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Autore: fedenow    28/07/2013    5 recensioni
- Steve, non sopporto la gente che parla di mattina. Taci.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Brian Molko, Stefan Osdal, Steve Forrest
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Loud

LOUD




Arriva in studio spalancando la porta con un gesto fluido, dispiega già le corde vocali in qualche saluto troppo urlato, qualche insulsa considerazione sulla pioggia perché non si rassegnerà mai davvero al clima londinese e qualche inevitabile, colossale idiozia sulla vita e sullo stare al mondo.
- Che figata, però, svegliarsi a suon di musica, venire qui e fare musica, tornare a casa e sbattere un altro vinile sul piatto. È una goduria.
Appunto.
Si butta sul divanetto ripassandosi il ciuffo laccato. - Voglio farlo tutta la vita, dannazione. Voglio farlo fino a quando avrò novant’anni e le mie mani saranno così flosce che non riuscirò neanche a farmi una sega.
- Steve, non sopporto la gente che parla di mattina. Taci.
- Ciao, Brian.
- Ciao.
Anche oggi abbiamo adempiuto all’onere sociale dei saluti e possiamo iniziare a ignorarci senza sentirci in colpa.
Gira questa malsana convinzione per cui i membri di una band siano come quelle ottuse anatre di Hyde Park, che si muovono sempre in gruppo e sembrano legate da un cordone ombelicale che oltre il metro e venti strappa e le costringe a riammassarsi. Non è vero. Riconosco un aspetto affascinante dello scenario, ma credo che nessuno sano di mente sopravvivrebbe a più di due tappe di tour se passasse le giornate a starnazzare in faccia ai musicisti che si porta dietro. Io non ce la farei. Perché davvero non ho niente da dire alle persone con cui suono al di là di quello stesso suono. Quello che dobbiamo buttare fuori lo mettiamo lì, ognuno lancia la sua parte e poi torna nel suo involucro, come a dire ecco, non ho nient’altro, se vuoi qualcosa di sincero è tutto in quelle note.
… Parliamo, per amor di dio, parliamo. Tanto. Un’infinità di stronzate satura quei momenti in cui sarebbe davvero coraggioso stare zitti e ammettere che ci riempiamo così tanto quando produciamo del rumore tutti insieme da non avere bisogno di altro.
- Mi passi il bricco?
Riempio la mia tazza una seconda volta e gli allungo il caffè. Beve direttamente dal beccuccio ed è un’immagine davvero goffa, mi rendo conto, quelle labbra così arricciate da cui cola comunque qualche goccia lungo il mento. Mi chiedo se, quando lo faccio io, sembro ugualmente brutto. Si alza e sciacqua contenitore e mani nel lavandino, torna a ributtarsi tra i cuscini e mentre passa mi assesta due pacche amichevoli sulla spalla.
- Che sonno, cazzo. Mi si chiudono gli occhi.
Butta un’occhiata all’orologio. - È l’una.
- Quindi?
- Niente.
- …
- Hai dormito poco?
- Sì.
- Sei andato a letto tardi?
- Sì, mamma. Stavo assumendo la mia sana dose di televisione trash quando è partito Cloverfield e sono finito a guardarlo l’ennesima volta. Devono smettere di passarlo.
- È quella minchiata pseudo apocalittica che avevi visto quando hai scritto Unisex?
- Assolutamente quella minchiata pseudo apocalittica.
- Ah.
- …
- Io ho scopato un sacco.
Lo guardo. Si è rannicchiato con le gambe al petto e guarda il soffitto ripensando alla notte passata. Sorrido perché non lo dice per impressionarti. Avesse trascorso dieci ore a parlare di jazz con suo padre, me lo avrebbe comunicato con la stessa intenzione. Penso ai miei vent’anni e al brivido che ricercavo rivelando dettagli della mia vita sessuale a chiunque mi capitasse a tiro. Solo per provocargli un principio d’imbarazzo, per smascherare un’occhiata di puritana disapprovazione in un paio di sopracciglia aggrottate. Steve non ha niente a che fare con questo, non fa niente con lo scopo di assistere alla reazione che susciterà. Steve fa solo quello che è capace di fare e che vuole fare. Penso ai suoi vent’anni e penso che glieli voglio rubare per essere forte come lui.
Gli rivolgo un’occhiata esageratamente lusingata per la confidenza. - Ma che bello.
- La voglio troppo sposare, Brian.
- Ti conviene. Mi sembra un tipo agguerrito, secondo me ti gonfia di botte se provi a dirle Amore mio, ci ho ripensato, butta via l’anello perché così rotondo e stretto mi mette angoscia.
- No, davvero… È meravigliosa. È la mia.
- Okay, basta.
Si alza, cammina a vuoto per la stanza, entra nella sala del piano e rompe il silenzio schiacciando tasti senza criterio. Torna indietro mentre tira le braccia per rassicurarsi sulla loro flessibilità. - Cosa facciamo?
- Ognuno i cazzi propri.
- No, sono serio! Cosa facciamo?
- Niente, cosa vuoi fare? Non c’è neanche Stef che ieri era l’unico a tirar fuori idee intelligenti. Vediamo se arriva, se no oggi mandiamo tutto all'aria e basta.
- Oh, no. Io voglio suonare. Vado di là a dare due colpi.
Mi scappa un altro ghigno mentre gira l’angolo e scompare dall’area ristoro. Conto i secondo che impiegherà per ripresentarsi qui con l’aria nauseata perché da solo si annoia mortalmente. Non sento neanche un tonfo di grancassa ed è già davanti a me.
- Vieni anche tu?
- Non ci penso proprio.
- Dai, Brian…
- No. Ho anche fame adesso. Spero che Stef porti del cibo visto che ormai si concede dei ritardi disumani.
- C’è qui Dave.
- Non me ne frega un accidente.
- Dai, buttiamo giù qualcosa. Improvvisiamo. Partiamo dal giro di piano di Too many friends e riarrangiamo completamente.
È il mio turno di schiaffare la faccia nell’imbottitura del divano. - Ma sei un genio. Siamo io e te, e tu vuoi partire dal piano.
- Lo suono io.
- Per carità.
- Suonalo tu.
- … Per carità.
- Allora facciamo due chitarre e vediamo cosa esce.
- Steve, sedati.
- Facciamo… Scriviamo un pezzo nuovo. Io e te! Una bella sbobba sui disagiati e sui nerd come ai vecchi tempi, eh?
Riesce a strapparmi una risata gustosa. - Impertinente.
Sento armeggiare con la serratura dell’ingresso e poco dopo Stef fa il suo ingresso nella stanza. Cappotto fradicio lanciato in un angolo, cerniera del maglione allentata. Se non altro la prospettiva di un cambiamento mi spinge a tornare in piedi.
- Ciao, gente. Credevo fosse chiuso il giovedì e invece… – Sventola una borsa di plastica all’altezza del naso. – … thailandese. Amatemi.
- Ti amo.
- Sei in ritardo di brutto.
- Sì, c’è qui Dave.
- E quindi?
Mi cinge i fianchi mentre il biondo già ride, mi si struscia addosso ondeggiando. – Si chiama sesso mattutino, Brian. – Sussurra suadente. – Dovresti riprenderci la mano.
- Perché scopate tutti e io no?
- È il karma, dolcezza.
- Scriviamo una canzone sull’ascetismo di Brian.
- Siete due idioti. Passatemi da mangiare o svengo.
Un odore pregnante si diffonde mentre scartiamo le confezioni e ci sparpagliamo sulle varie superfici del locale. Sembriamo tre sbarbatelli in gita scolastica.
Stef scolla una matassa di spaghetti dal fondo cartonato. - Da dove ricominciamo?
- Loud like love. La voglio finire, questa stronza. Ci manca così… – Faccio il segno di una briciola con le dita, deglutisco il boccone. – Deve esplodere alla fine. Boom. Le manca il boom.
- Prima Brian ha ammesso di suonare il piano peggio di Cody.
- Ah, perché Brian sa suonare il piano?
- Io domani faccio parlare voi con Alex, ve lo giuro. “BRIAN, COME STA ANDANDO?” – Sottolineo l’intensità della minaccia con le mani a megafono. – Ovviamente questo alla quinta volta che prova a chiamarmi, attacca con le telefonate alle otto di mattina. Io non sapevo neanche che esistessero le otto di mattina.
- L’alba, cazzo.
- La notte.
- Dice che le rompono un po’ le palle dalla Germania… - È un tarlo che ho da qualche giorno. – Spero di non aver fatto una cazzata a firmare lì…
- Ma no, è l’inizio. Devono prendere le misure anche loro.
- Non lo so.
- Oh, Stef! Devo chiederti una cosa. Hai presente quella che fa ta-ra-raaaa ta ta ta-ra-raaaaaaaaa, e va giù un casino? Famosissima... La usano dappertutto. C’è anche nei Pirati dei Caraibi.
Lo fissa incredulo. – … È Bach, santo dio. Toccata e fuga in re minore di quello stronzo di Bach. Sei un fottuto selvaggio delle vostre riserve di merda.
- Stef, sono tutte uguali. – Mette le mani avanti. Letteralmente. - Geni, eh. Geni assoluti, io non verrò ricordato cinque secondi dopo aver tirato le cuoia, ma hanno dei titoli improponibili. Studio. Ma vai a cagare.
Ti giri verso di me e sei agitato. – Parla come te! È colpa tua, cazzo, che gli fai fare quello che vuole e io sembro la fottuta madre apprensiva!
Ti sto guardando con quello sguardo fiero che ti rivolgo ogni tanto, e solo a te, quando realizzo che ci siamo incontrati in una stazione della metro vent’anni fa ed è una certezza che mi rende stupidamente sicuro di me. Confido nel tempismo inopportuno di Steve perché sto rischiando di mortificarmi con qualche dichiarazione melensa.
- Comunque stavo ascoltando l’ultimo dei Vampire Weekend ed è una meraviglia. Ascoltatevelo, davvero. Anche voi vecchi. Secondo me vi piace.
… Grazie, ragazzino.








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Questa è tutta per PostBlue, perché siamo reduci da una trasferta Sigur Rós ed è stato un concerto favoloso, e sono stati due giorni bellissimi. Modesto regalino, ma già che è uscita questa cosa ci tenevo. <3
Molti riferimenti sono documentati nelle interviste più recenti alle tre, che stranamente stanno dando buon materiale con cui trastullarsi. Brian ha un vivaio e va lì con la sua chitarrina a comporre canzoni. #CoseInutiliDaSapere.

E' un po' turpiloquiosa, in effetti. Chiedo venia, è venuta così.
A presto, buone vacanze/lavoro/studio.
   
 
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