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Autore: yellowcrocs    29/07/2013    6 recensioni
Ha ragione. Lei non è Alice. E va bene così. Perché io non amo più Alice.
E allora perché l’ho lasciata andare? Perché ho lasciato che sbattesse la porta, frantumando i nostri stupidi cuori?
Sei un imbecille, Ed.
Già, l’imbecille che ha rotto il cuore della ragazza che ha sempre amato.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nina Nesbitt, Nina Nesbitt
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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YELLOW CROCS
'Sera, ragazze! Vi dico subito una cosa: da questo scritto non mi aspetto niente. Mi rimurginava in testa da un paio di settimane, e stasera l'ho scritto.
So che sembra frettoloso, ma potrò comunque riscriverlo.
Per la mia long Shesbitt, so cosa scrivere ma non so come. Blocco da schifo.
I versi che ho messo sono di Sunburn del nostro idiota, Ed Sheeran.
Vi lascio alla lettura con quattro parole: Alice, Ed, Nina. BOOM.
Mi polverizzo. Unicorni rosa a pois verdi a tutti!
Budds



 

Nina non è Alice


 

You're not her,
though I try to see you differently.
(...)
I saw your eyes,
and then I saw her staring back at me.


La mattina, nel tè, Alice metteva tanto, tanto zucchero.  Così tanto che a mio parere era zucchero e tè, non il contrario. Lei ci rideva sopra, e rimescolandolo mi diceva che le ci voleva tanto zucchero per vivere in un mondo tanto amaro. Solo dopo capii perché –era stato amaro abbandonarmi?- ma allora continuai a fissarla ridente, finendo il mio caffè freddo.
Nina la mattina prendeva una grande tazza di caffè, bollente e molto amaro. Quando le chiedevo il perché, mi diceva -ancora insonnolita- che io ero troppo zuccheroso per entrambi. Se avesse aggiunto ancora dello zucchero al suo caffè sarebbe ‘schioppata’ per il diabete. In più “La mattina non ci si sveglia mica con una carezza!” diceva, e si nascondeva dietro la tazza per nascondere il rossore delle guance.

Alice aveva piccoli occhi verdi, che aggiunti alle chiare lentiggini sulle gote la facevano somigliare ad un bambola stupenda. Bambola che credevo avrei sempre portato con me, e che invece mi chiuse al di fuori del suo baule. Occhi vitrei, accesi ma spesso distanti, occhi che mi studiavano, che ridevano e che piansero quando mi spezzò il cuore.
Nina aveva due vispissimi occhi marrone scuro, come quello di tutte le cioccolate prese ad ore indecenti della notte. Lei diceva di odiarli, perché erano anonimi e non ispiravano nulla. Mi ripeteva che i miei occhi erano i suoi preferiti, e che forse un giorno, a forza di guardarli, ne avrebbe preso un po’ di colore. Non si è mai resa conto di quanta vita ci fosse nel suo sguardo. Di quante emozioni, tutte legate da un solo e unico nastro, celassero i suoi occhi. E adesso ne trapela solo tristezza, rabbia, delusione.

Alice, nelle occasioni importanti, si toglieva i suoi adorati maglioni e indossava delicati vestiti non troppo corti, che lasciavano vedere la pelle chiara dello stinco. Quando la festa finiva, ripiegava l’abito con cura e mi invitava in camera sua, pronti a sognare di fuggire lontano, girovagando tra le stelle.
Le poche volte che costrinsero Nina ad indossare abiti da premiazione, lunghi e eleganti, furono memorabili. Era bellissima, indubbiamente, truccata e vestita come una dea, eppure qualcosa non andava. Non era Nina. Quella vera la trovavo a fine serata, quando imprecando buttava via i tacchi, lanciava il vestito in malo modo su un divano, indossava solo biancheria e una mia maglietta, mi obbligava a guardare le repliche di Scrubs su Mtv e si intrufolava furtiva tra le mie braccia, lasciandosi accarezzare le braccia scoperte.

Alice aveva i capelli scuri, sempre ordinati, che lasciava cadere sulle spalle. Sempre uguali, nel corso degli anni passati insieme, sempre a ricordare che lei non sarebbe cambiata più di tanto.
Nina aveva lunghissimi capelli scuri, quando vidi le sue prime foto sul web. Quando ci incontrammo allo Sherlock per la prima volta, era diventata bionda, in seguito aveva schiarito il colore, lasciato che qualche tinta colorata le colorasse le punte di tanto in tanto. Per qualche giorno la vidi sul web mostrare una folta chioma rosa, con un sorriso accennato che tanto la caratterizzava. Continuava a cambiare, ogni giorno, dal sorriso allo sguardo.

Ad Alice non piacevano i gatti. Diceva che si sentiva osservata da tutte quelle paia di occhi che nel buio delle passeggiate notturne la fissavano silenziosi. Ricordo come si stringeva a me, come urlava dalla paura di essere graffiata, come semplicemente li odiava. Per me, era il contrario. E come un gattaccio mi ha scacciato dalla sua vita, dalla sua cosa e, soprattutto, dal suo cuore.
Nina, i gatti, li adorava. Giocava con Minnie sempre, e piena di graffi a fine giornata, mi veniva in contro sorridente, per baciarmi. Li trovava rilassanti, divertenti, curiosi. E stando ore a gaurdare, a guardarla, non potevo che pensare la stessa cosa.

Alice era una ragazza tranquilla. Parlavamo, ci baciavamo, ci abbracciavamo, parlavamo ancora. La conoscevo come le mie tasche, catturavo ogni sua sfumatura di ogni singolo comportamento, sapevo come prenderla e assecondarla alla perfezione. Eppure non ho saputo reagire, quando mi ha abbandonato.
Nina era la lunaticità fatta persona. Non sapevo come si svegliava né si addormentava. Poteva svegliarsi con la luna storta e addolcirsi –guarda caso- durante i pasti, per poi tornare scorbutica il pomeriggio e scatenata la sera. Poteva svegliarsi particolarmente addolcita –soprattutto quando dormiva con me, il che mi rendeva estremamente felice- e essere amichevole per tutta la giornata, o al contrario ammutolirsi e non mostrare interesse in niente.

Far mangiare Alice era un evento. Come ogni ragazza aveva paura che i fianchi si allargassero, che il corpo crescesse  e che io la lasciassi per questo. Cavolate, nel suo non voler crescere non vedevo che amore, quello che ci ha legato per anni. Quello che mi ha distrutto, dopo anni.
Nina, col suo fisico bambinesco, non conosceva né orari né diete. La vedevo, tra una canzone e l’altra, mangiare dietro il palco sul quale entrambi ci esibivamo. “Sono nervosa, non rompere.” Mi diceva, e io non potevo che ridere, come per tutte le sbronze, tutti i bicchieri o boccali mandati giù, per tutte le corse da  Nando’s fatte all’ora di chiusura, per tutti i baci e altro fatto da ubriachi o non.

Alice non suonava strumenti. Si metteva comoda, al tramonto, davanti a me, sull’erba umida, e mi ascoltava cantare fino a notte fonda. E io cantavo, cantavo, cantavo fino a perdere la voce, cantavo le cose che potevo dirle solo per canzoni, cantavo canzoni scritte ed ispirate solo per lei e a lei. Diceva la migliore musica era la mia. Ed io perdevo la voce, come dopo avrei perso la speranza.
Nina pur di farmi sconcentrare alzava il volume della pianola, accendeva gli amplificatori della chitarra, faceva proprio casino, per poi liquidarmi con un "Tanto suono meglio io, Ed" ed un bacio che mi faceva dimenticare tutto.

Nina non è Alice, e Alice non è Nina.
Per niente.
Sono due poli opposti, e io sono il magnete cretino che non sa da che parte stare.

Alice era tutto ciò che avevo. Era il mio mondo, e mi ha distrutto.
Non scorderò mai le sue urla, il suo pianto mentre mi gridava di andarmene, che dovevo pensare alla mia carriera, che dovevo dimenticarla. Non scorderò mai il viaggio per Londra, quando le sue parole di deterioravano la testa, mi facevano scrivere pezzi che rispecchiavano il mio cuore così malridotto. Non mi scorderò mai quanto l’amore ti possa uccidere, lasciandoti solo in una città che inizi presto ad odiare.
Poi, dopo quattro anni di buio, arrivò Nina.
Nina, che cantava le mie canzoni nei suoi video su youtube, Nina che cantava Standing On One Leg su una gamba sola per la tensione, senza rendersene conto.
Nina, che arrossiva in modo evidente quando mi complimentavo con lei, Nina che dormiva fino a cinque minuti prima del live, Nina che mi abbracciava e mi ringraziava, Nina che, ubriaca marcia, mi diceva che mi amava, ma che ero distante. Io, che ubriaco quanto lei, la baciavo a lungo fregandomene delle conseguenze.
Nina che rideva, che si arrabbiava, che svelava la sua volgarità, Nina che cantava per casa le canzoni che tempo prima scrivevo per Alice, eppure che erano così adatte anche a lei. E poi Nina che, arrabbiata, mi urlava contro, dicendomi che la stavo prendendo in giro, ed io che la zittivo con un bacio e la stendevo sul letto.
Nina era ovunque, sempre, per tirarmi su il morale. La trovavi nelle pacche sulle spalle, nelle imprecazioni degli amici, nei baci degli sconosciuti, nei vecchi dischi in vinile impolverati sullo scaffale. La vedevo nei mercati sconosciuti di Londra, la intravedevo appena sotto la schiuma dell’ennesima birra, la vedevo davanti a me, mentre diceva di amarmi.

Anche adesso Nina è davanti a me. La testa mi fa male e il salotto è un disastro.
La vedo, rossa in volto ma non per l’emozione. Ha le guance rigate dalle lacrime, i capelli in disordine, la felpa le cade sulla schiena, troppo grande per il suo fisico.
Mi sta guardando, con degli occhi così truci che mi sento morire dentro.
Cosa sta succedendo?
Urla ancora, mi insulta, prova a colpirmi.
Poi si ferma, mi dice che l’ho presa per il culo per tutto questo tempo, che le ho detto che l’amavo solo perché le ricordavo in qualche modo Alice, che non so superare il mio passato, che non può non essere sicura che io non la ami.
Mi stai lasciando, Ed?
Sembra un urlo, eppure è incredibilmente basso. Sento gli occhi bruciare come se fossero in fiamme, mi accorgo che delle lacrime stanno per infrangersi tra le ciglia,  abbasso lo sguardo, lei apre la porta.

Eppure la sua domanda ha qualcosa in più.
“Stai lasciando la sola cosa a cui ti sei attaccato?”
“Stai lasciando la ragazza che ti ama da sempre?”
“Stai lasciando la ragazza che ti ha fatto ricominciare ad amare, che ti ha ricucito le ferite?”
“Stai lasciando che il buio ti divori di nuovo, Ed?”


“Non posso essere Alice, Ed. Quindi ti prego, non prenderti più gioco di me. Non cercarmi mai più.”

Ha ragione. Lei non è Alice. Nina non è Alice. E va bene così.
Perché io non amo più Alice.
E allora perché l’ho lasciata andare?
Perché ho lasciato che sbattesse la porta, frantumando i nostri stupidi cuori?

Sei un imbecille, Ed.
Già, l’imbecille che ha rotto il cuore della ragazza che ha sempre amato.


Ha ragione Nina. Lei non è Alice. Alice non è lei.
Va bene così, va bene così, va bene così.
Va fottutamente bene così.

Perché, Ed?
Perché la amo.


 

  
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