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Autore: CreAttiva    28/07/2013    2 recensioni
Runne è una bambina di undici anni dal temperamento ribelle, lunghe orecchie ripiegate sui capelli dorati e un paio di enigmatici occhi rossi. Occhi che sollevano domande alle quali non sa rispondere; perché sono gli stessi di suo padre, di cui non sa praticamente nulla.
Ma Runne guarda al futuro, e insegue il suo sogno di diventare una guerriera per combattere il famigerato Endrun, spietato re del Mondo dell'Avvento. Ancora non sa quanto il suo passato e il suo destino siano intrecciati alla sete di potere del tiranno.
La sua vita e quelle di tutto il mondo dipendono dalle scelte di Runne; e quelle più giuste per il bene comune potrebbero richiedere dolorosi sacrifici.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
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2 - Un nuovo amico

Il Castello


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Runne era una bambina molto graziosa, con i capelli dorati dai quali spuntavano le lunghe orecchie ripiegate come sua madre, e gli occhi rossi come suo padre; la stessa bambina che ancora all’età di undici anni si chiedeva chi fosse realmente il suo papà, partito per la guerra quando lei era ancora troppo piccola per imprimere nella mente il suo viso. Di lui sapeva solo che era un grande guerriero e che si trovava in qualche angolo remoto del Mondo dell'Avvento.

Runne sedeva sull’erba umida di rugiada mattutina. Era uscita di casa presto, prima ancora che la madre si svegliasse, ed era salita sulla collina più alta della cittadina. Lo faceva spesso: le piaceva guardare l’alba. Il tramonto non le era mai piaciuto perché le sembrava portare tristezza; quando invece il sole faceva lentamente capolino dalle Montagne Incatenate era come se il mondo nascesse. Strinse le gracili ginocchia al petto, appoggiando la testa su di esse. I lunghi capelli lisci come la seta, che le arrivavano sino a metà schiena, ondularono alla dolce brezza mattutina. Si spettinò la frangia con le mani ricorrendo, inconsciamente, a una consueta abitudine di sua madre Judith. Il sole era quasi del tutto sorto; Runne stava su quella collina da un’ora e mezza ormai, seduta ad ammirare la città dall’alto. Anche da così lontano poteva sentire il profumo del pane, udire le risa dei bimbi, i battibecchi degli adulti, le lamentele degli assonnati, il latrare dei cani, gustare il sapore agrodolce dell’acqua del lago; proprio come se fosse stata lì. Fiandher, la città che tutto illumina: così era chiamata. Tale appellativo si doveva alla gemma posta sulla torre più alta del luogo: essa, quando avvertiva un pericolo, si accendeva di una luce verde in grado di illuminare l’intero territorio del Graäm.

Runne pensava a questo guardando alle proprie spalle. Il vecchio castello si ergeva in tutta la sua magnificenza, con i suoi mattoni di pietra e la sua altissima torre: quella che conteneva la gemma. Il muschio ricopriva il lato nord dell’edificio; una pianta rampicante si estendeva sui cardini del portone logoro dal tempo. Si diceva che il suo antico proprietario non avesse rispettato la Foresta Dipinta, il bosco che si estendeva dietro il palazzo, e che per questo gli spiriti dei boschi lo avessero punito togliendogli tutte le sue ricchezze. Dopo la decaduta del signore, tutti i servitori se n’erano andati e avevano cominciato una nuova vita. Senza eredi, abbandonato dalla gente che pensava gli fosse fedele, il corpo dell'uomo (secondo le dicerie) giaceva ancora sul suo seggio.

I battenti del cancello cigolarono, facendo trasalire la ragazzina. Si alzò lentamente e un’idea le s’insinuò nella mente: entra. Non poteva farlo. Sua madre glie lo aveva proibito. E poi potevano esserci dei vagabondi. Entra. Pensò al volto irato della madre. Entra. Scusa mamma. Sospirò. Avrebbe solo dato un’occhiata. Che male poteva farle?

Spinse il cancello e mise piede nei giardini del palazzo. L’erba cresceva incolta e Runne dovette prestare attenzione a una macchia di ortiche. Gli alberi rinsecchiti si piegavano su se stessi. Giunse di fronte all’alto portone di legno scuro. Posò le mani su di esso e provò a spingere. Con enorme sorpresa si accorse che non c’era nulla a bloccarlo. Peccato che fosse troppo pesante per lei. Nonostante puntasse i piedi per terra e facesse più forza possibile, il portone non si mosse. Runne abbandonò la lotta ansimando. Ormai era curiosa e con le buone o le cattive maniere voleva entrarci. Guardò il cielo. Il sole era alto!

«Oh no!» fece preoccupata. Non si era accorta di aver perso tutto quel tempo sulla collina. Corse a perdifiato verso la città, sapendo già cosa l’aspettava.



Judith era una bellissima donna, una feliana a dir poco splendida. I capelli dorati e mossi, raccolti in un nastro rosso, raggiungevano le anche; gli occhi castani erano truccati con la sabbia delle terre; le labbra carnose fremettero d’impazienza, mordicchiate dai lunghi canini: dov’era sparita sua figlia? Judith camminò con eleganza per la cucina, prendendo e posando ripetutamente il suo lavoro a maglia. La sua figura snella si arrestò solo quando la porta si spalancò, permettendo a Runne di entrare. A constatare dal respiro affannato doveva aver corso molto. La madre le rivolse uno sguardo severo.

Runne fece finta di cadere dalle nuvole:«’giorno, mamma!»

«Dove sei stata?»

Runne scrollò le spalle, continuando a boccheggiare «In… giro.»

«In giro dove?»

La ragazzina si affrettò a inventare una balla «Alla piazza del mercato.»

«Oh, certo! Alla piazza del mercato!» le fece eco Judith «Non raccontarmi altre bugie, Runne! Sei stata di nuovo sulla collina del castello, vero?» Beccata.

«No! Certo che no!»

«Piantala Runne o mi arrabbio sul serio! Quante volte ti avrò detto che quel luogo è pericoloso? Quante?!»

«Eddài, mamma! Non crederai mica che ci siano i fantasmi!»

«Quello a cui credo è affar mio. Non saresti dovuta andare là: te l’ho proibito. Avresti dovuto rispettare le mie regole perché sono tua madre.»

«E solo per questo dovrei rispettare le tue stupide regole?!» Un sonoro schiaffo si abbatté sulla guancia di Runne.

«Non ti permetto di parlarmi così! Io sono tua madre e finché starai in questa casa rispetterai le mie stupide regole!»

«Allora non ci voglio stare in questa casa!» urlò Runne, salendo le scale e chiudendosi in camera sua. Si buttò sul letto e singhiozzò tra le coperte. Aveva esagerato con la mamma. Ma perché non lo voleva capire? Lo sentiva: quella collina faceva parte di lei. Non riusciva a comprenderne il motivo, ma sapeva di essere legata in qualche modo a quel luogo da cui si potevano ammirare le albe di Fiandher. E sapeva anche che, una volta libera dai pomeriggi di lavoro di cucito di cui sicuramente la mamma l’avrebbe sommersa, sarebbe tornata al castello. Ma stavolta non sarebbe stata sola.

Le proverò che il castello non è pericoloso, così mi lascerà andare, si promise.



Alcuni giorni dopo il sole svegliò Runne, che dormiva comodamente nel letto.

«Mmh!» mugolò, affondando la testa nel cuscino.

«Runne!» la chiamò sua madre. Nessuna risposta.

«Runne, è ora di alzarsi!» Ancora silenzio.

«Runne! Kail e i suoi amici ti stanno aspet…» Runne balzò bruscamente in piedi e scese dal letto, inciampando tra le lenzuola per la fretta. Prese il giaccone e i pantaloni di pelle e afferrò la sua fidata spada di legno. Avvolse i capelli in foulard nero, nascondendovi il più possibile le orecchie, e si lasciò scivolare dolcemente sul mancorrente delle scale.

«Oggi si va in guerra!» si giustificò allo sguardo perplesso della madre.

«Ma tu sei una donna!»

«Sì, ma sono una guerriera!» Con quest’altezzosa precisazione, che Runne ricordava come la centesima, si avviò con i compagni per le strade di Fiandher, agguantando al volo una focaccia.

«Era un po’ che non ti vedevamo!» commentò Kail, il capo dei ragazzi. Aveva due anni più di Runne ed era anche il più grande della compagnia. Vantava dei capelli ricci e biondo-platino e due occhi grigio-azzurri. Erano un gruppetto di dieci bambini, tutti maschi a parte Runne. Era stata accettata con fatica, essendo una femmina, ma aveva conquistato un certo rispetto battendo Kail nella lotta. Per legittimità avrebbe dovuto prendere il ruolo del ragazzo, ma non lo aveva fatto. Non lo avrebbe mai fatto. Perché Kail le piaceva. Il suo sorriso, la sua voce imperiosa: amava tutto di lui.

«La mia vecchia mi aveva messo in punizione.»

«Sei proprio una femminuccia!» commentò uno dei ragazzini «Io me la sarei svignata!»

«Ma se appena una settimana fa sei rimasto ad aiutare tuo padre al lavoro!» fece Runne.

«Mi sono offerto spontaneamente per guadagnare un po’. Ricordi femminuccia?»

Runne gli si parò davanti, gli occhi rossi piantati nelle sue pupille «Vuoi vedere chi è la femminuccia qui con una dimostrazione pratica, Pylon?» Il bambino deglutì.

«Perché non ci proponi dove andare, Runne?» s’intromise Kail. Era proprio un vero capo: solitamente comandava i compagni con sicurezza, ma quando avvertiva un pericolo li guidava pensando con chiarezza al bene comune, mettendo da parte l’orgoglio. Era quello il caso. Con Runne non c’era da scherzare.

«Pensavo di andare al castello in esplorazione. Potrebbe diventare la nostra base.» rispose Runne senza distogliere lo sguardo infuocato dal ragazzino.

«Fico!» esclamò qualcuno.

«D’accordo.» acconsentì Kail. Il gruppetto raggiunse la collina in più di mezz’ora. Se fosse stato per Runne, ci sarebbe voluta la metà del tempo. Possedeva gambe agili e veloci e sapeva controllare bene il respiro. Lei e sua madre erano le uniche feliane di tutta la città; appartenevano a un popolo ormai in via d’estinzione. Per quanto ne sapeva i feliani erano gli originari abitanti del Mondo dell’Avvento, prima dell’arrivo degli esseri umani; con la mescolanza delle razze e, più avanti, l’ascesa al potere di Endrun, il loro numero era diminuito drasticamente.

Runne si fermò a guardare Fiandher. Un senso di dolce malinconia la pervase. Sentiva la città lontana, come se fosse dovuta scomparire da un momento all’altro. Perché mi sento così triste?

«Runne! Che fai lì impalata? Muoviti!» sbottò Kail. Runne raggiunse gli amici e il ragazzo proseguì:«Bene. Ora entreremo con cautela. Non sappiamo se è abitato. Facciamo un rapido giro del pianterreno, poi vi darò nuove istruzioni. Io apro la fila. Gli arcieri dietro di me…» e tre ragazzini armati di fionda annuirono «…a seguire i guerrieri…» e altri quattro (tra cui Pylon) con le spade di legno si fecero avanti «…e Runne chiude la fila.» Runne fece un cenno con la testa.

«I maghi coprono i lati. Tutto chiaro?» Un sonoro “sì” riecheggiò sulla collina, mentre due gemelli di circa dieci anni presero posizione. Avevano delle borse capienti, al cui interno c’erano le “pozioni”. Si trattava di semplici fumogeni, o perlopiù liquidi che facevano solo un bel botto, mettendo in fuga i nemici. Merito di loro padre, chimico ed erborista. I ragazzini rispettarono la formazione, penetrando nel giardino. Tutti insieme, riuscirono ad aprire il pesante portone di legno. Un pesante odore di muffa li invase. Si riformarono e varcarono la soglia.

Un salone a dir poco immenso mozzò il fiato a Runne. La stanza era un ampio semicerchio: sul lato curvo si estendevano un’infinità di porte, preceduto da un corridoio di colonne in marmo, il cui gioco seguiva la forma della sala. Runne per poco non prese un colpo guardando ai propri piedi: il pavimento di cristallo rifletteva le immagini del soffitto. Spostò la testa verso l’alto. Gli affreschi sul soffitto sembravano narrare una specie di storia. Riconobbe uomini, sinhilari, gli eremiti delle leggende e persino alcuni feliani. Portò istintivamente una mano sulle orecchie ricurve, che lei trovava buffamente simili a quelle di un coniglio, poi si ricordò che le aveva cacciate sotto il foulard. Così, girando su se stessa, rimirava i graffiti, rapita come gli altri, fintantoché la sua attenzione non venne catturata da delle strane figure. Somigliavano agli esseri umani, ma qualcosa in loro li rendeva diversi. A partire dagli occhi rossi. Runne ebbe un tuffo al cuore. Se aveva ereditato gli occhi dal padre, allora lui faceva parte di quelle creature? Ma cos’erano in realtà quelle creature?

Runne avrebbe voluto capire, chiedere a quei dipinti la verità, ma la pietra era muta. Si costrinse a guardare Kail e a domandargli:«Allora, andiamo?»

«Sì.» rispose lui con voce sognante «Andiamo.» I ragazzini scelsero una porta a caso e cominciarono a perlustrare i dintorni. Gli affreschi continuavano interminabili in ogni stanza. Piante rampicanti si estendevano persino sulle pareti interne. Fu un attimo. Runne avvertì uno scricchiolio.

«Ho sentito qualcosa!» avvertì gli altri.

«Come?» chiese Kail.

«Ho detto che ho sentito qualcosa!» I bambini si misero all’erta, guardandosi attorno con circospezione. Nulla. Neppure un respiro.

«Non è che te lo sei immaginato?» la punzecchiò Pylon.

«No, uffa! Sono sicura di aver sentito un rumore…» e indicò un mobile in un angolo «Là, nella credenza.»

«Ma è impossibile!» esclamò Kail «Nessun uomo si potrebbe nascondere lì!»

«Sarà un animale.» suggerì uno dei guerrieri; tuttavia il suo tono di voce era teso.

«Bisogna comunque controllare.» s’intestardì Runne «Vado io.» Si avvicinò lentamente al mobile sospetto. Strinse la presa sulla spada di legno. I suoi passi risuonavano sul pavimento, accompagnati dallo sguardo dei presenti, che trattenevano il respiro. Esaminò la credenza con attenzione. Sembrava non esserci davvero niente.

«Visto?» la prese in giro Pylon «Te lo sei immaginato!» Proprio mentre pronunciava quelle parole, uno sportello della credenza si spalancò e ne uscì un piccolo essere dalla pelle bianca, alto meno di una spanna, con soffici piume al posto delle orecchie, un vestito elegante e un cappello a forma di cilindro. Il sinhilare si gettò su Runne gridando:«ORA!» e fiotti di sinhilari dilagarono, scoprendosi dai loro nascondigli. Fluttuavano come insetti fastidiosi attorno ai ragazzini, mordendoli, graffiandoli, tirandogli i capelli. Stesso trattamento riserbava il sinhilare alle prese con Runne: la cosa più irritante era che sghignazzava sguaiatamente. La ragazzina menò colpi con la spada con una furia cieca, facendo ridere l’esserino ancora di più. La lotta durò un paio di minuti, finché un fumo denso non invase la stanza: uno dei maghi aveva usato una pozione.

«Ritirata!» urlò Kail, mentre i sinhilari tossivano e sbandavano, confusi. «Ritirata!» I bambini si precipitarono fuori correndo a più non posso. Alle spalle di Runne risuonò la voce canzonatoria del sinhilare col cappello a cilindro:«Andatevene! Scappate via! Non li vogliamo qui dentro gli umani!»



Runne tornò a casa in tempo per il pranzo. Durante il tragitto di ritorno i bambini non si erano scambiati una parola. Quando Runne si separò da loro, non ricevette né porse un saluto. Quella era stata la loro prima, clamorosa sconfitta. Sua madre la osservava masticare con lo sguardo vuoto, ma inizialmente non domandò nulla. Poi non resisté:«Cos’è successo oggi, Runne?»

La bambina la guardò senza espressione:«Niente.»

«Sicura? Se vuoi puoi parlare con me.» A Runne scappò una risata. Se la mamma avesse solo immaginato dov’era stata… «Non credo sia una buona idea. E comunque non ti preoccupare, non è niente di che.»

Judith sembrava voler aggiungere altro, ma decise di cambiare argomento:«Cosa mi dici di Kail?»

Runne sgranò gli occhi «Che dovrei dire?»

«Bé… come sta, ad esempio.»

«Bene.»

«E tu come stai con lui?» chiese Judith con una nota di malizia.

Runne arrossì «Cosa vuoi dire?»

«Che ti piace.»

«Mamma!»

«Oh!» sorrise «Eccome se ti piace!» Runne era rossa fino alla punta delle orecchie ripiegate.

«Sì.» ammise dopo un po’ «E allora?»

«Allora pensavo che potremmo invitarlo a cena, ogni tanto.» Runne sospirò. Sua madre aveva sempre avuto buon occhio per queste cose. Come faceva ad accorgersene? Eppure era sicura di averlo nascosto piuttosto bene…«Glie lo dirò.»

«D’accordo.» Judith si alzò dalla sedia e cominciò a sparecchiare. Runne rimase immobile mentre lei lavava i piatti.

Infine si decise:«Mamma, cosa sai dei sinhilari?»



Runne procedeva a passo lento, rimuginando su quello che le aveva detto la madre.

«Perché mi fai questa domanda?» si era insospettita Judith.
«Se ti dico la verità prometti di non arrabbiarti?»
Judith rimase in silenzio per qualche secondo, sostenendo lo sguardo della figlia.
«Dimmi.»
«L’hai promesso, eh? Stamattina sono stata sulla collina...»
«Cosa?!» urlò.
«Non arrabbiarti, l’hai promesso!»
«Runne...»
«Lasciami finire, d’accordo?» Judith tacque.
«Bene: io e i miei amici siamo entrati nel castello.» Gli occhi di Judith sprizzavano scintille di fuoco, ma lasciò continuare la bambina:«L’unico problema è che è abitato dai sinhilari.»
Runne entrò nel giardino e giunse davanti al portone. Era socchiuso. C’era un piccolo spiraglio, un po’ stretto forse, ma riuscì comunque a passare, seppur con fatica.
Judith la guardò con severità. «Quindi?»
«Cosa?»
«Mi hai raccontato la tua bravata e mi hai chiesto cosa so dei sinhilari. Cosa vuoi sapere?»
«Non lo so...» rispose Runne «Non so neanche “cosa” siano...»
Judith sospirò «I sinhilari appartengono a una categoria di creature chiamata Demonaturi: sono in stretto rapporto con la natura che li circonda. La rispettano e ne ricevono poteri.»
«Che genere di poteri?»
«Muovono le piante, usano incantesimi soporiferi... roba simile. Detestano gli umani perché non hanno alcun ritegno per la natura, ma si dà il caso che apprezzino i feliani.»
Runne ammutolì. Apprezzano i feliani? «Allora perché mi hanno attaccata?»
«In mezzo ai tuoi amici non ci avranno fatto caso.»
«Credi che potrei diventare loro amica?»
Judith diede un’alzata di spalle. «E’ molto difficile, anche per un feliano. Sono creature schive; e poi tu sei feliana solo a metà. Puoi tentare.»
Runne rimase di stucco. «Mi dai il permesso??? Non dicevi che il castello è pericoloso?»
«Come se servisse a qualcosa proibirti di andare... se ci sono solo sinhilari, non c’è da temere. Amano gli scherzi, ti faranno saltare i nervi, ma non possono farti del male. Non a te almeno.» e sfoggiò un sorriso pieno di sottintesi. Runne si accigliò, chiedendosi cosa intendesse. Lasciò perdere e si avviò verso la porta.
«Aspetta!» la fermò Judith «Ti consiglio di cambiarti: conciata così non rendi l’idea di avere buone intenzioni. E passa da Suran, il droghiere: i sinhilari hanno un debole per le fragole.»

Runne indossava un abito semplice color cremisi, che le arrivava sino alle caviglie. Calzava dei sandali e si era sciolta i capelli. In mano portava un fazzoletto che sembrava contenere qualcosa. Non appena mise piede nel salone, un’orda di sinhilari la circondò.

«Cosa ci fai ancora qui, umana?» il sinhilare con il cappello a cilindro. Pareva essere il loro capo, nonostante apparisse giovanissimo.

«Non sono un’umana.» rispose Runne indicando le orecchie «Sono una feliana.» I sinhilari esclamarono note di stupore e meraviglia.

«Una feliana? Ma...» li sentì bisbigliare.

«E’ davvero una feliana?»

«Sembra di sì.»

«Non emana l’aura pacifica dei feliani.»

«Già, infatti ha gli occhi rossi.»

«Occhi rossi? Allora sarà un...»

«Dev’esserlo per forza con quegli occhi...»

«Silenzio!» li zittì il sinhilare di prima «Come ti chiami, figlia del bosco?»

«Runne.» Un’ombra di tristezza passò per un attimo sul viso del sinhilare, ma si ricompose quasi subito:«Un nome della Lingua Perduta! Allora sei davvero una feliana!»

«Mia madre porta un nome umano, eppure è una feliana purosangue.»

«Sì, hai ragione. Non sempre si portano nomi appartenenti alla propria razza, di questi tempi.»

Runne ebbe modo di osservare i sinhilari con più attenzione: la loro pelle era di un bianco perlato, con lievi riflessi azzurri; le piume, che si trovavano all’altezza delle orecchie, ondeggiavano placide, mosse per istinto dai loro proprietari. Quello col cappello a cilindro aveva lisci capelli rossi, lunghi fino alle spalle, e occhi color miele. Poteva avere una ventina d’anni, forse, misurandoli secondo il suo metro di giudizio. La ragazzina pensò che se fosse stato della sua misura lo avrebbe trovato un bel ragazzo. Il sinhilare si stampò in faccia lo stesso sorriso beffardo di sempre.

«Piacere di conoscerti, Runne. Io sono Daeb, il capo dei sinhilari della Foresta Dipinta. Dunque eri tu la bambina che vedo spesso su questo colle. Da lontano non avevo notato che eri una felina. Come mai sei qui?»

Non poteva crederci: ce l’aveva fatta! «Vi ho portato queste.» Aprì il fazzoletto: dentro vi erano le fragole.

«Fragole!» esplosero gioiosamente molti.

«Pensavo vi piacessero, così ne ho prese un po’ da un mio amico.»

Il sorriso scomparve dalle loro facce «Un tuo amico umano?»

«Sì... perché?»

«Noi non prendiamo niente dagli umani.» precisò Daeb, gelido «Sono i nemici della Grande Madre.»

«Ma questo mio amico è buono, ama la natura!»

«Chi è amico degli umani è nostro nemico. Vattene.» Runne avvertì un blocco di ghiaccio alla bocca dello stomaco. Sentiva quelle creature vicine a lei. Aveva sempre desiderato avere un sinhilare per amico. E ora che c’era quasi riuscita...

«No.» disse.

«Come?»

«Ho detto che non me ne vado.» Un forte brusio si animò tra i sinhilari.

«Vattene subito, altrimenti...» minacciò Daeb.

«“Altrimenti” cosa?» lo rimbeccò Runne con tono di sfida. Daeb era furibondo:«Hai osato troppo. Ora ne pagherai le conseguenze.» Il sinhilare chiuse gli occhi. Una misteriosa luce lo avvolse e Runne sentì il sottosuolo tremare.

«Daeb, aspetta!» provò a dire, ma non ricevette ascolto. Percepì un movimento alle proprie spalle. Si voltò: un albero del giardino esterno spalancò il portone con i rami, allungati a dismisura. Guardò con orrore la pianta animata da una furia impetuosa. Poi i rami si tesero verso di lei. Daeb mosse un braccio; simmetricamente i rami dell’albero mirarono a Runne. La bambina evitò il colpo, saltando con agilità. Le fragole rimasero spiaccicate. I rami si piegarono nella nuova direzione presa da Runne e lei fu costretta a scartare di lato. Continuò a schivare i rami, che seguivano ogni suo movimento. Aveva ormai preso il ritmo giusto, perciò decise di avvicinarsi a Daeb: colpendo lui molto probabilmente avrebbe fermato l’albero.

I sinhilari però capirono le sue intenzioni e cominciarono a concentrarsi tutti assieme. Un intrico di rami sovrastò Runne: tutti gli alberi del giardino adesso erano contro di lei. Si vide perduta. Chiuse gli occhi. Silenzio. Li riaprì lentamente. I rami erano immobili, sospesi sopra la sua testa. Rimase a bocca aperta. Non meno sorpresi erano i sinhilari. Si concentrarono ancora di più e i rami tremarono appena, ma non si mossero.

«Ma... perché?» balbettò Daeb, allibito. I rami scesero fino ai piedi di Runne e uno le si avvolse dolcemente alla vita per farla salire. Runne si levò in alto, trasportata dalle piante, e venne posata con accuratezza fuori dal cancello. Infine i rami si accorciarono a lunghezza naturale e gli alberi tornarono immobili.

Runne aveva il cuore in gola. Deglutì e riprese coscienza del proprio corpo. Come mai gli alberi avevano esitato ad attaccarla? Di certo non era merito dei sinhilari: loro erano intenzionati a ucciderla. Forse la mamma ne sapeva qualcosa...

Sospirò. Le dispiaceva dover lasciare quel luogo, ma era l’unica soluzione se voleva evitare un secondo scontro con dei sinhilari iracondi. Non era sicura che sarebbe sopravvissuta a un altro incontro. Guardò tristemente il castello. Pensò ai sinhilari. Pensò a Daeb. Le sarebbe davvero piaciuto diventare sua amica. Poi i piedi si mossero da soli verso la città.




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Grazie di cuore per esservi interessati alla mia storia.

Cosa ne pensate di questo primo capitolo? Per il momento i personaggi introdotti sono Runne, Judith, Kail e Daeb. Ciascuno di loro ha una propria identità, e spero di farla emergere nei capitoli successivi.

Badate, nessun errore di dicitura: sono feliAni con la “a” messa lì per un motivo. E quando dico che Runne ha i capelli “dorati” non è una metafora: non sono biondi e sì, brillano come una scritta glitterata xD Saprete di più su questo popolo continuando a seguirmi.

Ora passiamo al termine “sinhilari”. Provate un’analisi etimologica di “simpatia”: sin=con + pathos=sentimento. Il processo di formazione della parola è lo stesso. L’h è muta, a meno che non vogliate farvi venire una sincope per pronunciarla.


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Al prossimo capitolo! Slán libh!


CreAttiva

   
 
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