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Autore: Nana_41175    28/07/2013    8 recensioni
Un interludio (che può essere letto anche come one shot a sé stante) della fanfiction "Possession", già qui pubblicata.
Sherlock descrive a John i particolari di uno dei suoi episodi di caccia, nel corso di una delle loro sedute.
Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice: Buonsalve a tutti! Essendo una domenica fin troppo afosa e assassina per mettere il naso fuori di casa, ho deciso di dedicarmi un altro po' alla traduzione, sempre sul filone dell'altro racconto pubblicato con questo account, Possession.

Riassumo velocemente di cosa si tratta per chi non lo conoscesse, sintetizzando le note dell'autrice: Possession è la storia di un vampiro che sta seguendo una “terapia” nella Londra moderna e che di recente sta formando un legame sempre più stretto con il suo psichiatra, ma i risvolti di questo rapporto sono ancora un'incognita. Nei panni del vampiro abbiamo un ambiguo Sherlock, nei panni dello psichiatra il mite ma particolare John.

Questo capitolo può essere letto indipendentemente dalla storia, in quanto i dettagli fondamentali per la sua comprensione sono comunque presenti, ma per quanti già seguono Possession o per chi volesse integrarne la lettura, questo interludio può essere liberamente collocato tra i capitoli 7 e 12 del racconto.

Come tutti gli altri interludi, anche questo è narrato dal pov di Sherlock che, durante una delle sessioni con John, procede col raccontargli uno dei suoi episodi di caccia.

Credo di aver detto tutto, per chiarimenti/suggerimenti/correzioni o critiche alla traduzione sentitevi liberissimi di farmi sapere :D (qui il link alla storia originale, tradotta come sempre col consenso dell'autrice, la meravigliosa Nana_41175)

Per quanti seguono Possession, ci vedremo di nuovo domani col consueto aggiornamento del lunedì. A presto e buona domenica a tutti! <3 Ellipse

THE VAMPIRE'S ARIA


Il vampiro sedeva sulla comoda poltrona di fronte al dottore, una gamba dal pantalone scuro accavallata con eleganza sull'altra, le bianche mani congiunte di fronte a sé. Aveva iniziato ad apprezzare queste sedute di cosiddetta psicoterapia con John Watson. Gli piaceva in particolare disorientare il buon dottore rivelandogli tasselli di se stesso – del suo vero se stesso, inizialmente mascherato da crollo mentale e che manifestava una fame di sangue in un uomo illuso d'essere un vampiro.

Osservò con silenzioso divertimento mentre il dottore prendeva un respiro malfermo, cercando di apparire calmo e non turbato, quando Sherlock sapeva dalla postura tesa delle sue spalle e dalla sua respirazione leggera che John era rimasto paralizzato dall'episodio che lui gli aveva appena descritto: una caccia, nel cuore di Londra, mentre l'orologio batteva la mezzanotte. L'ora delle streghe – quando poteva capitare qualunque cosa persino nelle più affollate strade trafficate di Londra di sabato sera e non tutti erano ciò che sembravano essere.

Aveva avvistato quel giovane, o piuttosto, quel giovane aveva scelto lui in uno degli innumerevoli bar gremiti di persone a Soho. Di solito lui non frequentava i bar – troppi residui di alcol o tabacco nel sangue non costituivano un pasto soddisfacente – ma aveva deciso di non fare i soliti giri di caccia intorno alle università, alle esposizioni serali, ai concerti, dopo aver riconosciuto una o due facce che erano sembrate familiari. Era tempo di lasciar freddare un po' le cose in quei posti e di non attirare troppa attenzione su di sé.

Così il ragazzo si era fatto avanti dopo un'occhiata o due da parte di Sherlock, e si era accomodato sul posto vicino a lui al bar. Si erano messi a chiacchierare. Sherlock era stato sicuro che l'uomo avesse menzionato il proprio nome, solo che era così perfettamente banale che non ci si era neppure disturbato. A giudicare dal suo linguaggio e dalle sue espressioni, era risultato ovvio che il tipo fosse un aspirante scrittore, sensibile e sognatore. Era più basso di Sherlock, più massiccio di fisico, con corti capelli biondi e ridenti occhi blu accesi di interesse. Parecchio interesse. Bene.

Sherlock era stato attento a mantenere un tono leggero, così da non spaventarlo. Era penosamente ovvio che il ragazzo fosse nuovo a questo gioco. Uno sguardo al drink nella sua mano era stato un ulteriore incoraggiamento per Sherlock: acqua tonica con scorza di limone. Forse stanotte non avrebbe dovuto sopportare il sapore di sangue inacidito, dopotutto.

Dopo qualche minuto di tranquillo chiacchierare, con solo un principio di flirt che si insinuava lentamente nella conversazione, Sherlock aveva chiamato il barista ed estratto il portafogli per pagare la sua vodka intatta. Aveva fatto un piccolo cenno col mento al ragazzo: Andiamo, allora.

Il giovane si era chiaramente agitato alla schiettezza dell'approccio d Sherlock, ma aveva prontamente eseguito. Avevano camminato attraverso le strade affollate di fuori, la gente e le luci che gradualmente attenuavano qualunque disagio che il ragazzo avesse provato all'inizio, e questi si era rilassato abbastanza da fare tranquilla conversazione mentre Sherlock setacciava le strade con gli occhi.

La fame, onnipresente, si era fatta pressante. Non poteva aspettare oltre.

Mentre avevano passeggiato, le loro mani si erano di tanto in tanto toccate, le dita che si sfioravano a vicenda per caso. Sherlock aveva allora colto l'opportunità di afferrare completamente la mano del giovane quando questa era venuta di nuovo in contatto con la sua.

Aveva sentito un ansito quando aveva spinto l'uomo di un vicolo buio e lo aveva inchiodato contro il muro sudicio. Non abbastanza forza nella sua presa da essere sentita come minacciosa, solo sufficiente a mandare i giusti segnali all'uomo, e quelli avevano funzionato, come sempre; Sherlock poteva avvertire il battito del cuore dell'altro accelerare, poteva vedere le sue pupille dilatarsi in quei trasparenti occhi blu, il respiro uscire spezzato dalla sua bocca, il pulsare sul suo collo palpitare su quel preciso punto delizioso...

Non posso aspettare oltre, e tu? Aveva sussurrato nell'orecchio del ragazzo prima che quello potesse emettere qualche protesta imbarazzante. Perché non prendiamo semplicemente ciò che vogliamo e la facciamo finita?

Non si era spettato che l'uomo lo respingesse. Non molti ci riuscivano, non dopo aver sentito quella voce, impostata in quel particolare timbro.

Aveva lasciato che l'uomo lo baciasse, aveva finto di appoggiarli la bocca sulla pelle, solo per metterlo ulteriormente a suo agio. Ma non sulle labbra; aveva deliberatamente voltato la testa di una frazione così che i baci si poggiassero sulla sua mascella, sul mento. Aveva lasciato che la sua mano desse piacere all'uomo attraverso i vestiti, per meglio velocizzare le cose verso momento che più importava. Se il tipo avesse avuto altre, più specifiche idee su cosa volesse da Sherlock, non lo aveva detto, cosa che era stata un sollievo. Sherlock avrebbe di gran lunga preferito non darsi all'atto se poteva farne a meno.

Bene, aveva pensato quasi con fare clinico, guardando il volto dell'uomo con un'intensità che si sarebbe potuto confondere con passione, quando in realtà non era altro che pura fame fisica. Il ragazzo aveva cercato di ricambiare a un certo punto, le sue mani che si alzavano a vagare confusamente sul viso di Sherlock, sul suo collo e sul petto, finendo poi ad aggrapparsi alle sue spalle, ma alla fine si era fatto trascinare troppo per anche solo notare che Sherlock non si stava più muovendo contro di lui, anche se Sherlock non aveva mai mollato la presa, mentre faceva correre e scivolare le lunghe dita su di lui tenendo nel mentre un braccio premuto sul muro, a nasconderli da occhi indiscreti. Il vicolo era buio, ma avrebbe preferito non lasciare che nessuno li scoprisse, soprattutto nei momenti che sarebbero seguiti.

Aveva visto l'uomo avvicinarsi al limite; era stato tutto lì nei suoi occhi – quello sguardo lontano, sfocato, così tanto simile agli ultimi attimi di una persona morente. E alla fine, proprio a quel punto in cui avrebbe raggiunto l'apice, Sherlock aveva spostato una mano a premergli leggermente a sul collo. Il corpo incosciente dell'uomo si era accasciato appena contro di lui mentre Sherlock si precipitava a portare la bocca su quell'ambita congiunzione dove il collo incontra la spalla, e aveva esultato. Lentamente, si era lasciato cadere in ginocchio, portando giù con sé il peso morto dell'uomo, con la bocca che non abbandonava mai quel tenero collo voluttuoso mentre prendeva il suo nutrimento.

Solo pochi minuti, niente di cui allarmarsi. Si era fermato il momento prima che l'uomo iniziasse a riprendere conoscenza, leccando la pelle sul suo collo un'ultima volta per rimuovere ogni traccia di sangue. Aveva scansato la testa quanto bastava per guardarlo negli occhi quando questi si aprirono intontiti, tenendogli ancora con delicatezza una mano sul collo per fermare il sanguinare puntiforme dove gli aveva perforato la pelle.

Aveva sorriso nel lasciar cadere la mano dal collo al petto dell'uomo, il suo tocco una carezza leggera. Suppongo che dovrei sentirmi onorato, aveva detto. Sei sempre così durante un orgasmo, o è stato solo con me?

Al che l'uomo era arrossito, balbettando in maniera un po' incoerente. Aveva lanciato un'occhiata in basso verso i propri pantaloni e aveva emesso un gemito imbarazzato, troppo stordito per iniziare a fare domande. Sherlock lo aveva aiutato ad alzarsi, gli aveva chiamato un taxi, e si era allontanato dalla sua avventura per andare a dormire nella propria stanza d'albergo.


~~~~~@~~~~~



Attimi di silenzio mentre aspettava che il Dottor Watson assimilasse il racconto. Poteva sentire l'orologio, posto sulla scrivania del dottore proprio alle loro spalle, ticchettare.

Osservò John con attenzione, notando come il dottore si stesse ricomponendo in maniera ammirevole dopo aver sentito un tale resoconto.

John era uno spunto interessante. Sherlock non l'aveva pensata così, all'inizio. Anzi, si trovava qui decisamente contro il proprio volere. Non aveva voce in capitolo. Era appena uscito da uno spiacevole impiccio, aveva avuto bisogno di tornare alla sua vita e al lavoro scientifico a cui era sposato, e per poterlo fare doveva affrontare le sedute di terapia del dottor Watson e ottenere da lui un certificato di salute mentale che garantisse che lui fosse mentalmente in grado di tornare a lavoro.

Aveva commesso l'errore di sottovalutare John quando si erano incontrati la prima volta, studiandolo e archiviandolo come un coscienzioso, benevolo psichiatra che era lui stesso danneggiato in maniera irreparabile. Come poteva un medico guarire gli altri quando non riusciva nemmeno a curare se stesso?

Certo, questo era stato prima che John lo avesse smascherato nella sua storiella iniziale preconfezionata, così presto nelle loro sedute. Questo era stato prima che John gli avesse dato una bella lavata di capo così spiacevole da farlo reagire contro lo psichiatra e rischiare di non ottenere mai quel certificato di salute.

Solo che John aveva preso le cose in maniera diversa. In una maniera totalmente interessante e piacevole: era pronto a mettere da parte ogni sentimento ferito e ad ascoltare e basta ciò che lui aveva da dire. E ad ascoltare ancora di più. Per quanto fosse stato necessario.

Sherlock non si era mai aperto con nessuno finora, e avere anche un solo uomo ad ascoltarlo era un'esperienza ampiamente catartica. Si scoprì a non averne abbastanza di John che sedeva lì, senza emettere una parola, solo ad ascoltare. E nonostante le forti riserve, John era chiaramente colpito dai suoi racconti – il suo uditorio privato, in sintonia con le melodie che solo lui poteva intonare. Non importava quanto brutali fossero le sue arie[1], John le aveva trovate affascinanti, persino belle.

Anche se certo, a questo punto, aveva in dubbio se il dottore credesse che ciò gli stava dicendo fosse vero. John ci stava lentamente arrivando, ma Sherlock riusciva a vedere che stava lottando contro l'idea con tutto ciò che aveva. In quel momento sapeva che per John era molto più semplice considerare questi racconti come i pensieri e le fantasie di un paziente con allucinazioni. Sapeva che John era confortato da uno scetticismo di base di fronte a ciò che sentiva da Sherlock. Persino ora, sarebbe potuto arrivare a fronteggiare la verità ed essere ancora in grado di dire che se anche quella fosse stata la verità, non si sarebbe potuto credere che fosse possibile.

Era questa inconsapevolezza deliberata, questa determinazione a mantenere un controllo della propria ingenuità, che Sherlock trovava stranamente attraente in John. Era qualcosa che intendeva toglierli, qualcosa di John di cui intendeva appropriarsi.

Sedendo di fronte a lui e beatamente ignaro dei pensieri che attraversavano la mente di Sherlock, John si schiarì la gola e abbassò lo sguardo sulla cartella del suo paziente. Ovunque tranne che sul volto di Sherlock e su quei vigili occhi chiari – quei gelidi occhi blu che si allargarono appena quando un altro pensiero colpì improvvisamente il loro proprietario.

Non lo aveva realizzato prima, ma quel giovane coi capelli biondi e gli occhi blu il cui puro, delizioso sangue era fluito nella bocca di Sherlock proprio quando stava per venire

Quell'uomo avrebbe potuto benissimo essere un più giovane John Watson.

Sherlock fissò John mentre questi scribacchiava qualcosa sui suoi appunti.

Che sapore avrebbe avuto John?

Sherlock si ritrovò a doversi trattenere dal leccarsi la bocca all'improvvisa, interessante prospettiva.

Eccoli qui, praticamente soli nell'ufficio di John per un'ora a seduta, tre sessioni a settimana. John non era mai a più di pochi metri da lui. E anche se John avesse provocato trambusto, l'unica che si sarebbe potuta intromettere sarebbe stata Mrs Hudson, la sua segretaria. Quanto poteva essere difficile?

Sherlock tornò col pensiero a quella scena nel vicolo buio, allo schiacciare il corpo di – non del giovane, ma di John, contro quel sudicio muro umidiccio. Avrebbe lasciato che John godesse di quel momento, lo avrebbe lasciato arrivare quasi al punto in cui sarebbe venuto.

(Che aspetto avrebbe avuto, poi, in quei pochi, fugaci momenti?)

E poi...

(La sensazione e il sapore di John sulle mie labbra, sulla mia lingua)

Giusto allora John alzò gli occhi dai suoi appunti, e lo sguardo in quei limpidi occhi blu a incrociare i suoi fu abbastanza per far interrompere a Sherlock le proprie riflessioni.

Quegli occhi, come la fiamma bluastra al centro del fuoco di un becco Bunsen il punto più caldo di quel fuoco, e il più puro.

John aveva occhi gentili, me in essi vi era quella componente di ardente fiamma blu che faceva sì che chiunque abbastanza stupido da pensare che John Watson fosse malleabile e ingenuo lo facesse a proprio rischio e pericolo. Poteva essere turbato e a disagio ai racconti di Sherlock, e un migliaio di altre cose, ma Sherlock non riusciva a scorgere paura negli occhi di John mentre fissavano risolutamente i suoi.

Un uomo decisamente interessante.

Sherlock si chiese cosa il dottore pensasse della sua storiella, e se John pensasse al sostituirsi a quel giovane delle sue fantasie; proprio come Sherlock aveva appena fatto nella propria mente.

A John sarebbe interessato?

Cosa mai avrebbe potuto dirgli John dopo che lui aveva appena finito di raccontargli una storia simile?

Sherlock attese finché il dottore non aprì finalmente bocca.

Bè, è finito il tempo” disse.

Era sufficiente a spezzare l'improvvisa, intima atmosfera dei pensieri di Sherlock. Quasi rise all'incongruenza della situazione.

John gli aveva chiesto una volta di definire il termine “speciale”. Ricordava di aver detto che variava da persona a persona. In quel momento, se qualcuno gli avesse chiesto cosa rendesse speciale John, probabilmente non avrebbe saputo di cosa si trattasse in maniera precisa. Eppure, era chiaro che John era speciale, e alle persone speciali era riservato un destino speciale quando si trattava della specie di Sherlock. Si sarebbe assicurato che così fosse, nel caso di John.






[1] arias si riferisce qui chiaramente all'aria, il canto teatrale.


  
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