco che
l’aveva appena preso, tanto
che il nomignolo affettuoso col quale l’altro
l’aveva chiamato quasi si perse
nell’aria.
Ancora troppo sconvolto, Zayn decise
di non pensarci, di non
pensare a quanto avrebbe voluto che l’altro lo chiamasse
sempre in quel modo,
perché, se no, si sarebbe solo nuovamente agitato.
Raddrizzò lentamente la
schiena e subito sentì le braccia
forti di Harry stringerlo e, anche se lui varie volte aveva pensato a
come
sarebbe stato trovarsi in quella posizione, nessuna fantasia avrebbe
mai
superato l’intensità con la quale il
più piccolo si stava tenendo a lui, lo
stava afferrando, e Zayn non si era mai sentito tanto al sicuro come in
quel
momento.
Senza pensarci, alzò le
braccia per ricambiare l’abbraccio,
la fronte affondata sul petto dell’altro, e
respirò l’odore confortevole che
emanava il corpo mezzo nudo di Harry.
«Mi hai fatto prendere un
colpo, Zayn» mormorò, la voce
attutita dai suoi capelli. «Non farlo mai più, ok?
Zayn. Zayn, ti prego»
continuò, come se neanche lui sapesse per cosa lo stesse
pregando. «Dovresti
sdraiarti, ok?»
Zayn si strinse ancora di
più al corpo di Harry, non appena
sentì l’altro cercare di svincolarsi
dall’abbraccio. Provò a negare col capo,
ma il movimento era privato d’incisività
dall’attrito provocato dal petto di
Harry, dal quale Zayn proprio non voleva staccarsi.
Sembrava passata
un’eternità dall’ultima volta in cui
aveva
avuto un tale contatto fisico con qualcuno, e Zayn si rese conto che
era
proprio così, e solo in quel momento si accorse di averne
bisogno come
dell’aria e che era un miracolo che fosse riuscito a
sopravvivere senza per
tutto quel tempo.
O, forse, non aveva bisogno di un
generico contatto, ma solo
di Harry, e della sua pelle, della sua voce e delle sue mani che lo
equilibravano quando stava per impazzire.
«Zayn, per
favore» tentò ancora.
La preoccupazione, nel tono di Harry,
gli traforò i timpani,
ma Zayn proprio non poteva stendersi sul letto. Non capiva neanche come
ci
fosse finito. Sapeva solo che non poteva.
«Non…»
aveva la gola secca. Cercò di deglutire, senza
ottenere grandi risultati. «Non posso»
riuscì solo a dire.
«Shhh»
sussurrò Harry, e mentre lo faceva, si accorse che
aveva preso a cullarlo e a lasciargli soffici baci tra i capelli, e
Zayn si
sentì un bambino stupido, ma incapace – allo
stesso tempo – di vergognarsene.
«Ci sono io con
te» mormorò.
«Non ti lascio, ok?»
Zayn provò ad annuire,
intensificando ancora un po’ di più
la stretta. Sarebbero morti soffocati, ma non gliene importava niente.
Dopo quella che doveva essere stata
una manciata di minuti,
ma che a Zayn sembrò un’infinità di
ore, Harry riprese a lasciargli una seconda
serie di baci, ma sulle tempie, e lui avrebbe voluto guardarlo negli
occhi,
vedere la sua espressione, ma proprio non ne aveva il coraggio.
«Stai con me,
ok?» Harry disse a due centimetri dal suo
orecchio, così piano che se non fosse stato per la vicinanza
non l’avrebbe
sentito. «Stendiamoci un po’. Non ti
lascio» ripeté.
Zayn sentì il suo respiro
farsi pesante di nuovo e le mani
riprendere a sudare.
«Fidati di me,
Zayn»
E Zayn non sapeva se era stato per le
parole in sé o per il
tono usato o semplicemente perché era Harry, ma
lasciò che l’altro lo facesse
sdraiare di nuovo sul materasso, e se anche per un attimo aveva avuto
la
sicurezza di non potercela fare, non appena Harry riprese a stringerlo
come se
ne andasse della sua stessa vita e lui poté affondare il
volto nell’incavo del
suo collo, si chiese di cosa avesse avuto paura.
Si chiese di cosa avesse avuto paura,
con Harry lì accanto.
*
«Zayn? Zayn,
dormi?»
«No»
borbottò, anche se avrebbe preferito mentire. Non era
certo di voler sentire quali sarebbero state le domande successive di
Harry.
«Ieri ti sei dimenticato di
dirmi che le chiavi di casa le
avevi lasciate in macchina»
«Uhm?»
«Ieri ti sei dim-»
«Ieri?» lo
interruppe perché aveva sentito, ma non sapeva a
cosa si stesse riferendo. La sua testa era tutta un palloncino.
«Al matrimonio. Non eri
propriamente nelle condizioni di guidare»
gli ricordò. «Ti ho portato a casa, e quando ti
sei messo a cercare le chiavi
ti sei ricordato di averle lasciate in macchina. Quindi siamo venuti da
me»
concluse.
Zayn allontanò la testa
dalla spalla dell’altro e la
appoggiò sul cuscino. Cercò gli occhi di Harry
per la prima volta da quando si
erano svegliati e quando li trovò si chiese come avesse
fatto a resistere così
a lungo senza avere il bisogno fisico di annegarci dentro.
«Mi dispiace»
sussurrò, sperando che l’altro capisse che si
stava riferendo non solo alla sera precedente e a quella mattina, ma un
po’ a
tutto. A come l’aveva trattato all’inizio, per
essere stato uno stronzo
colossale con lui senza motivo apparente, per averlo fatto sentire
odiato; non
si era mai scusato e Harry se la meritava tutta, la sua contrizione.
«Shhh»
mormorò Harry, sorridendo solo per lui. E Zayn
l’avrebbe baciato, se solo ne fosse stato un po’
più degno, l’avrebbe fatto. Ma
Harry meritava così tanto di più che anche solo
il fatto di essergli amico
doveva bastare. Doveva.
«Come stai,
adesso?»
«Meglio»
abbozzò un sorriso.
«Se vuoi
parlarne… puoi dirmi tutto, lo sai» disse,
tentennante.
«Lo so»
perché lo sapeva davvero. Si conoscevano da poco, ma
Harry era la prima persona per cui provasse amore, dopo Andrew, per cui
sì, lo
sapeva.
Amore. Doveva
essere amore, se non faceva altro che pensare a lui e non poteva
lasciarlo
andare e voleva sentire la sua voce tutto il giorno.
Deglutì.
«Mi sono
svegliato» sussurrò. «E ho pensato che
tu… che tu»
non sapeva come dirlo, senza suonare pazzo.
«Che io?» lo
incitò.
«Fossi morto»
Vide un’ombra di confusione
passare sul volto dell’altro,
che però si limitò ad annuire, aspettando che
fosse lui ad aggiungere altro.
«Lo sapevo che non lo eri,
ma… stavi immobile, sdraiato e il
mio cervello ha smesso di funzionare»
Harry gli accarezzò i
capelli, che era qualcosa che non
sapeva di amare, fino a quel momento. «Sono qui»
«Lo so. Lo so, ma non
riuscivo a respirare e a calmarmi
perché Andrew… Andrew» non sapeva come
continuare, senza spezzarsi, sapeva solo
che voleva dirglielo. Voleva che Harry sapesse.
«Chi è
Andrew?»
Zayn sospirò, e, dopo un
momento di pausa, «Mio marito»
disse.
Sentì il corpo
dell’altro tendersi, e la mano che si muoveva
tra i suoi capelli fermarsi. Nei suoi occhi era passata la luce di
un’emozione
che non era riuscito a identificare, ma almeno Harry non si era
allontanato da
lui. Non credeva che sarebbe riuscito a parlarne, altrimenti.
«I dottori hanno detto che
è stato un aneurisma. Hanno detto
che può capitare anche a persone giovani. Che quando mi sono
svegliato e l’ho
trovato steso accanto a me era morto già da qualche ora. E
quando ti ho visto…
lo so che non ha senso» non gli riuscì di
continuare, la voce gli si era
strozzata in gola.
Harry non fece altre domande.
Nonostante l’incongruenza del
suo discorso, sembrò capire sia la sua incapacità
di continuare a parlare, sia
tutti i suoi non detti.
Lo strinse solamente, e quello valeva
più di tutti i mi dispiace
del mondo.
*
«Harry?»
«Sì?»
«Non senti caldo?»
«Vuoi che apra la
finestra?»
Zayn esitò un attimo a
rispondere. «No» decise, infine.
*
«Ehi, tu non hai
fame?»
«Un po’.
Tu?»
«Un po’»
«Posso prepararti i pancake
o un po’ di bacon»
«No, no»
«Non devi restare qui per
forza, puoi venire in cucina con
me, se vuoi»
«No.
Voglio…»
«Vuoi?»
ripeté Harry.
«Sei ancora innamorato di
Anthony?» buttò fuori, prima che
la vergogna vincesse sulla curiosità. Sperava non fosse
trasparita solo la
cocente gelosia che stava provando in quel momento, al pensiero che la
risposta
fosse affermativa, piuttosto.
«Vuoi che io sia ancora
innamorato di lui?» provò a
scherzare, senza grandi risultati.
«No, io – Lo
sei?» doveva saperlo.
«No, te l’ho
detto, era da un po’ che non funzionava»
«Questo non significa che
tu non ne sia ancora innamorato» insistette,
perché ovviamente era masochista.
«Davvero, Zayn. Le cose non
funzionavano già da prima che tu
arrivassi. E poi» si bloccò, come riconsiderando
l’idea di proseguire.
«Ti tradiva?»
«Uhm? Non che io sappia,
no»
«E allora quel ragazzino
con cui l’ho visto il giorno dopo
che vi siete lasciati? Ha fatto un po’ presto a
consolarsi» commentò, per poi
mordersi il labbro. Che scemo, il suo intento non era certamente quello
di
affondare il dito nella piaga e far soffrire Harry ancora di
più.
«Credo fosse il tentativo
di ripagarmi con la mia stessa
moneta» mormorò Harry.
«Lo tradivi tu?»
quasi incespicò tra le parole.
«No. Ma era un
po’ come se lo facessi»
Zayn aggrottò le
sopracciglia, non capendo cosa Harry stesse
insinuando.
«Che vuoi dire?»
«Zayn… non
credo. Rovinerebbe tutto, ok? È meglio se ti
dimentichi che l’abbia detto» sorrise, a
metà via tra lo speranzoso e il mesto.
«Eri un prostituto,
Harry?» cercò di alleggerire la
tensione.
Harry sorrise, negando col capo.
«Uhm. Non vedo come
potresti rovinare tutto, Harry» lo rassicurò.
Harry abbassò lo sguardo,
e Zayn prese tanto coraggio da
accarezzargli i ricci, proprio come l’altro fino a poco prima
aveva fatto con
lui.
«Perché vi siete
lasciati?» tentò. Giurò a se stesso
che, se
Harry non avesse voluto rispondere neanche quella volta, non avrebbe
insistito
più. «Oltre ai problemi,
perché?»
«Perché
io» pausa. «Io mi sono innamorato di
un’altra
persona» ammise, sottovoce.
Oh.
Sentì un peso
cadergli sullo stomaco e prendergli a calci il fegato.
«E questa
persona?»
«Non lo sa,
ovviamente» rispose Harry, come se non potesse
essere altrimenti. «Ma Anthony l’ha capito.
L’ha capito prima che lo capissi
io. Quando me l’ha rinfacciato, gli ho dato del pazzo,
perché con quest’altra
persona non ci avevo neanche mai parlato, in pratica. Ha detto che
poteva
vederlo. Da come lo guardavo e come ne parlavo. Ha detto che non ho mai
dimostrato la stessa passione, per lui. Credo avesse ragione»
«Credo»
iniziò, odiandosi per quello che stava per dire, ma
convinto che fosse comunque l’unica cosa che potesse fare.
«Credo che dovresti
dirglielo. A questa persona. Sarebbe anche meglio avesse un nome, mi
sento
idiota a chiamarlo questa persona»
«Non posso»
«Harry. Devi dirglielo. Chi
mai potrebbe non volerti?»
domandò, retorico, consapevole che quella era
l’assoluta verità.
Harry ridacchiò, ma Zayn
poteva sentire che non c’era
allegria alcuna, in quel suono.
Lo vide corrugare la fronte, come se
stesse pensando
intensamente, e poi bagnarsi le labbra, un’espressione
determinata in viso,
come avesse preso una decisione.
«Tu»
sospirò, guardandolo negli occhi. «Tu non mi
vorresti»
continuò, iniziando ad allontanarsi. «E adesso non
mi vorrai neanche più come
amico» decretò, tirandosi su, a sedere, e
passandosi una mano sulla fronte.
Zayn lo fissò, a bocca
spalancata, sapendo cosa dire e fare,
ma senza riuscire a mettere insieme le parole o a costringere il suo
corpo a
muoversi.
«Mi dispiace, Zayn,
io-»
Ma prima che potesse terminare quelle
scuse di cui Zayn non
aveva affatto bisogno, che non avevano affatto ragione di esistere, gli
prese
la mano che stava tormentando il lenzuolo e la strinse tra la sua.
«Sono io?»
chiese, perché aveva davvero bisogno di una
conferma, prima di esporsi completamente. E lo sapeva che era un
pensiero
egoista, visto che Harry l’aveva fatto, gliel’aveva
detto, ma non credeva che
avrebbe sopportato di essere rifiutato dall’altro.
«Sono davvero io quella persona?»
Harry si morsicchiò il
labbro, inconsapevole del tumulto che
il gesto stava suscitando in Zayn. Ma poi annuì, e Zayn si
dimenticò di tutto
il resto.
Lentamente, come se Harry fosse un
animale pericoloso che
lui dovesse ammansire e addestrare, si avvicinò, fino ad
appoggiare la sua
fronte su quella dell’altro.
«Bene»
sussurrò, sorridendo.
Vide gli occhi del più
piccolo allargarsi a dismisura e le
sue guance colorarsi di un adorabile rosa.
«Sì?»
fece, speranzoso.
«Sì»
mormorò sulle labbra dell’altro, e senza dargli
tempo
di dire altro le sfiorò per la prima volta, con reverenza e
circospezione,
quasi avesse timore che tutto quello fosse irreale e che da un momento
all’altro scomparisse come una bolla di sapone.
Ma, invece che evaporare, il calore
di Harry si fece ancora
più intenso e le labbra dell’altro più
concrete, e un momento dopo stava
rispondendo al bacio con tutto se stesso, come se neanche lui ci
credesse, e –
allo stesso tempo – volesse non finisse mai.
Ma poi terminò, e Zayn si
disse che non voleva dire nulla,
che ce ne sarebbero stati altri mille, altri diecimila,
perché Harry era
innamorato di lui e non stava così bene da secoli e tutto
era perfetto.
Perfetto.
Aprì gli occhi, e lo
sguardo di Harry era tutto meno che
perfetto e Zayn non capiva cosa fosse andato storto.
«Harry?» disse
solamente, perché non credeva di riuscire a
formulare altro.
«Io…
tu-»
«Tu cosa?» non
voleva mettergli fretta, ma voleva. Voleva,
altrimenti sarebbe
impazzito.
«Io ti amo. Ma
tu… tu ami ancora Andrew ed è giusto
così. È
giusto, ma io… io» deglutì, nervoso.
«Sto per dire la cosa
più sdolcinata di sempre e mi
dispiace, ok?» si scusò. «Io amo
Andrew» convenne, perché era vero.
«Credo che
lo amerò per sempre. Harry, guardami» disse,
posando una mano su una sua
guancia e alzandogli il volto. «Lo amerò per
sempre. Amerò per sempre anche mia
madre e le mie sorelle. Sono parti della mia vita. Ma sono innamorato
di te,
d’accordo? Sono innamorato di te» non diceva da
così tanto quelle parole che
sentire la sua voce pronunciarle sembrava strano anche alle sue
orecchie, ma
andava bene comunque, perché non era mai stato
così sincero e Harry sorrideva,
sorrideva di nuovo e quello, quello
era perfetto.
*
Guardò l’oggetto
che aveva tra e mani.
Era lunedì e si era
svegliato tra le coperte di Harry per il
secondo giorno di seguito, ma si era dovuto alzare perché la
libreria era
magica, ma non fino al punto di aprirsi da sola.
Harry l’aveva svegliato con
un lungo bacio e l’aveva
salutato sul portone con uno ancora più lungo.
Aveva fatto la via che portava al
centro camminando su una
nuvola, il sorriso sulle labbra.
Come era arrivato si era fiondato
nello studio. Doveva
parlare con Ed, ringraziarlo, perché – davvero
– era tutto merito suo.
Era merito suo se aveva trovato la
forza per non farsi
incatenare dal passato e lo spirito per cambiare il presente e la
fiducia per
vivere al meglio il futuro.
Ma, guardando il Libro si accorse di
non riconoscerlo.
Sapeva che era lo stesso, emanava la stessa energia e le pagine erano
intonse
come sempre.
La copertina, invece.
La copertina era bianca,
completamente. L’esatto opposto di
com’era stata fino al giorno prima.
No, non il giorno prima. Anche se si
sforzava, non riusciva
a ricordarsi l’ultima volta che l’aveva visto
davvero nero. Non gli aveva dato
troppo peso, preso com’era dai suoi sentimenti impazziti, ma
il Libro Nero
aveva iniziato a scolorirsi già da tempo. Forse dalla prima
volta in cui aveva parlato
a Ed dei ragazzi. O di quanto gli piacesse il suo nuovo lavoro. Non
sapeva
dirlo con sicurezza.
Si mise seduto.
Non sapeva cosa quel colore volesse
significare, ma aveva
una brutta sensazione.
Aprì il libro a caso, come
faceva sempre, e chiuse gli occhi,
aspettano quei tre secondi necessari perché avvenisse
l’incredibile.
Quando dischiuse le palpebre,
però, non si trovò di fronte a
Edward. Si accorse, anzi, di non essersi mosso affatto.
Agitato, riprovò. Una,
due, tre quattro cinque volte.
Zayn si lasciò andare
contro lo schienale della seggiola.
La consapevolezza che non avrebbe
più incontrato l’amico si
abbatté su di lui.
Poi, si ricordò del loro
primo incontro, di come Ed gli
avesse detto che stava cercando qualcosa e che per quello era
lì.
Evidentemente, la ricerca era finita
e il Libro Nero aveva
svolto il suo compito.
Mentre teorizzava
quell’ipotesi, il volto sorridente appena
sveglio di Harry gli invase i pensieri, e Zayn si disse che
sì, aveva trovato
quello che neanche sapeva di cercare.
*
Staccò un po’
prima del solito, perché per una volta voleva
essere lui ad andare a trovare Harry all’ora di pranzo.
Quando entrò in
pasticceria, lo trovò che armeggiava dietro
al bancone, raggiante come non lo aveva mai visto.
«Ehi» lo
salutò, non appena si accorse di lui.
Doveva aspettare giusto cinque
minuti, per cui si mise a
sedere a uno dei tavoli che stavano nel locale, uno di quelli vicini
alla
parete con le foto. Lanciò un’occhiata a Harry,
che in quel momento era impegnato
a controllare qualcosa al cellulare; lo vide arrossire fino alle
clavicole, e
si chiese cosa mai avesse provocato una reazione tanto esagerata.
Quando l’altro
alzò lo sguardo e lo puntò su di lui,
arrossì ancora di più: Zayn non credeva
fosse possibile.
Lo guardò entrare in
cucina e poi uscire dopo due secondi e
dirigersi al suo tavolo.
Zayn alzò un sopracciglio,
interrogativo.
«Quell’imbecille
di Louis. Anche durante la luna di miele
rompe le scatole»
«Che ti ha
scritto?»
«Liam gli ha raccontato di
quello che è successo al
matrimonio e Louis si è lamentato perché non
l’ho informato subito dei
‘progressi’»
spiegò, facendo in aria il segno delle virgolette.
«E Liam come faceva a
sapere dei progressi?» fino a prova
contraria l’unica cosa che Liam sapeva era che Harry
l’avrebbe portato a casa.
«Loro sapevano della mia
piccola, ehm, cotta» scrollò le
spalle, arrossendo come pochi minuti prima. «Avranno fatto
due più due. Il problema
è che Louis mi manda messaggi porno. Non capisco che
problemi abbia quel
ragazzo»
Zayn ridacchiò.
«Vado a darmi una pulita e
poi andiamo a pranzo?»
Zayn annuì, stringendo
Harry per un polso, spingendolo ad
abbassarsi per lasciargli un casto bacio sulle labbra.
«Così tutti in città
sapranno che sei preso nel giro di trenta secondi»
sussurrò al suo orecchio.
Harry gli fece l’occhiolino
e scomparve di nuovo in cucina.
Non fece in tempo a vedere la porta
chiudersi, che una tosse
insistente richiamò la sua attenzione.
Si voltò, mezzo convinto
di ritrovarsi di fronte Liam o
Niall.
Strabuzzò gli occhi quando
si accorse che l’uomo, che si era
accomodato al suo stesso tavolo, era sicuramente il nonno di Harry. Si
chiese
se si chiamasse Edward anche in quel mondo.
«Tu sei il giovanotto di
cui mio nipote parla sempre,
immagino. Zayn, giusto?»
Zayn sorrise.
Forse non avrebbe mai più
rivisto il suo Edward, ma il nonno
del suo
Harry gli assomigliava in maniera sconvolgente.
Mentre Harry usciva di nuovo, senza
farina sulle guance e
grembiule al petto, e salutava suo nonno e glielo presentava, Zayn si
ritrovò a
pensare che la vita sa essere la nemica più infida, capace
di toglierti tutto e
colpirti laddove sei più debole, ma anche l’amica
più devota, donatrice di
gioie e piccole vittorie, in un equilibrio continuo.
Edward gli aveva insegnato a non
arrendersi al lato stronzo
di quest’ultima e Harry, Harry gli aveva mostrato che,
dopotutto, c’era sempre
qualcuno con cui valesse la pena continuare a viverla, e viverla fino
in fondo.
Ma, soprattutto, mentre uscivano
dalla pasticceria e Harry
faceva scivolare la mano nella sua, si ritrovò a pensare che
avrebbe dovuto
mandare dei fiori di ringraziamento a sua madre.
Fine.
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino in fondo (che coraggio, gente!)
Un grazie ancora più grande a chi dovesse lasciare un segno del proprio passaggio ;)