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Autore: Alex98    28/07/2013    1 recensioni
Un'epopea fantasy che narra le avventure di un ragazzo che grazie al suo animo puro riuscirà a sconfiggere l'oscurità che invade il mondo magico. Un avventura ispirata a libri fantasy come quelli di Tolkien che insegna i valori della vita in un'avventura senza precedenti. Perché proprio quando la guerra è alle porte sono le azioni quotidiane che contano, come l'alfiere di un esercito che suona l'olifante per incoraggiare i soldati. Allora in quel momento lui è più importante perfino del re per cui tutti combattono. Il Suono dell'Olifante è un racconto che mira al cuore dei lettori, lasciando inevitabilmente i ricordi del suo mondo magico e allo stesso tempo reale in tutti noi. Spero che vi possa piacere!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL SUONO DELL'OLIFANTE
 
 
 
CAPITOLO 1
UNA GRANDE OCCASIONE PER UN PICCOLO UOMO
 
Il suono dell'olifante riecheggiò nella valle: era il momento di attaccare.
Davanti a loro si ergeva maestosa una roccaforte straripante di orchi.
Quelle orrende bestie sarebbero state finalmente punite.
Gli orchi si erano rifugiati per anni a Durin, terra di nessuno.
Erano sotto la protezione di Tenebrus, il più feroce tiranno che aveva regnato su quelle terre, si diceva che fosse nato dalle ceneri dell’Antica Terra mille soli e mille lune prima, nelle profondità dell’Ade.
Ora Tenebrus era troppo occupato per immischiarsi nelle faccende dei mortali, non avrebbe ostacolato l’avanzata degli uomini.
L’esercito di questi ultimi era molto piccolo rispetto a quello degli orchi, tuttavia era costituito da soldati forti e valorosi, capaci di combattere con coraggio contro ogni nemico, perfino Tenebrus se ci fosse stato bisogno.
Rex, il Re degli Uomini, avanzò per primo, in sella al suo cavallo e con una spada dalla lama argentea forgiata dagli elfi.
Lo seguì tutto il suo esercito che rase subito al suolo le guardie.
Rex sferrò un energico colpo di spada contro il portone che si spalancò.
In seguito si udirono i gridi di battaglia e di gioia degli uomini che si riversavano come un fiume tumultuoso nella Roccaforte di Durin.
Il Re degli Orchi, Terrorium, balzò giù dal suo trono di pietra e ossa, e urlò a squarciagola con la sua voce roca: “Non potete entrare e uccidere la mia gente! Quale male vi abbiamo procurato, uomini crudeli?!”
Pareva un orco come tutti, una creatura orrenda, deforme di colore bianco, ma era grande quattro volte tanto uno dei suoi viscidi sudditi.
Rex sembrò sul punto di perdere il controllo per ciò che il nemico aveva detto, ma non lo fece né smise di combattere, ma gli rispose, trasportato da un coraggio dovuto all’ira che aveva trattenuto per troppo tempo: “Sai bene, viscido essere, quanti orrori avete portato nelle nostre terre!”
“Dunque le Terre degli Orchi che avete raso al suolo non sono considerate come simili delle Terre degli Umani? Questa mi giunge nuova.” ribatté Terrorium.
“Dio può perdonarti, ma io no! E non sarò in pace finché questa spada non avrà penetrato il tuo lurido cuore, supponendo che tu ne abbia uno!”
“Dunque è questa la grande virtù degli uomini? La vendetta?”
Terrorium, a differenza degli altri orchi, possedeva il dono dell’intelligenza e la usava per piegare i suoi nemici al suo cospetto.
Aveva colpito un punto debole del suo avversario: il Re degli Uomini non voleva ammettere di essere caduto così in basso dopo la Grande Guerra.
Rex doveva rappresentare gli uomini, esprimendo tutto il suo coraggio, tutto il suo valore, non l’odio e la vendetta.
Doveva essere forte per il suo popolo, non poteva manifestare i suoi veri sentimenti, non aveva dimostrato rancore quando si era pentito di essere andato in guerra sacrificando la sua intera famiglia e tutti i suoi cari e di certo non avrebbe dovuto farlo adesso.
Gli sarebbe piaciuto cadere preda di un pianto liberatorio per poi essere trascinato nell’inferno, dentro le tombe dei suoi cari, ma non poteva.
Quanto avrebbe voluto sprofondare, sparire per sempre e dimenticare tutto, ma era impossibile dimenticare ferite così grandi.
“Sei una bestia senza cuore e morirai come tale!” tuonò Rex lanciando la spada contro il corpo inerte del nemico che non si ricordava l’immenso potere di quella spada, Noctix, un’arma indistruttibile che sotto il chiarore della luna splendeva e distruggeva tutti i nemici senza lasciare nessuno.
Quel giorno il sole splendeva e la spada non era posseduta da alcuna magia, ma era comunque invincibile come tutte le armi forgiate dagli elfi che potevano uccidere anche gli immortali.
Terrorium ruzzolò a terra, fuori dalla fortezza, rimanendo immobile sotto i guerrieri che cadevano dai piani più alti.
Rex uscì dalla vetrata che aveva spaccato e levò dal corpo dell'avversario gli altri orchi, così da poter riprendere la spada che era affondata nell'addome del bestione che si stava ancora contorcendo dal dolore.
Il Re degli Uomini non fece in tempo a infilzarlo di nuovo che Terrorium fuggì al ritmo delle frecce scoccate dagli uomini che avevano conquistato i piani superiori con molta facilità.
Gli uomini appiccarono fuoco alla roccaforte e uscirono rapidamente, senza lasciare traccia di ciò che prima era il terrore di Durin.
Gli abitanti della valle, vedendo quel magnifico spettacolo, uscirono dalle case, percorsero le strade, passeggiarono lungo il Grande Lago e si congratularono con i  loro eroi.
Ma Rex pensava ancora a Terrorium, un fuggitivo con molte speranze di poter trovare riparo da qualche popolo ostile agli uomini.
La Grande Guerra non era finita, era appena cominciata; nessuno comprendeva quanto fosse pericoloso quel momento, pieno di alleanze segrete, crimini, assassini: non erano al sicuro, presto il nemico avrebbe potuto riassemblare l'Esercito Oscuro, Tenebrus avrebbe posizionato le sue pedine, non c'era altro da fare che aspettare in silenzio di perdere con coraggio.
I giornali non menzionavano ciò che accadeva fuori dalle Grandi Terre, volevano preservare i civili dal pericolo, dalla paura della guerra.
Gli veniva da piangere al pensiero che avrebbe sofferto ancora, sempre in silenzio, o forse avrebbe completamente lasciato scomparire, secondo il corso della crudele natura, le virtù che caratterizzavano gli uomini e avrebbe perso il lume della ragione, senza nessuno che lo avrebbe confortato.
Osservò gli alberi della valle solitamente arida, ma che in quel momento sembrava prospera e amena: i fiori stavano sbocciando come il coraggio dei suoi soldati, i raggi del sole trafiggevano le fronde per illuminarli e riscaldarli.
Il capo dell'esercito, Strategos, gli si avvicinò e lo salutò, come se non fosse successo nulla, né quel giorno, né durante i cinquant'anni precedenti.
Erano invecchiati parecchio, i volti di entrambi erano attraversati da numerose rughe, segni della vecchiaia per antonomasia.
Rex era particolarmente debole rispetto a quando era giovane, il mondo e le sue guerre non erano fatte per lui, per un vecchio; era un uomo alto, piazzato e robusto, gli occhi e i capelli marroni come la terra su cui aveva camminato per tutti quegli anni e la barba nera come tutte le sciagure a cui aveva assistito e che lo avevano seguito per tutta la vita finendo quasi per consumare completamente la sua anima pura, priva di peccati, ma piena di turbamenti.
Strategos era ancora forte nonostante l'età, era un uomo baciato dalla fortuna; era molto slanciato, coi capelli biondi e gli occhi azzurri pareva quasi un elfo, ma era un mortale e si vantava di esserlo, era orgoglioso di essere un uomo. Proveniva dall'unione del popolo degli uomini e del popolo degli elfi: suo padre era un nobile elfo e sua madre una donna brillante; così scelse di seguire l'orma dei suoi antenati uomini, coraggiosi e ricchi di numerose altre virtù che portavano nel cuore da generazioni, non che gli dispiacessero gli elfi, adorava la loro cultura, ma preferiva gli uomini, semplici e valorosi.
"Sai che la guerra non è finita?" chiese al suo re, preoccupato.
Rex sorrise e rispose, allegro: "Lo so più di tutti, ma non possiamo andare contro il volere del Fato. C'è un motivo per cui noi due ci siamo incontrati, c'è un motivo per cui Dio o chissà quale altra forza superiore ci ha creati. Il caso non esiste."
"Ciò non cambia nulla, non restituirà la vita a nessuno, non ci farà ritornare a casa, non..." farfugliò Strategos.
Rex rise, lo abbracciò e gli sussurrò all'orecchio: "Non crogiolarti nei dolori del passato, pensa a quelli che potrai evitare in futuro e continua a combattere per quello in cui credi."
"E se non ho più niente in cui credere?" singhiozzò lui.
"C'è sempre una luce che squarcia le tenebre, devi solo ritrovarla." gli consigliò il Re degli Uomini e suo migliore amico.
Strategos si asciugò le lacrime, sorrise e annuì, ritornando al suo stato di comandante dell'esercito forte e coraggioso.
"Ci sarà un grande banchetto, ragazzi!" esclamò di fronte ai suoi soldati gioiosi "In memoria della nostra vittoria! In memoria della sconfitta del nemico! Lunga vita al re!"
"Lunga vita al re!" ripeterono gli altri in coro, dirigendosi verso una locanda del villaggio di Durin.
Lunga vita al re, dicevano, ma Rex temeva sempre che dopo tutti questi conflitti la fedeltà verso le istituzioni governative sarebbe ceduta.
D'altro canto Strategos voleva solo rianimare i soldati, perché era più forte il discorso di un comandante o il suono di un olifante rispetto a tutti i guerrieri messi insieme.
 
*
 
Il Presidente delle Grandi Terre riunì il Consiglio la mattina seguente.
Era solito che si presentassero tutti i capi di stato delle nazioni e dei regni sotto il potere del presidente Imperio, un uomo molto saggio che governava il paese da quarant'anni. Era un uomo alto, magro, con gli occhi marroni, i capelli castani e una folta barba marrone; indossava sempre abiti molto eleganti dell'alta borghesia e portava spesso sul capo un cappello nero a cilindro. Ricordava molto un vecchio presidente degli Uomini delle Altre Terre, quelli che non conoscono la magia. Ovviamente c'era un rappresentante di quegli uomini presente al Consiglio e che si assicurava che non ci fossero pericoli per il suo popolo.
Il presidente si sedette e la riunione ebbe inizio.
"L'argomento di cui vorrei parlarvi e questa guerra che sembra non avere fine." esordì Imperio col suo solito tono gentile, ma che lasciava intendere che era molto teso, come se non avesse provato tanta paura da molto tempo. "Rex, ho sentito che hai abbattuto la Roccaforte di Durin."
Ora sembrò tornare al suo solito stato di tranquillità.
"Mi ha quasi ucciso!" protestò il Re degli Orchi.
"E sei stato uno stolto a venire qui." gli fece notare Rex.
"Ti ricordo che all'interno della Villa della Signora del Lago, sono protetto per legge dal presidente." ribatté Terrorium, con un sorriso malizioso dipinto sul volto solcato da numerose ferite recenti.
"Tuttavia ha commesso una serie di crimini e assassini a cui deve rispondere." replicò il presidente. "Dopo il Consiglio verrà arrestato e portato nella prigione di massima sicurezza di Pseustes. Non ci sarà nessun processo. Sinceramente, con tutto il rispetto, non mi sono mai piaciuti gli orchi. Lei mi ha sempre accusato di fare favoritismi. Ebbene sì, ma non in base alla razza, ma a ciò che quella razza fa. Gli orchi hanno fatto parte dell'esercito di Tenebrus e quindi tutto il suo popolo verrà punito. Dobbiamo eliminare ogni rischio di conflitti alla radice. Non mi fermerò di fronte a nulla. La guerra deve finire."
Prima che il Re degli Orchi sprofondasse nella vergogna, il Re dei Draghi, Dragonix, un drago dalle dimensioni e dai comportamenti umani, di colore rosso come il suo mantello e il suo fuoco terribile, sbottò: "E se qualcuno volesse continuare la guerra proprio per eliminare questa feccia?! Non mi è stata donata l'intelligenza perché annuisca e la assecondi. I draghi sono forti e numerosi, possono combattere e sconfiggere perfino Tenebrus!"
"Non nominare quel nome!" tuonò Imperio, scosso e afflitto da orribili pensieri.
"Evidentemente a qualcuno non piace sentire quel nome." sibilò il Re dei Goblin, Viscidus, un essere rivoltante come tutta la sua gente, piccolo, verdastro e completamente pazzo.
"Zitto, lurido verme! Dovresti essere arrestato anche tu e il tuo popolo dovrebbe essere punito. Se solo non mi servisse il vostro aiuto militare..." lo insultò Imperio, furioso.
"Non otterremo niente così. Non si può più tenere un consiglio in questi tempi. Stiamo solo perdendo tempo!" sbraitò il Capo degli Stregoni, il saggio Sofos.
Era un uomo molto anziano, avrà avuto più di duecento anni, ormai aveva perso il conto, ma era sempre stato consigliere dei più grandi uomini della storia e continuava a farlo. Era alto, magrissimo, esile e molto debole all'apparenza, ma gli bastava una bacchetta magica per diventare il guerriero più forte delle Grandi Terre, uno stregone al servizio eterno della giustizia. Indossava una veste bianca come i suoi capelli, la sua pelle era raggrinzita, eppure era la salvezza di tutti. Ora che si era alzato non sembrava più così debole in effetti.
"Sofos, ti prego, non scomodarti." gli consigliò Imperio.
"In quanto tuo consigliere devo dire che questo è tempo sprecato. Il nemico sta raccogliendo le sue forze. Gli orchi, i troll, i goblin e tutte le creature oscure di questo mondo stanno avanzando e noi ce ne stiamo qui con le mani in mano! Mi sei sempre piaciuto per il tuo carisma e per la tua innata serenità, ma questo è troppo! Bisogna combattere! Anch'io non vorrei, ma è la soluzione migliore se vogliamo evitare perdite innumerabili. Dobbiamo difenderci! E non possiamo stare nella stessa stanza con il nemico! La Signora del Lago non si è nemmeno presentata per paura che i nemici che sono seduti a questa tavola siano portatori dell'anima di Tenebrus! E non ordinarmi di non pronunciare il suo nome! Non devi avere paura! Non ti riconosco più, un tempo eri coraggioso e adesso ti stai lasciando possedere dalla paura. E quella paura è Tenebrus. Lui si può presentare in varie forme. A te, come a molti di noi, compreso me, si è presentato in questo modo. Ma dobbiamo andare avanti! Lo possiamo sconfiggere! Abbiamo un esercito! Non possiamo più aspettare che la guerra ci trovi! Dobbiamo essere noi a trovarla e fermarla!"
"Con altra guerra?"
"Sì, è l'unico modo se tieni di più alla vita di milioni di uomini, donne e bambini piuttosto che ai tuoi radicali principi morali."
"Sei un ottimo consigliere, ma devi ricordare che io rappresento tutti i popoli e devo rispettare la legge, uguale per tutti."
"E questo è stato deciso in modo tale che la gente fosse al sicuro. Per questo! Non per altro! Non stiamo affrontando una guerra civile! Ci sono popoli che sono passati al nemico! Sono sotto la tua giurisdizione, ergo cacciali tutti! Gli altri popoli stanno soccombendo sotto il loro potere! Usi il suo per sconfiggerli! Affronta la realtà! Abbiamo abbastanza membri del Consiglio dalla nostra parte!  Non ci sarebbe nemmeno bisogno di una votazione!"
Nessuno lo interruppe, nessuno lo schernì, tutti pendevano dalle sue labbra.
Il presidente, dopo qualche minuto di esitazione, ordinò alle guardie di portare via Terrorium, Trollolus-il re dei troll-e Viscidus.
I membri rimasti festeggiarono per quell'evento storico, ma tutti sapevano che c'era poco da festeggiare.
Nuovi pericoli erano in arrivo.
 
*
 
"Sei dispiaciuto perché non è venuta, vero?" domandò il Presidente degli Elfi, la geniale e affascinante Eleuzeria.
"Si farà viva." disse Sofos, continuando a fumare la sua pipa.
"Mi è piaciuto il tuo discorso. L'ho trovato molto incoraggiante. E' per questo genere di cose che non mi annoio nonostante la mia veneranda età.”
"Grazie. Posso farti una domanda? Ormai tutti hanno istituito una monarchia per rafforzare il proprio potere ed evitare una ribellione. Come mai lei no?"
"Credo che un popolo libero sia un popolo saggio che non ha bisogno di disertare per dimostrare il proprio potere."
"Mi ha sempre colpito la tua mente brillante e il tuo cuore puro come i fiori di primavera."
"E a me sono sempre piaciute le tue similitudini."
I due risero, finché Eleuzeria si congedò e lo lasciò solo a contemplare l'orizzonte: una valle che sprofondava sotto le cascate che scendevano dalle montagne su cui era edificato quel palazzo, un edificio maestoso, bianco e perfetto, che si mescolava all'armonia della natura che lo circondava.
Un canarino si posò sulla sua mano e cinguettò allegramente.
Il suo cinguettio echeggiò in tutta la valle, fino a raggiungere il Lago.
Una scia di vapore fuoriuscì dall'acqua cristallina e si materializzò di fronte a lui trasformandosi in una donna giovane, coi capelli biondi e lunghi, gli occhi marroni che incantavano e un sorriso che rallegrava chiunque.
Ma quel giorno il sorriso era piuttosto forzato.
"Sofos, non abbiamo molto tempo. I nemici stanno per attaccare. Le mie previsioni erano corrette. Devi cercare un ragazzo di cui poterti fidare, un giovane dal cuore puro. Lui sarà la nostra pedina più potente." gli comunicò con la sua voce armoniosa.
"E come lo troverò?" le chiese lui, dubbioso.
"Segui il tuo istinto." rispose la Signora del Lago, svanendo nel nulla, trasportata da una leggera brezza che portava con sé anche i fiori dell'estate che vorticavano insieme a lei, mossi da un altro vento, più forte e freddo.
A un tratto vide in lontananza delle creature orribili costituite da vapore nero, simbolo del male, che prendevano forme di mostri alati come i draghi e che distruggevano tutto ciò che avevano di fronte solamente per la loro presenza: le Noctes.
 
*
 
"Portate in salvo il presidente! Salvate il presidente!" urlarono le guardie, fuori di senno, troppo sconvolte per agire.
Imperio e la sua famiglia si smaterializzarono, tristi e privi di speranze.
Le noctes colpirono senza pietà, devastando quella che prima era un luogo sacro e fonte di salvezza e libertà, il simbolo delle Grandi Terre.
La valle era sorvolata da quelle creature, quindi stava precipitando nel baratro, un buco nero, la morte peggiore che si possa desiderare.
Non c'era scampo, nulla sfuggiva a quelle belve.
Molti avevano la possibilità di smaterializzarsi, ma volevano combattere per difendere ciò che amavano, anche se sapevano che sarebbe stato uno sforzo inutile, anche se avrebbero perso e avrebbero dovuto fuggire se fossero sopravvissuti- e pochi erano fuggiti alla furia delle noctes.
I guerrieri e i membri del Consiglio capaci di combattere continuavano a sferrare colpi contro di loro, invano.
Allora Sofos salì in cima al palazzo, impugnò la bacchetta ed evocò un'onda luminosa che si espanse per tutta la valle, eliminando il buco nero e scacciando i mostri per un lasso di tempo sufficiente a lasciarli fuggire.
Tutti si smaterializzarono, lasciandosi dietro quella che presto sarebbe tornata ad essere una catastrofe.
La guerra era una cosa orribile, durante quei tempi bui non si riconosce più il mondo com'era prima, la mente è devastata da immagini orribili che non possono più essere cancellate dalla memoria.
 
*
 
Quella sera i suoni dei tuoni rimbombavano tra le mura della prigione di Pseustes.
Una scia di vapore nero penetrò tra le fessure delle celle, da dove provenivano i fastidiosi e freddi spifferi.
Si mutò in un uomo esile, apparentemente privo di forza, vestito di un misero vestito nero logoro e sudicio come i suoi capelli. I suoi occhi marroni splendevano nella notte, riflettendo i fulmini e le saette.
Sembrava completamente pazzo, farfugliava qualcosa a sè stesso.
Nonostante gli anni, il Re degli orchi lo riconobbe subito.
"Pseustes!" urlò, sorpreso.
Pseustes rise, mostrando i suoi denti marci, e sussurrò: "Mi manda Tenebrus, sono qui per liberarvi. La guerra è appena cominciata."
La sua risata priva di allegria e piena di odio, disprezzo e rancore echeggiò in tutta la prigione.
Le guardie corsero a catturarlo, ma lui si trasformò nuovamente in una scia di vapore nero che si mitigava col buio della notte.
Uscì dalla prigione e frantumò ogni parete dell'edificio, ogni sbarra, ogni trappola, e uccise tutte le guardie, compresi i fantasmi che sorvegliavano la fortezza.
Presto Tenebrus avrebbe formato un grande e potente esercito.
 
*
 
Arthur osservò il furgone mimetico che si stava avvicinando al vialetto di casa sua, una maestosa villa d'epoca nel paese di Lux.
Era un ragazzo di quattordici anni molto intelligente, con molti sogni e ambizioni, ma non avrebbe mai immaginato di lasciare Lux, quell'idilliaco villaggio senza guerra, o almeno fino a quel momento.
Dal furgone scese una decina di soldati capeggiati da un generale.
Quest'ultimo si diresse verso la dimora, intimorendo Arthur.
Si osservarono a vicenda con un'aria dubbiosa.
"Capelli neri, occhi marroni, sguardo vacuo, ben piazzato, ma troppo magro ed esile. Non sembra un soldato. Ma chi viene reclutato di questi tempi?" pensò il generale di alto ordine Duco.
"Così è lui il capo di James. Un uomo alto, grosso, capelli e baffi bianchi, occhi marroni che dipingono uno sguardo altrimenti privo di emozioni. Quegli occhi, così piccoli nel volto paffuto, eppure così terrificanti. Sembrano straripare di ira, come se stia per impazzire da un momento all'altro. Sembrano gli occhi di un rettile. Un serpente in procinto di attaccare." pensò Arthur, inquieto.
Dopo un silenzio imbarazzante, Duco ruppe il ghiaccio: "Così sei tu James?"
"No, è mio fratello. Adesso lo chiamo." rispose Arthur, cercando di distogliere lo sguardo da quegli occhi agghiaccianti.
"Grazie." bofonchiò Duco, tirando un sospiro di sollievo ed estraendo la sua pipa dalla tasca dell'elegante uniforme.
Arthur corse in casa e chiamò suo fratello, trattenuto dalla madre che piangeva in preda alla disperazione.
"Non andare, ti prego! Puoi lavorare, sei molto intelligente, hai innumerevoli opportunità! Non andare in guerra!" singhiozzò la madre, Mater.
"Madre, ne abbiamo già discusso. Devo servire il mio paese. Il presidente sta continuando la campagna per promuovere la guerra e secondo me ha ragione. Dobbiamo sconfiggere le Creature Oscure. Spero di rivederti presto. Ti voglio bene." disse James dolcemente abbracciando il corpo esile della madre.
Poi si diresse verso Arthur e, abbracciandolo, cercò di non piangere.
"Stammi bene." sussurrò Arthur.
"Anche tu."
Arthur seguì James fino all'entrata della casa dove il generale attendeva la sua coraggiosa e valorosa recluta.
James era simile a suo fratello fisicamente, ma più muscoloso e robusto.
Non ci furono smancerie: il generale gli strinse la mano e lo accompagnò al furgone.
A quel punto Artemide, la fidanzata di James, corse verso di lui e lo baciò per quella che poteva essere l'ultima volta.
Aveva iniziato a piovere e quella scena pareva ancora più straziante.
Dopo gli ultimi saluti, James salì sul furgone che sparì nel buio della sera.
 
*
 
Arthur rimase in camera sua a guardare i dipinti che aveva fatto sua madre di lui e James insieme.
Com'erano piccoli, ancora felici, ancora incoscienti dei pericoli che correvano, incoscienti del fatto che il loro padre era stato uno dei più grandi stregoni di tutti i tempi e che aveva numerosi nemici.
Il più forte di questi l'aveva ucciso qualche anno prima.
Tentò di non piangere, di essere forte, di non cedere alla disperazione.
Ora doveva badare lui alla casa, a sua madre.
Erano tempi duri, doveva essere forte.
"Arthur! Ci sono visite!" urlò sua madre dal piano di sotto.
Arthur s'irrigidì, si ricompose e scese al piano di sotto, confuso.
"Ciao Arthur, come va?" gli chiese uno strano vecchio.
"Come sa il mio nome?" balbettò Arthur mentre sua mamma andava a preparare un tè per l'ospite.
Il vecchio rise e trascurò la domanda.
"E' una bella casa." commentò il vecchio.
"Un momento...lei è Sofos! Il consigliere del presidente!" esclamò Arthur.
"Gradirei che mi dessi del tu."
"Perché sei qui? Cerchi mio fratello?"
"No, sono qui per te."
"Per me?"
"Cerco un ragazzo dal cuore puro, coraggioso e valoroso."
"Hai sbagliato persona."
"Non credo proprio."
La madre di Arthur entrò nel salotto con un servizio da tè.
"La ringrazio." disse Sofos con il suo solito tono pacato.
"Allora, quale sarebbe il motivo della visita?" gli domandò Mater.
"Vorrei che Arthur mi accompagni in un viaggio lungo tutte le Grandi Terre." rispose Sofos, come se la sua richiesta fosse normale e scontata.
"Non se ne parla! Il mio primogenito è già partito per la guerra, non lascerò che mi portino via anche Arthur!" ribatté Mater trasalendo.
"Sapevate che sarebbe arrivato il momento."
"Mamma, ma di cosa sta parlando?" chiese Arthur, sempre più spaventato, ma spinto da una forza che ha sempre posseduto tutti gli uomini: la curiosità.
"Quando tuo padre è morto, il Fato ha voluto che tutto il suo potere si trasferisse dentro di te. Questo significa che tu sei...il prescelto."
"Il prescelto?"
"Sì, l'unico che può sconfiggere Tenebrus." concluse Sofos.
"Perché non me l'hai mai detto?!" esclamò Arthur irato.
"Non volevo che partissi, non volevo che lasciassi Lux, non volevo rimanere da sola dopo la partenza di James." sussurrò la madre.
"Io sono stato il maestro di tuo padre, di tuo nonno e del tuo bisnonno. Ora sarò il tuo. Così il Fato ha deciso." gli spiegò Sofos.
"Ma io non l'ho deciso. Non voglio rischiare la mia vita! Sono troppo giovane..."
"Hai l'età perfetta per partire per questo viaggio. Ti proteggerò a costo della mia stessa vita. Non permetterò che ti facciano del male. Certo, non posso prometterti niente, ma solo così avremo una speranza. Una bandiera che viene sventolata o il suono dell'olifante."
"Cos'è un olifante?"
"Un corno da battaglia che rinvigorisce gli animi dei soldati. Gli Uomini delle Altre Terre lo usavano nel periodo noto a loro come Medioevo."
"Questa è follia!"
"Il mondo è folle, Arthur, e se non fermiamo Tenebrus tutto sprofonderà nelle tenebre! Tutti moriranno! Quindi, da un punto di vista pessimista, puoi scegliere tra una morte gloriosa o una vile."
"Io non posso...e poi c'è la scuola."
"Ragazzo, io sono più importante di qualunque preside. Basterà una mia parola per farti passare l'anno a pieni voti."
Arthur continuò a voltare il capo e a tenerlo chinato in segno di dissenso.
Sofos finì di sorseggiare il tè e porse la tazza a Mater, ringraziandola ancora, come se quella conversazione non fosse mai iniziata.
"Bene." proclamò alzandosi "Se cambi idea chiamami."
Mentre il vecchio si dirigeva verso la porta di casa e Mater tirava un sospiro di sollievo, Arthur sentenziò: "Va bene! Vengo con te! Ma lasciami almeno il tempo per salutare tutti. Lasciami il tempo per prepararmi."
Il vecchio non si voltò, ma sorrise e trattenne una risata, come se avesse sempre saputo che il ragazzo avrebbe accettato la sua offerta.
Dopo qualche secondo, si voltò verso di lui e decise: "Verrò domani mattina alle dieci. Sono certo che non te ne pentirai, Arthur."
Il vecchio uscì, lasciando Arthur e sua madre a contemplare Lux dalle finestre, sapendo che non sarebbe più stata la stessa, sapendo che avrebbero perso tutto.
Arthur in cuor suo sapeva, però, che era la scelta giusta.
 
*
 
Quella sera anche James non riusciva a dormire.
Pensava continuamente alla sua famiglia.
Li aveva abbandonati in un periodo così difficile, ma era proprio per questo che era partito: voleva che quel periodo terminasse per sempre.
Era un abile guerriero, era certo che avrebbe servito a dovere il suo paese.
Ora si trovava nell'accampamento militare del generale Duco, nei boschi fuori dal paradisiaco villaggio di Lux, in una tenda con altri tre soldati: Andreia, il suo migliore amico che lo aveva convinto ad entrare nell'esercito; era basso, grasso, debole, si lamentava sempre, eppure era il più coraggioso di tutti, aveva i capelli neri e corti e gli occhi del colore della notte. Poi c'era Ludus, un ragazzo che amava scherzare, alto, coi capelli rossi e ricci che risaltavano alla luce delle candele. Infine c'era Agazos, migliore amico di Ludus, buono come il pane, accontentava tutti, rendeva tutti felici come se la guerra non esistesse, era un ragazzo perfetto; era minuto, molto basso, caratterizzato dai capelli biondi e gli occhi azzurri. Erano ragazzi che credevano in qualcosa, che prendevano i discorsi del presidente come perle di saggezza, insegnamenti di vita. Non sapevano, tuttavia, a che cosa andavano incontro.
"Getteremo quei sudici orchi nell'Ade!" urlò Ludus, il più grande del gruppo.
"Per il presidente!" intonarono tutti in coro.
 
*
 
Il presidente quella notte era tormentato dall'incubo delle Noctes.
Aveva anteposto i suoi desideri ai suoi doveri, era fuggito come un vigliacco.
Le Grandi Terre non erano più al sicuro: gli orchi non si erano estinti dopo la battaglia condotta da Rex, quelle bestie erano nascoste in tutto il mondo. L'esercito di Tenebrus si stava espandendo. Sapeva che Pseustes aveva liberato i prigionieri dalla prigione che prendeva proprio il suo nome che in elfico e in greco antico significava bugiardo. La guerra era ritornata con una forza ancora più grande. Quanto sangue era stato versato e lo sarebbe ancora stato, sempre di più, fino al delirio totale.
Si alzò per andare a prendere le sue medicine. Pochi sapevano che prendeva degli antidepressivi per superare quella situazione. Il popolo credeva in lui e lui doveva essere forte. Aveva spronato molti ragazzi ad andare in guerra, sacrificando anche il suo primogenito. Quanto avrebbe voluto sprofondare con lui nelle profondità della terra e riposare in pace. Sarebbe bastato un colpo di pistola o di bacchetta o di spada. Ma era responsabile della sua famiglia e soprattutto del suo popolo. Il popolo delle Grandi Terre, il più grande territorio sulla Terra, visibile solo da coloro che ci credono veramente. Un territorio che aveva ospitato le più grandi menti del mondo e i più coraggiosi guerrieri, che pareva Atene e Sparta insieme. Doveva farcela.
Con riluttanza mandò giù la pastiglia e si sedette sulla sua poltrona in sala ad osservare dalle finestre le strade di Nike, un paesino delizioso che prima era ancora più glorioso. Aveva sonno, ma non voleva dormire: avrebbe avuto altri incubi. Si ricordava i tempi in cui combatteva contro Tenebrus e l'aveva anche sconfitto con l'aiuto di Sofos e di Rex. Ma Tenebrus era rimasto nel suo cuore e l'aveva consumato fino in fondo. Non si sarebbe mai dimenticato della notte in cui stava parlando col suo migliore amico, l'ex presidente, dieci anni dopo l'inizio della guerra, quando Tenebrus era spuntato tra le nuvole e, dopo uno spettacolo terrificante di fulmini e saette, aveva squarciato il corpo dell'amico, riducendolo a un mucchio di carne putrefatta. E lui non aveva potuto fare niente.
Continuò a pensare a quella notte, finché le palpebre si fecero pesanti e cadde in un sonno pieno di incubi di un passato che lo aveva devastato.
 
*
 
Pseustes osservò la Sala Grande dalla sommità del suo trono con orgoglio e un sorriso malefico dipinto sul volto.
Si trovava in un maestoso castello a Nox, poche miglia a ovest di Lux.
"Gli uomini di Lux cadranno nella trappola. Ne sono certo. Attaccheranno e moriranno nell'inutile tentativo di distruggere il mio enorme esercito. Non sanno con chi hanno a che fare! Non ne hanno idea..." tuonò il nuovo Re di Nox.
Erano parole di consolazione. Parlava con sé stesso, ma neanche con lui era sincero. Avrebbe tradito tutti prima o poi. Non sopportava di essere secondo a nessuno. Ma prima gli serviva l'appoggio di capi potenti per poi complottare alle loro spalle e detronizzarli. Con il suo esercito avrebbe conquistato tutte le Grandi Terre, tutti si sarebbero piegati di fronte a lui.
Divorava il suo cibo come un animale, una fiera appostata nell'ombra nell'attesa di sventrare una preda e gettarla in agonia, ma senza ucciderla, lasciandola morire miseramente di una morte dolorosa.
 
*
 
Arthur si alzò presto, fece colazione in fretta, si vestì, salutò sua madre e corse in paese a salutare i suoi amici al parco.
"Te ne vai con Sofos? E a far che?" gli domandò il suo migliore amico, Andreios, sorpreso. Era un ragazzo più alto di lui, robusto, coi capelli biondi e gli occhi marroni.
"Sì, infatti. Resta qui." aggiunse Ponos. Era basso, goffo, coi capelli rossi e ricci e gli occhi marroni che s'illuminavano quando era felice.
"Dice che sono il prescelto per sconfiggere Tenebrus. E' stato il maestro di mio padre. Non posso deluderlo. Mi dispiace." spiegò loro Arthur.
"Credi di andare da solo? Noi verremo con te." ribatté Andreios, allegro e spensierato come sempre.
"Cosa?!" dissentì Ponos.
"Non credo che Sofos sia d'accordo." fece notare Arthur.
"Chiedigli di portare degli amici. Possiamo essere d'aiuto." lo convinse Andreios.
"Va bene. Che bello! Noi tre in un'avventura..." esordì Arthur vagando per i verdi pascoli dell'immaginazione.
"Ma le avventure sono faticose!" si lamentò Ponos.
Tutti risero e s'incamminarono verso le proprie case per chiedere il permesso alle proprie famiglie e prepararsi.
Arthur, dopo aver salutato i suoi compagni di scuola che erano al parco o al bar, incontrò sul suo cammino Kora, la sua migliore amica.
"Ciao Arthur! Ho sentito che parti!" lo salutò prima allegra e poi triste, riponendo il cellulare nella borsa e abbracciandolo. I suoi capelli biondi e lunghi profumavano nell'aria autunnale dalle foglie colorate e il vento fresco che le muoveva come un fiume impetuoso. Era una ragazza alta, magra, coi capelli biondi e gli occhi azzurri. Era molto intelligente e gli era molto affezionata.
Arthur ricambiò il saluto con timidezza e la abbracciò.
"Voglio venire con te, Arthur." decise allontanandosi per un attimo.
"Sarà un viaggio pericoloso." le fece notare lui.
"Me la saprò cavare. Viene anche Ponos!"
I due risero e si avviarono verso casa di Arthur.
"Hai già avvisato la tua famiglia?" le domandò Arthur.
Per un momento si era dimenticato che la vita di Kora era molto complicata proprio a causa della sua famiglia: sua mamma era morta e suo padre, che aveva combattuto nell'esercito, era impazzito e la trattava malissimo.
Lei girò un attimo il capo verso i campi fioriti, oltre la collina, però sopra la rocca, dov'era situata la sua casa, un orrendo posto in mezzo al nulla.
Trattenne un singhiozzo e abbassò il capo.
"Sono solo contenta di andarmene." sussurrò.
Poi si riprese e continuò a osservare il cellulare.
Quando arrivarono a casa, una tremenda sorpresa li attendeva: quella incantevole dimora era stata distrutta, ridotta in un mucchio di cenere, e un cadavere si trovava nel giardino.
"Mamma!" urlò Arthur.
Furono minuti di panico, terrore, tristezza e malinconia, minuti che parevano anni, anni infiniti senza via d'uscita, con la consapevolezza che ormai erano intrappolati e non potevano fare niente.
Kora lo abbracciò, anch'essa sconvolta e in lacrime.
Anche per lei era stata come una mamma, si era sempre rifugiata a casa di Arthur quando suo padre cominciava davvero ad arrabbiarsi.
"Mi dispiace, Arthur." mormorò stringendogli la mano.
Lui era troppo triste per parlare, incapace di agire, desideroso di sprofondare nell'oscurità, desideroso di vendicarsi.
"Chiunque l'abbia fatto la pagherà." sibilò Arthur con una voce nuova, più forte, più spaventosa, che ricordava quella del padre di Kora.
Poi riacquistò la tristezza, la depressione, ma continuò ad essere coraggioso e proclamò: "Lo giuro sulla tomba di mia madre."
"Vendetta. E' questo che vuoi." mormorò una voce alle loro spalle.
Arthur si voltò di scatto e strillò: "E' tutta colpa tua! Sapevano che io oggi sarei partito con te e hanno deciso di venire a uccidermi! E hanno ucciso mia madre!"
"La morte di tua madre mi addolora più di quanto tu possa immaginare, ma la vendetta, insieme all'odio e alla paura sono caratteristiche delle Creature delle Tenebre, non degli uomini. Non degli uomini valorosi." gli spiegò Sofos, sempre calmo, come se non fosse successo nulla.
Kora era paralizzata dalla paura.
"Tu potevi proteggerla!!!" tuonò Arthur.
"No, non avrei potuto fare nulla. Pseustes, il nuovo Re di Nox e Comandante delle Creature delle Tenebre, ha mandato il suo servo più forte, l'Uomo dagli Occhi Rossi. Non sono più forte come una volta.
"Così sai chi è stato l'assassino, ma non hai potuto prevedere che ciò sarebbe successo?! E' così?!"
"L'ho previsto, Arthur, ma non volevo dirtelo. Nessuno di noi avrebbe potuto fare qualcosa."
"Se sei debole come dici, come faremo a combattere le Creature delle Tenebre?"
"Non saremo solo noi. Sapevo che avresti reclutato qualche amico. E anch'io l'ho fatto. Credi che sia scemo? Ho un esercito. Ma proprio perché sono fondamentale comunque per la missione dovremo prima cercare la Fonte del Potere degli Stregoni, anche per impedire che Pseustes ci arrivi prima di noi."
Arthur, sconfitto moralmente, col cuore spezzato, e le lacrime che bagnavano il suo volto su cui era dipinta un'espressione piena di tristezza e rabbia soffocata, si accasciò a terra, tra le macerie.
In quel momento arrivarono Andreios e Ponos e anche loro assistettero a quell'orribile spettacolo e corsero a consolare Arthur, invano.
"Dobbiamo partire." dichiarò Sofos.
Tutti annuirono, asciugandosi le lacrime, e salirono in sella ai loro cavalli.
"Si parte per la Terra degli Stregoni!" annunciò Sofos, e tutti lo seguirono per le foreste incantate delle Grandi Terre.
 
*
 
"Ci accamperemo qui questa notte." decise Sofos, una volta arrivato in una foresta ai confini della Terra degli Stregoni.
Iniziarono a sistemare tutta l'attrezzatura, una volta ripresi dallo shock.
"Vado a procurare del cibo." sentenziò Andreios.
"Posso venire con te?" gli chiese Kora, che lo guardava sempre con un'aria trasognata, consapevole sempre di più di amarlo.
"Va bene." disse Andreios, a cui non dispiaceva la compagnia di Kora.
"No. Ci andrà Arthur." decretò Sofos.
Arthur annuì, ancora turbato, salì sul suo cavallo e sparì nell'oscurità della foresta, senza capire quale disegno più grande potesse vedere Sofos.
Impugnò il suo arco e cominciò a scoccare dardi contro le fiere più facili da catturare. Era già stato a caccia molte volte con suo padre e si era anche rimediato una grossa cicatrice sul piede per aver affrontato e incredibilmente ucciso un Lupo di Montagna, grande quanto un elefante, furtivo come una volpe, sinuoso come un serpente e una delle più letali bestie delle Grandi Terre.
Ad un tratto udì un rumore, un rumore di passi.
Si ricordò la battuta di caccia con suo padre: aveva udito il medesimo rumore. Si guardò intorno, ma non c'era nessuna creatura letale, eppure il rumore c'era. Le foglie roteavano, mosse da un gelido vento autunnale. Il suo cuore cominciò a battere all'impazzata, pareva quasi che stesse per esplodere. Puntò l'arco contro il vuoto, contro il buio che nascondeva ogni cosa.
"Chi va là?!" urlò una voce.
"Mi chiamo Arthur! Sono qui sotto la protezione di Sofos." balbettò Arthur.
Non si udì una risposta, nemmeno passi.
Poi, a un certo punto qualcuno balzò dalla folta vegetazione e lo assalì.
Ma poi l'assalto parve un abbraccio, un saluto tra amici, tra fratelli.
"James?!" urlò Arthur, tirando un sospiro di sollievo.
"Già! Come mai sei qui? Cos'è successo? Non mi hai più scritto." disse James, più allegro che mai.
"Devi sapere una cosa...Non ti piacerà. Riguarda la mamma."
"Cos'è successo?!"
"E' stata uccisa...da un servo di Pseustes...l'Uomo dagli Occhi Rossi."
James si lasciò cadere a terra.
Arthur non poteva minimamente capire la sua disperazione: James si sentiva responsabile di ciò che era accaduto.
"Dovevo proteggerla!" strillò, l'eco della sua voce che rimbombava nella foresta.
"Non è stata colpa tua. Volevano uccidere me perché sapevano che Sofos mi avrebbe reclutato."
"Come mai ti ha reclutato?"
"Dice che sono il prescelto per sconfiggere Tenebrus."
Arthur sapeva che se il fratello non fosse stato male, avrebbe fatto una battuta per schernirlo, ma James stava troppo male.
"Allora uccidilo. E il primo che trova quel bastardo del servo di Pseustes lo deve ammazzare senza pietà. E anche Pseustes deve morire. E tutti quei mostri ripugnanti! Devono soffrire almeno la metà di quanto abbiamo sofferto noi! LI uccideremo tutti. E' una promessa." sibilò James.
Le parole suonavano gelide, più pericolose della lama di una spada.
Arthur annuì, abbracciò il fratello, risalì sul suo destriero e tornò all'accampamento.
Non sapeva che da quel giorno tutto sarebbe cambiato.
 
*
 
Il giorno dopo Arthur si godette la colazione preparata da Ponos e iniziò a prepararsi per il viaggio.
Sofos entrò nella tenda con lui.
"Buongiorno, Arthur." lo salutò lo stregone.
"Buongiorno, Sofos." rispose lui di buon umore.
"Devo consegnarti questa. Anche agli altri ho dato delle armi. Ora è il tuo turno." disse Sofos porgendogli un fodero rosso sangue.
Arthur lo prese, lo aprì e impugnò la spada osservandola come se fosse una dea.
La lama rifletteva la luce del sole che irradiava la stanza e faceva brillare l'arma.
"La Spada di Rex il Grande, antenato di Rex." annunciò Sofos. "Usala con saggezza. Il suo potere è immenso, ma deve essere usato responsabilmente. Privare qualcuno della sua vita è facile, ma decidere di non farlo è la scelta giusta, se possibile. Non voglio che voi ragazzi diventiate degli assassini. Io, a causa del mestiere che faccio, sono autorizzato e abituato, purtroppo, a uccidere le Creature delle Tenebre, ma non dimenticare che anche quelle più spregevoli hanno un cuore."
Arthur annuì e ripose la spada nel fodero.
Dopo essersi preparati, si diressero verso la Fonte del Potere degli Stregoni.
Per fortuna non incontrarono alcuna bestia feroce.
Una volta arrivati, si trovarono davanti a un immenso castello molto antico con in cima qualcosa di molto luminoso che brillava anche nell'oscurità della notte e che doveva essere la fonte.
Sofos li condusse in cima, ma una volta arrivati capirono di essere arrivati troppo tardi: un gruppo di Cavalieri Neri-uomini giganteschi, privi di anima, costituiti solo da un'entità nera sotto una dura corazza argentea e piena di estremità appuntite come lame di pugnali, freddi come il loro cuore-era attorno a un uomo alto e magro, dai capelli e dagli occhi rossi che scintillavano nel buio.
Egli aveva appena finito di bere la sua ciotola piena di acqua magica e si accingeva a girarsi col suo sguardo malefico verso di loro, seguito dai suoi sudditi.
Arthur, pur senza saperlo, capì che era l'Uomo dagli Occhi Rossi.
Avrebbe voluto ucciderlo, torturarlo, o almeno gridargli contro ingiurie indicibili, ma era paralizzato dal terrore come tutti.
"Sofos, che bella sorpresa rivederti." sibilò l'Uomo dagli Occhi Rossi con la sua voce da rettile.
"Vorrei poter dire la stessa cosa. Ora, se mi permettessi di passare e bere un po' di acqua magica te ne sarei grato. Sai, l'assistenza sanitaria non è più come una volta. Vuoi negare ciò a un povero vecchio?" gli chiese col suo solito tono pacato, come se si trovasse di fronte a un amico.
"Non fare il furbo con me." sibilò bloccandolo.
"Ti prego! Tu mi devi capire! Non ricordi quando anche tu eri uno stregone?! Non ricordi tutti i bei momenti passati insieme?! Tenebrus ti ha cambiato, Red." disse Sofos mostrando finalmente dei sentimenti.
"E' troppo tardi per farmi la predica! E quello non è il mio nome! Cavalieri, assaggiate un po' di quell'acqua e attaccate!" tuonò.
Sofos allora lo scansò via con la spada e si gettò contro i Cavalieri Neri, ma uno di essi lo scaraventò a terra con un energico pugno.
"Sofos, attento!" urlò Kora.
Sofos evitò i colpi di Red per un soffio.
Non si sarebbe mai dimenticato delle sue prevedibili mosse: usava sempre un coltellino, piccolo, ma letale, e colpiva sempre negli stessi punti.
Sofos si rialzò e, con un incantesimo, sollevò una statua e la gettò contro l'avversario, ma quest'ultimo la deviò e la rilanciò contro Sofos.
Il vecchio stregone la evitò con un balzo che gli costò qualche momento per riprendersi.
"Ma guardati, sei patetico. E le tue reclute ancora di più." lo schernì deviando le frecce che Andreios lanciava nell'aria.
I Cavalieri Neri attaccarono, più forti che mai.
Scaraventarono Sofos contro una parete che cedette, lasciandolo sprofondare ai piani di sotto, dove lo seguì Red.
Arthur e i suoi compagni non sapevano cosa fare: i Cavalieri Neri stavano per distruggerli e loro erano pietrificati dalla paura.
A un tratto, si udì un colpo di cannone che colpì in pieno due di loro.
Gli altri si voltarono verso il nuovo nemico: l'esercito di Duco i cui soldati si stavano arrampicando in cima alla fortezza.
Allora anche Arthur e gli altri riacquistarono coraggio e insieme scaraventarono a terra un Cavaliere Nero.
James e i suoi amici arrivarono per primi, seguiti dal generale e da molti altri soldati.
I Cavalieri neri si avventarono su di loro, ma furono respinti.
Ormai solo otto di loro erano ancora in grado di combattere, ma erano abbastanza per creare una catastrofe.
Uno di loro afferrò una pietra enorme e la lanciò contro i nemici che caddero in molti dal castello.
Mentre Arthur, Andreios, Ponos e Kora si nascondevano, i soldati pensavano a uccidere i nemici.
"C'è mio fratello. L'ho incontrato ieri sera, ma non sapevo che venisse qui. Sembra accecato dall'ira. Ha detto che avrebbe ucciso tutte le Creature delle Tenebre a causa della morte di nostra madre." bisbigliò Arthur.
Kora lo abbracciò, disperata, cercando di consolarlo.
Il generale Duco sparò contro tre di quegli orribili mostri, James ne ammazzò altri due.
Un Cavaliere Nero infilò le sue gelide dita argentee nel pavimento e lo sollevò, allontanando tutti i soldati tranne James, i suoi amici e il generale Duco che però soffrirono più degli altri e caddero a terra, sfiniti, bloccati dalle macerie.
Andreios, dal nascondiglio riuscì a scoccare un dardo avvelenato contro uno dei mostri, facendolo svenire.
Gli ultimi due corsero verso di loro, ma Ponos sparò a uno, sempre senza ucciderlo, e Arthur si gettò contro l'ultimo mostro che, nonostante non si aspettasse quella mossa, lo scaraventò facilmente a terra.
Corse verso il punto in cui l'aveva lanciato e gli sferrò un potente calcio che lo avrebbe fatto precipitare se non si fosse aggrappato bene.
"Resisti, Arthur!" lo incoraggiò il fratello.
Andreios corse verso il nemico e scoccò una freccia, ma lui la deviò e lo fece svenire con un fortissimo pugno.
Ponos intervenne, ma nemmeno lui ci riuscì.
Solo Kora, che nel frattempo aveva studiato il campo di battaglia, seppe dove attaccarlo.
Con un fendente lo stese a terra, dopodiché afferrò la mano di Arthur e lo aiutò a risalire.
Ma il cavaliere, che sembrava il più forte dei mostri, non era ancora stato sconfitto: si rialzò, afferrò Kora per un braccio e la lanciò giù dal castello.
Allora Arthur gli mozzò entrambe le braccia, lo colpì al ventre e gli puntò la spada al collo gelido.
La creatura s'inginocchiò e implorò pietà.
"Uccidilo, Arthur! Dobbiamo ucciderli tutti!" urlò James.
Arthur pensò alle parole di Sofos: " Usala con saggezza. Il suo potere è immenso, ma deve essere usato responsabilmente. Privare qualcuno della sua vita è facile, ma decidere di non farlo è la scelta giusta, se possibile. Non voglio che voi ragazzi diventiate degli assassini. Io, a causa del mestiere che faccio, sono autorizzato e abituato, purtroppo, a uccidere le Creature delle Tenebre, ma non dimenticare che anche quelle più spregevoli hanno un cuore."
"Che aspetti?!" gridò James.
Arthur levò la lama della spada dal collo della creatura e spiegò al fratello: "Non posso. Non sono un assassino."
"Sei un traditore se non lo fai!" tuonò James.
"Stai calmo, quello è tuo fratello." lo interruppe Andreia.
"Chiudi il becco, idiota!" strillò James sferrandogli un pugno in faccia.
"Ma sei impazzito?! "urlarono tutti, tranne il generale che stava male a causa di una grave ferita.
Ponos, che aveva appena riacquisito i sensi, urlò: "Attento, Arthur!"
Arthur si voltò verso il suo nemico, ma non riuscì più a capire nulla.
Il Cavaliere Nero gli aveva sferrato un calcio così potente da poterlo uccidere in poco tempo.
Arthur cadde dal castello, finendo accanto a Kora.
Ponos, adirato, corse vero il mostro e gli fece saltare in aria le gambe.
Non poteva più fare nulla.
"Devi ucciderlo! Ma nessuno mi capisce?!" urlò James.
"Nessuno nella compagnia di Sofos è un assassino." spiegò Ponos.
"Io so tutto, Ponos. Ho ucciso fino all'ultimo mago ciarlatano per vedere cos'è successo. Sei un lurido verme!"
Una paura indescrivibile percorse come un brivido la spina dorsale di Ponos, ma lui non cambiò espressione e ribatté: "Sei un pazzo!"
"Non negare i tuoi peccati, lurido verme schifoso!"
"Vuoi che ti liberi o no?"
James tacque e lasciò che Ponos li liberasse.
Ma ormai per Duco non c'erano più speranze.
I soldati se ne andarono, piangendo, tranne James la cui allegria era dovuta alla sua pazzia, una follia che l'avrebbe consumato.
Si voltò e con uno sguardo allucinante, di chi pensa a cose indicibili, fissò Ponos.
Poi seguì gli altri, senza nemmeno guardare il corpo inerte del fratello.
Ponos risvegliò Andreios e insieme riuscirono a risvegliare Arthur e Kora.
"Sofos sta ancora combattendo con Red?" domandò Arthur.
"Credo di sì." rispose Andreios.
Insieme scesero per il percorso scavato dai corpi di Sofos e Red.
Li trovarono mentre i loro incantesimi, uno bianco e uno rosso, si scontravano.
Sembrava che entrambi fossero molto potenti, ma era evidente che Sofos aveva subito più danni dell'avversario.
Prima che qualcuno potesse agire, un campo di forza impossibile da oltrepassare si creò attorno ai due stregoni.
L'incantesimo di Red stava avendo la meglio, ma Sofos non mollava.
Con uno sforzo incredibile riuscì a buttare a terra l'avversario.
Il campo di forza si dissolse e i quattro eroi iniziarono ad attaccare mentre Sofos si riprendeva.
Red si rialzò, deviò i colpi ed emanò un'onda di energia che colpì i suoi aggressori.
Sofos ne approfittò per lanciargli un forte incantesimo che lo scaraventò contro il soffitto.
Red cadde, esausto, e si smaterializzò gridando: "Ci rivedremo, Sofos!"
Il vecchio stregone tirò un sospiro di sollievo e aiutò i ragazzi a rialzarsi.
"State bene?" domandò, preoccupato.
"Sì, tutto a posto." rispose Kora.
"Siete stati bravissimi." si congratulò Sofos facendo l'occhiolino a Arthur come se sapesse che cos'era successo prima.
Arthur sorrise e lo seguì insieme agli altri in cima al castello.
Sofos bevve l'acqua magica e si sentì rinato.
"Perché non la beviamo anche noi?" domandò Andreios, incantato dalla Fonte, come se vedesse tutto il suo potere e che cosa avrebbe potuto fare con essa.
Ma Sofos si affrettò a distruggere la fonte.
"Sono questi desideri di brama che hanno portato l'umanità nell'oscurità." lo rimproverò Sofos.
"Scusi, non volevo." si scusò Andreios.
"Tu lo volevi, ma è un errore comprensibile. Per questo prima dell'incantesimo immutabile di Red l'accesso era permesso solo agli stregoni." lo perdonò, sorridendo, con un sorriso che infondeva calore, gioia e sicurezza.
La compagnia di Sofos scese dal castello, ma i cavalli erano scappati per la paura.
"Dovremo procedere a piedi." dichiarò Sofos, allegro.
"Quanto ci metteremo ad arrivare a Nox?" gli domandò Ponos.
Sofos, senza voltarsi-stranamente non osservava mai Ponos in volto se si poteva evitare-rispose: "Prima dobbiamo andare a prendere i nostri soldati. Ci aspettano oltremare, sull'isola di Festus. E prima ancora dobbiamo procurarci dei cavalli, sono certo che li troveremo proprio nella Terra degli Stregoni. Abbiamo molti soldi, perciò non abbiamo problemi. Per raggiungere la costa occidentale ci metteremo un mese se tutto va bene. Dopodiché saliremo sulla barca di Lord English, un mio amic...conoscente. Per arrivare sull'isola, sempre se tutto va bene, ci metteremo una settimana. Poi per andare a Nox ci impiegheremo poco più dell'andata. Bene, direi che ci accamperemo qui."
Tutti accordarono, anche se quel posto incuteva molto timore, specialmente di notte, quando il buio cela ogni luce, divora ogni cosa.
Quella notte Arthur non fece altro che pensare a suo fratello.
Era accaduto tutto così in fretta.
 
*
 
I giorni seguenti furono molto faticosi e pieni di angoscia: nonostante l'acquisto dei cavalli, la vita nelle foreste era troppo dura. Sofos pareva sempre più inconsapevole di ciò che faceva, come se non sapesse quali strade percorrere e come agire in certe situazioni. Ponos a volte pareva strano, forse anche lui avrebbe perso il lume della ragione. Andreios e Kora continuavano a pomiciare sotto i suoi invidiosi occhi. Tutto sembrava perduto. I suoi genitori erano stati uccisi da degli stregoni. Probabilmente sarebbe successo anche a lui o forse sarebbe diventato come James. Stava pensando che l'ira di suo fratello lo stava massacrando, presto avrebbero dovuto scontrarsi, ma Arthur non voleva fargli male, ma neanche immaginava il pericolo che avrebbe causato James per le Grandi Terre. Tutto stava cadendo nelle tenebre. Nemmeno un vessillo, una bandiera, il suono di un corno di battaglia avrebbe potuto rinvigorirlo.
Finalmente, però, dopo una settimana, quel pomeriggio erano entrati nel villaggio di Pax nella Terra dei Nani.
Dopo essere stati in mezzo al nulla per molto tempo, furono felici di entrare una locanda nel centro del villaggio.
Sofos e i ragazzi si sedettero a un tavolo e bevvero cioccolata calda come se fossero dei semplici turisti.
Ma Sofos sapeva che in quella locanda qualcuno li stava osservando, sapeva che Pseustes riusciva a intercettare ogni loro mossa.
"Ora ci alziamo con calma. Io stendo l'orco, voi pensate ai due goblin." sussurrò Sofos indicando con lo sguardo i tre mostri.
I ragazzi annuirono e ubbidirono.
Si scatenò il caos nella locanda.
Sofos impugnò la bacchetta e lanciò un incantesimo contro l'orco che cadde a terra, ma si rialzò presto, pronto ad attaccarlo con una mazza ferrata.
Il vecchio stregone impugnò anche la spada e spezzò la catena della mazza.
La grossa palla piena di aculei cadde sui grossi e orribili piedi del proprietario.
Sofos lo scaraventò contro il palco dove si esibivano i cantanti.
L'orco riprovò ad attaccare, ma Sofos lo stese definitivamente.
Intanto i quattro piccoli eroi erano occupati ad affrontare i goblin.
Uno dei mostri scaraventò Ponos a terra, facendolo subito svenire.
Come risposta, Andreios buttò a terra il goblin con un calcio e Kora lo tramortì con un fendente.
Arthur cercò di colpire il secondo goblin, ma non ci riuscì e il mostrò corse sul palco e gridò: "Venite a giocare!"
Lanciò delle stelle ninja contro Kora che non riuscì a proseguire.
Con delle altre stelle ninja il goblin colpì Andreios.
Vedendo che Arthur stava avanzando e deviava ogni colpo, il goblin balzò verso di lui, ma Sofos riuscì a intercettarlo e a trafiggergli il cuore mentre la creatura era ancora in volo.
I clienti e le bariste li osservavano spaventati, ma Sofos fece dimenticare tutto ciò che era successo con un incantesimo.
"Geniale." commentò Arthur.
"Siamo troppo deboli. Dobbiamo addestrarci. In questo villaggio c'è un campo addestramento, dobbiamo farci un salto. Ma ora godiamoci la cioccolata." dichiarò Sofos concludendo tutto con un tenero sorriso.
 
*
 
Quelle che seguirono furono ore altrettanto stancanti: dovettero allenarsi duramente con un nano psicopatico come istruttore. Sofos aveva anche pensato di insegnare la magia a Arthur e magari anche agli altri tre. Se il nano sociopatico gli era sembrato duro, non voleva immaginare come fosse lui. Il lato positivo era che ora sapeva maneggiare bene la spada e sconfiggere molti nemici, secondo i test, in poco tempo.
Quella notte non rimasero al villaggio perché secondo Sofos era troppo pericoloso, ma procedettero per la loro strada e arrivarono al confine con la Terra degli Elfi.
Ad Arthur pareva molto più sicuro il villaggio di quella foresta selvaggia, ma era Sofos il capo.
Quella notte, durante il turno di guardia di Arthur, ecco che si vide una delle creature più pericolose delle Grandi Terre, un Lupo della Montagna in tutta la sua maestosità.
All'inizio non si era accorto della loro presenza, stava bevendo presso un laghetto lì vicino. Arthur l'aveva visto, ma credeva che fosse un sogno, non aveva mai visto uno spettacolo simile: di notte il pelo del lupo diventò luminoso, la creatura ululò, la luna splendette, il lago si ghiacciò, un vento freddo invadeva il territorio circostante e...il lupo trovava la sua preda.
Si diresse verso di loro con la velocità di un ghepardo, un ghepardo molto arrabbiato, desideroso di carne.
Se lo trovò davanti, i suoi occhi marroni dentro quelli del lupo che parevano d'argento ma che nascondevano un orribile giallo che incuteva timore come lo sguardo di un serpente che si apposta nell'ombra per poi azzannare la sua preda. Era come guardare la morte negli occhi, una morte lente dolorosa o forse rapida, ma comunque molto dolorosa. Avrebbe desiderato qualsiasi altra morte senza alcuna esitazione. Osservò la creatura come se fosse l'ultima cosa che avrebbe visto. Era strano che in un momento del genere non scappasse. Osservò il volto della creatura così malefico, in procinto di divorarlo con quelle fauci enormi piene di zanne che luccicavano sotto la luce della luna. Eppure non sembrava così aggressivo come aveva immaginato.
Provò a compiere un gesto inaspettato. Sollevò il braccio e accarezzò la fiera come non aveva mai fatto nessuno e gli sussurrò all'orecchio: "Ciao bello, come stai?"
Il lupo appoggiò il capo sulla spalla di Arthur che tirò un sospiro di sollievo e osservò quel bellissimo panorama in compagnia di un nuovo amico.
 
*
 
"I lupi di montagna sono soliti legarsi a una persona per sempre e a proteggerla a costo della vita. Direi che ti sei trovato un buon amico, Arthur." spiegò Sofos mentre gli altri erano sconvolti.
Arthur sorrise e continuò a coccolare il suo cucciolo.
"Però non consiglio agli altri di avvicinarsi poiché si lega solo a una persona ed è estremamente gelosa." li avvertì Sofos prima che qualcuno venisse sbranato dal lupo.
Arthur si sedette sotto l'ombra di un albero insieme a Sofos.
"Sofos, non so se sarò in grado di affrontare tutto ciò che mi aspetta. D'altro canto però ormai ci sono dentro fino al collo. Vorrei che tutto tornasse come prima." disse Arthur.
"Non proveresti emozioni che proverai in quest'avventura. La tua storia è già scritta. Ti è stata offerta una grande occasione, Arthur. Non sprecarla. E' una grande occasione per un piccolo uomo, ma questo piccolo uomo diventerà grande proprio grazie a quest'occasione. Non rifiutare il tuo destino. Questo è solo l'inizio di una serie di pericoli che tutti noi correremo. Ma tu diventerai un eroe proprio perché non ambisci a questo titolo, non hai chiesto niente in cambio, proprio come i tuoi amici. Il destino è già scritto. Dobbiamo solo leggerlo." sentenziò Sofos fumando la sua pipa e contemplando il sole che sorgeva e illuminava la loro prossima meta: la Terra degli Elfi.
   
 
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