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Autore: Codivilla    28/07/2013    11 recensioni
[Constantine (film)]
Chaz Kramer è un giovane ragazzo con la passione per l'esoterismo e l'occulto e una venerazione per John Constantine. Il suo sogno è sempre stato quello di incontrare l'Esorcista di Los Angeles e diventare il suo assistente per scendere in campo a sua volta nella lotta contro il demonio.
- Missing Moments dal film, in cui manca il primo incontro tra Chaz e John -
• Dal testo:
Si sentì improvvisamente addosso gli occhi rossi del demonio. Senza pupille, come due sigarette accese nella notte più nera, sopra un ghigno di denti aguzzi che sembravano aspettare soltanto di banchettare con la sua carne. Deglutì trattenendo un grido di orrore: continuando a guardare verso di lui, la bambina proruppe in una nuova risata gutturale. Chiuse gli occhi sentendosi venir meno. Quella risata sguaiata gli trapassava il cervello, sentiva il cranio spaccarglisi a metà.
• Disclaimer: i personaggi citati non mi appartengono. Sono proprietà degli autori del film "Constantine" del 2005, diretto da Francis Lawrence ed interpretati da Keanu Reeves e Shia LaBeouf. La mia versione dei personaggi è per sommi capi quella che si vede nel film, anche se nel testo c'è qualche riferimento al fumetto Hellblazer.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Come Tonto, o Robin 
«Non sei il mio schiavo, Chaz.
Sei il mio apprezzatissimo apprendista. Come Tonto, o Robin.
O quel tizio magro con l’amico grasso».
- dal film “Constantine” (2005) -
 

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     «In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, extinguatur in te ominus virtus diaboli! In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti!»[1]
Il giovane ragazzo fu costretto a distogliere lo sguardo quando udì la forza e la fermezza di quella voce, incapace di sopportare a lungo la vista della bambina che convulsamente si agitava, legata al letto per i polsi e le caviglie con delle cinghie di dura pelle scura. La potenza delle parole in Latino faceva tremare perfino i muri di quello squallido appartamentino di Los Angeles, così simile a quello proprio accanto, in cui lui stesso abitava ormai da anni da solo. Era sgattaiolato dentro nell’indifferenza generale quando aveva sentito dire che per la piccola Consuela ogni ulteriore tentativo sarebbe stato inutile e che non c’era che un’unica soluzione per eradicare il Male che si era impossessato di lei. Effrazione, violazione di domicilio privato? Sì, probabile che fossero quelli i reati per cui rischiava di essere accusato. Ma non gli importava niente. Non di fronte a quell’occasione irripetibile.
Lui sapeva bene di chi stessero parlando i vicini di casa. C'era gente di tutte le nazionalità, in quella degradante palazzina abitata da famiglie di bassa prora, che campavano alla giornata. Messicani, asiatici, qualche caucasico, perfino qualche discendente dei veri indiani d’America. Sussurravano a mezza voce, in quell’Inglese sporcato dagli accenti più disparati. Chaz sapeva quale fosse il nome che sfiorava le loro labbra, pronunciato con riverenza, oltre che con un certo grado di timore. Doveva vederlo in azione, doveva parlargli. Ed ora, eccolo lì, il Ministro di Dio, a pochi passi da lui, che impiegava tutte le sue forze per liberare la ragazzina dalla sua possessione.
Tremò dalla paura dietro l’anta della porta dove si era acquattato, seminascosto. Poteva sentire i propri denti esibirsi in un macabro concerto al ritmo di quei tremiti. Il suo stesso odore era quello del puro terrore. Per tutta risposta alle invocazioni Consuela, orribilmente trasformata nel corpo e nel viso, proruppe in una risata che raggelava il sangue nelle vene. Una risata che faceva risuonare nell’aria il suono di mille anime torturate all’inferno, a bruciare fra le fiamme; il rumore delle carni strappate via dai corpi martoriati e l’asfissiante crepitio del fuoco eterno. Un rivolo di sudore freddo si fece strada dietro la nuca del ragazzo, andando ad inumidirgli il colletto della camicia; in quel corridoio di passaggio fra la cucina e la stanza della piccola faceva un caldo fottuto. O forse la realtà era che nonostante i tanti libri letti sugli esorcismi e sull’occultismo, se la stava facendo letteralmente sotto alla vista di quello spettacolo disumano. Nessun libro l’aveva preparato alla visione di una bambina che si trasformasse in un mostro di quella specie.
Si sentì improvvisamente addosso gli occhi rossi del demonio. Senza pupille, come due sigarette accese nella notte più nera, sopra un ghigno di denti aguzzi che sembravano aspettare soltanto di banchettare con la sua carne. Deglutì trattenendo un grido di orrore: continuando a guardare verso di lui, la bambina proruppe in una nuova risata gutturale. Chiuse gli occhi sentendosi venir meno. Quella risata sguaiata gli trapassava il cervello, sentiva il cranio spaccarglisi a metà. Si portò le mani alle orecchie premendo con tanta forza che avrebbe potuto farle sanguinare. Si aspettava che da un momento all'altro il sudicio pavimento di parquet scadente dell’appartamento si aprisse sotto i suoi piedi facendolo sprofondare all'Inferno, perduto fra le fiamme. Quel che gli diede il coraggio di riaprire gli occhi fu la sensazione di essere pervaso da uno strano calore, che si opponeva al gelido orrore provocatogli dalla vista della bambina. Si accorse che l’Esorcista lo stava guardando, proprio nell’istante in cui tornò a fissare la scena. Come in una lotta, l’effetto terrorifico dello sguardo del demonio si faceva più fievole, attenuato dalla forza spirituale che gli trasmetteva lo sguardo fiero di quell’uomo.
«Per impositionem manum mearum et per invocationem Gloriosae et Sanctae Dei Genitricis Virginis Mariae. In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti!»[2]
La lingua inferica parlata dal demonio si sovrappose alle locuzioni latine. Sibili e versi simili a quelli di serpenti a sonagli che cercavano disperatamente di ribellarsi alle preghiere benefiche del Ministro. Una serie di convulsioni più forti scosse la bambina, facendo tremare i piedi del letto sul pavimento. Le cinghie ai polsi e alle caviglie le segavano le carni facendola sanguinare ad ogni movimento inconsulto ed i lunghi capelli neri erano sparsi sul volto deformato nelle sembianze brutali di uno dei servi del Sommamente Impuro. L’Esorcista stava chino sopra di lei, tenendole premuta una piccola croce d’argento sulla fronte, la cui pelle bruciava e si consumava ad ogni invocazione, emanando un fil di fumo fetido di zolfo. D’un tratto, le convulsioni ebbero fine. I tratti del viso della bambina si distesero. Il ghigno demoniaco lasciò spazio a piccole labbra a forma cuore; la pelle rugosa e sporca tornò morbida e liscia, del colorito bronzeo tipico dei Messicani. Respirava regolarmente, come se nulla fosse successo, come se dormisse tranquilla. Non avrebbe conservato ricordo alcuno di quella possessione. Se non una cicatrice, leggera, a forma di croce. Proprio al centro della fronte.
L’Esorcista chinò il capo lasciandosi sfuggire un sospiro. Restò fermo, per un lungo attimo, prima di scendere dal letto ed uscire dalla porta della stanza. Parve non interessarsi affatto dei ringraziamenti della madre e del padre della bambina; un solo sguardo al ragazzo impaurito che ancora se ne stava nascosto dietro la porta, prima di continuare la sua strada lungo i corridoi che conducevano fuori dall’appartamento.
 
 

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    «Signor Constantine! Signor Constantine! Aspetti, per favore!»
L’Esorcista si sistemò addosso il malandato soprabito nero, lungo fino alle ginocchia, mentre scendeva le scale della palazzina. Non si voltò al richiamo che aveva udito provenire dietro le proprie spalle. Pescò nella tasca del soprabito un pacchetto di sigarette Silk Cut[3], lo scosse facendone fuoriuscire una, che catturò poi fra le labbra. Ripose il pacchetto e si accese quel venefico, sottile cilindretto, facendo scattare uno zippo d’argento intarsiato di strani simboli esoterici. Ne spense la fiamma con un gesto secco e lo fece sparire nelle tasche. Continuò a camminare guardando di fronte a sé lo squallido tramonto che circondava la cittadina di Los Angeles, una volta che fu uscito nel cortile del palazzo. Uno spiraglio di un pallido sole che faceva capolino nell’aria densa di smog e polvere. Lui odiava quella città. Ad ogni boccata d’aria che respirava, riaffioravano alla mente ricordi di viaggi fra un piano e l’altro, non esattamente piacevoli. Mancava solo la puzza di zolfo e non sarebbe stato dissimile dalla accogliente casa del vecchio Lù[4]. La puzza di merda, quella, c’era già in abbondanza.
«Ehi, ehi! Aspetti!»
Era quasi arrivato al cancelletto del cortile. Avrebbe tranquillamente aperto l’anta e sarebbe uscito fuori, se non fosse stato per il ritrovarsi fra capo e collo, davanti ai suoi passi, il ragazzo che era nascosto dietro la porta durante il suo esorcismo. Con la stessa faccia da coniglietto impaurito, tra l’altro. Un ragazzino gracile dai ricci capelli castani, gli occhi grandi verde scuro e l’acne che la faceva da padrone sul viso dai tratti ancora acerbi. Indossava un paio di jeans scoloriti da troppi lavaggi, con una camicia a scacchi gialli e marroni. Constantine si accorse che aveva dei piedi enormi: dovevano essere almeno un quarantacinque, a giudicare dalle dimensioni delle malandate scarpe da ginnastica che indossava.
Aspirò una boccata profonda dalla sigaretta, accostandola alle labbra con la mano sinistra. Perché John Constantine era inevitabilmente mancino[5]. Alla Destra del Padre c’era già chi di dovere. Uno come lui poteva stare solo alla Sinistra di qualcun altro. Come se non lo sapesse già di per certo, quale posto gli fosse stato riservato all’altro mondo.
Soffiò il fumo fuori dalle labbra, che si corrucciarono poi in una espressione severa.
«Torna a casa, piccolo».
Chaz strabuzzò gli occhi a quella affermazione. Era come se lui sapesse già esattamente il motivo per cui l’aveva rincorso per l’intera palazzina. Si fece improvvisamente ancor più gracile di quel che era, di fronte alla figura imponente dell’Esorcista.
John Constantine era un uomo alto, che risultava ancora più magro di quello che fosse in realtà, avvolto in quel vecchio soprabito. Tutto quel che aleggiava intorno a lui rasentava lo squallido: forse per l’aria malaticcia del viso pallido dai tratti affilati, con le occhiaie scure marcate e testimoni di sonni brevi e tormentati. O forse erano quei capelli neri che sembravano non venir tagliati da un po’ e si sistemavano in quel ciuffo alto sulla fronte ampia. Indossava una camicia bianca dall’aria costosa, insieme ad una cravatta nera e a un paio di pantaloni pure neri. Abiti puliti, questo sì; e stridevano terribilmente con gli scarponcini di pelle che erano consunti alla punta e sui talloni, come se quell’uomo avesse camminato fin troppo nella propria vita. Ma erano gli occhi di lui che Chaz stava fissando, senza essere in grado di distogliere lo sguardo. Leggermente a mandorla, di un castano così scuro che nella penombra del tramonto era difficile distinguerne la pupilla, sotto le sopracciglia folte ed aggrottate dal taglio severo e ombroso. Constantine dimostrava tanto calore e vitalità in quegli occhi, quanta trascuratezza traspariva invece dal resto del suo corpo. Nonostante tutto, però, non si poteva dire che non fosse un uomo piacente. Quantomeno nell’aspetto fisico. Perché per il resto era un fottutissimo, presuntuoso stronzo. Ce l’aveva pure, l’anima del bravo ragazzo, da qualche parte. Solo che gli anni passati a fare a pugni coi servi di Satana l’avevano relegata chissà dove. Non gli sarebbe servita comunque a molto, in fondo.
«Signor Constantine, è...» balbettò Chaz, evidentemente intimidito «…è un onore per me conoscerla. Sono Chaz Kramer».
Il singolare Ministro di Dio guardò con aria scettica la mano che il ragazzo gli stava tendendo. Per tutta risposta, le sue labbra si serrarono nuovamente intorno al filtro della sigaretta. Aspirò quello che per lui era oramai croce e delizia, avidamente, come se la sua stessa esistenza dipendesse solo e soltanto dalla quantità di nicotina che riusciva ad incamerare nel suo corpo. Ogni tanto pensava ad Hennessy e al suo vizio di friggersi il cervello con l’alcool. In un certo senso non era poi così diverso da lui.
La nuvola di fumo prese Chaz in pieno viso, e il ragazzo tossicchiò timidamente, ritirando la mano per portarsela davanti alla bocca. Quando rialzò lo sguardo su Constantine, questi lo stava osservando con un sopracciglio inarcato.
«Sei sulla mia strada» disse, monocorde.
«Lo so. Cioè, io... dovevo assolutamente parlarle. So tutto di lei, signore, e…» Chaz sembrava adesso quasi una ragazzina esaltata di fronte al suo cantante preferito «…cavolo, l’esorcismo con cui ha… in quella stanza… beh… fantastico!»
Il ciarlare sconclusionato di Chaz stava innervosendo l’Esorcista, che da parte sua continuava a fumare. Il ragazzo poteva notare che le due dita della mano sinistra con cui stringeva la sigaretta, l’indice e il medio, erano leggermente macchiate ed ingiallite.
«Era solo un esorcismo minore[6]».
«Oh, sì, signore» Chaz annuì vivamente «Dal Rituale del 1523. Le sette unzioni in punto di morte».
Constantine aggrottò per un momento le sopracciglia a quelle parole. Si concesse l’ultimo tiro dalla sigaretta. Tenne il mozzicone a mezz’aria fra le dita, per poi farlo cadere a terra, ancora fumante. Lo spense sotto il piede sinistro.
«Che cosa vuoi?» chiese infine, sbrigativo, ficcando le mani nelle tasche del soprabito. Quel ragazzino gli stava facendo perdere tempo, cosa che lui non sopportava.
Chaz deglutì rumorosamente.
«Voglio imparare da lei, signore».
In tutta la discussione, quelle poche parole erano state le uniche che il ragazzo aveva pronunciato con vera fermezza, e non biascicando come uno scolaretto impaurito di fronte al suo maestro. L’Esorcista lo squadrò da capo a piedi, inclinando la testa di lato e socchiudendo le palpebre con circospezione. Allungò il braccio destro verso la spalla di lui e lo scostò, liberandosi il passo per quel tanto che bastava ad aprirsi la porta del cancelletto, uscendo fuori dal piccolo cortile dimesso su cui stava, pian piano, scendendo la notte. S’incamminò dandogli le spalle.
Chaz alzò gli occhi al cielo e lo raggiunse nuovamente, adeguandosi al ritmo dei suoi passi e camminandogli accanto.
«Sul serio! So tutto di lei! Il mostro di Newcastle nel ’77, la setta di Brujerìa![7]» insistette, gesticolando animatamente «Fin da piccolo ho letto tutto sull’esoterismo, potrei anche esserle utile, in qualche modo!»
Constantine pareva sordo a quello sproloquio, continuando a camminare verso la fermata degli autobus dall’altra parte della strada. Attraversò col rosso. Tanto in quella zona desolata di Los Angeles non ci passava anima viva. Tranne quel tizio con la Chevrolet verde che per poco non mise sotto Chaz, che continuava a parlare senza fare attenzione alla strada e seguendo i passi dell’alto uomo.
«La prego, signor Constantine! Mi prenda con sé!»
Il viso dell’Esorcista proruppe in una smorfia di disgusto. I capricci da moccioso dell’asilo non li sopportava proprio. Si piantò sotto la pensilina della fermata, rovistando nel soprabito alla ricerca di una nuova sigaretta.
«E poi ad ogni eroe serve un apprendista, no?»
Chaz giocò quell’ultima carta nell’istante stesso in cui lo zippo di Constantine proruppe in una fiammata nella penombra, illuminandogli il viso e conferendo ai suoi tratti una parvenza di ulteriore mistero. Il ragazzo guardò la sigaretta adesso accesa, che brillava incandescente mentre l’Esorcista ne aspirava una profonda boccata; gli tornarono alla mente gli occhi demoniaci della ragazzina, e sentì un piccolo brivido farsi strada per l’intera lunghezza della sua colonna vertebrale. L’aria si riempì dell’odore forte di fumo, che si mischiava alla cappa di polvere proveniente dal vecchio asfalto corroso dai troppi anni, in quella strada dimenticata da Dio e dagli uomini. Improvvisamente, Constantine puntò gli occhi in quelli del ragazzo, che indietreggiò di un passo come se avesse visto un fantasma. La severità che alloggiava in quelle iridi castane lo fece sentire indifeso come un agnello di fronte ad un lupo.
«Ascoltami bene, ragazzino» sussurrò con voce bassa, leggermente arrochita, e l’alito che sapeva pesantemente di tabacco «Io non sono un eroe. Sono uno che esce dall’ombra e affronta ogni giorno la follia della gente. Scaccio demoni. Li prendo a calci nelle palle e ci sputo sopra prima di tornarmene nell’ombra[8]».
Una nuova boccata dalla sigaretta. Il tono del Ministro era pacato, a tratti quasi monotono, profondo come il più scuro degli abissi e al contempo dolce come una nenia. Eppure incuteva nell’animo di Chaz un timore che sfiorava l’essere reverenziale. Gli sembrava quasi di essere tornato indietro, nella stanza di Consuela, e di ascoltarlo mentre declamava le invocazioni in Latino, forte e arrogante come lui stesso sognava un giorno di diventare.
«Io cammino da solo. Non mi servono altri fantasmi attorno».
A quell’ultima frase, Constantine si voltò verso la tabella degli orari degli autobus, dando le spalle a Chaz e riprendendo ad ignorarlo bellamente. Tirò convulsamente dalla sigaretta e guardò l’orologio proprio sopra alla tabella, sbuffando.
«L’unica cosa che mi servirebbe è una dannata macchina» aggiunse, rivolto a sé stesso, scuotendo il capo.
Quando si girò, il ragazzino era sparito. E la sigaretta volgeva mestamente al termine, come quella giornata che stava declinando lentamente nella notte.
 
 

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    Stava ancora aspettando l’autobus quando udì uno strombazzare dietro le sue spalle. Un vecchio taxi scassato aveva accostato al marciapiede, giusto di fronte alla fermata. Un classico taxi di Los Angeles, giallo con le scritte nere, che aveva tutta l’aria di avere nelle sospensioni almeno una decina d’anni, a giudicare dal rumore che fece frenando. La marmitta sputava fuori fumo denso e grigio, che contribuiva ad appestare l’aria tutto intorno. Guardò dentro l’abitacolo, chinandosi un poco.
La mano di Chaz dall’interno lo salutò timidamente.
L’Esorcista scosse il capo, restando fermo fuori dal taxi. Quel ragazzino era duro a morire. Il sedile anteriore era pieno stipato di libri sull’occulto e l’esoterismo. C’era perfino una copia del Rituale che aveva citato poco prima. L’ombra di un sorriso gli comparve sul volto emaciato.
Chaz scese dall’auto, grattandosi la nuca con fare imbarazzato. Aveva adesso calcato in testa un berretto simile ad una coppola di quelle che gli uomini portano nel Sud Italia. Guardava Constantine come a ricercarne l’approvazione.
«Ho pensato che… se non le serve un apprendista… insomma…» il ragazzo fece una pausa «…magari un autista va bene uguale».
Constantine non rispose. Restò impalato sul posto per un lungo ulteriore attimo, come se stesse ponderando la decisione migliore. Poi allungò la mano verso la maniglia della portiera e scivolò silenziosamente sul sedile posteriore. Chiuse la portiera facendola sbattere con un tonfo sordo.
Chaz sembrò trattenersi dal saltare di gioia, mentre riprendeva il posto di guida.
«Dove l’hai preso, questo rottame?»
«E’ di mio cugino, faceva il tassista. Ha cambiato mestiere da un po’, ma l’auto gli è rimasta».
Chaz evitò di dire che aveva dovuto pregare suo cugino in aramaico antico per poterla utilizzare e che era stato minacciato di morte lenta ed atroce nel caso alla macchina fosse capitato anche solo un graffio. Il motore ancora acceso faceva uno strano rumore metallico, come se due bulloni stessero facendo a testate fra di loro. Forse avrebbe dovuto passare la revisione e parecchi dei pezzi andavano sostituiti. Ma funzionava e quello era l’importante. L’unico appiglio che gli rimaneva per poter seguire John Constantine da vicino. Guardò nello specchietto retrovisore. Gli occhi scuri dell’Esorcista lo stavano fissando insistentemente.
«Lo sai che non si torna indietro, una volta partiti?»
Un nuovo brivido scosse la schiena di Chaz. Ma lui annuì, semplicemente. Constantine gli vide negli occhi la determinazione giusta perché potesse camminare insieme a lui. Sospirò leggermente.
«Fai la Alvarado. E dammi del tu, non sono ancora così vecchio».
«D’accordo, John».
Chaz ingranò la prima e si diresse verso l’uscita della strada statale. Il giorno aveva oramai lasciato definitivamente posto alla notte, illuminata solo dai fari malandati di quel taxi consunto e arrugginito, cigolante lungo la via.
Constantine si rilassò, distendendo le lunghe gambe innanzi a sé e guardandosi i piedi. Quantomeno da quel giorno avrebbe risparmiato la suola delle scarpe.

 

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Note: 
[1]«Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, si estingua nel tuo corpo ogni virtù del diavolo! Nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo!»
[2] «Attraverso l’imposizione delle mie mani e per invocazione della Gloriosa Santa Vergine Maria, Madre di Dio! Nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo!»
[3] La marca di sigarette fumata da Constantine è una informazione che si estrapola dal fumetto Hellblazer.
[4]Nel film, Lucifero è chiamato amichevolmente da Constantine .
[5]Il fatto che Constantine sia mancino in realtà non è riportato nel fumetto originario. Nel film, egli è mancino poiché Keanu Reeves lo è; ed in un certo senso, è una coincidenza curiosa. Constantine nel film è un suicida, tornato sulla terra dopo essere morto per due minuti. Come tale, alla sua morte, l’unico posto che lo attende è l’inferno con la dannazione eterna, per aver commesso peccato mortale. Analizzando la storia europea si incontrano vari episodi che mostrano come l'utilizzo della mano sinistra non fosse visto di buon occhio, anzi: la mano sinistra era considerata la "mano del diavolo", degli "invertiti" e dei "rovesciati". I bambini erano costretti, anche con punizioni corporali, a scrivere con la mano destra. La sinistra è sempre stata «l'altra» mano, quella del diavolo, dipinto nelle iconografie medievali con due arti identici e non speculari: la mano «sbagliata» per definizione. L'etimologia stessa della parola mancino non aiuta sicuramente a considerare il mancinismo positivamente. Mancino deriva infatti dal latino "mancus" ed è sinonimo di mutilato e storpio. In questo modo, anche il fatto che Constantine sia mancino denota un forte legame con il Diavolo, quantomeno nella mia visione della storia.
[6] In realtà le parole citate, riprese dal film, fanno parte del testo di una delle versioni antiche del Rituale dell’Unzione degli Infermi, risalente all’incirca al 1500 e poi divenuta Estrema Unzione. In questo senso l’esorcismo viene visto come una manovra curativa e terapeutica, allo stesso modo in cui l’Unzione serve a purificare l’anima dei morenti per prepararla al passaggio verso la Vita Eterna.
[7]Episodi presenti nel fumetto, ma non nel film.
[8]Citazione liberamente rivisitata dal fumetto, Dangerous Habits, part.1, Hellblazer n. 41.

 

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Sì, decisamente Constantine mi ispira parecchio nello scrivere. Una OS dedicata al piccolo Chaz, che adoro. Un appunto: il nome è volutamente scritto come "Chaz" e non "Chas". Lo preferisco come forma grafica.
Grazie a chiunque passerà di qui. 
 

 

   
 
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