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Autore: shadow_sea    26/07/2013    7 recensioni
Lo scrittore principale di Mass Effect desiderava che il finale di ME3 si concentrasse sull’energia oscura, che stava per distruggere l’universo.
"The Reapers as a whole were 'nations' of people who had fused together in the most horrific way possible to help find a way to stop the spread of the Dark Energy. The real reason for the Human Reaper was supposed to be the Reapers saving throw because they had run out of time. Humanity in Mass Effect is supposedly unique because of its genetic diversity and represented the universe's best chance at stopping Dark Energy's spread" (Drew Karpyshyn).
Da qui, dalla forza devastante dell’energia oscura, tema appena sfiorato in ME2 e poi rapidamente abbandonato, trae lo spunto questa mia storia.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Garrus Vakarian, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shepard e Vakarian'
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Introduzione
Drew Karpyshyn, uno dei principali scrittori di Mass Effect, aveva immaginato un finale diverso da quello che ci ha proposto la Bioware: aveva basato la sua storia sull’energia oscura, che stava distruggendo il cosmo. In quest’ottica i Razziatori erano, in realtà, una sorta di unione di individui fusi insieme allo scopo di trovare una soluzione a questo problema e la creazione di un Razziatore umano rappresentava una delle speranze migliori per salvare l’universo, proprio a causa della diversità genetica che caratterizza la nostra razza.
Mischiando la concretezza della materia oscura e dell’energia oscura presenti nella nostra galassia con le invenzioni proposte dalla Bioware ho creato il tema di fondo su cui si basa l’ultima storia sul Comandante Shepard e su Garrus Vakarian, la terza dopo Come ai vecchi tempi e Magari un’altra volta.


PROPOSTE

Dances With Wolves



12 giugno
Aprì gli occhi nel chiarore dell’alba artificiale sulla Cittadella, ancora confusa sul tempo e sul luogo di quel risveglio. Le pareti candide riflettevano una tenue luce rosata proveniente dalla finestra aperta. Avvertì il lieve cigolio delle ruote di un carrello che veniva spostato poco distante, probabilmente nel corridoio, e i passi felpati di un medico o di un’infermiera.
Provò a scendere dal materasso, prima di ricordarsi che quella semplice operazione richiedeva tutta la sua attenzione per evitare di finire stesa sul pavimento. La gamba destra era inerte e lei non si era ancora abituata all’uso dei canadesi che si trovavano appoggiati contro il comodino a fianco del letto, mentre la quantità di sonde, tubi e fili che uscivano dal suo corpo rendeva ancora più complesso qualsiasi tentativo di deambulazione.
La prima volta in cui aveva provato ad arrivare in bagno con le sue sole forze, era riuscita solo ad aggrovigliare il tutto in una matassa ingarbugliata. Aveva dovuto chiamare aiuto, colma di irritazione e malumore, solo per venire sgridata pesantemente da una Chakwas che si era dimostrata molto più irritata e di malumore di quanto fosse lei.

La gamba fuori uso era il minore dei problemi: l’esplosione aveva devastato quasi tutti gli impianti. Se cuore e polmoni funzionavano in modo accettabile, lo stesso non poteva dirsi dello stomaco e dell’intestino, nonché di milza, fegato e della maggioranza dei suoi organi interni.
Quando Aelerax Actyn, il medico turian che l’aveva presa in cura fin dal suo arrivo in ospedale, le aveva illustrato dettagliatamente tutti i danni, era rimasta stupita dalla quantità di organi rimasti danneggiati.
- Insomma, a parte cuore e polmoni non funziona nulla? - aveva tagliato corto, seccata di dover ascoltare un elenco che sembrava non avesse fine.
- Nemmeno quelli funzionano molto bene, comandante. Le abbiamo inserito un paio di bypass aorto-coronarici e si ricordi che a fianco al letto ha la bocchetta dell’ossigeno, se sentisse di far fatica a respirare - aveva chiarito Aelerax.
- Ottimo davvero. Cosa dovrei fare adesso?
- Avere pazienza - aveva risposto la Chakwas, che per tutto quel tempo era rimasta in silenzio al fianco del dottore - ti nutriremo artificialmente fino a quando riusciremo a procurarci i pezzi di ricambio degli impianti danneggiati - aveva aggiunto indicando l’asta metallica che sosteneva la flebo.
- Magari i miei problemi si limitassero all’alimentazione... - aveva commentato lei, guardando con palese disgusto il catetere e il sacchetto plastificato adagiato sul pavimento, seminascosto sotto il lembo del lenzuolo.

- Preferirei che non venissi qui fino a quando sono in questo stato - aveva dichiarato a Garrus, al suo primo risveglio. Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando quel turian cocciuto le aveva parlato a lungo per costringerla a continuare a vivere, ma era certa che non si fosse mosso dal suo letto se non per i pochi minuti necessari per andare a prendersi qualcosa da bere o da mangiare, ammesso si fosse preso la briga di curarsi di se stesso.
Lo aveva fissato con occhio critico, maledicendo le placche, che non rendevano possibile leggerne il viso, alla ricerca di occhiaie, rughe o di qualunque altro segno di stanchezza. Ma aveva capito lo stesso quanto fosse esausto: aveva notato il tremito che lui cercava di nascondere.
- Io però preferisco rimanere - le aveva risposto con quel tono pacato che indicava una determinatezza incrollabile e lei si era arresa, quella prima volta. Non aveva trovato abbastanza energia per ribellarsi e si era limitata a stringergli la mano con tutta la forza che aveva.
La volta successiva in cui era tornata cosciente aveva osservato a lungo quel suo amore rannicchiato sulla sedia, approfittando del sonno che lo aveva vinto. Si era sentita certa che fosse dimagrito e aveva provato dolore e rabbia, ma soprattutto una tenerezza a cui si era ribellata con furia cieca. Le braccia e le gambe erano ancora più asciutte del solito e la chiazza blu scura sull’uniforme all’altezza della coscia destra testimoniava che aveva sanguinato di recente.
Aveva capito che doveva costringerlo ad andarsene: la sofferenza nel vederlo in quello stato era anche peggiore di quella che provava per se stessa. Aveva avuto timore di potersi riaddormentare prima che lui si destasse e l’aveva chiamato, assistendo ad un risveglio istantaneo denso di inquietudine.
- Sto bene, Garrus - l’aveva tranquillizzato immediatamente - Ma vai a riposarti, per favore. Mi fai agitare inutilmente - lo aveva pregato.
Il turian aveva provato a scherzare e a prenderla bonariamente in giro, ma alla fine si era arreso e se ne era andato zoppicando vistosamente, dopo aver dato un’occhiata preoccupata al monitor che stava rilevando la frequenza del battito cardiaco e all’apparecchio collegato alle onde cerebrali. Farla agitare non avrebbe accelerato la guarigione, glielo aveva ripetuto anche la dottoressa, che stava cominciando a innervosirsi per quei due pazienti tanto difficili che non tenevano in nessun conto le sue raccomandazioni.



21 agosto
Per tutti i giorni seguenti nessun altro membro dell’equipaggio aveva osato farle visita e lei si era sentita oltremodo grata al turian, che sicuramente aveva dissuaso tutti i suoi compagni dall’andare a trovarla. Solo la dottoressa Chakwas continuava a farle visita regolarmente, assolutamente impermeabile a qualunque commento e perfino a qualunque ordine, quale che fosse il tono con cui li pronunciava.
Ogni giorno, però, uno dei membri del suo equipaggio, a turno, la chiamava sul factotum. Quella mattina aspettava la visita di Tali che l’aveva contattata un paio di giorni prima per dirle che aveva una magnifica sorpresa per lei: un tecnico quarian specializzato in impianti desiderava farle visita e proporle alcune soluzioni innovative. E lei aveva accettato quell’incontro, colma di speranza che le sue condizioni di salute potessero migliorare rapidamente.
Chiamò un’infermiera perché la aiutasse ad arrivare in bagno, per lavarsi almeno sommariamente, poi bevve una tazza di caffè amaro e si sforzò di rimanere in quieta e paziente attesa.

- Tecnologia dei Razziatori? - chiese dopo aver ascoltato la lunga esposizione del quarian, senza riuscire a credere a quella proposta - Siete completamente impazziti? - aggiunse in un tono più stridulo di quanto avesse avuto intenzione, mentre fissava quei due squinternati con indosso una maschera che le impediva di verificare se fosse vittima di uno scherzo crudele.
- Sono quasi certo che anche i suoi vecchi impianti derivassero almeno in parte da quella tecnologia - le fece notare il quarian, che poi proseguì col tono pacato che si usa con i pazienti affetti da problemi mentali - La tecnologia in sé non è il male, comandante Shepard. E’ solo un mezzo, come le armi. C’è chi le usa per scopi ignobili e chi le utilizza per mantenere la pace. O magari per salvare la vita organica dall’attacco di macchine impazzite...
- Senza contare che il timore circa la possibilità di venire indottrinati a questo punto non ha più motivo di sussistere - concluse con aria quasi di sfida e lei si trovò a dover condividere suo malgrado quelle argomentazioni, nonostante fosse terribilmente urtata dal tono saccente usato dal tecnico.
- E’ questa una delle considerazioni che ci ha spinto a studiare i Razziatori e ad impossessarci della loro tecnologia - aggiunse Tali - Io stessa mi sto occupando di studiare i sistemi di propulsione e di difesa utilizzati dai nostri antichi nemici. E ti assicuro non siamo solo noi Quarian a pensarla in questo modo. Da quando i nemici sono stati sconfitti, abbiamo assistito ad una specie di corsa contro il tempo: ogni razza intelligente della galassia si è mossa per impadronirsi delle spoglie rimaste senza vita. Ho notizie dirette solo di quello che sta avvenendo in questo sistema, ma è ovvio che sarà così in ogni settore. Ci saranno addirittura molti casi in cui questa ricerca forsennata di resti dei Razziatori avverrà sfuggendo al controllo delle autorità locali. Non è difficile prevedere un ingente spaccio di nuove tecnologie attraverso i canali del mercato nero.

- Non so cosa rispondere. E’ una proposta allettante, ma allo stesso tempo ripugnante - commentò in tono incerto - Se dovessi accettare, mi trasformerei fisicamente? Come l’Uomo Misterioso? - domandò con timore, sapendo con assoluta certezza che in quel caso non sarebbe più riuscita a guardarsi in uno specchio.
- Assolutamente no, posso garantirglielo. Avrebbe solo degli impianti più efficienti di quelli che sono rimasti danneggiati dall’esplosione. Non le proporrei mai interventi che la alterassero fisicamente o psicologicamente - la rassicurò il quarian, questa volta usando un tono comprensivo - Anche se il tempo trascorso dalla fine della guerra non è molto, non sarebbe lei la cavia sulla quale oserei effettuare esperimenti rischiosi. Non le inserirò impianti sui quali io possa avere qualche dubbio residuo.
- Shepard - le disse Tali prendendole una mano e stringendola forte fra le sue - Il mio popolo ti deve non solo la vita, ma anche la possibilità di tornare a vivere su Rannoch. Nessuno di noi correrebbe il rischio di mettere a repentaglio la tua integrità fisica o mentale. Prima di presentarti questo mio vecchio amico ho studiato le nuove applicazioni tecnologiche che il mio popolo sta creando a partire dai resti dei Razziatori e mi hanno convinto. Ho pensato subito a te.
- Forse avete ragione... Non so... Credo di voler riflettere per un po’ - rispose alla fine, pensando che avrebbe chiesto l’opinione di Garrus, della Chakwas e probabilmente anche di Aelerax.
- Certamente - rispose Tali, mentre il tecnico annuiva con aria paziente, senza però riuscire a resistere alla tentazione di aggiungere la sgradevole precisazione - Comunque si rassegni, la tecnologia dei Razziatori entrerà a far parte della nostra vita, che lei lo voglia o meno.

- E’ un pensiero agghiacciante - osservò qualche ora dopo, una volta concluso il suo racconto inquieto, fissando quel paio di occhi azzurri, limpidi e sereni come il cielo artificiale che avvolgeva la Cittadella, che non si erano staccati neppure per un attimo dai suoi. Sorrise inavvertitamente rendendosi conto di essersi persa al loro interno: probabilmente aveva l’espressione inebetita di una preda ipnotizzata dalla belva che la divorerà l’istante successivo. Ripeté il commento finale di quel quarian saccente - La tecnologia dei Razziatori entrerà a far parte delle nostre vite... - sperando di riuscire a vincere l’orrore insito in quella affermazione, ma si rese conto che aveva già deciso e che non c’era neppure una vera scelta: l’unica cosa a cui riusciva davvero a pensare erano quegli occhi azzurri e un bacio, un lungo bacio.
- In effetti è inevitabile - ribadì Garrus, che era rimasto ad ascoltare il suo lungo discorso nervoso in completa tranquillità - E poi… Pensa a cosa potrebbe diventare la tua nave, se disponessimo di quella tecnologia…
- Non posso crederci! Io ti sto parlando della mia vita e tu... Tu stai pensando alla nuova versione del Thanix! - lo accusò con aria truce.
Garrus ridacchiò divertito, sapendo che lei se lo era immaginato rintanato nella batteria primaria.
In realtà l’improvvisa morte dei Razziatori aveva davvero scatenato un’ingente rivoluzione nei campi della tecnologia e della scienza in genere e si sentiva parlare di progetti che fino ad appena un mese prima sarebbero sembrati del tutto dissennati. Le applicazioni avrebbero investito ogni settore, dalle comunicazioni agli armamenti, dalla produzione industriale alla messa a punto di nuovi metodi per sfruttare le risorse naturali disponibili. Una volta riattivati i portali, era inevitabile che la tecnologia dei Razziatori venisse impiegata nella costruzione di nuove navi spaziali, con una sorta di gara di ogni razza nei confronti di tutte le altre, per non correre il rischio di farsi trovare dotati di veicoli del tutto antiquati.
- Sei tu che poltrisci in uno stupido letto, piena di tubi che escono e entrano in ogni parte del tuo corpo - la accusò con aria divertita - Ma il mondo, là fuori, va avanti.
- Osi farmi queste accuse perché non posso muovermi e non mi funzionano neppure gli impianti biotici - ringhiò in risposta, sentendosi davvero inerme.
- Pensi di riuscire a perdonarmi? - chiese Garrus avvicinandosi con aria divertita, mentre scansava i vari tubi che si frapponevano fra loro e le donava quel maledetto bacio che era il suo unico vero desiderio in quel momento.

La sera stessa si mise in contatto con la Chakwas e con Aelerax e, una volta ottenuta l’assicurazione che entrambi avrebbero seguito da vicino ogni passo di quel progetto, comunicò al tecnico che era pronta ad iniziare al più presto.



30 agosto
Con il monotono trascorrere dei giorni, scanditi dai ritmi stabili e uggiosi propri di un ospedale, aveva finito per arrendersi all’evidenza che la sua completa guarigione avrebbe richiesto tempi molto più lunghi di quanto avessero previsto i medici all’inizio, nonostante l’operosità dell’equipe di tecnici quarian.
Nel frattempo, su tutti i sistemi planetari della galassia le operazioni di ricostruzione procedevano instancabilmente e la maggior parte delle energie e delle risorse disponibili veniva impiegata nella riattivazione dei portali galattici distrutti.
L’assenza di quei portali aveva avuto conseguenze devastanti: il traffico di informazioni e di merci continuava abitualmente all’interno dei vari sistemi planetari, ma risultava di fatto impraticabile fra sistemi diversi. La loro distruzione rendeva inoltre impossibile il rientro immediato dei tanti contingenti militari che avevano preso parte alla battaglia finale e dei tecnici ed operai che avevano partecipato alla costruzione del crucibolo. Un quantitativo ingente di persone si trovava esiliato lontano dal proprio pianeta natale.
Alcune navi, soprattutto quelle appartenenti a sistemi non troppo distanti da quello solare, erano partite subito dopo la fine del conflitto, preferendo un viaggio che sarebbe durato svariati mesi al forzato stazionamento nei pressi della Terra e della Cittadella. Ma molti equipaggi avevano scelto di rimanere e stavano lavorando alacremente per riattivare il portale di quel settore.

Oltre che nella ricostruzione, le autorità si stavano impegnando attivamente anche nella ricostituzione delle gerarchie politiche e militari, dato che le perdite subite durante le operazioni di guerra erano state davvero ingenti. Il Primarca Victus era sopravvissuto ma, non appena la guerra si era conclusa, aveva dichiarato di volersi dimettere, per tornare ad essere un semplice generale. Adesso c’è bisogno di un Primarca che si occupi della ricostruzione e io non sarei di utilità alcuna aveva ripetuto più volte in un tono che non ammetteva repliche. Di fatto, quindi, la carica del principale rappresentante della civiltà turian, sia in ambito politico sia in quello militare, era rimasta vacante.
Nella visita che Garrus le aveva fatto in ospedale all’inizio del mese, non appena i nuovi impianti innestatole le avevano consentito di liberarsi della maggior parte di tubi e tubicini, aveva provato a scherzare con lui sulla sua inevitabile promozione, dato che era universalmente ritenuto il turian più accreditato a diventare il successore di Victus, ma Garrus si era dimostrato turbato da quel discorso e lo aveva lasciato cadere subito.
Ricordava perfettamente come lui avesse tagliato corto affermando - Sono tutte chiacchiere inutili. Fino a quando non si ristabiliranno le comunicazioni con Palaven non ha senso parlare di un nuovo possibile Primarca.
- Perché? Su Palaven è rimasto qualcuno che potrebbe essere in lizza per questa carica? - gli aveva chiesto, poco convinta.
Garrus aveva chiuso un occhio in segno di complicità e poi aveva confessato - E’ altamente improbabile, ma è una scusa che i turian possono accogliere senza troppe difficoltà...

Le mancava spesso quel turian un po’ fuori di testa, nonostante fosse la persona che veniva a farle visita più spesso, senza turbarsi più di tanto di fronte ai suoi continui malumori. A volte si chiedeva come facesse a sopportarla.
Era perennemente nervosa e irritabile, costretta com’era a trascorrere le sue giornate quasi interamente all’interno dell’Huerta Memorial Hospital perché i medici non le davano il permesso di allontanarsi, preoccupati che qualche malfunzionamento improvviso di quegli impianti ancora sperimentali potesse mettere a repentaglio la sua vita.
In rari casi, e solo negli ultimi giorni, l’avevano autorizzata a muoversi un po’ in giro per il Presidio, ma solo quando c’era qualcuno che potesse accompagnarla e sorvegliare costantemente le sue condizioni di salute. Quella forzata inattività nel bel mezzo di un mondo che girava vorticosamente la tormentava e la rendeva irrequieta, come un animale abituato a grandi spazi di caccia che si ritrovi improvvisamente confinato in una gabbia angusta, con solo pochi metri quadri a disposizione.
- Di fatto sono nuovamente una detenuta - continuava a ripetere a Garrus con la faccia imbronciata, senza riuscire ad accettare quella prigionia, anche perché erano davvero rare le occasioni in cui poteva distrarsi dalla monotona routine quotidiana ed ancor più rare erano le visite da parte degli altri componenti del suo vecchio equipaggio, a causa dell’enorme quantità di impegni che avevano tutti e delle enormi difficoltà per spostarsi da un sistema all’altro in mancanza di portali funzionanti.
Vista la necessità di rimanere confinata in quell’edificio che ormai conosceva in ogni minimo recesso, aveva perfino accettato di sottoporsi ad ogni tipo di indagini mediche, con la speranza di riuscire a trovare una risposta all’interrogativo che non la abbandonava dalla morte dell’ammiraglio Anderson.
Aveva chiesto espressamente al personale medico se fosse possibile individuare un eventuale chip di controllo che potesse esserle stato inserito nel corpo e i dottori si erano dimostrati entusiasti nel soddisfare quella sua richiesta, perché questo consentiva loro di effettuare liberamente ogni tipo di esami, anche quelli ai quali si sarebbe normalmente opposta con ogni forza.

In quel momento si trovava su uno dei piccoli balconi del reparto in cui era confinata, a guardare verso i diversi settori della stazione spaziale con un piccolo binocolo che Garrus le aveva portato. Si indicavano l’un l’altro vari punti della Cittadella, discutendo sulle operazioni di ricostruzione ancora in corso e commentando ironicamente le precedenze che sembrava guidassero l’andamento dei lavori.
Furono interrotti dall’arrivo di un infermiere che le mostrò l’elenco delle analisi previste per quello stesso pomeriggio. Quando Garrus finì di scorrerlo, la fissò con preoccupazione, chiedendole se davvero le sue condizioni di salute fossero ancora così precarie da rendere necessarie tutte quelle ricerche invasive.
- Non lo so, Garrus - ammise incerta.
- Tu detesti farti perfino le analisi del sangue... - commentò lui, osservandola con curiosità.
- E’ che... ho ucciso l’ammiraglio Anderson... - rispose, fissando lo sguardo verso l’orizzonte lontano, mentre sentiva che gli occhi le si inumidivano.
- Non capisco.
- E’ stato l’Uomo Misterioso a obbligarmi, esercitando una sorta di controllo mentale.
- Continuo a non capire...
- Sto cercando lo stramaledetto chip.
- Shep... - ripose immediatamente Garrus, fissandola con sorpresa e apprensione - Miranda ti ha assicurato che non hai alcun circuito di controllo. Te l’ha ripetuto più volte, ricordi? - aggiunse, tentando di farla ragionare.
- Sì, ma non avrei mai ucciso Anderson se avessi avuto il controllo delle mie azioni! - ribatté con rabbia.
- Ed è questo il motivo per cui lasci che i medici frughino liberamente nel tuo corpo? Per la ricerca di uno stupidissimo chip? - fu la domanda successiva, pronunciata in tono genuinamente sbalordito.
- Non so cos’altro posso fare - rispose avvilita, stringendo le mani intorno alla ringhiera del balcone su cui si trovavano.

Lo fissò allibita, vedendolo sorridere scuotendo la testa, per poi mettersi apertamente a ridere. Si ribellò con irritazione sincera ai suoi tentativi di prenderla fra le braccia e di stringerla, fissandolo con stizza. Non c’era proprio niente da ridere.
- Spiriti! quanto puoi essere scema certe volte! - esclamò il turian tornando serio, mentre le passava le dita fra quei capelli nuovi, corti poco più di un centimetro.
- Sembri una ragazzina adolescente e ti comporti nello stesso modo - le disse fissandola con comprensione, prendendole il volto fra le mani e tenendola ferma. Non era più divertito, era preoccupato. Glielo leggeva facilmente nello sguardo ed ebbe paura che condividesse i suoi timori. Gli si appoggiò contro in cerca di conforto, ma Garrus la allontanò leggermente, invitandola a guardarlo bene in viso.
- Ma ti ricordi com’era il tuo Uomo Misterioso? - chiese - La prima volta che l’hai incontrato erano solo gli occhi ad essere inquietanti, ma quando l’hai ritrovato sulla Cittadella era più razziatore che umano!
- Spiriti, Shep! - aggiunse poi, afferrandole i polsi sottili nella stretta salda delle sue mani, scuotendola, come se quelle scosse potessero servire a farla rinsavire - Fin dall’inizio dei tempi i maledetti razziatori hanno sempre usato l’indottrinamento! Ricordi la Sovereign? Ricordi Saren? Quell’essere sarebbe stato in grado di costringere chiunque a premere il grilletto di una pistola!
- Uhm... dici?
- Ma certo!
- Ne sei sicuro?
- Tanto quanto penso che sei veramente scema, certe volte...
Lo vide aspettare pazientemente un suo sorriso incerto e poi Garrus sorrise a sua volta, evidentemente sollevato per essere riuscito a farla ragionare, e lei si trovò costretta, suo malgrado, a ridere di se stessa.
- Sono stata stupida - ammise infine, dopo essere tornata seria.
- Speriamo che ti dimettano presto - fu l’unico commento che fece Garrus, scuotendo la testa avvilito, prima di salutarla.

A gift of a thistle



10 settembre
Finalmente quella mattina, a distanza di oltre tre mesi dal suo ricovero, il dottore turian che si era occupato di lei fin dal primo momento in cui era stata portata in ospedale entrò nella sua stanza rassicurandola che nel giro di poco tempo sarebbe potuta tornare alla sua solita vita: l’ultimo ricambio di un impianto innestatole nel petto, nel ventricolo destro del cuore, sarebbe stato consegnato a breve. Dopo l’intervento e un altro paio di giorni di osservazione, sarebbe stata dimessa.
A quella notizia lo abbracciò con forza, baciandolo addirittura sulla guancia per la gioia, nonostante il suo vistoso imbarazzo.
- Mi tradisci non appena guarita? - fu la domanda che le giunse all’orecchio da una voce il cui tono divertito e canzonatorio era assolutamente inconfondibile.
- Sono venuto appena ho saputo la notizia da Tali - le confessò Garrus, stringendole le mani fra le sue - volevo vedere un’espressione di gioia invece del solito broncio e malcontento che hai sulla faccia da settimane...
Poi lui si rivolse a Aelerax - Posso portare la mia ragazza in giro per la Cittadella? Ovviamente mi assumo ogni responsabilità.
- Certamente, Signore - rispose il medico, con un’espressione talmente ossequiosa che a lei scappò un - Riposo, soldato - che fece sorridere i due turian.

Garrus le cinse la vita con la mano destra, prima di sussurrarle - Voglio parlarti di una cosa. Te la senti di arrivare fino al ristorante panoramico?
- Sissignore - rispose, mettendosi sull'attenti e facendo il saluto militare, prima di chiedergli - Ma ti hanno nominato Primarca?
Si era subito pentita di quella domanda, vedendolo cambiare espressione.
- Per gli Spiriti! Ormai chiunque mi incontra mi fa questa domanda entro i primi cinque minuti di conversazione...
- Mi spiace, so che non vuoi parlare di questo argomento.
- Ormai odio perfino il suono di quella parola.
- Puoi sempre rifiutare, no?
- Uhm, sì e no... Ho dei progetti... - le confessò, facendole un gesto di intesa che però lei non riuscì a spiegarsi.

Quando arrivarono al ristorante, Garrus la fece accomodare su una sedia ad un tavolo all’ombra, in una bella posizione panoramica che aveva riservato per loro prima di entrare in ospedale. Poi ordinò un paio di aperitivi: quello che aveva preso per sé era leggermente alcolico, mentre il suo era un salutare succo di frutta. Lo guardò con disapprovazione evidente, fino a quando lui smise di ridacchiare per ammettere - Ti voglio assolutamente sobria.
- Ok, spara - rispose incuriosita.
Garrus si appoggiò allo schienale della sedia e prese il bicchiere dal tavolino.
- Ho chiesto informazioni ovunque e ho praticamente esasperato Joker con le mie domande - cominciò a confessarle, tenendo stretto fra le mani il bicchiere e guardandola negli occhi con espressione indecisa.
Poi continuò, con un tono che sembrava abbattuto - I vostri dannati usi variano davvero troppo perché io possa capire cosa dire. Per noi tutto è semplice e lineare. Gli umani sono complicati e contorti.
- A cosa ti riferisci?
- Supponi che due persone decidano di fare coppia fissa per il resto della loro vita... Cosa fanno?
- Si sposano, in genere... anche se non sempre. Possono scegliere di convivere, per esempio, o addirittura restare ognuno a casa propria… - rispose, divertendosi nel metterlo a disagio.
- Ecco… vedi? - la interruppe il turian alzando lo sguardo verso il cielo - I vostri usi sono confusi o perlomeno a me sembrano tali.
- E i turian cosa fanno? - chiese con tono apparentemente distratto, anche se non le era difficile immaginare dove stesse andando a parare Garrus.
- Cercano una casa in cui vivere insieme e poi celebrano un semplice rito, simile al vostro matrimonio.
- Semplice - rispose con un sorriso, fissandolo divertita mentre lui stava bevendo un primo sorso dal bicchiere che teneva ancora in mano.
Garrus ingoiò quel goccio come se si trattasse di una medicina amara e poi la fissò in silenzio. Quando riprese a parlare il tono della voce era teso - Ti sembrerà semplice, ma in realtà è… impegnativo. E’ un passo definitivo nella vita di un turian. So che per voi non lo è.
- Beh, si. Vero. Molte coppie si separano e magari poi si risposano con altre persone... Capita piuttosto frequentemente - rifletté ad alta voce, mentre provava ad immaginarsi come dovessero apparire al turian gli usi umani. “Inaccettabili e indecenti” furono gli aggettivi che le vennero in mente.
- E’ inammissibile - fu il commento lapidario di Garrus, mentre beveva un altro sorso dal proprio bicchiere.
- E’ una proposta, la tua? - tagliò corto, sentendosi irrequieta.
Il turian finì d’un fiato il contenuto del bicchiere e lo posò lentamente sul tavolino davanti a loro. Poi la guardò con espressione seria.
- Sì. Ti sto chiedendo di essere mia moglie, ma non a tempo determinato. Il nostro rito lega due vite, indissolubilmente. E’ qualcosa di molto diverso dalle domande che ti ho rivolto sulla cima del Presidio. Riesci a capirmi? - le chiese fissandola con un’aria seria e preoccupata.
- Non è molto romantico - osservò lei, sapendo che il sorriso che gli aveva rivolto era turbato. Quella proposta di matrimonio l’aveva completamente spiazzata: non si sarebbe mai immaginata che un progetto simile potesse essere espresso in termini così freddi e distaccati.
- No. Non lo è - concordò Garrus con espressione imbarazzata - Ma il romanticismo sarebbe fuori luogo. Tra l’altro mi sentirei ridicolo a inginocchiarmi ai tuoi piedi, magari con un anello in mano... Neanche Joker mi ci vedeva molto: mi ha mostrato le immagini di un film, poi mi ha fissato perplesso e si è messo a ridere come un idiota.
- Mi sarei messa a ridere anche io - gli rispose ridacchiando divertita, immaginandosi quella scena eseguita con l’inevitabile goffaggine di Garrus.
Lui rimase serio, fissandola con una strana espressione di incertezza.
- Non vorrei sembrare razzista, Shep, ma c’è la forma e c’è la sostanza. Ho idea che voi umani privilegiate la forma, la gioia di vivere emozioni intense - affermò con disappunto - Non è questa la nostra filosofia. Non potrei mai adattarmi. In questo momento ti sto chiedendo una promessa da turian, anche se sarebbe idiota da parte mia chiedertelo eseguendo un rituale che per te avrebbe lo stesso senso che avrebbe per me il regalo di un anello.
- Se fossi una turian come me lo avresti chiesto? - gli domandò incuriosita.
- Pensavo lo sapessi... - rispose fissandola sorpreso - Avrei appoggiato la mia fronte contro la tua e ti avrei fissato negli occhi. E’ quello il modo per dirsi cose importanti.

- Shep... io dubito che tu possa capire - considerò il turian guardandola con la testa leggermente inclinata e un’espressione perplessa, aspettando pazientemente che lei smettesse di ridere per essersi resa finalmente conto del significato di quella leggera testata che si erano scambiati tanti mesi prima nella sua cabina, poco prima di varcare il portale Omega 4.
- Però potremmo fare almeno un tentativo, no? - rispose alla fine, senza riuscire a smettere di ridere, fino a quando lo vide scattare in piedi emettendo una specie di grido soffocato.
- Un... tentativo... - ripeté Garrus, con un tono che metteva chiaramente in luce come quella risposta fosse del tutto inammissibile.
- Era una risposta impropria, suppongo - comprese facilmente, fissando l’espressione sconvolta del suo viso.
- E’ una risposta che chiarisce inequivocabilmente come io non abbia capito assolutamente voi umani e come non sia riuscito a spiegarti nulla di noi turian - rispose lui con un’espressione talmente depressa e amareggiata che lei rabbrividì involontariamente.
- Mi spiace - si scusò, allungando una mano per stringere quella di Garrus, ancora in piedi a un passo da lei. Lui si ritrasse di colpo lanciandole uno sguardo irato, prima di confessare un identico - Mi spiace - che lei attribuì al pentimento per quella sua reazione involontaria.

Lo fissò senza sapere cosa dire. Non aveva voluto ferirlo, ma lo aveva fatto. Si prese qualche istante per riflettere e pensò che lui stava facendo lo stesso. Lo osservò voltarle le spalle e mettersi a fissare l’orizzonte lontano. Fissò le sue mani che si appoggiavano sul piccolo parapetto di metallo per poi stringerlo con tutta la forza che aveva nelle dita. Solo a quel punto si decise ad alzarsi dalla sedia per andargli vicino, appoggiando anche lei le mani sulla ringhiera.
- E’ lì che mi hai portato a sparare alle bottiglie - gli disse poi, indicando un punto lontano con l’indice della mano destra.
- Shep... - cominciò a dire Garrus sussurrando appena, dopo aver passato qualche minuto a riflettere - mi sono appena reso conto di essermi irritato con te perché sei un’umana e perché ti comporti come tale.
- Devi trovarti una turian, ho capito... - rispose cercando di restare quieta, mentre sentiva che tutti quei discorsi la stavano agitando troppo, contro tutte le raccomandazioni mediche ricevute.
- Dovrei, suppongo - ammise lui con un sorriso tirato - Non sarà tanto facile.
Rimase a fissare il nulla ancora per un po’ e poi spiegò - Molti di noi non si sposano e continuano a godersi la vita allegramente. E’ difficile trovare qualcuno che spinga un turian a fare questo passo. Io non avevo mai trovato nessuno, non ci avevo neppure mai pensato prima di conoscerti. Non credo che incontrerò nessun’altra... - le confessò stancamente - Mi fai sentire uno stupido a chiarire qualcosa che per noi è ovvio... - concluse appoggiando la fronte contro le mani aperte per qualche istante, prima di tornare a stringere la ringhiera fra le dita, osservando l’orizzonte con uno sguardo triste.

Gli si avvicinò e provò a posare la sua mano destra sulla sinistra di lui che questa volta non si scansò, ma neppure si girò a guardarla.
- E se ti chiedessi io di sposarmi, avvertendoti però che ci stiamo per infilare in un mare di guai?
- Non si gioca su queste cose, umana - gli rispose lui girandosi finalmente verso di lei, ma fissandola con uno sguardo colmo di rimprovero.
- Non sto giocando, turian. Ti sto lanciando una sfida leggermente più impegnativa dell’ultima che abbiamo appena combattuto...
Poi aggiunse - Se non te la senti, puoi rimanere immobile sul portellone aperto della Normandy invece di...
- Spiriti, Shepard! - la interruppe il turian, visibilmente irritato - ma che razza di modo è questo? Chiedi così a qualcuno di sposarti?
- Non so, non l’ho mai chiesto a nessuno prima d’ora... - rispose, sentendo che il suo viso aveva assunto la tinta dei suoi cortissimi capelli.
- Lo spero bene! - esplose lui, agghiacciato al solo pensiero.

Passò un secondo di mutismo reciproco, prima che si guardassero con espressione incerta. Lei si accorse che non sarebbe riuscita a rimanere seria e studiò il viso di Garrus. Le bastarono pochi secondi per capire che condividevano le stesse emozioni. Fece in tempo a fargli una smorfia, prima che entrambi scoppiassero a ridere. Fu lei la prima a smettere, ammettendo di non sentirsi bene - Riaccompagnami in ospedale, per favore.
Garrus la prese in braccio - Sono stato un idiota. Non era il caso di farti questo discorso ora, ma ho avuto paura di non riuscire a trovare un’altra giornata libera prima che uscissi dall’ospedale - si scusò, facendole poggiare il capo sulla spalla.
- Beh, sarebbe stato un bel modo di morire - ridacchiò lei.
- Non pensarci neppure. Sei già morta a sufficienza.




Note
Capitolo rivisto alla luce dei suggerimenti ricevuti e in base alla segnalazione di veri e propri errori che avevo commesso. Un grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno voluto aiutare. Non vi ringrazio citando ogni nome perché sono certa che dimenticherei qualcuno e non me lo potrei davvero perdonare.
Ogni recensione e ogni messaggio che mi avete scritto è stato però accuratamente letto e, dove possibile, ne ho tenuto conto. So di non essere riuscita a correggere tutto, ma questa versione aggiornata sarà per lo meno migliore della precedente. Per alcune obiezioni dovrei buttare all’aria tutta questa storia... ammetto di non averlo voluto fare.
Un abbraccio collettivo, ma sincero e pieno di gratitudine.
  
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