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Autore: Aine Walsh    28/07/2013    5 recensioni
[IN REVISIONE]
È da poco più di due anni che non ci vediamo e so di non essermi comportato nel migliore dei modi nei suoi confronti, ma nonostante ciò lei non ha esitato a corrermi incontro alla prima chiamata. Non mi trovo affatto in una bella situazione, insomma.
* * *
NdA, spiegazioni e altre avvertenze all'interno.
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7. Quarta parte
 

31/12/2015

 
Non ho voglia di mangiare e credo anche di aver bruciato quella specie di pizza. Poco importa. Non ho voglia di fare niente, in effetti.
Mi sento un completo coglione; dopo che Heaven è andata via sono rimasto a fissare la strada fuori dalla finestra per un po’, forse sperando di vederla ritornare.
Ha smesso di nevicare, si è fatto buio e il freddo fa appannare i vetri delle finestre. Guardo istintivamente l’appendiabiti e mi accorgo che non ha preso il giubbotto: devo portarglielo, in fondo sono sicuro di sapere dove sia andata.
Mi avvolgo una sciarpa intorno al collo e sono pronto ad andare, ma un pensiero mi blocca con la mano sulla maniglia. Cosa dovrei dirle? L’ho cacciata di casa nel più sgarbato dei modi. E comunque ha ragione: ci sono troppe cose rimaste in sospeso tra noi, cose che forse non siamo nemmeno in grado di risolvere, specie dopo aver lasciato passare così tanto tempo. Magari era questa la fine a cui eravamo da sempre destinati, magari non siamo davvero fatti l’uno per l’altra e ci siamo solo illusi.
Magari. Magari. Magari.
Mi ritrovo a passeggiare avanti e indietro per tutta la cucina.
Abbiamo sbagliato tante cose in passato, era inevitabile arrivare a questo punto. Ma nessuno dice che sia inevitabile continuare in questo modo, o sbaglio?
Mi fermo un attimo, prendendomi la testa tra le mani.
Non so che fare. Oppure sì, solo che non so come farlo e ho paura delle conseguenze. Una parte di me mi invita a riflettere meno e ad agire di più, affidandomi all’istinto; non se ascoltarla. L’istinto mi ha fregato parecchie volte prima d’oggi e non sono tanto convinto di potermi fidare. È anche vero che non sono più l’idiota di qualche anno fa, pare che la maturità si sia finalmente decisa a fare una visita anche me.
Respiro profondamente e mi ritrovo fuori casa prima di potermene rendere conto; sto già camminando verso il fiume, sotto la luce dei lampioni, con le scarpe che affondano nelle neve. Cerco di non pensare a nulla, provo a distrarmi concentrandomi su altro (un’auto che passa, l’odore di legna bruciata, l’aria festosa che si intravede da ogni finestra…), ma ogni tentativo si rivela vano non appena la vedo lì seduta a gambe incrociate come sempre, come l’ultima volta.
Non so cosa farò, non so da dove iniziare. Forse sapevo già che sarebbe andata a finire così e che questa non sarebbe stata una giornata come le altre, forse il mio invito non era stato del tutto all’oscuro di quest’aspetto.
La osservo un po’ da lontano, quasi nascosto dietro l’albero. Mi avvicino e le poggio il giubbotto sulle spalle gelide; non dice nulla e non mi guarda nemmeno, ma mi siedo ugualmente al suo fianco. Restiamo in silenzio per minuti interi e mi piacerebbe che sia lei la prima ad attaccare discorso, ma so che non lo farà. Tra i tanti modi per sopperire all’assenza di parole, però, non avrei potuto sceglierne uno più banale.
«Tra poco anche quest’anno sarà passato». Non batte neanche le palpebre. «Siamo già arrivati al 2016, pensa. Sembra che il 2015 sia arrivato solo l’altro ieri, non ti pare? E le cose vanno, nel bene o nel male. Assistiamo a così tanti cambiamenti in poco tempo che è incredibile come…».
«Lo stai dicendo alla persona giusta» mi interrompe. Non credo di averla mai vista tanto incazzata in tutto questi anni. Avrei dovuto aspettarmelo.
«Beh sì, è naturale» farfuglio.
Di nuovo silenzio; poi Heaven si alza e fa per andarsene, spiazzandomi.
«Dove pensi di…?».
«Preferirei passare la notte sul pavimento della stazione, piuttosto che restare qui con te».
«Quanto sei drastica».
«Non calarti nella parte del ragazzo tranquillo e scherzoso che non ha pensieri: mi stai più sui nervi».
Serro la mascella, sentendo come la situazione mi stia del tutto sfuggendo di mano. «Non possiamo solo provare a salvare il salvabile?».
«Salvare il salvabile?! Dio mio, Aaron, ti ascolti quando parli?!».
«No, perché ho così tanta confusione e tante cose da dire da non sapere più dove dovermi aggrappare».
Mi guarda un attimo con la bocca dischiusa. Sta facendo di tutto per apparire forte e senza esitazioni, ma vacilla. «Vai a lamentarti con qualcun altro. Oppure fai un tuffo: l’acqua dovrebbe rinfrescarti le idee».
O magari farmi congelare; ho la sensazione che stia più pensando a questo.
Attendo una sua reazione, ma non si muove di un millimetro e ha solo il respiro più accelerato.
«Senti, se è per quella volta, quando ti ho detto che potevi benissimo andare a studiare alla Juillard, io… io pensavo che ti avrebbe fatto piacere».
«Avevamo già parecchi problemi, non c’è bisogno di tirare in ballo la Juillard» taglia corto.
«D’accordo, ma credo che dovremo parlare anche di quello per…».
«Sta’ zitto! – sbotta – Ancora non capisci che quella era solo una bugia e io a New York non ho mai messo piede? Sono andata via, è vero, ma non ero certo in America». Sta piangendo, eppure non sono in grado di consolarla. Sto pensando ad altro. Scuote la testa, non so che dire. «Mi dispiace, va bene? Sono scappata come una codarda e meritavo di non essere cercata da parte tua. Ho preferito mentire e… È stata una cosa idiota, non avrei dovuto farla ma…» s’interrompe, non riesce più a fermare le lacrime.
Edimburgo, certo. Come ho fatto a non pensarci prima? Nessuno sapeva della sua vita a New York, tutti parlavano di lei solo in relazione della sua vita in Scozia. Il bello è che l’ho anche cercata, in un primo momento. Ma, evidentemente, ero troppo distratto e avevo gettato la spugna prima di accorgermene. Razza di idiota, quanti sbagli ho fatto?
Aspetto che si calmi e poi le passo il pacchetto di fazzolettini che avevo per caso trovato prima, infilando la mano nella tasca del giubbotto.
«Non avresti dovuto dirmi di andarmene».
«Lo so».
Asciuga appena gli occhi e stringe forte il fazzoletto bagno. «Eri già innamorato di Sam».
Sgrano gli occhi, improvvisamente nel panico e preso alla sprovvista. «Io cosa? No, no… non c’è…».
«Non è una domanda e non devi giustificarti, non dobbiamo neanche parlare di questo. È solo che…».
Mi prendo la testa tra le mani. Adesso sono io a interromperla. «Perché fingere una situazione del genere? Eri gelosa? Cos’eri? Era uno di quegli stupidi trucchetti femminili, eh?». Abbassa il capo e non risponde. «Scommetto che avrei dovuto dirti di non partire, di restare e di sacrificare il tuo futuro per un mio capriccio. Ovviamente non sapendo che si trattasse solo di una farsa».
Non so più che pensare, non so nemmeno se dover continuare a pensare, in effetti. Non credo valga la pena di portare avanti la questione, sono dell’idea di dover ripartire e riscrivere dall’inizio e lasciarci alle spalle tutto quello che è successo. Non mi importa quanto tempo ci vorrà, proverò. Proverò e spero che lei mi capisca. In fondo, ho sempre ritenuto egoisticamente di essere il solo a conoscerla veramente. E anche lei lo sa, me lo rinfacciava spesso.
«Bene» affermo, risoluto.
Sbuffa. «Proprio benissimo».
«Sì, direi che abbiamo fatto abbastanza errori da poter stendere un velo pietoso sulla questione e poter ricominciare da capo».
Mi fissa per un attimo, immaginando sicuramente che io mi sia bevuto il cervello. «Ricominciare? Come sarebbe a dire, che significa?».
«Beh, si ricomincia quando si decide di dare un nuovo inizio a qualcosa… il concetto è più o meno quello».
«So cosa vuol dire, idiota» sorride appena e a capo chino, tirando su col naso, ma sorride. Ed io mi sento un tuffo al cuore.
Le tendo una mano, sorridendo a mia volta. «Quindi affare fatto?».
Scuote la testa e alza il capo a guardare i primi fuochi d’artificio illuminare il cielo, al di là del fiume. Do un’occhiata all’orologio e vedo che è appena scoccata la mezzanotte.
Mi azzardo a passarle un braccio intorno alle spalle e a stringerla un po’ di più. «Buon anno nuovo» le sussurro all’orecchio.
Contro ogni aspettativa, fa un mezzo giro e mi abbraccia poggiando il capo sul mio petto. «Un giorno mi spiegherai come abbiamo fatto a uscire da questo casino perché, davvero, non lo capisco. Ero venuta qui con le migliori intenzioni del mondo, ma poi è scattato qualcosa e non ce l’ho fatta.  Adesso invece…».
«La forza dell’abitudine» mi limito a rispondere. In realtà non so nemmeno io come o cosa abbia fatto di preciso e sono molto più confuso di prima, però Heaven ride e va benissimo così.
«A questo punto… piacere, io sono Aaron».
«Heaven, il piacere è tutto mio».
Adesso possiamo fare sul serio.

The show must go on...

Anche se siamo arrivati alla fine. E che fine (?).
Non so cosa pensiate di questo finale, della storia in generale, dei protagonisti o di me, però, nel bene o nel male, questa fic è finita.
E il problema adesso è che io non sono affatto brava coi ringraziamenti, a-ehm.

Ci tengo tantissimo a dire un "Grazie" a tutti, a chi ha letto, preferito, ricordato, seguito e recensito, a chi è rimasto nell'ombra e a chi ha aspettato pazientemente che io pubblicassi :)
A prescindere dal risultato, mi sono divertita a scrivere anche questa storia... sebbene quest'ultimo capitolo mi abbia portato via non poche forze xD In più, sono contenta di aver contribuito a far aprire l'Aaron Johnson's fandom e, chissà, magari dopo aver visto anche Kick-Ass 2 questa sciagurata che sono potrebbe tornare all'attacco con qualcosa di nuovo...
Vi ringrazio ancora tanto, ma tanto tanto tanto per tutto il sostegno e le bellissime parole ;')
Buona estate.
Un abbraccione,

A. <3
 
  
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