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Autore: Queeny    27/07/2013    1 recensioni
«Non potrai più lavorare per un po’.»
Kim Jonghyun è in pausa dal mondo.
Kim Jonghyun ama la vita che non vorrebbe più di quella che ha sempre sognato di avere.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jonghyun
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio. Rumore. Musica.


Tic.
L’ennesima goccia tocca gentilmente il vetro della finestra.
Tic. Tic. Tic.
Il suono si ripete incessante, infinito, nella mente di Kim Jonghyun.
Ma il suono è cessato, finito.
Jonghyun riempie il vuoto, nell’attesa che Lee Taemin apra il getto della doccia, che Lee Jinki scenda dal letto, che Kim Kibum lo fissi senza dire niente, che Choi Minho prepari il suo caffè.
E finalmente sente il getto d’acqua colpire il piatto della doccia, e quindi la portata di quel suono si affievolisce, stemperata dal contatto con il corpo esile del maknae.
Ma non c’è più. Il vuoto.
Jinki comincia a muoversi sotto le coperte pesanti. Il caldo primaverile lui non lo soffre.
Qualcuno si intrufola nella stanza.
Jonghyun resta immobile, sotto le sue, di coperte, steso a pancia in giù, con gli occhi ancora chiusi, e le labbra pronte a porre una domanda apparentemente inutile  che gli sta bruciando nel petto.
«Che ore sono, Taemin?»
Sa benissimo che ore sono.  Le sei e trentacinque del mattino.
«Le sei e trentacinque, hyung.»
La voce di Taemin è gentile, morbida, dolce. Ideale da ascoltare alle sei e trentacinque del mattino, appena svegli, ad occhi chiusi per paura della luce, del giorno, di rimanere accecati. Ideale per introdurre un suono graduale nel grande concerto che si svolge in ogni sua giornata, da quel giorno a questa parte.
Taemin torna in bagno, dopo aver recuperato le sue cose. Jonghyun lo sa; lo sa, anche se non ha ancora aperto gli occhi: ha preso il detergente per il viso e la crema idratante, dalla sacca che tiene nel terzo cassetto, secondo armadio da destra; primo da sinistra.
Si passa una mano sugli occhi e li apre lentamente. Non c’è nulla di cui avere paura; ha sentito il “tic” della goccia. E’ un giorno di pioggia, il sole si nasconde. E alle sei e trentacinque non può vederlo dalla finestra.
Aperti gli occhi, fissa il soffitto bianco.
Tac, tac, tac.
La sveglia sul comodino di Minho.
E’ l’unico che usa ancora la sveglia tradizionale, là dentro. Persino Jinki si è arreso alla tecnologia e l’ha impostata tutti i giorni alle sei e trenta del mattino sul proprio telefono. Peccato che la spenga senza rendersene conto.
Jonghyun si alza di scatto. Così di scatto che gli gira la testa. Così di scatto che si avvicina alla porta e si tiene alla parete mentre percorre in silenzio i pochi metri che lo separano dalla cucina.
Chissà se gli altri riconoscono i suoi passi come lui riesce a riconoscere i loro.
Probabilmente, sì.
Si affaccia in cucina; la luce è accesa.
Non se n’è mai accorto. Ma quella luce è pallida. Intristisce.
Li intristisce.
Kibum è seduto al tavolo e beve il suo latte mentre il suo dito scorre ordinatamente ed elegantemente, quasi, sul touchscreen del suo iPhone.
Minho si prepara un caffè, concentratissimo sulla sua tazza.
Jonghyun si fa strada fino alla sua sedia mattutina e ci si accomoda lentamente.
Kibum si accorge di lui; anche Minho, ma ognuno continua a fare quello che sta facendo.
Silenzio.
Dalla stanza accanto si sente la flebile voce del maknae.
«Jinki hyung, svegliati, per favore.»
Jonghyun si corregge: la voce di Taemin è l’ideale da ascoltare anche alle ore sei e quarantacinque del mattino.
 Il suono dei passi di due persone, Jinki chiude la porta del bagno, Taemin cammina in cucina e si ferma ad un lato del tavolo. Si prepara una fetta biscottata con marmellata di ciliegie e mentre lo fa gli sorride gentilmente. Il primo sorriso della giornata di Jonghyun è quello di Taemin.
Silenzio, di nuovo.
Minho ha finito di preparare il suo caffè.
Aggiunge lentamente lo zucchero, e il suono dei granuli che lasciano il cucchiaino per tuffarsi nella bevanda è il massimo per Jonghyun, che sorride un po’ tristemente.
Click, click, click, click
Lo zucchero si scioglie e Minho cessa di muovere la posata per appoggiarla nel lavandino.
Si volta verso di loro, in un gesto abituale, e si appoggia al ripiano. Comincia a bere.
Silenziosamente.
Rumorosamente.
Silenziosamente.
Jinki appare in cucina nel preciso istante in cui il manager fa scattare la serratura e fa un paio di passi nell’ingresso senza togliersi le scarpe.
«Andiamo.»
Minho posa la tazza perfettamente vuota.
Kibum si alza svogliatamente.
Taemin recupera la borsa.
Jinki si muove diritto verso l’uscita e rimane ad aspettare gli altri.
Jonghyun sorride.
Quando gli passa dietro, Minho gli posa una pacca sulla spalla, Taemin e Jinki gli sorridono dolcemente, Kibum è intento a frugare nella borsa.
Passi. Porta che si chiude. Serratura che si blocca. Il rumore della porta che si è appena chiusa. Di nuovo. Di nuovo.
Echi nella mente di Jonghyun.
Sbam. Sbam. Sbam.
Silenzio.
Jonghyun appoggia la fronte sul tavolo. No, il silenzio no.
Chiude gli occhi e fa una smorfia sofferente.
Lui lo odia il silenzio. E’ così fottutamenterumoroso.

***


Le lattine di acqua tonica sparse intorno al divano, sul tavolo, sotto di lui, sopra di lui, di lato a lui.
Jonghyun accarezza la superficie metallica dell’ultima svuotata e appoggiata sullo stomaco, steso sul divano.
 Riesce a raggiungere l’altro bracciolo con il piede. La sua statura deve essere migliorata.
O forse è solo un’illusione. Di sicuro.
Non si allena più.
E’ cominciato un giorno.
Ha chiuso gli occhi mentre guidava, un battito di ciglia.
Strada. Letto.
Prima. Dopo.
Un battito di ciglia.
Sentiva una benda premergli sul viso. Sentiva il corpo intriso di pomate, medicine, qualsiasi cosa. E sperava. Sperava con tutto se stesso che fossero creme e pastiglie alle erbe benefiche con cui ogni tanto Kibum coccolava la sua pelle e la sua salute.
Ma il tragitto tra la strada e il bip, bip, bip costante e dannatamente elettrico che sentiva al suo fianco non si fa in un battito di ciglia.
«Jonghyun!»
Jinki gli aveva preso una mano e si era avvicinato. Non era mai stato tanto felice di vederlo.
Anche Taemin e Minho gli avevano preso una mano. Addirittura il manager. Kibum si era assicurato che stesse bene, sinceramente preoccupato.
Poi gli aveva stretto la mano, però quando erano da soli. E quindi aveva pianto silenziosamente.
Rumorosamente.
Silenziosamente.
Aveva pianto tre lacrime, con le mani in tasca, vicino al letto di Jonghyun.
Perché era vivo. E si era tenuto dentro paura, preoccupazione e gioia per vederlo vivo e in forze.
Nessuno aveva parlato per tre secondi.
«Mi piace la tua nuova borsa, Kibum. »
Jonghyun aveva spezzato il silenzio, cambiando argomento. Quello che c’era da dire riguardo quelle lacrime, lo avevano detto in silenzio.

***

Jonghyun insapona il terzo bicchiere e lo posa nel lavandino. Passa al quarto.
«Non potrai più lavorare per un po’.»
Lo aveva capito. Era già tanto se riusciva a muovere le gambe, indolenzito come era. E non c’era una parte del viso che non gli facesse male, o non gli desse fastidio.
I primi giorni li aveva passati in casa da solo, preda dei dolori e dei dispiaceri che quella situazione lo portava ad avere.
Avrebbero cantato, ballato, ripreso, partecipato a tutto senza di lui.
Ma il dolore e il disagio fisico erano troppo forti perché preferisse ballare, cantare, riprendere e partecipare a qualsiasi cosa.
Sesto bicchiere, dopo aver posato il quinto appena insaponato.
Dopo i primi quindici giorni però, si era reso conto che gli mancava. Ballare, cantare, riprendere, partecipare a tutto.
La sua vita si era fatta noiosa e gli altri erano indaffarati per cinque.
Si sentiva in colpa.
Lui e le sue maledette guide notturne.
Lui e i suoi maledetti colpi di sonno.
Telefono che squilla. Due trilli. Messaggio. Kibum.
Torniamo per cena.
Non risponde. Non c’è bisogno che lo faccia.
Si sente addosso tutto. Qualsiasi cosa si azzardi a dire, gli sembra quella sbagliata.
Loro lavorano.
Tu dormi.
Loro ballano.
Tu lavi i piatti.
Loro cantano.
Tu li guardi in televisione.
Quanto posso permettermi di sbagliare, io che devo solo ringraziarli?

***

Aveva cominciato a prestare una maniacale attenzione al rumore del traffico, al frusciare del vento, al ticchettio persistente dell’orologio alla parete di fronte al divano dal sesto giorno di riposo. Ormai parte del dolore se n’era andata e riusciva a distrarsene facilmente.
Così, si rendeva conto di non aver nulla da fare.
E quindi ascoltava.
Tutto quello che c’era da ascoltare.
Ascoltava il silenzio, che in sé era profondamente rumoroso.
Alcune cose ce se le immaginava.
Tipo il respiro della nonnina che viveva di fianco a loro.
Oppure i passettini felpati del neonato della coppia che abitava due appartamenti più su.
Sentiva anche il rumore emesso dal registratore di cassa del negozio dell’ajusshi sulla strada sottostante.
Quello era impossibile, sentirlo, da casa. Eppure il mondo a volte era così silenzioso che ce lo doveva inserire. Se lo ricordava, e la sua mente lo riproduceva. E gli piaceva pensare che fosse realtà, gli piaceva sfuggire il silenzio.
Perché il silenzio è frustrante.
Guarda fuori dalla finestra. La pioggia cade leggera, non fa rumore.
Scroscia, anche se non fa rumore.
Se fossi  un insetto microscopico potrei ancora pensare che la pioggia non fa rumore?
Silenzio.
Sa già la risposta.
Sono le sei del pomeriggio.
Si volta verso la sua camera.
Alle diciotto del pomeriggio, il sole lo va a trovare in camera sua. Gli basterebbe affacciarsi alla finestra.
Ma stavolta salterà l’appuntamento con quell’amico atteso.
Perché stavolta vuole abbandonare il silenzio della natura, del nulla, degli oggetti materiali e vuole dedicarsi a chiedere silenziosamente il perdono alle persone che lo accompagnano sempre. Perché è quello che ha imparato a fare, quello che il silenzio gli ha insegnato.
Ignora l’invito del sole che è già arrivato; può vedere i raggi penetrare da sotto la fessura della porta chiusa.
Si dirige in cucina.
Sfoglia uno dei libri sullo scaffale.

***


La cena è quasi pronta.
Sei e quarantacinque del pomeriggio.
Mentre taglia le carote è assorto nei suoi pensieri.
Questa è la vita che desiderava da qualche anno.
Libero. Liberarsi dagli impegni. Riposarsi.
Stendersi sul divano e non pensare a nulla.
Ozio. Noia. Silenzio.
Desiderava. Ora non più.
Ora desidera solo una vita normale.
Ma per lui, la vita normale, è quella da cui ha cercato per anni di scappare. La vita che ha odiato è la sua vita normale.
Una vita nel silenzio e nella noia, una vita che ha sempre desiderato, non è normale. Non per lui.
Ha bisogno di cantare.
Ha bisogno di ballare.
Ha bisogno di essere rimproverato.
Questa è la sua vita normale.
Anche se ora non può viverla.

***

Kibum scivola dolcemente sulla sua sedia, senza fiatare.
Minho fila a cambiarsi. Taemin a lavarsi le mani. Jinki si accomoda sul suo sgabello personale.
Gesti meccanici.
«Che hai preparato, Jonghyun?» chiede Jinki.
Si volta verso di lui, mentre finisce di servire in tavola le pietanze.
Jonghyun avrebbe voglia di rispondere: “Ti interessa veramente quello che mangi? Hai così tanta fame che mangeresti tutto.”
Sorride e gli mostra quello che ha preparato. Jinki sembra leccarsi i baffi.
Si siede, mentre tutti lo raggiungono.
Apre bocca per primo, mentre è tutto un rumore di bacchette, posate, bicchieri, piatti.
E sarebbe un suono normalmente, più che un rumore, se non fosse che il silenzio trasforma tutto in rumore.
«Come è andata, oggi?»
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei.
Jonghyun alza lo sguardo. Continuano a mangiare tranquillamente, apparentemente per nulla interessati alla sua domanda.
…tredici. Quattordici. Quindici. Se-
«Bene. Domani dobbiamo passare in agenzia in mattinata e poi ci lasciano liberi.»
Annuisce alle parole di Minho.
Li guarda, uno per uno.
Sorprendentemente, in quei pochi istanti, ciascuno di loro lo guarda negli occhi.
Il primo è Taemin, che sorride gentilmente, come al solito.
Il secondo è Minho che è abbastanza vicino da allungargli una pacca sulla spalla, leggera, come qualche ora prima.
Il terzo è Kibum, che lo guarda inespressivo.
Il quarto è Jinki. Lui alza appena un lato delle labbra, in un sorriso appena accennato.  Jinki gli legge dentro.
Non sa come fa, ma gli legge dentro. Riesce a sapere tutto di tutti. E’ pigro, assonnato, pieno di difetti, ma conosce tutti. Perfettamente. O quasi.
L’aria stasera è meno stanca. Meno inusuale. Meno tutto.
Jonghyun si sente sollevato; il pasto sembra che sia stato gradito.

***

Jinki conta le gocce di pioggia.
Per un attimo Jong si ferma a guardarlo rapito da quella sua meticolosità, particolarissima abitudine.
Molto simile alla sua maniacale attenzione per i rumori.
Forse Jinki pone maniacale attenzione alla quantità delle cose.
«Allora, Jonghyun. Quale è il problema?»
Sono seduti nella sua cameretta, al buio. L’unica luce proviene dall’altra stanza, in cui gli altri si sfidano ai videogames.
Jonghyun aspetta che cadano tre gocce sul davanzale, poi risponde.
«Si tratta di me. E di voi. Sento di avere un debito che non posso ripagare in nessun modo. E sento che qualsiasi giustificazione possa sembrare solo una scusa. »
«Probabilmente è così.»
Jinki è secco nelle risposte. Ma perlomeno ora non è serio come quando fanno certi discorsi, di solito. Stranamente, continua. «Da cosa deduci la cosa?»
Jonghyun è spiazzato. Sa cosa dire, ma non sa come dirlo.
«Beh. Siete dei libri aperti per me. Anche se le cose tra noi non vanno sempre bene… sapete, non si può fingere. Abbiamo condiviso insieme di tutto.»
«Sì, lo so. Taemin  che pensa?» Jinki sposta lo sguardo su Taemin, che tiene con fermezza il joystick tra le mani, qualche metro più in là.
«Credo sia qualcosa tipo “Bastardo, a causa tua ho dovuto fare il doppio del lavoro.”» Jonghyun risponde dopo aver guardato Taemin.
Jinki annuisce.  E’ così. Taemin lo ha pensato.
Prossima domanda da parte del più grande.
«Minho?»
«Non penso che la mia mancanza lo infastidisca. O forse sì, ma è terribilmente maturo.»
«Kibum?»
«Lui penso che capisca me, ma non la situazione. Per questo è arrabbiato.»
Jinki annuisce. Di nuovo.  Risponde.
«Trecentottantotto
E’ il numero delle gocce cadute fino a quel momento.
«Hai indovinato.  Ma trascuri un dettaglio importante.»
Jonghyun guarda il suo amico con sguardo interrogativo.
«Sai, Jonghyun, non è colpa di nessuno. E passerà. È solo che non ci sei più.»
Jonghyun non sa che dire. Non capisce.
«In realtà ci manchi e basta. Il fatto che dobbiamo fare il doppio del lavoro non c’entra nulla. Siamo solo stanchi, e vogliamo che il nostro Jonghyun torni indietro alla sua vita di sempre.
Ma gli altri credono che dovresti riposarti, te lo meriti.»
Jonghyun vuole rispondere che gli altri credono male, ma le parole che escono dalle sue labbra sono diverse.
«Tu invece cosa credi, hyung?»
«Credo che tu abbia ascoltato troppo il rumore del silenzio.
Ma anche se io e gli altri crediamo due cose diverse, quello che vogliamo è la stessa cosa. Torna.»
Jonghyun ci pensa su. Ormai il fatto che Jinki sappia anche cosa pensa non lo spaventa più. Forse lo ha provato pure lui, il silenzio.
Kibum bussa alla porta. Entra, seguito dagli altri. Stringe il telefono tra le mani.
«Jonghyun. Da domani puoi tornare a lavoro.»
Finalmente Kibum è visibilmente felice. Anche Minho lo è. Anche Taemin.
Jonghyun sorride, non ha ascoltato quello che ha detto il suo migliore amico, dopo essere entrato con il telefono tra le mani.
Sorride. Perché sorridono. Sorridono a lui.
Si volta verso Jinki.
Sorride.
«Bentornato, Jonghyun.»

Jinki smette di contare le gocce. Il ticchettio dell’orologio si ferma. La sveglia di Minho non martella fastidiosamente nella sua mente. Nessuna porta sbatte. La gocciolina di quella mattina non crea echi di nessun genere.
Si sente la mente libera.
Finalmente non c’è più silenzio.
E’tornata la normalità.
E l’ha ritrovata nella sensazione di calore che gli da il suono delle risate di quattro ragazzi che conosce da quando è iniziata, questa sua normalità.
E’ da un po’ che non sente la musica. Già da qualche secondo non sente più il rumore.
Musica.
Silenzio.
Musica.
Musica
.
Musica…
 




 

Angolo delle chiacchiere~
Mi batte il cuore a scrivere di nuovo “angolo delle chiacchiere”.
Non pubblico su efp da una vita! Per la verità non ho neanche scritto un granché.
Questa è un’idea che mi trascino dentro da un sacco di tempo; quando Jong non promuoveva con gli altri sentivo l’aria nel gruppo molto tesa –spero di non essere l’unica Shawol con la perenne sensazione e il timore che avessero litigato-, e avrei sempre voluto scrivere qualcosa.
In realtà, la mia storia doveva avere un senso,  ma mi rendo conto che il risultato finale è molto nonsense.
Come ogni volta, quando mi metto a scrivere, mi vengono in mente cose totalmente diverse da quelle che avrei voluto.
Spero che vi piaccia comunque~
A presto, Queeny.
  
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