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Autore: Thefoolfan    27/07/2013    2 recensioni
Piccola shot che mi è venuta in mente pensando a ciò che potrebbe accadere, ma che non accadrà se no Marlowe mi sa che avrà un brutto quarto d'ora, nei primi episodi della prossima serie. Cosa accadrebbe se i nostri protagonisti si accorgessero che le cose non vanno come speravano.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Era una piovosa giornata di settembre a Washington e mentre Castle passeggiava per le strade che vagamente gli ricordavano quelle della sua amata New York si ritrovò a fissare il cielo scuro e solcato dai lampi di luce che facevano scappare i passanti, costringendoli a cercare riparo in negozi e caffetterie. Gli sembrava che quelle nubi grigie non fossero li per caso, ma perchè volevano riflettere lo stato d'animo che dominava nell'autore. L'aria che respirava, le persone che incontrava, anche la stessa disposizione degli edifici e le macchine che gli passavano accanto sembravano complottare contro di lui, unendosi insieme per fargli odiare quel luogo. Arrivato davanti al cafè “El rey” chiuse l'ombrello, facendolo oscillare cosi da far scivolare le gocce d'acqua in eccesso, attento a non bagnare i passanti che già gli sembravano spazientiti per via del tempo. Pulendosi i piedi sul tappetino d'avanti all'ingresso entro nel locale, passandosi una mano nei capelli umidi e posando l'ombrello accanto ad altri sistemati in un contenitore cilindrico di plastica beige e marrone. Fece scorrere le iridi lungo tutto il locale, cercando tra il bancone e i tavoli quella chioma di capelli a lui ormai ben nota, fino a che non la vide ad un tavolo separato dagli altri. Lentamente si diresse li facendo lo slalom tra le sedie e i camerieri, togliendosi la giacca e posandola sul divanetto in pelle rosso che circondava in parte la tavola. Non disse nulla mentre la guardava, anche lei assorta nel proprio silenzio.

“Hai scelto un bel quartiere dove trasferirti”. Commentò alzando discretamente una mano cosi da richiamare l'attenzione di una cameriera bionda con una lunga coda di cavallo.

“Lo odi vero?”. Sogghignò Beckett conoscendolo, capendo dal solo semplice suono della sua voce quando era ironico, come in quel caso.

“Moltissimo. Vorrei cambiare tutto, perfino gli idranti, i parchimetri, senza parlare delle persone che ho incontrato per venire qui, se avessi avuto la tua pistola avrei fatto una carneficina”. Replicò lui cercando di tornare di buon umore, sforzandosi ad essere se stesso ma per quanto ci provasse il suo cuore e la sua mente gli dicevano tutt'altro.

“Due caffè”. Disse alla cameriera scostando per qualche istante gli occhi da Becket, non notando invece come lei lo fissava con attenzione. In fondo erano tre settimane che non si sentivano al telefono ed erano quasi due mesi che non si vedevano, da quando lei si era trasferita permanentemente a Washington per il nuovo lavoro. Il loro addio all'aeroporto non era stato come si aspettava, cosi lontano dalle scene che spesso si vedevano nei cinema, dove lui la rincorreva per non farla partire, professandole tutto il suo amore e la necessità di averla al suo fianco. Per loro però non era stato cosi. Castle si l'aveva accompagnata, aveva aspettato con lei fino al momento in cui era salita sull'aereo, ma quelle ore passate insieme si erano trasformate in una lunga sofferenza, e alla fine entrambi furono grati quando venne annunciato l'imbarco.

“Come procede il romanzo?”. Le domandò Beckett, paragonandosi a quelle giovani coppie che uscivano per la prima volta, trovando un argomento di cui parlare anche nelle cose più assurde solo per rompere quell'imbarazzante silenzio.

“Bene. Andando solo qualche ora al giorno al distretto ho molto più tempo libero per dedicarmici quindi mi ritrovo a buon punto, anzi più avanti di quanto avessi in programma. Gina si è stupita quando le ho consegnato il nuovo capitolo con diversi giorni d'anticipo”. Raccontò inarcando debolmente la bocca, provando una sensazione di dolore che gli arrivò fino al cuore.

“E a te il lavoro? Ho sentito che ti sei fatta subito notare”. Ed era cosi, Lanie gli aveva raccontato dell'ultimo caso che Beckett aveva contribuito a risolvere, sottolineando più e più volte il ruolo importante che la donna aveva avuto durante le indagini.

“Solita routine. Ho avuto fortuna”. Replicò la detective allontanandosi dal tavolo, scivolando in parte sul divanetto, tenendo le braccia allungate sopra il ripiano in legno. Ancora calò il silenzio tra i due, interrotto solo dall'arrivo della cameriera che notando qualcosa di strano tra i due appoggiò le tazze e si dileguò velocemente, lasciandoli di nuovo da soli nonostante fossero circondati da decine di persone.

“Mi fa piacere che tu ti trovi a tuo agio nella nuova squadra”. Affermò Castle a denti stretti, afferrando la tazza bollente, lasciando che una smorfia sul volto esternasse il fastidio provato alle mani. Portò comunque la porcellana alla bocca, soffiando debolmente cosi da far raffreddare il caffè, usando quel gesto come scusa per distrarsi da lei anche se per pochi secondi.

“Sono contenta che tu sia qui, Castle. Mi sei mancato”. Ammise bagnandosi le labbra, sentendosi la gola secca e il cuore batterle all'impazzata solo per il semplice fatto che lui era effettivamente li con lei.

“Non è stato facile salire su quell'aereo anzi..”. Enunciò facendo un profondo respiro, asciugandosi il sudore che sentiva impregnarli il viso. “Ho dovuto dar fondo a tutto il mio coraggio per prenderlo ed essere qui ora”. Confessò voltando il viso, andando a fissare una donna ben vestita intenta a leggere un giornale, soffermandosi su di lei solo per non vedere la reazione di Beckett, sapendo che il solo saperla triste gli lacerava l'anima.

“Lo so che non è facile Rick. Che tutta questa storia ci sta mettendo a dura prova ma ci sto provando, sto facendo di tutto perchè le cose funzionino”. Affermò Beckett alzando la voce, accorgendosi poi che alcuni clienti si erano voltati curiosi ad ascoltare, costringendola a sussurrare l'ultima parte della frase.

“Ma ormai è tutto cambiato non è cosi?”. Domandò retorico lui facendo ricadere la propria mano sul divanetto impedendo alla donna di afferrargliela, notando poi come le sue esili dita cominciarono a tremare, chiudendosi poi in pugno cercando di negare l'evidenza.

“Pensi che sia il caso di parlare un po'..”. Parlò Beckett tentennando ad ogni sillaba, sapendo che quella semplice frase poteva distruggere anche quelle poche certezze che aveva portato con se da New York. “Di noi”. Aggiunse tutto d'un fiato, vedendo come Castle alzò lentamente gli occhi andandola a fissare con gli occhi da bambino, chiudendo e riaprendo lentamente le palpebre mentre combatteva con se stesso per risponderle.

“Perchò no”. Ribattè risultando alla donna arrabbiato, quasi quella richiesta l'avesse offeso. Beckett però era ben consapevole del motivo, aveva ritardato quel momento il più possibile, negandogli una volta la possibilità di parlare, di confrontarsi su ciò che volevano l'uno per l'altro, non dandogli la possibilità di scegliere. Lei sarebbe partita per Washington, non ci sarebbero state altre alternative.

“Quando ti ho chiesto di sposarmi non l'ho fatto per costringerti a rimanere”. Esordì parlando con il cuore in mano, trovandosi in difficoltà nel farlo dato che lui aveva sempre evitato quei confronti, fuggendo dalle proprie responsabilità, fuggendo dalla donna stessa che pensava di amare. Ma Beckett non era come le altre, non si meritava un trattamento simile, la loro storia valeva molto di più e per questo lui doveva riuscire ad aprirsi.

“Lo sai che non l'ho mai vista in questo modo”. Protestò lei per venir subito interrotta dallo scrittore.

“Ti prego, fammi finire”. La supplicò alzando entrambe le mani, tornando ad appoggiare i gomiti sulla tavola. “Io sono pazzo di te e non voglio rassegnarmi cosi, voglio combattere per il nostro rapporto”. Concluse sporgendosi verso la donna che li limitò a sollevare leggermente il mento.

“E pensi che io non lo voglia”. Rispose quasi indignata Beckett, indicandosi con tutta la mano appoggiandola al petto. “Ti ho chiesto di aspettarmi Rick ma tu dopo nemmeno tre settimane hai cambiato idea. Mi hai detto che forse non era più il caso di sposarci . Mi hai ferita e non ti è importato”. Dichiarò non avendo il coraggio di sostenere il suo sguardo, facendo scorrere le iridi sugli oggetti presenti sulla tavola, ritrovandosi a tremare mentre stringeva tra le dita la tazza di caffè.

“E ora, ogni giorno, mi ritrovo a chiedermi se l'averti incontrato sia stata una benedizione o una punizione. Non so più cosa voglio dalla mia vita e lo devo a te, grazie”. Dichiarò sarcastica, lasciando trasparire attraverso il tono della voce tutta la sua sofferenza, tutta la sua rabbia che a mala pena riusciva a trattenere solo perchè vi erano troppo testimoni.

“Anche tu mi ha fatto soffrire”. Prese parola Castle che, a differenza della donna, sembrava più ponderato, concentrato sulla conversazione e non sui propri sentimenti che gli dettavano un comportamento totalmente diverso. “Ci sono state molte volte in questi ultimi due mesi che avevo bisogno di te, ma mi sono sentito rifiutato. Specialmente appena dopo il tuo arrivo a Washington, sempre impegnata con un caso o troppo stanca per sentire i miei problemi”. Sottolineò Castle sistemandosi meglio sul divanetto divenuto d'improvviso scomodo, inclinandosi prima a destra e poi a sinistra, senza interrompere il suo dire, non volendo perdere il filo del discorso.

“Come quella volta che Alexis è partita per Los Angeles. So che era solo per dieci giorno ma dopo Parigi sai come sono diventato protettivo nei suoi confronti, eppure quando ti ho chiesto aiuto mi hai risposto che eri troppo impegnata con un caso per starmi ad ascoltare e che mi avresti richiamato”. Raccontò con un sogghigno beffardo, ricordandosi le ore successive passate ad aspettare una telefonata che alla fine non arrivò mai.

“Ero a Washington da poco, non potevo dire ai miei colleghi “Andate avanti da soli che io devo parlare con il mio fidanzato”, non durante un indagine”. Spiegò cercando di far valere le proprie ragioni che solo in parte colpirono Castle.

“Bla, bla bla”. La canzonò lo scrittore facendo il verso dell'oca con la mano destra, facendola bloccare incredula. “Me l'hai spiegato altre centinaia di volte e infatti non pretendo che tu mi chiami durante l'orario di lavoro, ti chiedo solo di dedicarmi una decina di minuti una volta che torni a casa. Mi hai viziato cosi bene quando eri a New York che ora è difficile avere un trattamento diverso”. Disse ridendo, smorzando un po' la situazione, vedendo anche Beckett rilassarsi per qualche istante, rilasciando una risata liberatoria.

“In effetti ricevevi fin troppe coccole per un uomo della tua età. Sarà stato quel tuo lato bambinesco a fare cosi tanta tenerezza”. Dichiarò Beckett viaggiando su quell'onda giocosa, approfittando di quelle battute per calmare i nervi ed evitare di dirsi cose non pensate.

“Sei una persona meravigliosa, senza la quale non si può vivere, e credo sia questo il motivo per cui siamo qui ora”. Tornò subito serio Castle, piegando un braccio sopra la tavola, tenendolo a contatto con il suo petto mentre l'altro lo distendeva verso la donna, senza avvicinarsi troppo, muovendo il proprio corpo spinto da quei gesti consueti che vi erano tra i due quando si trovavano uno di fronte all'altra.

“Pensavo che il motivo fosse la nostra ultima conversazione. Non sai quanto vorrei dimenticarla”. Constatò Beckett unendo le mani, grattandosi con le unghie la pelle preferendo il dolore fisico a quello straziante che le proveniva dal cuore.

“Ma non si può”. Dichiarò sconfortato lui, massaggiandosi la fronte mentre gli riaffiorava alla mente quel momento che aveva minato cosi duramente la loro relazione.


E cosi nemmeno questo week end riesci a tornare a New York”. Constatò deluso Castle sedendosi sul bracciolo del divano, tenendo con una mano il cellulare attaccato all'orecchio mentre l'altra sfregava nervosamente i jeans all'altezza della coscia.

Lo sai come stanno le cose Castle. Qua non è come al distretto dove posso prendermi tutti i giorni liberi che voglio sapendo che Ryan od Esposito mi sostituiranno. Sono l'ultima arrivata e perciò devo essere la prima che si mette a disposizione, anche se questo comporta lavorare il sabato e la domenica”. Spiegò Beckett passeggiando avanti e indietro per il suo nuovo appartamento, passandosi nervosamente le mani nei capelli, ritirando all'indietro quella ciocca che ad ogni passo le andava davanti agli occhi.

Sò che hai delle responsabilità li a Washington ma le hai anche qui a New York Kate. Non posso continuare a raccimolare quelle poche briciole che mi lasci per strada, che senso ha continuare, che senso ha sposarsi”. Rivelò cosi ad alta voce quel pensiero che da diversi giorni gli ronzava nella testa, strizzando gli occhi e lasciando ricadere il capo all'indietro consapevole di aver scelto il momento meno adatto per dirlo.

Non mi vuoi più sposare?”. Domandò la detective fermando di colpo il suo incedere, attendendo quella risposta come un condannato aspetta il verdetto del giudice, vita o morte, a quello Beckett paragonava la sua risposta.

Penso sia il caso di aspettare un momento migliore. Farlo adesso sarebbe solo un errore”. E cosi si erano lasciati quella sera, l'ultima volta che avevano sentito l'uno la voce dell'altro. Per i giorni successivi la detective rifiutò ogni sua chiamata, concentrandosi sui casi per non sentire quella stretta allo stomaco ogni volta che vedeva comparire sul display del telefonino la foto del fidanzato.

 

“Possiamo solo assumerci le nostre colpe”. Affermò Castle serrando le labbra e inclinando il capo, ritrovandosi ad osservare uno dei lampadari spenti appesi al soffitto. “Siamo entrambi qui e abbiamo la possibilità di sistemare le cose se vogliamo”. Continuò tornando a guardare la fidanzata, facendo spallucce in attesa di una sua risposta.

“Abbiamo nuove consapevolezze. Sarà strano ma in questi due mesi siamo cambiati, e perchè no cresciuti”. Parlò ancora lo scrittore notando come Beckett si era zittita di colpo, rimanendo li a guardarlo rapita, senza muovere un muscolo del corpo, solo lo sbattere lento delle ciglia faceva capire allo scrittore che la donna era ancora li con lui.

“Eppure ancora non riusciamo a lasciarsi andare”. Si sentì di nuovo la voce debole di Beckett. Quasi un sussurrò che lasciò le sue labbra. Allungando una mano afferrò uno dei tovaglioli di carta posti al centro della tavola, sfiorando con le dita la mano di Castle senza volerlo, in un gesto consapevole che la portò ad alzare gli occhi verso di lui come a scusarsi.

“é che abbiamo paura”. Appurò lo scrittore deglutendo a fatica, mentre la detective annuiva mostrando il proprio assenso, inspirando profondamente sentendosi i polmoni in debito d'ossigeno.

“Ho sbagliato molto nei tuoi confronti perchè avevo paura”. Confessò sia a se stesso che a lei, muovendo ancora una mano di qualche millimetro, avvicinandosi a quella di lei che ora era cosi vicino che poteva sentirne il calore.

“Quando mi hai detto di Washington, quando mi sono rifiutato per orgoglio di passare i primi giorni del tuo trasferimento qui con te.”. Ridacchiò vedendola ciondolare la testa a destra e sinistra, muovendo le labbra sulle quali vi poteva leggere un ripetuto “bla bla bla” mentre con la mano riproduceva quel suo stesso gesto precedente.

“D'accordo”. Affermò bagnandosi le labbra. “é che ero certo che se ti avessi vista in azione qui a Washington avrei avuto la conferma di ciò che in fondo so già. Che il tuo posto è qui e non a New York con me, e avevo paura di perderti. Rimanendo invece nella “grande mela” avevo sempre la speranza che un giorno ti avrei fatta tornare”. Asserì mordendosi un labbro, incurvandosi con al schiena e infossando la testa tra le spalle, lasciando che tutto il peso del suo corpo gravasse sul braccio posato sul tavolo.

“Non voglio che uno di noi due soffra”. Aggiunse Beckett senza nemmeno accorgersene, lasciando che il suo pensiero seguisse quello del fidanzato.

“Ma è una cosa che sappiamo accadrà. Non possiamo andare avanti cosi”. Dichiarò consapevole e avvilito Castle. “Dobbiamo solo decidere quanto prolungare quest'agonia”. Parlò Castle sentendosi gli occhi bruciare, sentendo che una parte di lui si ribellava a quel suo arrendersi cosi da vile, quella stessa parte che gli continuava a dire di combattere, di non rinunciare a una delle poche cose certe, vere e indispensabili della sua vita, ma lui, in realtà, si era già arreso da tempo.

“La verità è che nessuno dei due vuole rinunciare a ciò che ha adesso”. Constatò Beckett alzando gli occhi al cielo. “E forse è il momento di ammettere che la nostra relazione non è tra le nostre priorità”. Affermò la donna volendosi rimangiare quella nefandezza nell'istante subito seguente, dubitando del vero motivo per cui aveva espresso quel pensiero. Se perchè davvero la vedeva cosi o se perchè spinta da un qualche meccanismo di difesa che voleva solo proteggerla da un ulteriore dolore.

“Eppure non sai quanto ci avevo sperato”. Dichiarò Castle sfregandosi gli occhi con la mano sinistra, cercando di asciugarseli da quelle lacrime che poco a poco li stavano invadendo. “Ma questi due mesi sono stati la prova che una relazione a distanza non funziona. Funzioniamo solo quando siamo l'uno vicina all'altra”. Proseguì andando finalmente a prenderle la mano, sentendo il proprio corpo vibrare nel sentire di nuovo il calore della sua pelle contro la propria, accorgendosi di quanto quel semplice gesto gli era mancato.

“Se siamo cosi certi che continuare non è la strada giusta allora perchè fa cosi male?”. Domandò Beckett non ricevendo alcuna risposta da parte dell'uomo che si limitò a stringerle più forte le dita. “Perchè, se chiudo gli occhi, l'unico futuro che vedo è quello dove tu sei al mio fianco.”. Quasi urlò fra i denti, lasciando scorrere le lacrime a differenza di Castle che ancora stoicamente riusciva a trattenerle.

“Il tuo futuro è qui Kate. Dove puoi diventare qualcuno, dove puoi fare molto, so che ce la farai. So che un giorno vedrò il tuo nome in qualche telegiornale, dove non faranno altro che elogiarti per lo splendido lavoro che hai fatto. Sarei egoista se ti tenessi solo per me”. Disse lo scrittore strizzando gli occhi, liberando quell'unica goccia che gli solcò il volto fino a cadere dalla sua mascella finendo poi a formare una piccola macchia sul tavolo.

“Non voglio fare questa scelta”. Beckett gli strinse ancora di più la mano, sentendo, sapendo che lo stava per perdere.

“Per questo la faccio io per te”. Disse lui con voce rotta, alzandosi dal divanetto per mettersi in piedi al fianco della donna. “Dai il meglio di te e rendimi orgoglioso”. Quasi la pregò prima di abbassarsi verso di lei e darle un casto ma prolungato bacio sulla nuca, respirando un ultima volta quel suo profumo di ciliege.

“Addio”. Le sussurrò in un orecchio prima di raccogliere la sua giacca e uscire di corsa dal locale, senza fermarsi. Ormai aveva scelto, non poteva tornare indietro, non poteva essere d'intralcio alla carriera di Beckett.

La donna rimase sola al tavolo, sentendo ancora la lieve pressione delle labbra dell'uomo sul proprio capo ma quando si accorse che Castle ormai se ne era andato non si trattenne più, si lasciò andare, permettendo a quelle lacrime di mostrare la propria debolezza.

Qualche istante dopo sentì una presenza accanto a lei. Alzò lo sguardo speranzosa di vedere Castle, di abbracciarlo e dirgli quanto lo amava ma al suo posto vide la donna ben vestita che occupava il tavolo a fianco al loro porgerle un fazzoletto di stoffa bianco.

“Mi scusi ma non ho potuto fare a meno di ascoltare”. Disse la donna che, notò Beckett, aveva all'incirca l'età di suo padre e la stessa espressione bonaria.

“E se posso permettermi voglio solo dirle che quanto avete detto non erano altro che un susseguirsi di sciocchezze.”. Beckett la guardò incredula, non rispondendogli solo perchè la donna l'aveva colta di sorpresa con la sua intromissione.

“Dettate dall'orgoglio che camuffate sotto false rinunce per il bene l'uno dell'altro”. Beckett fece per controbattere, sentendo la necessità di spiegare alla donna la loro situazione, cosi che capisse il motivo per cui erano giunti a tanto ma quella non le diede modo.

“Si guardi attorno signorina, ogni giorno vedrà coppie felici e sorridenti, ognuna con i suoi problemi, ognuna che ha rinunciato a qualcosa per il bene del loro rapporto. Se ciò non la tocca allora stia pure qui a commiserarsi, ad aspettare che il dolore svanisca”. Continuò utilizzando un tono della voce sempre più duro anche se mai aggressivo, l'unico suo intento era quello di impartirle una lezione di vita.

“Ma se ha anche solo un minimo dubbio allora si alzi perchè altrimenti un giorno, vedendo due persone felici, si renderà conto di aver sbagliato e si dirà “Avrei dovuto essere io””. La donna si bloccò espirando profondamente, prendendo la propria borsetta e frugando dentro di essa, tirando fuori alcune monete che mise sul tavolo per pagare il conto del caffè.

“Se si tiene veramente a una persona non è cosi difficile sacrificarsi per lei.”. La detective si fece pensierosa per diversi secondi, il tempo perchè quelle parole facessero effetto su di lei e poi tornò ad osservare la donna che amorevolmente le sorrideva.

“Coraggio vada”. Le disse indicando l'uscita con un cenno del capo. Beckett fissò la porta e pensò alla sua vita, un lampo veloce le passò davanti agli occhi e capì ciò che voleva. Si alzò dal divanetto e ringraziò la donna e poi fece l'unica cosa che il suo cervello gli dettava. Correre, correre e trovarlo.

 

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Ultimamente le puntate di Scrubs mi stanno influenzando molto e anche questa shot ne è frutto. Spero che sia piaciuta :).

  
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