Salve a tutti! La storia
prosegue...
Un grazie immenso a chi
segue la storia, a chi commenta, a chi l’ha messa nei preferiti... A tutti,
davvero.
Come fanno tutti i
fanwriter petulanti almeno una volta nella vita, vi chiedo di spendere mezzo
minuto e tre parole per lasciarmi un pensiero su ciò che avete letto, se vi
va.
Dunque, oggi conosceremo
– in una situazione un po’ rischiosa – un personaggio del passato di
Shuichi.
Buona lettura e
grazie!
La citazione musicale
iniziale viene da “Hitomi no Kakera” delle Fiction
Junction.
V – Saved by a
dream
Anata no mune ni
wasureta
watashi no
kakera
mada soko ni
aru?
(I frammenti di me, che
ho dimenticato dentro il tuo cuore
sono ancora sul fondo del
tuo cuore?)
Iori sospirò, lasciandosi
scivolare sul divano. Era veramente al limite delle forze. Chissà se tutti
quelli che leggevano i suoi manga si rendevano conto di quanto fosse distruttivo
il mestiere del disegnatore...
Chiuse gli occhi,
appoggiandosi allo schienale, e cercando di rimettere insieme un po’ di forze.
La giornata non era ancora finita. Mancavano poche ore, ma doveva resistere
ancora. Immaginò di essere un guerriero di quelli che spesso disegnava, e di
dover ricorrere alla sua tecnica segreta per rimanere
sveglia.
Rise, pensando che era
una cosa scema ma efficace.
E che gliel’aveva
insegnata Tsugumi.
Tutto torna sempre
lì.
Tutto torna sempre a
te.
E proprio perché tutto
tornava sempre a lei, Iori ricordò che aveva un modo perfetto per rovinarsi la
serata. Ridendo di sé, la giovane donna si sporse per prendere la borsa che
aveva abbandonato a terra, vi rovistò dentro e ne trasse fuori una rivista di
shoujo. Sfogliò in fretta le pagine, fino a trovare il capitolo settimanale di
Anata no kokoro no me, una storia di
sentimenti e misteri scritta da Nagisa Hidenori.
Ci sarà un tuo messaggio,
questa volta? Certo che ci sarà. Importante, o solo un pensiero per me, magari,
ma ci sarà. Non manca mai. Non è mai mancato in questi quindici anni in cui sei
mancata tu. Non ci siamo mai deluse, noi.
- Secondo me è un’idea
cretina.-
- Secondo me quella di
prima lo era, questa è ottima.-
- Ma dai! L’ho detto così
per dire. Era un’idea cretina.-
- No, invece. Se ci
lavoriamo su...-
-
No.-
- Ehi, senti, sei tu che
ti sei messo a inventare storie senza autorizzazione su un mio
disegno!-
- Sei tu che mi hai
lasciato quel disegno!-
- Sì, ma se ti metti a
fantasticare sulla drammatica vita di Akiko...-
- Airi. Ho cambiato idea,
non voglio chiamarla Akiko.
- ...è la terza volta che
cambi idea.-
E avrebbe cambiato idea
anche la quarta, probabilmente, prima della fine di quella conversazione, se non
fossero stati interrotti.
- Shuichi, che ci fai
fuori dal cancello?-
Sua madre attraversò in
fretta il giardino, fino a raggiungere il figlio. Il ragazzo si voltò verso di
lei con una certa indolenza, quasi per farle capire che fuori si stava bene, che
il cielo stava diventando di colori splendidi, al crepuscolo, e che per un
disegnatore come lui quella era un’occasione da non
perdere.
- Oh, salve signora
Yukishiro!- esclamò Hikari, accorgendosi all’improvviso che si era scordato
delle buone maniere. Shuichi fece una risatina di fronte alla premura
dell’altro.
- Salve. Tu devi essere
Hikari.- indovinò lei, squadrando il ragazzo più piccolo in un modo che lo mise
un po’ a disagio.
- Io...cioè...sì.-
La donna finalmente
elargì un sorriso al ragazzo. Poi tornò a rivolgersi al figlio, mettendo fine
alla sua permanenza all’esterno con uno sguardo deciso.
- Ti stiamo
aspettando.-
- Senti, io devo andare.
Non provarti a scartare quell’idea e vedi di non cambiarle
nome.-
- La sua storia l’ho
inventata io!- protestò Hikari.
- Ma lei l’ho disegnata
io.-
- Shuichi?- insisté la
signora Yukishiro, sulla soglia di casa. Dalla finestra della cucina fece
capolino Naoko, con un sorriso che non prometteva niente di buono. Shuichi capì
che era davvero il momento di andare.
- Mi stanno
aspettando.-
- Vai. Ci vediamo domani
dagli shinigami?- concluse Hikari, preparandosi ad andare.
- Ok. Vedi di trovarle un
nome una volta per tutte.-
- Senti, non abbiamo
ancora una storia e ti arrabbi se le cambio nome?-
- Appunto, visto che non
abbiamo una storia, almeno avremmo un punto fermo.-
Hikari scosse la testa,
ma rinunciò a replicare, temendo che la signora si arrabbiasse veramente. Fece
un cenno di saluto all’altro e corse via.
- Cosa sarebbero, gli
shinigami?- domandò la madre a Shuichi, mentre il ragazzo la raggiungeva in
casa.
- Le panchine dietro la
mia scuola.-
- E perché dite che sono
gli shinigami?-
- No, è il mondo degli
shinigami. E’ una sciocchezza che abbiamo inventato noi.-
- E che senso
ha?-
Shuichi si chiuse la
porta alle spalle e rimase pensieroso per qualche istante.
- Non ne
ha.-
E’ una di quelle cose che
se la spiegassimo, si smonterebbe completamente. Anche se quando l’abbiamo
inventata ci sembrava così azzeccata.
Ma non è importante che
abbia senso, no?
Il primo giorno di scuola
erano tutti e due in ritardo, per motivi diversi. Ebbero entrambi lo stesso
pensiero, anche se non se lo confessarono. Era tutta colpa dell’altro, e prima
di conoscersi erano tutti e due la puntualità per
definizione.
Oh, meglio
così.
Se arrivi in ritardo,
significa che stavi facendo qualcos’altro, prima.
Magari stavi finendo un
disegno. Magari stavi buttando giù una trama sensata, per vedere se ci si poteva
lavorare su.
- Com’è andata
oggi?-
Shuichi gettò con
noncuranza la sua borsa su una panchina del mondo degli shinigami, e una buona
metà di quel che c’era dentro si sparse a terra. Cosa che accadeva con una
frequenza media di tre volte al giorno.
- Mah.- rispose. – Al
solito. C’è un allievo nuovo in classe mia.-
Hikari borbottò un’offesa
alle pessime abitudini dell’altro, e si mise a raccogliere fogli, quaderni e
tutto il resto. In un mese di conoscenza aveva scoperto che nella borsa di
Shuichi poteva veramente starci ogni genere di cosa.
- Non è tornato a Tokyo
dopo sei anni di assenza, vero?-
- No. E comunque, l’unico
in questa città che potrebbe essere Kamui saresti tu.-
- Eh? Io? E
perché?-
- Perché sei un frignone
tale e quale.-
- Oh, ma come ti
permetti?-
Shuichi rise, poi si
stese sulla panchina, sbadigliando, e appoggiandosi sulla borsa e sui fogli che
Hikari aveva appena radunato.
- Senti, se lo stai
facendo apposta, dimmelo subito che così evito di tentare di riordinare!-
protestò Hikari. L’unica risposta fu una risatina sommessa, che era molto più di
una risposta affermativa.
- Allora
arrangiati!-
Prese le cose che ancora
teneva in mano e le gettò di nuovo a terra. Shuichi rise, e Hikari si sedette a
terra. Sui quaderni dell’altro. Che non dette segno di curarsene
particolarmente.
Avevano fatto abbastanza
sciocchezze, potevano iniziare a parlare di cose serie.
- Allora, le hai trovato
un nome?-
- No, ma ho deciso quello
del suo ragazzo.-
- E
cioè?-
-
Tetsuya.-
- Ma non era il nome del
suo nemico?-
-
...appunto.-
Si levò un vento
stranamente freddo, mentre il sole cominciava a calare. I due si accorsero che
era veramente tardi, e troncarono bruscamente la conversazione (scivolata pian
piano in una discussione piuttosto accesa sul colore dell’elsa della spada di
Tetsuya. Cioè, la discussione era partita di lì. Quando si fermarono, era in
dubbio anche il fatto che Tetsuya avrebbe avuto una spada. Hikari stava virando
pericolosamente sulla via del mecha, e Shuichi era pronto per lottare fino al
sangue, per rimanere in ambiente fantasy.)
- Dai, forza, sennò i
tuoi rompono.- incitò Shuichi, infilando alla rinfusa la sua roba in
borsa.
- I miei se ne sbattono
abbastanza, semmai. E’ tua mamma che mi squadra, quando mi vede con
te.-
- E’ dalla notte dei
tempi che non vede qualcuno con me. Capisci che è
preoccupata.-
- E chi era, che sprecava
il suo tempo con te?-
- Una
ragazza.-
Hikari raccolse il
maltrattato album dei disegni con una cura tutta particolare, porgendolo poi
gentilmente all’altro.
- Hai avuto una
ragazza?-
- Uhm. Non proprio.
Diciamo che io avrei voluto che lo fosse.- confessò Shuichi, un po’ a fatica. –
Ma ho come l’impressione che lei non ci pensasse nemmeno, a
quello.-
- Era...- Hikari si
fermò, timoroso di addentrarsi in territori che Shuichi non desiderava
attraversare. – Era la persona che aveva dei poteri
soprannaturali?-
- Non so se ne aveva o se
era solo in grado di percepirli.- spiegò l’altro, serio. – Ma io credo di sì.
Credo ne avesse. Solo che non me ne ha mai parlato.-
Tacquero per un po’,
probabilmente domandandosi entrambi come erano finiti in quel discorso. Poi
Shuichi rianimò la situazione.
- Forza, non dovevamo
andare di corsa?-
E presero a correre
davvero, dal mondo degli shinigami al mondo reale.
Solo che, non appena
furono giunti per strada, Hikari si piantò in mezzo al marciapiede, immobile,
come se avesse visto qualcosa di particolare.
- Ehi. Che cavolo
succede?-
Shuichi lo raggiunse,
lasciando cadere la borsa e precipitandosi a sostenerlo.
- Uh?- Hikari gli franò
addosso, ma poi si riebbe improvvisamente. – Che c’è?-
- Sei tu che ti fai
venire le crisi in mezzo alla strada.-
-
Crisi?-
- Ti sei fermato. Hai
avuto una visione?-
Hikari sembrò pensarci un
po’. Poi si rimise in piedi da solo, strofinandosi gli occhi più
volte.
- Sì. Però... Non so a
chi era rivolta. Di solito so subito su chi è la visione. Infatti vado diretto
dalla persona interessata. Ma questa volta, niente.-
- Non sarà che è su di me
o su di te?-
- Non posso averne su di
me. E se fosse stata su di te, ti avrei detto una cosa strana e apparentemente
senza senso, no?-
- Questo è
vero.-
-
Shuichi...-
Il ragazzo più grande
squadrò il più piccolo, inquietato dal suo tono di voce.
- Che
c’è?-
- Non... Insomma... Puoi
aiutarmi? Non so cos’era, però era qualcosa che...-
- Certo che ti aiuto.-
rispose Shuichi. – Dai, vedi di ricordarti cos’era. Io intanto guardo i miei
disegni per vedere se è spuntato qualcosa di strano.-
Hikari si sedette a
terra, confuso e desolato. Shuichi si mise a frugare nel suo album, ma dopo
qualche minuto tornò dall’altro, scuotendo la testa.
- Qui è tutto normale. E
non mi viene voglia di disegnare. Non so.-
- Ma io una visione l’ho
avuta!-
- Ci credo. Ma non ti
ricordi niente?-
- Forse. Era il centro
commerciale.-
- Sì, ma sono quasi le
sette. Alle sette e mezzo di solito chiude. Se ci vogliamo andare, dobbiamo
correre.-
- Ma non ricordo
altro!-
- Magari ti viene in
mente se ci andiamo.-
Hikari sembrò
convincersi. Scattò in piedi e si mise a correre dietro all’altro.
Corsero, e nessuno dei
due si accorse che qualcosa era caduto dalla borsa di Shuichi. Un foglio che
fluttuò un po’ nel vento, prima di atterrare lontano da loro, in un’aiuola dove
avrebbe subito rugiada e pioggia, e dove sarebbe morto. Quando cadde, però, non
c’era stata ancora né rugiada né pioggia a cancellare il suo messaggio, e se
qualcuno fosse passato di lì avrebbe potuto leggere chiaramente il kanji che vi
era tracciato sopra:
Uso
(Menzogna)
Entrarono nel centro
commerciale, dal quale la gente stava iniziando a defluire. Prima Hikari era in
svantaggio, nella corsa, ma adesso aveva guadagnato la prima posizione, e
Shuichi gli andava dietro, chiedendosi come avesse fatto a diventare così
veloce, e soprattutto, se finalmente avesse avuto una visione un po’ più
chiara.
- Ehi! Aspettami! Dove
stai andando?-
Ma l’altro sembrava non
sentirlo. E la cosa non era bella per niente.
- Fermo!-
Non si fermò, anzi, corse
deciso verso l’ascensore. Shuichi raddoppiò la velocità per raggiungerlo, e
riuscì a tuffarsi nell’ascensore.
Atterrò malamente sul
pavimento. Aprì bocca per chiamare Hikari, ma all’improvviso l’ascensore prese a
salire vertiginosamente e si fece buio, tutto intorno a loro. La voce del
ragazzo si fermò, e per qualche istante anche il suo
respiro.
- Che cosa...- riuscì a
mormorare, prima di essere investito da un vento gelido, senza provenienza,
senza spiegazione. – Hikari!- invocò, lasciandosi prendere dal
panico.
Gli rispose una voce
lontana, spezzata dal pianto.
- Perché sei venuto anche
tu?-
- Perché sei sparito qua
dentro, idiota!-
- Non dovevi venire, ho
fatto di tutto per lasciarti fuori!-
- Cosa? Ma che stai
dicendo? Sei ancora in trance?-
- Non dovevi
venire!-
- Perché? Perché volevi
lasciarmi là?-
- Perché la visione mi ha
mostrato te che morivi...-
E poi nel buio qualcosa
si mosse. Il freddo si fece insopportabile, mentre l’ascensore volava a velocità
spaventosa verso uno spazio che non esisteva. E qualcosa si mosse, sibilando
parole incomprensibili. Hikari urlò, come se qualcuno gli stesse facendo del
male. Shuichi scattò in avanti. Non sapeva bene cosa fare: voleva aiutare
Hikari, voleva capire dov’era, voleva avere una percezione minima di quello che
stava succedendo.
Qualcosa gli si serrò
attorno al collo. Sentì la stretta farsi più forte, poi dolore e il respiro che
si spezzava. Tentò di articolare qualche parola, ma era
impossibile.
Nell’ascensore ci siamo
solo noi due!
Perse i sensi mentre
realizzava quella verità.
Hikari non si rese conto
di niente: sentì solo un peso che gli cadeva addosso. Non urlò, perché avrebbe
avuto terrore di sentire la sua voce che risuonava, in quel mondo inesistente in
cui erano intrappolati.
Ma cos’era
successo?
Aveva visto una visione,
aveva chiaramente visto quel posto. E una cosa importante da fare. E quando era
arrivato lì, c’era solo l’ascensore.
...solo che appena era
entrato, aveva visto chiaramente la morte di Shuichi.
E
ora...
Registrò cos’era il peso
che gli era crollato addosso. Ebbe voglia di urlare, ed era come se qualcosa gli
avesse piantato degli artigli in petto, impedendo all’aria di uscire, per dare
vita a quell’urlo liberatorio. Allungò le braccia per circondare il corpo,
iniziando a tremare.
Qualunque cosa fosse
accaduto, che finisse presto.
Ma io lo so cos’è
accaduto, lo so, lo so, eppure non ricordo quando è successo, non ricordo quando
lo stavo facendo...
Voleva svanire, non
voleva sentire niente, non voleva essere lì, correndo verso il nulla su un
ascensore che non esisteva, immerso nel buio e nel freddo, e con Shuichi
che...
Non è ancora la fine di
tutto.
-
Cosa?-
Ti ho detto che non è
ancora la fine.
Era una voce reale, o la
sentiva nella sua mente?
- Chi
sei?-
Conta solo il fatto che
ci sono.
- Perché siamo qui? Cos’è
successo?-
La tua mente è stata
ingannata. La visione era una menzogna. Quello che stavi per fare non dipendeva
dalla tua volontà. C’è qualcuno nella tua mente.
- Che cosa? Nella mia
mente? Ma che significa, chi è?-
La persona che vuole
distruggervi. Qualcuno che vi teme. Ma non farti domande. Dobbiamo trovare il
modo di risolvere questo guaio!
Hikari tacque, senza
nemmeno la forza di fare altre domande. All’improvviso l’ascensore si fermò, il
freddo prese ad attenuarsi e nel buio comparve una luminescenza
leggera.
- Sei... tu?- mormorò
lui, ipnotizzato dalle lievi linee di luce che, lentamente, andavano a comporre
una figura.
Sono
io.
Hikari si sollevò un po’
da terra. Stringeva ancora il corpo di Shuichi, ma non se ne era reso conto.
Adesso tutta la sua attenzione era fissa sul visitatore
misterioso.
I suoi occhi fissavano
gli occhi di una ragazza. Una ragazza evanescente, con lunghissimi riccioli e
una veste ondeggiante, che sembrava fatta di luce.
- Chi sei?-
Sono Eiko
.
- Io non ti
conosco.-
No, ma io conosco
te.
- Come mi
conosci?-
Conosco Shuichi. Sento
tutto quel che sente lui. Seguo la sua vita, e quindi ti conosco. E’ grazie al
suo tenace desiderio che io esista ancora nel vostro mondo, che io sono potuta
apparire qui, ora.
- Ma tu sei la ragazza
che... Quella che aveva dei poteri che...-
Sì, sono
io.
- Sei...
viva?-
E’ una domanda un po’
vaga, non trovi?
- Intendo, sei ancora su
questa terra?-
Adesso
sì.
- Shuichi è
vivo?-
E’ vivo, perché ho
fermato il tempo, per voi. Ma non è una cosa che potrei fare. Quindi, dobbiamo
fare in fretta.
- Io... Shuichi...- La
disperazione cominciò ad assalire Hikari di nuovo. – Sono stato io? Stavo
tentando di strangolarlo? Ti prego, dimmi di no!-
Non eri tu. Era qualcuno,
attraverso di te. Non hai nulla da rimproverarti. Ti sei fermato in
tempo.
- E
ora?-
Ora, appena il tempo
ripartirà, l’ascensore si schianterà al suolo. E’ il potere del vostro
avversario. Ha trasformato questo luogo nel tuo sogno, e ora lo
domina.
- Ma chi è il nostro
avversario?-
Qualcuno che vi ritiene
un pericolo. Non posso spiegarti tutto. E’ già un miracolo che io sia qui. Posso
solo dirti che non vi siete incontrati per caso. Che siete parte di una storia
molto più grande di voi. Ci sono delle persone con un potere simile al vostro:
sono state sconfitte dal vostro nemico, però ora vi proteggono.
- Ma
cosa...-
Basta, adesso. Quando il
tempo riprenderà a scorrere, devi trovare un modo per spezzare la sua
possessione.
- Sì, ma non so
come...-
Vi siete già trovati a
dover contrastare questo nemico. Nei sogni, probabilmente. Come vi siete
difesi?
- Non lo so! Nei sogni io
ho con me un disegno di Shuichi, ma...-
Allora prova con
quello.
- Ma che ci devo
fare?-
Segui l’intuito. E’ il
tuo potere, Hikari. I disegni, le storie... Quelli sono vostri e lì avete il
dominio. Sono le vostre armi.
- Il dominio di cosa? Ti
prego, aspetta un attimo! Chi è che vuole distruggerci?-
Una creatura consumata
dall’odio per questa città. Ma ora basta così. Non posso restare.
Coraggio!
- Aspetta!
Aspetta!-
Se n’era andata: Hikari
avvertì il vuoto, il buio e il freddo che tornavano tutti insieme.
Il disegno di
Shuichi...
Frugò nelle tasche della
sua giacca e recuperò uno schizzo dell’altro. Lo spiegò, e con l’ultima goccia
di luce prima che l’oscurità inghiottisse di nuovo ogni cosa, vide che si
trattava del progetto di uno stemma per la loro guerriera.
Seguire l’intuito un
cavolo. A che serviva?
Il tempo riprese a
correre in quell’istante: l’ascensore sobbalzò e riprese a precipitare. Hikari
allungò una mano nell’oscurità e raggiunse la parete
dell’ascensore.
Se davvero avevano
qualche potere su ciò che inventavano, forse...
Fece correre le dita
lungo la parete di metallo, immaginando di tracciarvi le linee dello stemma.
Come una specie di incantesimo.
Magari era una cosa molto
stupida, ma era l’unica cosa sensata che la sua testa gli aveva suggerito in
quel momento...
Hikari strinse il corpo
dell’amico, sperando di servire almeno da cuscino per l’altro,
se davvero si fossero
schiantati, e serrò gli occhi.
L’ascensore si fermò,
dolcemente, rispondendo alla chiamata di qualcuno. Quando le porte si aprirono,
rivelarono agli occhi della folla sconcertata due ragazzi privi di sensi, uno
dei quali stringeva in mano uno strano disegno.
...continua...