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Autore: Kaeru    01/10/2004    2 recensioni
Cosa ha reso Rukawa così apatico nei confronti della vita?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutti hanno dei segreti

Rieccomi con l’ennesima fan fiction su Slam Dunk. Non ne posso fare a meno ^_^

Ovviamente i personaggi sono di Takehiko Inoue eccetto la famiglia Orashi che è frutto della mia psiche malata…

 

^_^ Buona lettura ^_^

 

Ricominciare

 

Tutti hanno dei segreti. Siano essi sogni nel cassetto, sentimenti inconfessabili, crimini commessi. Non esiste alcuna persona totalmente sincera ed aperta da non averne.

Ma esiste almeno una persona, che se anche non è a conoscenza dei tuoi segreti, ha la capacità di capire ogni tua piccola sfumatura. Quando sei arrabbiato, quando sei triste, quando sei felice, quando cerchi di nascondere qualcosa… quella persona lo capisce. Può domandarti spiegazioni, ma il più delle volte l’unica cosa che vuole e mostrarti che c’è. Che è lì con te. Per te. E tu allora capisci che quella persona ti conosce bene. Meglio di quanto ti possano conoscere i tuoi stessi genitori. Forse meglio di quanto non ti conosca tu stesso.

Quando trovi quella persona, che sembra fatta apposta per stare con te, una grande felicità ti avvolge. Ti senti libero di essere come sei davvero. Senza artifizi o inganni. E capisci che è la cosa più bella che possa succederti. Perché mentire, fingere o nascondere qualcosa, fa consumare molte energie. Poter essere sé stessi al contrario, sebbene sia più difficile del mentire o del fingere, ti da una gran carica di energia.

Ma se quella persona così perfetta per te, in un modo o nell’altro, ti viene portata via, non c’è niente che ti possa evitare di cadere nella più nera disperazione.

Kaede Rukawa, il ragazzo più popolare, corteggiato, invidiato e ammirato del liceo Shohoku, questo lo sa bene.

Ombroso, apatico, sempre inespressivo, spesso indifferente, determinato, serioso e affascinante. Questo è ciò che dicono di lui. O per lo meno lo dicono coloro che lo conoscono superficialmente.

Chi lo conosce bene, sa che in realtà lui non è affatto così. Quella che da anni ormai si ostina a vivere non è altro che una minima parvenza di ciò che era.

Da bambino, infatti, era estremamente espansivo, rideva sempre, parlava ininterrottamente ed era una vera peste.

Durante il primo anno delle medie, conobbe una ragazza. Lei era altrettanto solare ed espansiva. Fecero amicizia in fretta. Quell’amicizia che lega il cuore di due persone a filo doppio. Quell’amicizia quasi palpabile. Quell’amicizia che ti rende libero di essere te stesso.

Fu proprio durante quell’anno che Kaede Rukawa conobbe l’ebbrezza della grande felicità.

Con lei passava ogni momento libero possibile. Lei gli aveva insegnato a giocare a basket e lui l’aveva superata in bravura in pochissimo tempo. Lei era la sua compagna di giochi. La sua confidente. La sua ammiratrice numero uno. La sua isola, quando aveva bisogno di stare tranquillo. La responsabile di quella grande gioia.

E la responsabile della più nera disperazione in cui era caduto all’inizio del secondo anno delle medie.

Miabi Orashi, questo il nome della ragazza, fu travolta da un’auto.

Lei e Kaede stavano facendo una gara a chi arrivava prima al campo di basket.

Per arrivarci dovevano attraversare un incrocio.

Kaede lo aveva attraversato e aveva notato che il semaforo stava per cambiare da arancione a rosso. Si fermò sapendo che la ragazza era diversi metri dietro di lui. Si volse indietro.

Miabi stava attraversando di corsa la strada.

Una macchina a tutta velocità, per riuscire a passare prima che il semaforo diventasse rosso, la travolse. La ragazza fu colpita in pieno.

Kaede osservò la scena paralizzato.

Gli ci vollero alcuni secondi per ritrovare l’uso delle gambe e della voce. Corse verso la sua amica, immobile in mezzo alla strada, gridando il suo nome. Sperando di vederla alzarsi e dire che stava bene.

Ma questo non accadde. Non accadde mai.

L’ambulanza arrivò in fretta.

Mentre la stavano trasportando a tutta velocità all’ospedale più vicino, Kaede continuava a ripetere il suo nome, come una preghiera.

Quando arrivarono, la ragazza fu portata velocemente in sala operatoria.

Kaede ancora adesso, dopo diversi anni, non ricordava nulla di quelle ore interminabili in sala d’attesa.

Ma ricordava ancora chiaramente il momento in cui il medico era uscito dalla sala operatoria e aveva parlato alcuni minuti in privato con i genitori di Miabi.

Quando il ragazzo vide la madre della sua amica, piangere disperatamente, si sentì morire. Corse verso il padre di Miabi chiedendo cosa fosse successo.

La ragazza era entrata in coma. Le possibilità che si riprendesse erano estremamente basse. Circa dell’1%.

Quel giorno Kaede mostrò per l’ultima volta un’espressione sul suo viso. Si accasciò a terra e gridò il suo dolore. Poi, incapace di resistervi, svenne.

Quando si svegliò, vide intorno a sé le facce preoccupate e sofferenti dei suoi genitori.

Da quel momento, non era passato giorno senza che fosse andato in ospedale.

Aveva smesso di ridere, di divertirsi, ma aveva continuato a giocare a basket, perché era l’unico momento in cui gli sembrava quasi di avvertire la presenza di Miabi vicino a lui. Quasi fosse l’unico contatto rimasto tra i due.

Fu così che impegnando anima e corpo in quello sport tanto importante per lui divenne la matricola d’oro del liceo Shohoku. Arrivando a poter confrontarsi direttamente contro avversari del calibro di Sendo, Fujima e altri giocatori di fama nazionale. Battendoli.

Ora eccolo a tre anni di distanza, mentre si allenava con i suoi compagni di squadra in vista delle eliminatorie valide per il campionato nazionale.

Aveva appena messo a segno uno slam dunk, quando, detergendosi il sudore della fronte, vide un ragazzo che indossava la divisa di un’altra scuola fermo sulla soglia della palestra. Questi lo stava osservando.

Kaede notò nei suoi occhi la disperazione. Tutto intorno a lui smise di avere importanza. La sensazione che stesse per succedere qualcosa di drammatico aleggiava in lui.

Si avvicinò velocemente al ragazzo.

I suoi compagni di squadra lo osservarono. Non era da Rukawa, interrompere un allenamento.

« Cosa?! » Il grido di Rukawa echeggiò in tutta la palestra. L’atleta dovette appoggiarsi al ragazzo con cui stava parlando, temendo che le sue gambe cedessero da un momento all’altro.

 

« Ti prego, Kaede. Devi fare qualcosa. » Stava dicendo il ragazzo.

Ma Rukawa sembrava non sentirlo più. Il suo sguardo era perso nel vuoto.

« Non puoi lasciare che succeda. Io ho provato a persuaderli di non farlo, ma non mi hanno voluto dare retta. Dicono che lo fanno anche per te. Perché non tu ti faccia più del male, andando in ospedale ogni giorno. Ogni loro speranza è morta… E presto lo sarà anche lei. »

« No… No… No… » Rukawa riusciva solo a ripetere quell’unica parola. Come se bastasse a cancellare ciò che quel ragazzo aveva detto. Ciò che i genitori di Miabi avevano intenzione di fare.

« Rukawa! Se non li fermerai, staccheranno i macchinari! Senza essi Miabi non potrebbe sopravvivere. Ti prego… Fa qualcosa… » Ormai dagli occhi del ragazzo, cugino di Miabi, avevano iniziato a scendere copiose lacrime. « Non puoi permettere che la facciano morire! »

Quest’ultima frase, sembrò far ritornare in sé Rukawa. Osservò il ragazzo di fronte a lui alcuni istanti. Poi iniziò a correre verso il cancello principale. Prese la sua bicicletta e iniziò a pedalare più velocemente possibile.

Pregò con tutto sé stesso, di arrivare in tempo.

All’ospedale non si preoccupò di parcheggiare la bici. L’appoggiò contro il muro e corse nella stanza di Miabi.

Spalancò la porta e vide davanti a sé i genitori della ragazza, un medico ed un infermiera.

Il medico si stava apprestando a staccare le macchine.

La madre di Miabi, si fece incontro al ragazzo visibilmente scosso, cercando di calmarlo.

« Kaede… »

« Che state facendo? » Domandò con un filo di voce. « Che state facendo?! » Ripeté quasi gridando, avvicinandosi al letto in cui riposava la sua amica.

« Kaede… ragazzo mio… Abbiamo deciso di lasciarla libera. » Mormorò il padre di Miabi.

« E per voi questo equivale a lasciarla libera?! Voi così la state solo uccidendo! Non potete farlo! »

« Mi dispiace, ma ormai abbiamo preso una decisione. » Disse la madre della ragazza.

Il marito cercò di trascinare via Rukawa, con l’aiuto di un’infermiera che era sopraggiunta sentendo le grida del ragazzo.

Mentre lo trattenevano, la madre di Miabi, disse al medico di continuare.

Rukawa, sentendosi totalmente impotente, fece l’unica cosa che gli fu possibile. Gridò. Gridò con quanto fiato aveva in gola. « No! Non fatelo! Non portatemela via! Non potete lasciarla andare così! Miabi! MIABI! » Le lacrime gli scorrevano copiose sulle guance. Il suo sguardo era disperato.

Il medico, guardandolo, esitò alcuni istanti. Fu l’infermiera a farlo ritornare alla realtà.

« Dottor Sugosi! » Lo chiamò, indicandogli la ragazza stesa sul letto.

Il silenzio calò nella stanza.

Una lacrima rigava il viso di Miabi. Sebbene restando incosciente, le labbra della ragazza si mossero emettendo un debole suono: « Kae… de… »

Tutti rimasero shockati. Il padre di Miabi, allentò la presa su Rukawa.

Il ragazzo, rendendosi conto di essere libero, si avvicinò al letto.

Prese tra le sue una mano dell’amica e disse, la voce ridotta ad un sussurro per l’emozione: « Sono qui Miabi. Sono qui con te. Non me ne vado. E non lascerò che sia tu ad andartene. »

Subito dopo chinò il suo viso su quello della ragazza. Con le labbra raccolse la lacrima, muta testimone del fatto che, dovunque fosse, lei l’aveva sentito e del fatto che lui non si fosse immaginato di udire quel sussurro.

Il dottore guardò Rukawa. Poi si rivolse ai genitori della ragazza. « Volete procedere ancora? »

Kaede si volse verso i due coniugi. Una preghiera inespressa nei suoi occhi colmi di disperazione, ma anche illuminati da una piccola fiamma di speranza.

Dopo aver scambiato uno sguardo con il marito, la donna scosse la testa.

Kaede lasciò andare il respiro che inconsciamente aveva trattenuto, mormorando un ringraziamento che gli veniva dal cuore.

Si girò poi verso la sua amica e rimase immobile a guardarla. La mano di lei ancora tra le sue.

 

Nelle tre settimane che passarono, Miabi non ebbe alcun miglioramento.

I medici erano stati chiari al riguardo. Ciò che era successo, non significava necessariamente che ci sarebbero stati dei cambiamenti nel suo stato.

Eppure Rukawa, non volle darsi per vinto.

Come sempre, ogni giorno andava a trovarla. Ma ora non si limitava più ad osservarla in silenzio. Ora ad ogni visita le parlava. Di qualunque cosa gli venisse in mente. Le raccontava di come aveva trascorso la giornata. Dei piccoli scontri con Sakuragi. Delle sue fan scatenate che non facevano altro che seguirlo per la scuola. Di come lui riuscisse sempre a seminarle. Spesso si ritrovava a ricordare i vecchi tempi. Il periodo più felice della sua vita, quando lei era sempre al suo fianco.

Cercava però di non parlare del giorno dell’incidente.

Nonostante fossero passati tre anni, quel ricordo era ancora troppo doloroso per riuscire ad affrontarlo.

Eppure, una sera involontariamente il discorso gli cadde proprio su quel giorno.

« Ricordi quanto eravamo felici insieme? Quanto ci divertivamo. E le nostre sfide a basket? Ce la mettevi tutta per battermi, ma io ero troppo forte per te… » Si azzittì alcuni secondi. Quando riprese, i suoi occhi erano velati di tristezza. « Mi manchi Miabi. Mi mancano le nostre partite. Mi mancano i nostri discorsi di ore e ore. Mi mancano i nostri battibecchi che finivano in una risata. Mi manca la tua risata. Mi mancano i tuoi occhi. Mi mancano persino le tue battute di scherno, quando mi battevi con i videogiochi. » Disse con un amaro sorriso. Lentamente abbassò la testa la poggiò sulle mani poggiate a loro volta sul letto. Il sorriso sostituito dalle lacrime. « Miabi… Se quel giorno, non avessi proposto quella stupida gara… Se avessi corso più lentamente… Se mi fossi fermato prima del semaforo, per aspettarti… Se avessi camminato con te, invece che correre… Invece, non ho fatto niente di tutto questo! E ho dovuto vederti in queste condizioni, per capire quanto tu fossi importante per me. Per capire quanto ti amassi... »

 

Una mezz’oretta dopo, Rukawa uscì dall’ospedale.

Come sempre aveva con sé la sua fedele bicicletta, ma sentiva il bisogno di camminare.

Il rumore familiare di un pallone che rimbalzava, lo guidò quasi ipnoticamente fino ad un campo di street basket.

Guardò oltre la recinzione e vide la sua nemesi.

Anche Sakuragi lo vide. « E tu che ci fai da queste parti? Sei venuto a spiarmi per carpire i segreti del basketman Sakuragi? » Chiese, egocentrico come al solito.

Rukawa lo osservò. Non gli rispose e riprese a camminare.

Sakuragi aveva notato lo sguardo cupo del compagno di squadra e lo raggiunse, fermandolo per un braccio.

« Ehi. Tutto bene? »

« Ti preoccupi per me? » Chiese stupito Rukawa, notando la reale apprensione negli occhi del ragazzo.

« Mi sembri stano. Sembra che ti sia passata sopra una macchina. » Disse cercando di sdrammatizzare. Ma si rese conto dell’ombra che passò sul viso di Rukawa. « Rukawa che hai? »

« Niente. » Rispose con un filo di voce il ragazzo.

« Ti consiglio di non lasciare il basket per la recitazione. Ti ritroveresti senza lavoro nel giro di un’ora. »

Senza quasi rendersene conto Rukawa iniziò a rilassarsi.

« Ho sete. Andiamo in quel bar? » Disse Sakuragi, indicando un locale poco distante da loro.

L’altro si limitò ad annuire.

 

Erano seduti al tavolo da diversi minuti, ma nessuno dei due aveva ancora parlato.

Fu Sakuragi il primo a farlo.

« Come sta la tua amica? » disse osservandolo.

Rukawa lo guardò stupito.

« Il giorno in cui sei scappato via dagli allenamenti. Abbiamo chiesto al ragazzo con cui stavi parlando, cosa fosse successo. Lui non ha voluto dirci niente. Quella sera stessa, mentre tornavo a casa dagli allenamenti, lo incontrai. Decisi di chiedergli nuovamente ciò che era successo. Mi ci è voluto un po’ per convincerlo, ma alla fine mi ha raccontato della ragazza in coma da tre anni. Mi ha detto che ogni giorno vai a trovarla in ospedale e che lui era venuto ad avvertirti dell’intenzione dei genitori di lei di staccare le macchine. »

Rukawa teneva lo sguardo basso. Il silenzio tornò ad avvolgerli di nuovo. Poi Rukawa, schiarendosi la voce, disse: « Il suo nome è Miabi. Ci siamo conosciuti in prima media e siamo diventati subito inseparabili. È stata lei ad insegnarmi a giocare a basket. » Notò lo sguardo stupito di Sakuragi, mentre il suo stesso sguardo si fece improvvisamente cupo. Debolmente gli raccontò dell’incidente.

Mentre parlava si chiese come mai stesse dicendo tutte quelle cose a Sakuragi. Poi capì. Aveva un assoluto bisogno di sfogarsi con qualcuno sapendo che questi non avrebbe rivelato in giro i fatti suoi. Inconsciamente, si rese conto che, per quanto non dimostrassero di andare d’accordo, lui si fidava di Sakuragi. Sapeva che avrebbe tenuto per sé quelle notizie.

« Non è solo un’amica, vero? » Domandò Sakuragi senza mezzi termini.

« No, infatti. Ma l’ho capito soltanto quando la stavo per perdere per la seconda volta. »

« So cosa significa perdere una persona amata. » mormorò Sakuragi. « Quando frequentavo la seconda media, tornato a casa da scuola, trovai mio padre in preda ad un infarto. L’ospedale è vicino a casa mia, perciò decisi di correre a chiamare qualcuno. Ero circa a metà strada, quando fui fermato da una banda di teppisti. Li avevo già stesi parecchie volte. Quel giorno avevano portato dei rinforzi. Liberatomi di loro, corsi fino all’ospedale. Quando con un medico arrivammo a casa mia, mio padre fece in tempo a dire solo poche parole, prima di morire… Non ho fatto in tempo a salvarlo… Me lo sono rimproverato così tante volte… Ancora adesso me lo rimprovero. »

Rukawa lo osservò stupito. Com’era possibile che con il dolore che aveva provato, fosse diventato un ragazzo così estroverso e sempre allegro?

Sakuragi parve leggergli nel pensiero. « L’ultima frase di mio padre è stata: “Non arrenderti mai alla disperazione. Vivi guardando sempre al futuro e mai al passato.” È per questo che mi mostro sempre così allegro. Ho promesso sulla sua lapide che non mi sarei mai arreso. Qualunque fosse l’ostacolo. E meno che mai alla disperazione. »

Finirono di bere i loro drink in silenzio. Consci di essere più simili di quanto pensassero.

 

Usciti dal locale si guardarono. Sakuragi chiuse una mano a pugno e la mise tra sé e Rukawa e disse: « Non arrenderti alla disperazione. »

Rukawa imitò il compagno stringendo la mano a pugno e l’appoggiò contro quella del ragazzo. « Non lo farò. »

Sakuragi sorrise.

Fecero un breve tratto di strada uno di fianco all’altro.

Quando dovettero separarsi, Rukawa ringraziò Sakuragi che annuì.

 

Il giorno seguente agli allenamenti tutti notarono lo strano comportamento di Rukawa e Sakuragi. Non si scambiavano insulti e cosa ancora più strana avevano iniziato a fare un minimo gioco di squadra.

Finiti gli allenamenti, Rukawa si diresse verso la sua bicicletta.

Sakuragi lo raggiunse. « Posso venire con te? » gli domandò tranquillo.

« In ospedale? »

« Sì. Sono curioso di vedere com’è la ragazza che ti ha fatto innamorare. »

Dopo un breve istante, Rukawa annuì.

 

Erano fuori dalla stanza di Miabi. « Te lo dico affinché tu sia preparato. È attaccata a diversi macchinari. » lo avvertì Rukawa.

Dopodiché entrarono.

Sakuragi osservò la ragazza stesa nel letto. Nonostante il colorito pallido era piuttosto carina. Non era una di quelle bellezze assolute che ogni ragazzo si sente in dovere di fischiare. Ma di sicuro avrebbe attirato una notevole quantità di ragazzi.

Rukawa si sedette sulla sua solita sedia, dopo aver posato un bacio sulla fronte dell’amica mormorando: « Ciao Miabi. » Indicò a Sakuragi un’altra sedia vicino al letto e anche lui si accomodò.

« Oggi non sono solo Miabi. Ho portato un mio amico. Si chiama Sakuragi. Ti ho già parlato di lui, ricordi? È il mio compagno di squadra, nonché la mia nemesi. » disse guardando il ragazzo che sorrise a quell’ultima affermazione.

« Ciao Miabi. Sono Sakuragi. Rukawa mi ha parlato così tanto di te, che ho voluto vederti. » disse il ragazzo.

Stavano parlando da un po’. L’atmosfera era piuttosto rilassata.

« Sai Miabi. Il tuo amico ha uno stuolo di fan incallite che ogni giorno piombano in palestra a fare un casino incredibile. » Disse ridacchiando Sakuragi. Poi tornando serio aggiunse. « Ma credo che lui non se ne accorga nemmeno. Poiché l’unica ragazza che gli interessa sei tu. »

Rukawa continuò a guardare Miabi. Una mano della ragazza tra le sue.

« Già. L’unica che voglio sei tu Miabi. Perciò ti prego, torna da me. »

In quel momento entrarono nella stanza i genitori della ragazza.

Rukawa si affrettò a fare le presentazioni.

La madre di Miabi stava per dire qualcosa, ma un debole sussurro riempì la stanza. « Dove sono? »

Tutti puntarono i loro occhi su Miabi.

Praticamente increduli videro gli occhi aperti della ragazza, vagare intorno a sé e su di loro.

« Dove sono? » Ripeté leggermente a voce più alta.

I genitori si precipitarono ad abbracciarla. Il padre schiacciò il pulsante per chiamare l’infermiera.

Kaede si lasciò cadere sulla sedia. Non ricordava di avere mai provato una gioia tanto immensa. Nella sua testa si ripeteva la frase: « È uscita dal coma! È uscita dal coma! »

Prendendosi il viso tra le mani nascose le lacrime di gioia che si liberavano dai suoi occhi.

Sakuragi, commosso, poggiò una mano sulla spalla dell’amico.

« Oh, piccola mia… » stava dicendo la madre di Miabi.

« Come ti senti? » Le domandò il padre.

I genitori, notando che non rispondeva, si spostarono un po’. Probabilmente era frastornata.

Miabi fece vagare lo sguardo sulle quattro persone con lei nella stanza. Infine disse: « Chi siete? »

Rukawa alzò di scatto la testa. Sakuragi strinse la mano sulla spalla di Rukawa. Il padre di Miabi si appoggiò con una mano al muro, mentre la moglie diceva: « Tesoro che dici? Io sono la tua mamma. E questo è tuo padre. E il ragazzo sulla sedia è Kaede, il tuo migliore amico. »

La ragazza osservò Sakuragi.

« Io sono solo un amico di Kaede. » disse rispondendo alla muta domanda della ragazza.

« Io… Io non vi conosco. » Disse debolmente la ragazza, facendo fatica a respirare.

Nel frattempo era arrivata l’infermiera in compagnia di un medico che come vide la ragazza sveglia si stupì.

Notando, però, il suo affanno le si portò vicino, dicendo agli altri di uscire.

 

Quando li raggiunse fuori dalla stanza, il medico spiegò loro che Miabi aveva avuto un attacco di panico. « A quanto pare non ha memoria di voi. Può succedere che persone che si risvegliano dal coma dopo anni, abbiano problemi a rammentare subito le cose. Potrebbero volerci diversi giorni. O mesi. Ma devo avvertirvi che potrebbe anche non recuperarla. Come vi dissi tre anni fa, durante l’operazione ha avuto un arresto cardiaco. Il suo cervello è rimasto, seppur per poco tempo, senza ossigeno. Ciò può causare dei danni, tra cui la perdita della memoria. »

I genitori di Miabi e Rukawa avevano subito un altro duro colpo. Hanamichi li osservò, poi disse: « So che non sono affari miei, ma credo che ora dovreste pensare solo al fatto che si è svegliata dal coma. Il medico ha detto che la perdita di memoria potrebbe essere solo momentanea. In ogni caso dovreste esserne felici. È tornata a vivere. »

I due coniugi e Rukawa lo osservarono e capirono che aveva ragione.

Cercando di darsi un contegno, ringraziarono Sakuragi.

I genitori tornarono da Miabi.

« E tu cosa aspetti ad andare da lei? » Domandò il rosso a Rukawa notando che rimaneva fermo.

Il ragazzo lo guardò e lo ringraziò sinceramente.

Sakuragi gli sorrise e gli fece cenno di andare dalla ragazza. Lui sarebbe tornato a casa sua.

Prima che il ragazzo entrasse nella stanza dell’amica, Sakuragi gli disse: « Se dovessi aver bisogno, sai dove trovarmi. »

Rukawa annuì ed oltrepassò la porta.

 

Il giorno seguente il risveglio di Miabi, iniziarono le vacanze invernali. Non sarebbero durate molto, soltanto dieci giorni, ma tutti erano felici di potersi riposare un po’ dallo studio.

Rukawa ne approfittò per passare più tempo con l’amica.

Miabi era ancora in ospedale per finire degli esami di accertamento.

Quel pomeriggio i due ragazzi erano soli.

Lei era seduta sul letto, mentre Rukawa le stava sbucciando una mela.

Miabi lo osservava attentamente.

Doveva ammettere che quel ragazzo era piuttosto affascinante. Beh, sarebbe più corretto dire molto affascinante, pensò tra sé.

La frangia lunga sembrava schermare i suoi occhi dallo sguardo altrui. La pelle chiara lo faceva sembrare quasi una statua forgiata da mani esperte. Il sorriso che le mostrava, pareva illuminare la sua stanza. Sì, stabilì, è decisamente molto affascinante.

Si decise a fargli la domanda che l’aveva colta, quando dopo essersi calmata il giorno prima, aveva iniziato a riflettere razionalmente. « Io e te eravamo molto amici? »

Rukawa le sorrise dolcemente, poggiando la mela sbucciata su un piatto e pulendosi le mani con un tovagliolo. « Sì. Eravamo grandi amici. Inseparabili. »

« Solo amici? » indagò.

« Perché me lo chiedi? »

Lei lo osservò, poi disse: « Solo per curiosità. »

« Eravamo solo amici. » Spiegò infine.

Miabi annuì, continuando a guardarlo.

« Se vuoi farmi altre domande, falle pure. »

« Come ci siamo conosciuti? »

« In prima media siamo capitati nella stessa classe. Eravamo vicini di banco. Facemmo subito amicizia. »

« Ti va di raccontarmi un po’ come ero? »

« Eri… Beh, eri una ragazza davvero pestifera. » Rise notando l’espressione sconvolta di Miabi. « È inutile che fai quella faccia. Lo eri davvero. Eri un’adorabile, piccola peste. » Mentre parlava il suo tono si addolcì. Iniziò a raccontare degli aneddoti sul loro passato.

Ascoltandolo, a Miabi sembrò di sentire parlare di una sconosciuta. Ma si rese conto di una cosa. Una cosa che forse, non avrebbe voluto scoprire.

Cercò di far finta di niente. Solo quando Rukawa la lasciò sola per andare agli allenamenti il suo volto assunse un espressione triste.

Era triste per il ragazzo. Dal suo tono e dal modo in cui le parlava aveva capito che Rukawa era innamorato di lei e che soffriva per il fatto che lei non lo riconoscesse, che non si ricordasse di lui. Il ragazzo cercava di non darlo a vedere, ma Miabi lo aveva capito ugualmente e si sentiva in colpa rendendosi conto di quanta sofferenza gli avesse causato. Si promise di mettercela tutta per riuscire a ricordare. Voleva farlo per lui. Perché nonostante non lo ricordasse, si sentiva molto legata a lui. Ancora di più che ai signori che dicevano di essere i suoi genitori.

 

Il giorno seguente Miabi venne dimessa dall’ospedale.

Rukawa aveva deciso di starle vicino.

Quando arrivarono a casa della famiglia della ragazza, questa la osservò attentamente.

Era una villetta su due piani bianca con le tegole del tetto e le rifiniture delle finestre marrone scuro. Aveva davanti un piccolo giardino con un gazebo anch’esso bianco con disegni verde-azzurro.

Cercò qualcosa che le risultasse familiare, ma niente lo era.

Entrarono all’interno della villetta. Miabi continuò ad osservare tutto attentamente. Sentiva su di sé gli sguardi speranzosi dei genitori e di Rukawa.

Le fecero fare un giro di tutte le stanze del pianterreno, poi la condussero al primo piano e continuarono il giro. Per ultima lasciarono la sua stanza.

Era in ordine. Il letto era posto sotto una finestra. Ai lati della testiera vi erano due comodini. Su una parete, sotto un’altra finestra, era posta la scrivania. La terza parete era occupata da un armadio e da una cassettiera con sopra un televisore. L’ultima parete aveva diversi ripiani su cui erano poggiati dei peluche e dei libri. Scorse il titolo di alcuni di essi e ne prese in mano uno. Facevano tutti parte della stessa collana di libri d’avventura. Inoltre vi era una piccola bacheca in sughero sulle quali erano attaccate delle fotografie. Le osservò. In praticamente tutte c’era Rukawa. In alcune erano ritratti entrambi. Vedendo tutte quelle foto del ragazzo, intuì quanto uniti dovessero essere stati. Purtroppo, però, nessun ricordo riaffiorò alla sua mente.

 

Rukawa stava tornando a casa. Era piuttosto tardi, ma non aveva fretta di rientrare. Continuava a pensare a quel pomeriggio. Dentro di sé aveva sperato che vedendo la sua stanza avesse potuto ricordare qualcosa, ma la sua era stata una vana speranza. Si sentiva abbattuto, deluso ed impotente.

 

Miabi aveva promesso all’amico di andare a vedere la partita di basket che si sarebbe svolta il giorno seguente. Mentre lo osservava giocare, si sentì stringere il cuore. Da quando si era svegliata lui era sempre con lei. E anche quando non c’era fisicamente lei avvertiva la sua presenza, come se fossero uniti profondamente. Mentre lo vedeva in campo, avvertì il proprio cuore correre più veloce.

Lo Shohoku vinse la partita con un vantaggio di trenta punti.

Mentre tornava alla panchina, Rukawa alzò lo sguardo su di lei e le rivolse un luminoso sorriso.

Le sue fan rimasero imbambolate a fissarlo. Era la prima volta che lo vedevano con un’espressione del genere ed invidiarono la ragazza verso cui era rivolta.

Mentre i ragazzi si stavano cambiando, Miabi aspettò fuori dallo spogliatoio.

Rukawa uscì in compagnia di Sakuragi.

Come la videro le andarono incontro.

« Complimenti per la partita. » Disse la ragazza ai due giocatori che prontamente la ringraziarono.

« Come va? » Le chiese Sakuragi.

« Bene, grazie. »

« Ne sono felice. Soprattutto visto il cambiamento che c’è stato in Rukawa dal tuo risveglio. » Il ragazzo in questione, fulminò Sakuragi con lo sguardo, ma lui fece finta di niente e continuò imperterrito. « A quanto pare con te si è risvegliato anche lui. »

« Che vuoi dire? »

« Niente. » Si intromise Rukawa.

Ma Sakuragi fece un cenno con la mano come a dire di non dargli retta e poi disse: « Da quando lo conosco è sempre stato chiuso in se stesso ed inespressivo, mentre ora è visibilmente più allegro ed espansivo. »

« Sakuragi, vai dalla tua Akagi, che ti sta aspettando. » Disse Rukawa, spingendolo via.

Il rosso rise e li salutò.

« E’ vero quello che ha detto? » chiese Miabi.

« Beh, sì. » ammise.

« Il tuo essere chiuso dipendeva dal mio incidente? » Volle sapere.

Mentre parlavano si incamminarono all’esterno della palestra, verso il parco.

« Sì. Quel giorno è stato il più brutto della mia vita. Dopo quello che era successo, non potevo più essere spensierato come prima. » ammise.

Miabi annuì.

Camminarono in silenzio per alcuni istanti.

Passarono davanti ad un campo di basket. Rukawa si fermò e disse: « In questo campo mi hai insegnato a giocare a basket. » Il suo tono era nostalgico.

« Ti ho insegnato io a giocare? » chiese stupita.

« Proprio così. Anche se, modestamente, ti ho superato in fretta. »

« Ma davvero? » disse con un pizzico di ironia.

« Già. »

Miabi lo osservò alcuni istanti, poi disse: « Ti va una piccola sfida? »

Negli occhi di Rukawa vi fu un guizzo di speranza e gioia. « Sono a tua completa disposizione. »

Entrarono nel campo e il ragazzo prese il pallone che teneva nella sua sacca, insieme al ricambio.

Miabi notò che giocare a basket le veniva estremamente naturale.

Il divario di capacità tra i due era elevato, oltretutto Miabi si era appena ripresa dopo tre anni di sonno profondo, quindi il risultato non stupì nessuno.

Ma entrambi i ragazzi in quel momento non giocavano per vincere. Giocavano per divertirsi.

Quando Miabi stremata implorò Rukawa di finire la partita, i due si sedettero a bordo campo.

Mentre riprendeva fiato, Miabi notò che Rukawa sembrava volesse chiederle qualcosa, ma si tratteneva dal farlo.

« Parla pure. » Gli disse con un dolce sorriso.

Il ragazzo restò alcuni istanti a fissarla. Ogni volta che sorrideva in quel modo si sentiva sempre più legato a lei. Riprendendosi disse: « Mi chiedevo se giocare a basket ti avesse aiutato a ricordare qualcosa. »

La ragazza si rabbuiò. Immaginava che fosse quella la domanda che voleva farle. E si sentì triste ed in colpa nel dovergli dare una delusione. Scosse lentamente la testa.

Rukawa annuì debolmente.

Restarono in silenzio alcuni istanti.

« Da quando mi sono svegliata, sto facendo di tutto per cercare di ricordare. Ma non è semplice. Per quanto io mi sforzi, non ci riesco. » disse Miabi tristemente.

« Posso immaginare che vivere senza ricordi sia duro, ma bisogna avere fiducia… »

« Non mi interessano i miei ricordi! » disse interrompendolo bruscamente.

Lui la osservò stupito della sua affermazione.

Lei proseguì con tono più calmo. « Io sento di poter vivere felicemente anche senza i miei ricordi passati. Non è per me che voglio a tutti i costi ricordare. »

« Come sarebbe che non è per te che vuoi ricordare? Per cosa allora? »

Lei piegò le gambe davanti a sé e vi allacciò le braccia intorno. Abbassò la testa fino a toccare le ginocchia e disse: « Lo faccio per i miei genitori e per te. Sento che il fatto di non avere più i miei ricordi vi fa soffrire. Io non voglio essere la causa di altra sofferenza. Guardandovi ho capito quanto il fatto di essere stata in coma vi abbia fatto stare male. Non posso sopportare di farvene ancora a causa dei miei ricordi perduti. E’ per questo che mi sto sforzando. »

Rukawa rimase in silenzio. Lei proseguì.

« Ho paura che se io non ricordassi tutto, voi vi allontanereste da me. »

« Non potremmo mai allontanarci da te. Ti vogliamo troppo bene. »

« Invece tu lo stai già iniziando a fare. Stai già allontanandoti da me. »

« Ma che dici? »

« Non lo capisci? Ogni volta che mi guardi, nei tuoi occhi vedo soltanto una profonda delusione. Non ci vorrà molto prima che tu ti stanchi di starmi vicino. In fondo io non sono più la ragazza che amavi. »

Rukawa rimase a bocca aperta. Come aveva fatto a capire che era innamorato di lei? Scosse la testa rendendosi conto che non era quella la questione più importante.

La costrinse a guardarlo e vide i suoi occhi colmi di tristezza e le lacrime a stento trattenute.

« Io non posso stancarmi di te. Non potrei nemmeno se lo volessi. » dallo sguardo di Miabi, il ragazzo intuì che faceva fatica a crederlo. « Non so da cosa tu abbia capito che sono innamorato di te, ma hai ragione. Lo sono. Io sono innamorato della ragazza con cui ho passato un anno fantastico, della mia migliore amica, della mia compagna di avventure e disavventure, della mia compagna di giochi. Quella persona sei tu. Non hai i tuoi ricordi e lo ammetto questo mi rende triste, ma le cose fondamentali che amo di te ci sono ancora. Tu eri e sei tuttora una ragazza sincera, generosa e soprattutto mi fai battere il cuore.” Dicendo questo le prese una mano e se l’appoggiò sul petto. La ragazza poté così sentire il suo battito accelerato. “Pensi davvero che potrei separarmi dall’unica persona che mi fa sentire davvero vivo? »

Miabi ormai aveva rinunciato a trattenere le lacrime.

Rukawa l’abbracciò stretta a sé. « D’ora in avanti ti prometto che non cercherò più di parlarti del passato. Parleremo solo del presente e costruiremo dei nuovi ricordi insieme. Vuoi? »

La sentì annuire contro il suo petto.

 

Diverse ore dopo Rukawa accompagnò Miabi a casa.

La ragazza andò in camera sua. Osservò la sua stanza e prese una decisione. Nel ripostiglio aveva visto delle scatole di cartone vuote. Le prese e le riempì di tutti gli oggetti del suo passato.

Iniziò dai peluche. La madre le aveva detto che li aveva fin da quando era bambina. Poi passò ai libri. Sapeva che se li avesse riletti si sarebbe sforzata in tutti i modi per cercare di ricordare di averli già letti. Infine si diresse alla bacheca. Quella le sembrò la parte più dura.

La maggior parte delle foto ritraeva Rukawa. Solo per quello avrebbe voluto tenerle. Ma le foto più di tutto il resto erano proprio ciò che meglio ritraeva il suo passato e che più la spingevano a cercare di ritrovare i propri ricordi.

Quando finì, la stanza appariva un po’ vuota. Ripensò alla frase di Rukawa. Costruiremo dei nuovi ricordi insieme. Sorrise tra sé. Ne era convinta, tra non molto quella stanza sarebbe stata nuovamente piena di ricordi.

Si guardò allo specchio appeso all’interno dell’anta dell’armadio. Le mancava ancora un ultimo taglio al passato.

Uscì di casa.

Quando tornò i suoi capelli, prima lunghi fino quasi alla vita e con taglio scalato, arrivavano ora alle spalle ed erano stati pareggiati.

D’ora in poi, decise, sarebbe stata solo sé stessa e non più la sé stessa basata sui ricordi degli altri.

 

Il giorno seguente Rukawa passò a prenderla. Avevano deciso di approfittare delle vacanze del ragazzo per andare al luna park. Fortunatamente la temperatura non era troppo bassa.

Stavano aspettando il treno, quando si sentirono chiamare.

Videro Sakuragi andare loro incontro. Con lui c’erano i quattro dell’armata più Mitsui, Miyagi, Ayako e Haruko.

Miabi fu presentata dal rosso agli altri ragazzi. Notò che tutti la squadrarono da capo a piedi. Soprattutto la ragazza presentatale come Haruko.

« Dove state andando di bello? » Si informò Sakuragi.

« Al luna-park. » Spiegò Miabi.

« Rukawa al luna-park?! » Disse Mitsui stupito. Certo aveva notato il cambiamento del compagno di squadra in quegli ultimi giorni, ma gli era difficile pensarlo in un luogo di divertimento come il luna-park.

« Possiamo aggregarci? » Chiese Miyagi.

« Certo. Più siamo più ci divertiamo. » Rispose allegra Miabi. Poi si rese conto che forse a Rukawa la cosa non faceva molto piacere. Infondo per loro era una sorta di appuntamento. Si volse quindi a guardarlo.

Si fissarono alcuni istanti. Poi Rukawa sospirò ed annuì, dicendo: « E sia. »

La ragazza gli rivolse un radioso sorriso e lui si convinse di aver fatto bene ad essere accondiscendente. Senza nemmeno rendersene conto ricambiò il sorriso.

Tutto ciò non passò inosservato, ma nessuno commentò.

Il viaggio in treno passò piacevolmente.

Miabi si sentì per la prima volta a suo agio da quando si era risvegliata, perché per la prima volta si sentì libera. Non aveva su di sé gli sguardi di chi sperava ardentemente che lei recuperasse la sua memoria. Per quei ragazzi era un’estranea ed in quanto tale per loro non esisteva il suo passato.

Al luna-park il divertimento continuò.

 

Mancava poco alla chiusura del luna-park.

Sakuragi e Miabi stavano cercando di convincere gli altri a salire sulle montagne russe.

« Per quanto mi riguarda, ve lo potete scordare. » disse Ayako.

« Non dirmi che hai paura di un gioco? » la stuzzicò Sakuragi.

« Io?! No. » Disse, ma nessuno le credette.

« Su, Ayakuccia. Ci sarò io con te. » cercò di convincerla Miyagi.

Alla fine capitolò. « Okay, vengo. Ma solo se ci andiamo tutti. »

« Mitsui tu sei dei nostri, vero? » Domandò sicuro Sakuragi.

« Veramente… »

« Non ci credo. L’ex teppista Hisashi Mitsui ha paura delle montagne russe! » Lo prese in giro Miyagi.

« Non ho paura. » Sibilò.

« Allora dimostralo e vieni anche tu. » lo pungolò il rosso.

« E va bene, avete vinto. »

« Haruko anche tu sei dei nostri, vero? » le domandò Ayako.

« Harukina non ti preoccupare, se hai paura puoi tenere la mia mano. » propose amorevolmente Sakuragi.

La ragazza annuì silenziosamente.

« Ovviamente Kaede, tu non puoi tirarti indietro. » disse Miabi.

« Tranquilla. »

Si diressero all’entrata delle montagne russe. Non c’erano altri clienti perciò usarono un treno solo per loro. Mentre si stavano sedendo, Miabi disse: « Sapevo che era inutile chiederti di venire, perché ci saresti venuto lo stesso. »

« E come lo sapevi? »

« Ovvio. Perché tu adori le montagne russe. »

Rukawa si volse verso di lei. Come faceva a saperlo? Stava forse iniziando a recuperare la memoria?

Miabi si volse verso di lui e notò il suo sguardo speranzoso. Per lei fu un colpo al cuore.

« L’ho solo capito dalle foto che ho trovato dentro a degli album in camera mia. C’erano diverse foto di quelle automatiche delle montagne russe con noi due. » spiegò.

Rukawa abbassò lo sguardo. « Scusa. Te l’avevo promesso che non avrei tirato in ballo il passato, eppure… »

« Non preoccuparti. »

Durante il giro sulle montagne russe nessuno dei due si divertì come aveva programmato.

Quel breve scambio di battute aveva cancellato in un colpo il divertimento.

Mentre camminavano, dirigendosi alla stazione, Miabi notò che Rukawa sembrava evitarla.

Da quel poco che aveva imparato a conoscerlo in quei giorni, capì che si sentiva in colpa.

Gli si avvicinò e gli prese una mano.

Lui osservò prima le loro mani unite e poi i suoi occhi.

Miabi gli sorrise.

Lui le strinse la mano e con l’altra le accarezzò una guancia. Avvicinando il suo viso le diede un bacio sulla fronte.

Mentre erano in treno, Miabi chiacchierò con Ayako. Quella ragazza le stava molto simpatica.

Sakuragi ne approfittò per parlare con Rukawa.

« Allora? Come va, amico? » gli disse dandogli una pacca sulla spalla.

Rukawa sorrise del modo in cui l’aveva chiamato. Ma in effetti, dovette ammettere che era il più calzante. Erano bastati pochi giorni, per farli diventare amici. Anche se forse lo erano diventati molto prima, nonostante non lo volessero ammettere. Altrimenti, come era possibile che l’impassibile Rukawa, si scaldasse tanto soltanto con lui.

« Direi bene. »

« Io direi più che bene. Vi ho osservati oggi. State bene insieme. Quando sei con lei, sei meno antipatico del solito. » Rise.

« Non sei il primo che me lo fa notare. » Ammise.

« Può essere allora che le cose si sviluppino bene tra di voi. »

« Non lo so. » Disse rabbuiandosi.

« Perché dici così? »

« Anche se cerco di evitarlo, capita spesso che io commetta delle gaffe che la fanno soffrire. »

« Tipo? »

« L’ultima l’ho fatta sulle montagne russe. Le ho ricordato il suo passato nonostante le avessi promesso che non l’avrei più fatto. Ieri sera mi ha detto che si sta sforzando di ritrovare la memoria non per sé stessa, ma per i suoi genitori. E per me. Perché ha paura che io sia innamorato solo di come lei era in passato e che per questo io possa allontanarmi da lei. »

« Le hai confessato i tuoi sentimenti? » chiese stupito Sakuragi.

« No, l’ha capito da sola. »

« Beh, non che ci volesse molto. Sei più trasparente di quanto potesse sembrare. Si vede lontano un miglio che sei innamorato di lei. »

Rukawa si mosse a disagio sul sedile. Non era più molto abituato a parlare delle sue cose ad altri. Soprattutto di cose tanto intime.

Sakuragi rise di nuovo.

Quando arrivarono alla stazione, visto che non era tardi, decisero di andare a mangiare qualcosa in un fast-food.

Rukawa osservava in silenzio Miabi. Vedeva quanto lei si sentisse a suo agio con i suoi compagni di squadra. Da molto sperava di vederla così: solare.

Si ritrovò a chiedersi se avesse ragione lei dicendo che era innamorato di come era in passato. Si chiese se potesse amare la nuova Miabi. Ci pensò tutta la sera.

Mentre stava riaccompagnando a casa la ragazza, lei gli domandò cosa avesse. Aveva notato che per tutta la sera era stato pensieroso. Mentre gli chiedeva ciò lo guardava preoccupata ed apprensiva.

Fu in quel momento che capì veramente.

« Ti devo parlare. » disse seriamente.

« D’accordo. Dimmi. » rispose sempre più preoccupata dal tono di Kaede.

« Avevi ragione quando dicevi che io ero innamorato di te in ricordo di ciò che eri. »

Miabi sussultò. Dentro di sé aveva sperato che non fosse quella l’unica ragione. « Capisco. » disse cercando di sorridere.

« No. Non capisci. Non puoi. Vedi. Miabi del passato e Miabi del presente, mi sono reso conto che è come se foste due persone differenti. Anzi lo siete. Io ero rimasto ancorato al passato perché avevo paura di ammettere che la vecchia Miabi non c’era più, ma mi rendo conto che così facendo faccio del male a te e a me stesso. Perciò… ho deciso di lasciare libera la vecchia Miabi. Non dico che sia facile, ma ho capito che la vecchia Miabi è morta. Devo farmene una ragione. Non posso vivere nella speranza che ti ritorni la memoria. Non sarebbe giusto né per te, né per me. »

Miabi annuì. A stento tratteneva le lacrime. Capiva che quel discorso equivaleva ad un addio. Ma non si sentiva pronta a perderlo. Dentro di sé sentiva che lui era importante per lei. Indipendentemente dal passato. Non sapeva se era amore, se era amicizia profonda o cos’altro. Era però certa che le sarebbe mancato come l’aria.

« Me ne rendo conto. » sussurrò.

Erano davanti a casa di Miabi ed entrambi facevano fatica a separarsi.

Infine Rukawa prese un profondo respiro e poggiò un bacio sulla fronte della ragazza.

« Addio mia vecchia Miabi. »

« Addio Rukawa. » sussurrò la ragazza prima di correre in casa sua e sfogare la sua tristezza.

Mentre tornava a casa passò dal campetto di street basket dove trovò Sakuragi.

« Ormai sta diventando un’abitudine incontrarsi. »

« Già. Tutto bene? Hai un’aria strana. »

« Ho appena detto addio alla vecchia Miabi. »

« Cosa? Ma tu sei pazzo?! Proprio ora che stavi diventando un po’ più umano dici addio alla persona che ami? Ma che ti dice il cervello?! »

« Dovevo farlo. »

« Perché?! »

« Perché era giusto così. Devo separare il passato dal presente per costruirmi un futuro. »

« E questo che significa? »

Stupendolo Rukawa gli sorrise e se ne andò.

« Ehi! Volpe artica! Che significa quel sorriso? »

 

Qualche tempo dopo.

Miabi era uscita di casa. Aveva appuntamento con una sua compagna di scuola che era riuscita a convincerla ad accettare un’uscita a quattro.

« Scusa il ritardo Miabi. »

« Non ti preoccupare Ayako. Oramai ci sono abituata. Ciao Ryota. »

« Ciao e grazie per aver accettato l’uscita a quattro. Il mio amico è davvero ansioso di conoscerti. »

« Figurati. »

« Scusate il ritardo. » disse una voce alle spalle di Miabi.

La ragazza si voltò sorpresa. « Ma…?! »

« Miabi Orashi ti presento il mio amico Kaede Rukawa. Rukawa lei è Miabi. »

« Molo piacere Miabi Orashi. » disse il ragazzo inchinandosi, mentre la guardava negli occhi.

« Piacere mio Kaede Rukawa. » mormorò la ragazza inchinandosi a sua volta e lasciando libere di scorrere le lacrime.

Ora aveva capito appieno il discorso di Rukawa. Il ragazzo aveva detto addio alla vecchia Miabi, ma non alla nuova Miabi. Era disposto a ricominciare tutto da capo. Proprio come se non avessero mai avuto un passato in comune. Solo così avrebbero potuto costruire insieme il loro futuro.

 

Fine.

 

Et voilà! Questa storia era in cantiere da un po’ e finalmente è riuscita a venire alla luce. Mi auguro che piaccia a chi la leggerà almeno quanto a me è piaciuto scriverla. ^_^

 

Per critiche e commenti scrivetemi a kaeru@tele2.it.

 

 

   
 
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