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Autore: Melchan    28/07/2013    1 recensioni
[Inception!AU] Sherlock è finito nel Limbo e c'è chi non la prende molto bene. Qualcuno crede che si sveglierà, qualcuno no, e a fare compagnia a Sherlock c'è solo un gatto nero che sorride un sacco e nel mondo reale ha avuto una morte davvero da Oscar.
Sesto capitolo: Se gli altri sapessero quello che sto facendo sicuramente mi prenderebbero in giro, quindi cerchiamo di tenerla una cosa tra noi.
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A thousand miles down to the sea bed

 

Mycroft non ha mai sognato Sherlock, dopo che è successo. Sa che la maggior parte dei sogni non si ricordano, che il cervello durante la notte è sempre in movimento, ma non ha nessun ricordo cosciente di  Sherlock nei propri sogni da dopo l’incidente nel Limbo.

È soddisfatto così: non servirebbe a niente, sarebbero solo una seccatura e rischierebbero di distrarlo dalla realtà. E Mycroft non è mai stato il tipo d’uomo che si abbandona a illusioni più... gradevoli della verità.

Per questo è così infastidito, quando apre gli occhi nel bar che si trova sotto l’appartamento di Sherlock e lo vede seduto davanti a lui, con una tazza bianca piena di tè tra le dita lunghe e pallide.

 

- Mi vedi? – chiede Sherlock prima che lui faccia effettivamente qualcosa, e Mycroft si limita a una scrollata di spalle quasi invisibile. Quasi.

- Questo è… inaspettato. Non che m’importi, comunque. -

Mycroft s’impone di non dire nulla finché la sua mente non cambierà scenario e personaggi.  Anche Sherlock non dice niente e così restano fermi lì, seduti a un tavolo immaginario nella sua mente, a bere un tè che Mycroft si è trovato in mano senza sapere chi ce l’ha messo.

Osserva con distacco che il suo cervello non ha fornito proiezioni di altri clienti, oltre a loro c’è solo il barista che ha servito lui e John quando si sono incontrati per parlare della scomparsa della Adler e della reazione di Sherlock.

Mycroft trova lasciarglielo riconoscere scioccamente sentimentale da parte del suo subconscio, ma s’impegna per mantenere un’espressione impassibile. Come la maggior parte delle volte che s’impegna in qualcosa, riesce.

 

- Non dovrebbe mancare molto. – Sherlock rompe il silenzio quando il tè di Mycroft è quasi finito. Lui si limita a guardarlo da sopra la tazza, ripetendosi di non dare troppa importanza a quello che sentirà. Immagina che sarà qualcosa di stupido, considerando il barista.

- Mentre sistemo gli ultimi dettagli continua a comportarti come sempre. E fa’ in modo che John diminuisca la quantità di sonniferi, è eccessiva. -

Un piede di Mycroft lotta per cominciare a battere su un pavimento che non esiste, ma lui non gli dà il permesso di farlo e rimane immobile. Fissa il volto di Sherlock, ripetendosi che è perfettamente normale che sia così realistico, sta sognando suo fratello, dopotutto. Chi potrebbe ricostruirlo meglio di lui?

È ovvio che il suo subconscio sia in grado di ricreare tutto di lui, anche l’illusione dell’esatta e improbabile sfumatura dei suoi occhi.

 

Gli risponde, infine, ma solo perché pensa che così il sogno s'interromperà una volta per tutte e questa… questa cosa finirà. Solo per questo, si ripete, solo per questo. Non è come se volesse aggrapparsi alla stupida illusione creata dalla sua mente per confortarlo, non lo è assolutamente.

- Controllerò. – risponde quindi, appoggiando la tazza sul piattino e sbattendo appena le ciglia quando il rumore di un tuono risuona nel locale poco illuminato.

 - Ci vediamo, Mycroft. - è un suono così basso che Mycroft s’impone di non prestarvi attenzione. Vorrebbe solo che il muscolo a sinistra della sua cassa toracica fosse altrettanto ubbidiente, e smettesse di risuonargli così forte nelle orecchie quando si accorge che dopo il tuono e il suo battito di ciglia Sherlock se n’è andato.

Non fa in tempo a cercare di convincersi che non è mai stato lì, e che quella che sente non è voglia di fare qualcosa che non si permette da quando era un ragazzino, che è sveglio

 

Si è addormentato sulla propria scrivania per la prima volta in quasi vent’anni. Si accorge che la manica sulla quale ha riposato è leggermente sgualcita e la scuote subito. Poi tira fuori il fazzoletto di tela che tiene nella tasca destra dei pantaloni e se lo passa sulle palpebre chiuse per togliere i residui di sonno. Finito, lo ripiega in modo che le parti inumidite dai rimasugli fastidiosi si trovino all’interno e lo rimette in tasca.

Quando esce dallo studio ignora la sensazione degli occhi irritati e sa già come costringere John a diminuire la dose di sonniferi. Avevo già intenzione di farlo, pensa tranquillo. È la verità, ed esserselo sentito dire da una versione con gli occhi aperti (e inesistente, inesistente, inesistente) di suo fratello non la cambierà.

 

*

 

- Awww, ti mancava il fratellone? - miagola il gatto, stirando la schiena e ruotando appena la testa per sgranchirsi il collo.

- Come se fosse possibile. - sibila Sherlock, sedendosi sul bordo stranamente asciutto della piscina dove la versione umana e reale di Moriarty l’ha quasi fatto esplodere.

- Avanti, non fare il timido. È fin troppo semplice capire quando scompari per andare a trovarlo, sai? Terribilmente noioso, da parte tua, considerando che questa è stata la prima volta che ti ha visto. -

- Gli ho detto quello che dovevo. - risponde Sherlock in tono piatto, tenendo lo sguardo puntato sull’acqua scura sotto i suoi piedi. - Adesso posso smettere di perdere tempo cercando di comunicare con lui. –

Moriarty si avvicina, sinuoso e nero, e si siede accanto a lui, facendo ondeggiare la coda sul pelo dell’acqua, senza mai toccarla davvero.

- Aaaah, sei proprio un gran maleducato a non guardare la gente in faccia quando parli, sai? Sembra quasi che queste cose tu le stia raccontando a qualcuno che non sono io. - Sherlock sente i suoi occhi brillare anche senza disturbarsi a guardarli. - Ma non è proprio questo il caso, vero? -

 

Sherlock lo fissa, adesso, e in quello sguardo mette tutto l’odio che sente, per tante cose.

Moriarty sorride e basta, come solo un gatto potrebbe fare, e Sherlock deve concentrarsi per non provare nemmeno un briciolo d’inquietudine fissando i pozzi neri che ha dentro le orbite.

  
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