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Autore: SAranel    28/07/2013    4 recensioni
Un bacio può nascondere tanti significati da perdere quasi il conto. John ne conosce uno solo. Sherlock, che nulla sa dei baci, non può far altro che dargli ascolto.
"Qual è la definizione di un bacio?
John crede di saperlo, ma ha baciato così tante persone che non è più tanto sicuro di ricordarselo ancora. E’ diventato automatico, un asso nella manica da usare con la ragazza di cui si è innamorati per non mettere fine ad una bella serata, un modo per dirle silenziosamente che è vero, è tardi, ma che sarebbe bello passare ancora un po’ di tempo insieme. Forse, effettivamente, questo è un bacio per John. Un modo per dire ‘non voglio che tu vada via’."[...]
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno fandomino del mio cuoricino!
Per prima cosa, vi bacio una ad una per le recensioni all’ultima storia. Mi ha fatto un piacere immenso riceverne e vi risponderò una ad una, promesso!
Questa è un’altra di quelle storielle scritte di getto, cominciata ieri sera e conclusa stamattina. Spero comunque che vi piaccia, con tutto il cuore! E’ anche corta, per di più!
Sperando in bene, vi auguro buona lettura!

S.



Wishing you would stay
*

 

 

«It was thy kiss, Love, that made me immortal.»
-M. Fuller

 






Qual è la definizione di un bacio?
John crede di saperlo, ma ha baciato così tante persone che non è più tanto sicuro di ricordarselo ancora. E’ diventato automatico, un asso nella manica da usare con la ragazza di cui si è innamorati per non mettere fine ad una bella serata, un modo per dirle silenziosamente che è vero, è tardi, ma che sarebbe bello passare ancora un po’ di tempo insieme. Forse, effettivamente, questo è un bacio per John. Un modo per dire ‘non voglio che tu vada via’.
Lo disse a Sherlock, la notte di un piovoso venerdì. Il detective era steso sul divano, un libro tra le mani, e aveva posto la domanda al dottore come se concernesse ciò che stava avidamente leggendo. Il titolo del tomo, ‘psicologia criminale nel XXI secolo’, non gli rese affatto necessario chiederglielo, comunque.
Sherlock, dopotutto, era fatto così. Capace di porti un interrogativo all’improvviso, di punto in bianco, durante un esperimento, la lettura di un libro come in quel caso, o addirittura durante le pochissime ore che dedicava al sonno. Praticamente, ogni qual volta si presumeva dovesse dirigere la sua attenzione verso altro, piuttosto che a domande frivole come quella.
John rimase per un secondo interdetto, come se lo sconvolgesse sentire la parola ‘bacio’ pronunciata dall’uomo sul divano, ma cercò di ricomporsi al più presto, per nulla desiderioso di sentirsi rimproverare per il tempo impiegato a rispondere a qualcosa di tanto semplice.
Un bacio è il modo per dire a chi ami che non vuoi che vada via” John gli disse, istintivamente, senza sapere nemmeno il perché. Era la prima cosa che gli era venuta in mente, l’ultima maniera con cui forse aveva risposto a quella domanda chissà quanto tempo prima. Sherlock lo guardò, lo studiò, lo lesse come a tentar di capire se stesse mentendo. Poi annuì, come se improvvisamente fosse giunto alla conclusione che John fosse sincero.
Aveva chiuso il suo libro, picchiettato le proprie labbra con il dito indice e poi gli aveva rivolto le spalle, volgendo la propria attenzione a qualcosa di incredibilmente interessante (e assolutamente invisibile) appiccicato alla spalliera del divano.
Non ne aveva più parlato e John non aveva risollevato l’argomento.

 

Il giorno in cui Sherlock fece capire a John che lo amava, non ci furono baci. Nemmeno uno. Neppure uno piccolo, stampato sulla guancia.
Sherlock si era limitato ad arrossire, come un bambino di fronte alla ragazzina troppo grande cui ha deciso di confessare il suo sconfinato amore, a balbettare una frase incoerente che a John sfuggì e ad afferragli una mano nelle sue. L’aveva stretta a sé Sherlock, avvicinandola al suo cuore impazzito, così che John potesse comprendere la portata di quel sentimento, l’enorme difficoltà affrontata per poter essere in grado di ammetterlo, accettarlo, dimostrarglielo.
Aveva chiuso gli occhi e sorriso, con le gambe così molli che faticavano a reggerlo, conscio per la prima volta di cosa significasse la parola felicità. Aveva accettato quella mano come il più raro e prezioso dei doni e aveva incrociato le sue dita con le proprie, in un abbraccio che stava a significare ‘legati adesso, legati per sempre’.
John aveva cercato di avvicinarsi quanto poteva, ovviando alla differenza di altezza nella miglior maniera possibile, accarezzando dolcemente i capelli di Sherlock e osservandolo chiudere gli occhi come in preda ad un inimmaginabile piacere. Aveva posato la fronte a quella del detective poi, soffiando dolcemente sulle sue labbra come preludio a ciò che avrebbe fatto di lì a poco, come ad avvisarlo della timida libertà che presto si sarebbe concesso.
’Preparati, Sherlock’ sembrava dire. ‘Inizia tutto adesso’.
John non vedeva l’ora di apporre quella prima goccia d’inchiostro sulla prima pagina di quella storia. Era impaziente, fremente d’attesa, per il momento in cui finalmente avrebbe apposto quel tanto agognato Capitolo Uno, in cima a quel foglio di carta.
”No” aveva poi detto Sherlock, ponendo nuovamente una distanza di sicurezza tra lui e John, “Niente baci”.
John non aveva obiettato, ormai così abituato alle stranezze di Sherlock da non prendersela a male quando una di esse si presentava all’improvviso e nelle situazioni più delicate. Aveva alzato le mani, ancora sorridendogli, con una pacca sulla spalla e una carezza sul viso improvvisamente divenuto pallido.
”Più tardi” John disse, più a se stesso che a Sherlock, “Quando vorrai”.
Quel giorno, non arrivò mai.

 

 


Sherlock non disse mai a John perché non volesse baciarlo, e il povero dottore non fu totalmente immune ai mille (milleuno) significati che quel costante rifiuto portava con sé.
Credette di non essere abbastanza attraente, per un periodo.
Cominciò così a pettinarsi per bene ogni mattina, a non saltare più nemmeno un punto durante la rasatura e a dilapidare metà dello stipendio in abiti più eleganti. Iniziò ad usare un profumo costoso, una lozione per capelli di cui non aveva alcun bisogno ma di cui David Beckham aveva parlato tanto bene in televisione, e ad eliminare a malincuore qualche maglione dalla sua mise abituale.
Quando aveva notato che il drastico cambio di look a nulla era servito, era tornato ai maglioni, aveva smesso di acquistare prodotti più costosi di cinque sterline e aveva spento la televisione ogni qual volta era spuntata fuori la faccia di David Beckham.
Successivamente, John si convinse di non avere abbastanza attenzioni per il suo innamorato.
Il giorno dopo essere giunto a questa conclusione passò dal primo fioraio di strada per l’ufficio e ordinò di portare al 221B un mazzo di rose rosse al giorno per un mese. Passò da Molly, di ritorno dalla clinica, e prese per Sherlock ogni parte anatomica separata da un corpo di cui la ragazza potesse disfarsi. Dopo una telefonata a Lestrade, poi, sul contenitore refrigerato pieno di dita e chissà cosa si aggiunse uno scatolone zeppo di casi minori irrisolti. Sherlock fu felice, entusiasta (a modo suo) dei regali, un po’ meno delle rose, ma non aprì il minimo spiraglio di speranza in John che qualcosa potesse cambiare.
John aveva disdetto l’ordine da Rosie’s flowers ed era corso al pub a scolarsi quattro birre di fila.
Alla fine, si convinse strenuamente che Sherlock stesse conducendo un qualche esperimento su di lui e che non fosse realmente interessato a una qualunque relazione con lui. Durante l’assenza di Sherlock per un caso, rovistò in un solo pomeriggio l’intero archivio appunti del detective, trovando taccuini pieni di scarabocchi che forse avrebbe fatto molto meglio a non leggere, ma nessunissima traccia di quel nuovo studio sulle emozioni. Pensò che Sherlock avesse deciso di tenere traccia dei progressi sul computer, ma trovò completamente vuoto anche quello. Immaginò avesse pensato di proteggere quel segretissimo esperimento archiviando i dati nella propria mente, e quindi decise di mostrarsi glaciale per un po’. Non ci volle molto perché Sherlock se ne accorgesse. Un giorno in cui ebbe l’idea di far uscire Sherlock allo scoperto convincendolo di essere stato rapito, si era ritrovato la polizia alla porta del suo occasionale rifugio a casa Harry Watson, con un Greg Lestrade estremamente divertito che lo avvisava del fatto che Sherlock gli avesse piazzato addosso una specie di cimice.
Non sopporta non sapere dove vai” gli aveva riferito.
La settimana seguente, Sherlock aveva preparato la colazione ogni mattina, per farsi perdonare il presunto torto nei confronti di John che lo aveva spinto ad andar via.
Accantonò anche l’ipotesi esperimento. Sherlock non si sarebbe sottoposto a tre pasti regolari al giorno, alla fila alle casse di Tesco e al rassetto completo della casa ogni sabato solo per provare una teoria.
Dopo quei sette giorni, John ci rinunciò. Per un bel po’.

 

 

 

Il giorno del loro matrimonio, fu la volta più imbarazzante di tutte.
Erano davanti all’officiante, un radioso Greg Lestrade al massimo del suo brizzolato fascino, e intenti nel commovente scambio di promesse. La mano di Sherlock era su quella di John e quella di quest’ultimo era avvolta nell’abbraccio delle lunghe dita del detective.
Sherlock stava parlando e John faticò a tenere il passo con le sue parole, così affascinato dal movimento di quelle labbra da non avere occhi per nient’altro. Oltretutto, era oltremodo impegnato nell’elaborare una scusa convincente per quel bacio che tutti si aspettavano e che sarebbe stato sostituito da un abbraccio previsto da nessuno.
Quando Sherlock infilò l’anello al suo anulare, con un sorrisetto soddisfatto che sembrava gridare felicità e incredulità allo stesso tempo, John si risvegliò dal suo torpore e riportò alla mente la sua promessa, pronunciandola con voce incerta e infilando con mano tremante la fede al dito di Sherlock.
Guardò il detective negli occhi e gli sorrise, titubante, come se non desiderasse essere in nessun’altro posto e allo stesso tempo non aspettasse altro che essere inglobato dal pavimento sotto di lui. Sherlock gli sorrise a sua volta, per nulla turbato e perfettamente a suo agio, stranamente, tra la folla, e allargò le braccia.
In quell’esatto momento, accompagnato dall’ imbarazzante ‘puoi abbracciare lo sposo’ di Greg, Sherlock lo cinse dolcemente in un abbraccio. Fu una stretta che John ricambiò con titubanza, anche se non certo legata ai suoi sentimenti per il neomarito, cercando in ogni modo di non guardare la folla in quel momento intenta ad osservarli. Poteva quasi sentire i pensieri dei presenti, intenti ad arrovellarsi sui possibili motivi per il quale quei due sposini tanto carini non potessero lasciarsi andare ad un bacio appassionato.
Quando si separarono, tentò di non distogliere lo sguardo dagli occhi di Sherlock, nemmeno per guardare in faccia Lestrade. Cercò di guardare in faccia meno gente possibile, in verità, sperando nella buona creanza degli invitati nel non fare domande imbarazzanti. Andò bene, comunque, almeno fino alla fine del ricevimento.
Fu Harry a spezzare l’idillio, fra tutti.
”Cos’hai, l’herpes?” domandò.
John si chiese perché mai non fosse nato figlio unico.

 

 

 

Dicono che da vecchi tutte le domande della vita trovino una risposta.
Quando sei bambino non puoi capire, da ragazzo non vuoi, da adulto sei abbastanza maturo da poter rifiutarti di comprendere. Da vecchio è come se avessi le spalle al muro, incapace di tornare indietro e impossibilitato a rimandare a domani ciò che potresti fare oggi. Perché domani è un tempo talmente lungo che potresti rischiare di non arrivarci.
A Littlehampton, nel Sussex(1), c’è un clima umido, tanto da penetrarti nelle ossa. Piove da due giorni e ancora non ha smesso, come se il cielo avesse tanta di quella pioggia in esubero da non potersi permettere di tenerla lassù un altro po’.
La pioggia che s’infrange sulle onde marine crea un suono che John descriverebbe come angelico. Sono poche gocce su una distesa infinita d’acqua e probabilmente non producono alcun suono realmente udibile. John però lo sente, lo percepisce, ed è simile ad una partitura per violino, di quelle che Sherlock aveva scritto solo e soltanto per lui.
Tic, tic, tic, tic.
Non si muove. E’ tutto così calmo, tranquillo, in quella stanza. C’è un’atmosfera surreale che teme possa infrangersi, se solo provasse a muovere un solo muscolo per compiere un qualunque movimento. Anche se fosse, non ha abbastanza forza per alzare anche solo un dito.
Sherlock è sulla sedia a dondolo vicino alla finestra. Guarda le gocce scivolare lungo i vetri, come se stesse prevedendo la traiettoria di ognuna. Più probabilmente sta ripensando alle parole del Dottor Chelmey, nonostante John possa vedere l’evidente guerra che adesso si sta disputando nel cervello del suo ex-detective. Non vuole pensarci. Però ci pensa. E si odia, per questo.
John non ha idea di cosa il dottore abbia detto, ma non ha poi così tanto bisogno di saperlo. E’ un medico anche lui, anche se sia Chelmey che Sherlock sembrano averlo dimenticato, con il loro ostinarsi a volerlo tenere all’oscuro delle sue condizioni.
Spera di aver tempo per poter vedere la primavera, John.
C’è un albero bellissimo fuori dalla finestra della stanza da letto. E’ un ciliegio e in primavera si riempie di fiori dai petali rosa, che quando c’è un po’ di vento volano dritti nel loro letto. Gli manca, svegliarsi accarezzato da quei petali.
Manca poco a Marzo. Farà forza su se stesso, anche per una manciata di giorni appena. Lui può.
Tossisce contro il suo fazzoletto, soffrendo immensamente nel portarlo alla bocca, ma non guarda sulla superfice chiara della stoffa se ci sia sangue come tutte le altre volte. Dopotutto non serve a niente, solo a darsi una preoccupazione che non ha senso di esistere. Non a questo punto. Il rumore spinge Sherlock a voltarsi verso di lui.
Si alza dalla sedia a dondolo, che continua a oscillare fino a fermarsi, andando a sedersi al suo posto accanto a John. Il lenzuolo è freddo, senza Sherlock sopra. Ora va meglio, molto.
Sherlock allunga una mano verso il viso del suo dottore e lo sfiora piano, con devozione, come fosse fatto di una porcellana tanto fragile da infrangersi al primo tocco. Il sentiero che l’ex-detective percorre sulla pelle di John non è lineare, interrotto da rughe profonde e solchi innaturali della pelle.
John si chiede cosa dirà, per prima cosa.
E’ indeciso fra ‘sei sciupato’, ‘dovresti mangiare di più’ e ‘vuoi che ti aiuti ad andare in bagno?’.
Quello che invece Sherlock dice, lo sconvolge e commuove.
“Sei bellissimo, John”.
John non sa cosa dire perché è consapevole che Sherlock non lo stia prendendo in giro. Lo guarda a bocca leggermente aperta e cerca parole da dire, espressioni da assumere, qualcosa da fare. Non ci riesce, per quanto tenti.
”L’ho pensato ieri. L’ho pensato per tutta la vita” Sherlock bisbiglia ancora, sdraiandosi accanto al suo dottore, “L’ho detto oggi. Te lo dirò domani. E il giorno dopo ancora”.
Sherlock si avvicina dolcemente a John e lo cinge all’altezza della vita, attento a non rimuovere nemmeno uno dei fili a cui il dottore è collegato. Cerca di ignorare ogni altro rumore nella stanza, John, a parte quello del cuore di Sherlock e del proprio. Forse forse, concede una possibilità solo alle gocce di pioggia.
Bum Bum Bum Bum, Tic, Tic, Tic, Tic.
John non sa cosa stia succedendo ma può solo immaginarlo. Vorrebbe che Marzo fosse adesso, perché forse non è così vicino come crede.
Sherlock è vicinissimo. Il suo profumo è sempre lo stesso di quando era giovane e questo rassicura John più di qualunque altra cosa. Si sente a casa, con suo marito accanto.
Vorrebbe chiedergli perché ma si ferma prima di poterlo fare. Non sa se vuole, e probabilmente Sherlock gli mentirebbe. Lo fa più adesso che negli anni passati. John non sa se esserne felice o meno.
”Sherlock” sussurra solo e non ha bisogno di nient’altro che il suono di quel nome per non aver più alcun timore, “Sherlock”.
Sherlock alza lo sguardo e scosta un ciuffo di capelli bianchi dalla fronte di John. E’ un gesto che, da parte di Sherlock, equivale al più tenero dei ‘ti amo’.
Ed è in quel momento, che qualcosa succede. La pioggia diventa più forte, tanto che il rumore delle gocce nel mare viene completamente coperto da quello dell’acqua contro i vetri. Anche il ramo di ciliegio si piega a quella raffica improvvisa.
Sherlock è vicinissimo al viso di John e lo scruta con un’espressione che nasconde amore e rimpianto. Ci sono due Sherlock, in quel viso, quello che non ha paura di niente e quello che ha timore di ogni cosa. Non trovano un equilibrio tra loro e si alternano, veloci e impercettibili.
Improvvisamente, le labbra di Sherlock si posano su quelle di John e le baciano con tenerezza, suggendole dolcemente e con riverenza.
Non c’è lussuria, né altro sentimento diverso dal puro affetto. Eppure è meraviglioso così com’è.
John ha paura, ma una paura buona, quella che ti coglie appena un momento prima di abbandonarti all’amore di qualcuno, quello che ti prende allo sprint finale di una corsa quando temi di non aver più forza per arrivare al traguardo.
E’ il timore dello scalatore che, arrivato finalmente in cima alla montagna, teme che il panorama da lassù non valga la pena passata per raggiungerla.
Per questo bacio, la pena è valsa. Completamente.
Sherlock non vorrebbe mai separarsi da John e il dottore darebbe qualunque cosa affinché quel momento non abbia mai fine. Ed è quando Sherlock è di nuovo così lontano da poterlo guardare negli occhi senza aver bisogno di chiuderli, che John finalmente ricorda.
E’ sempre stata lì, la risposta a quel perché mai posto.
Aveva dato a quel ricordo, a quell’affermazione di millenni prima, un valore minore di zero. Aveva rimosso quel pomeriggio dai suoi pensieri, limitandosi ad archiviarlo nei giorni senza importanza, quelli in cui Sherlock si sbizzarriva nel porgli gli interrogativi più disparati, ma senza un senso logico o una qualche rilevanza.
Un giorno come tanti. Un giorno che avrebbe dovuto ricordare e che aveva dimenticato.
Quasi piange, quando Sherlock gli sorride. Sa benissimo che ha capito sin da subito a cosa stesse pensando. Sa bene quali tasselli stesse recuperando per ridonare un’immagine omogenea ai pensieri di John.
”Siamo davanti casa tua, John” Sherlock sussurra contro le sue labbra, dolcemente, “E’ stata una bella serata, la nostra”.
E’ vero, lo è stata. Non sono andati al cinema come due bravi fidanzatini, ma a John non è dispiaciuto affatto. Hanno rinunciato a cene romantiche per correre dietro ad un ladro di gioielli, un serial killer o un imprenditore truffaldino. Hanno sofferto più di quanto abbiano amato, ma è qualcosa che John crede sia insito nella natura di qualunque rapporto concernente Sherlock Holmes. Lui ha voluto pagarne lo scotto e non se n’è mai pentito.
Una bellissima serata. Lunga quarant’anni e poco più.
Sherlock gli accarezza i capelli. Poi lo bacia di nuovo, come per ribadire il concetto, come se a John non fosse risultato abbastanza chiaro.
Di nuovo le labbra s’incontrano e nulla più. E’ quasi più bello di quello precedente, ma non lo supera per poco. Il primo è sempre il primo.
Il ramo di ciliegio sbatte ancora contro la finestra e sembra incoraggiarlo. John non ha il cuore di deludere quei fiori che arriveranno. E più di tutto, non ha il coraggio di deludere Sherlock.
Gliel’ha detto con gentilezza. Con il più dolce dei gesti. E adesso John non può non accontentarlo, perché non sarebbe giusto.
Non voglio che tu vada via”.
John non lo farà.
E quandò muoverà un passo per andarsene, ormai agli sgoccioli del tempo, guarderà Sherlock.
E lui gli donerà un altro bacio.

 

 

*










1) Vi rimando ad una fanfiction meravigliosa della mia Rosieposie77, ambientata nel Sussex, che non potete assolutamente perdere: Il grigio sui nostri capelli.

  
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